him
Morgana stava correndo giù per le scale. Saltellava felice, nel
suo nuovo abito di seta azzurra. Azzurra come il cielo di primavera di
Camelot, azzurra come i suoi occhi e quelli di Artù, il suo
fedele compagno di giochi.
Ad un certo punto, mentre inseguiva una palla di cuoio lungo uno dei
sontuosi corridoi del palazzo di Uther Pendragon, inciampò nello
strascico del vestito nuovo.
Crollo a terra e i suoi grandi occhioni azzurri si riempirono di
lacrime. Artù, che vagava anch’esso per i corridoi urlando
il suo nome nel tentativo di rintracciarla, la trovò piangente e
disperata in ginocchio sul freddo pavimento di pietra.
- Morgana, cosa ti è successo?-
- Sono scivolata.- singhiozzò la bambina, tirando su con il naso, gli occhi delicati ormai gonfi e rossi.
Artù le accarezzò i lunghi capelli neri, sciolti
disordinatamente sulle spalle e, in uno slancio di tenerezza, la
abbracciò.
- Dai, Morgana, non ti abbattere…è solo un graffio…-
- Sì, ma fa male…chissà dov’è andata
la palla ora…- disse la bambina sospirando e alzandosi, seguita
a ruota dal ragazzino di un paio di anni più grande di lei.
Il principino si passò una mano tra i folti capelli biondi,
dubbioso:- Starà ancora rotolando per qualche
corridoio…dai, facciamo un altro gioco…-
- Ma io voglio la palla!-
- Manderò un servo a cercarla…dai, andiamo in giardino…- propose Artù, non molto convinto.
Morgana tirò su di nuovo con il naso, imbronciata, ma annuì alla proposta del fratellastro.
I due si avviarono allora verso il giardino, il grande prato verde con
alberi e fiori rigogliosi dove la madre di Artù amava passare i
pomeriggi d’estate.
Morgana si diresse subito verso il sottile ruscello che vi scorreva,
frutto di una minuscola apertura nella roccia delle mura del
castello:quando i soldati per ordine di Uther avevano iniziato a
murarla, erano stati fermati dalla regina, che aveva ordinato di
lasciare che il suo giardino venisse allietato da un corso
d’acqua limpida.
Era il suo posto preferito e la bambina immerse le dita nell’acqua fresca, sorridendo finalmente.
Artù invece, senza perdere di vista Morgana, si sedette su una
panca di pietra nei pressi di una quercia maestosa, l’unico
albero veramente grande del giardino.
Da qualche secondo Morgana aveva immerso le mani nel ruscello, quando
un fruscio rivelò che la palla perduta, lanciata con veemenza
dal giovane Artù, stava ancora rotolando e più
precisamente stava uscendo dal portone, dirigendosi verso la piazza del
mercato.
Morgana, alla vista dell’oggetto del suo desiderio, scattò
in piedi e si diresse verso il portone aperto in un fruscio unico di
seta cerulea.
Artù, il viso baciato dal piacevole tepore del sole primaverile,
ci mise qualche secondo di troppo ad accorgersene e, appena aprì
gli occhi, la sorellastra era giù uscita in piazza.
La inseguì, mentre la giovane Morgana zigzagava tra le
bancarelle e i carretti inseguendo entusiasta la palla, che sembrava
quasi mossa da una magia.
All’improvviso la palla si arrestò, finendo in una lurida
pozzanghera di fango, e la principessina si fermò ad osservarla
senza fiato, le mani sulle ginocchia dopo una lunga corsa che
l’aveva portata nel mezzo del mercato, abbastanza lontana dal
castello.
Ripreso un minimo di respiro, si avvicinò esitante alla
pozzanghera, combattuta tra lo sporcare il vestito nuovo e il
riprendere la sua palla.
Ormai decisa, si accinse ad entrare nel fango quando un bambino, gli
occhi accesi di gioia, si precipitò nella pozzanghera e
afferrò la palla.
Morgana con un salto evitò gli schizzi di fango, per poi
osservare il bambino accucciato nella melma che osservava la palla
stretta tra le esili dita.
Era piccolo e gracile, sebbene dimostrasse la stessa età di
Artù, e i corti capelli neri non riuscivano a coprire le
orecchie a sventola. Era vestito in modo modesto e gli abiti
semplici erano ormai ricoperti di terriccio.
- Ehi, bambino, mi ridai la palla?- chiese la bambina, con voce salda. In fondo lei era la figlioletta del re.
- Perché?- chiese il bambino, alzando gli occhi di un azzurro
intenso e glaciale, e ritrovandosi a fissarne un paio di altrettanto
belli e penetranti.
- Perché la palla è mia e io sono la figlia di re Uther
Pendragon.- rispose lei orgogliosa, ergendosi nella sua misera statura
di bambina.
- Ma la palla l’ho trovata io.- rispose il bambino a muso duro.
- Sì, ma è mia!- controbatté Morgana, piccata. Sembrava sul punto di esplodere.
- Ok, va bene…se lo dici tu…- disse il bambino,
sbuffando. Di solito con gli altri funzionava, ma lei era diversa.
Ripulì la palla alla bell’e meglio con la manica della
casacca di tessuto grezzo che indossava e la porse alla bambina.
Morgana afferrò la palla felice, sorridendo, e facendo sorridere
di rimando il bambino, che la osservava divertito mentre stringeva
forte la palla ritrovata. Uno schizzo di fango le era finito sulla
guancia pallida.
- A proposito, io sono Morgana…e tu?- chiese la bambina. Il
sorriso le increspava la pelle ai lati degli occhi e li rendeva
più luminosi.
- Ehm, io…io mi chiamo Merlino.- rispose il bambino, uscendo
dalla pozzanghera nella quale era ancora rintanato. In piedi dritto era
leggermente più alto di Artù.
- Grazie per la palla, Merlino.-
- Di nulla.-
Il loro breve dialogo venne disturbato da un rumore di passi affrettati
e Morgana si accorse che Artù l’aveva seguita.
- Ciao Merlino, io vado! Arrivederci!- urlò, mentre scappava verso il castello.
- Ciao…- fu lo stupito saluto del ragazzino, che vide poi un giovinetto biondo andare nella sua stessa direzione.
Artù, stremato dalla corsa, agguantò Morgana sulla soglia del portone del castello.
- Fermati, Morgana!- gridò, tirandola a sé.
- Cosa c’è?! Hai visto, ho recuperato la palla!- disse la
bambina incurante dei rimproveri di Artù, mostrandogli il frutto
della fuga orgogliosa.
L’ira del piccolo Artù si spense di fronte a quel sorriso
radioso. Allungò una mano e rimosse uno schizzo di fango dalla
guancia morbida della ragazzina.
- Entriamo, sai che Uther non ci permette di uscire…-
Un esperimento, sono solo 2 capitoli :) grazie se vorrete commentare!
|