01 Pagliaccio
Le
dita si aprono, le corde sibilano
nell'aria mentre il trapezio s'allontana veloce, per poi tornare
ubbidiente alla mano del padrone.
Rullo di tamburi, poi il
silenzio.
L'aria accarezza le membra tese, le avvolge come una
ragnatela invisibile, fragile, che nessuna caduta attutirà.
Corpi
dipinti di bianco baluginano nel buio del tendone: ad ogni presa un
sospiro del pubblico; ad ogni balzo un gridolino strozzato.
Le
corde sibilano nell'aria, i muscoli si tendono per un'ultima volta e
poi... uno... due... tre... quattro... cinque...
Le
braccia forti del porteur come
un'ancora di salvezza prima del tuffo nel buio. Il silenzio e il
boato del pubblico, la musica che risuona allegra mentre le luci si
riaccendono, abbaglianti.
Là in pista, un pagliaccio dalla chioma
arancione rotola e cade, mimando e indicando su in alto. Eco di risa
raggiunge gli artisti che, piano, abbandonano il loro
Mondo.
“Pagliaccio! Pagliaccio!” Una manina paffuta si tende a
sfiorare un ricciolo arancio. Labbra sorridono da sotto la bocca
dipinta all'ingiù. Un inchino e una capriola; un fiore che spunta da
non si sa dove. La risata cristallina del bimbo sovrasta la musica
mentre il pagliaccio s'avvicina col volto, offrendo un sorriso e il
naso di pezza dipinto di rosso.
La musica tace, le luci son
spente. La parrucca è gettata in un angolo, il cotone scorre sulla
pelle.
“Avresti dovuto esserci tu, lassù”.
Un sospiro e
quel che resta del clown scuote il capo, i capelli scuri ancora
raccolti sotto la retina, la matita sbavata intorno agli occhi.
“Sei
il migliore, è uno spreco che tu resti quaggiù a fare...”
“Il
pagliaccio?” Un sorriso spunta sotto il trucco sfatto, la mano è
sospesa a mezz'aria con un batuffolo sporco tra le dita.
“Il
pagliaccio...” Un sospiro accompagna l'afflosciarsi del corpo
muscoloso su un ammasso di cuscini buttati in terra alla rifusa. Mani
forti si chiudono attorno al mento ancora imbrattato di cerone e
brillantini, mentre gli sguardi s'incrociano nello specchio
inclinato.“Sei guarito, non hai nulla che non va! E non dirmi che
hai paura perché hai fatto cadute ben peggiori...”
Un ultimo
gesto e quel che restava della bocca rossa dipinta all'ingiù
svanisce del tutto “Amavo stare lassù. Amavo giocare con l'aria,
sfidarla. Dominarla. C'eravate solo lei, voi e il trapezio. Ed era
bellissimo essere un tutt'uno. Il pubblico non esisteva...”
“Cos'è
successo, fratellino? Perché
parli al passato?”
Lo
sgabello ruota piano; il clown
s'alza lentamente, le bretelle penzolanti ed i piedi scalzi.
S'avvicina adagio al trapezista, inginocchiandosi di fronte, le
braccia incrociate sulle sue ginocchia “Credevo di essere felice.
Ma mi mancava qualcosa...”
“Eri il migliore tra noi.
L'orgoglio di nostro padre... E adesso... Perché, fratello mio? Cosa
ti possono dare questi stracci da pagliaccio che non ti dava la
gloria dell'aria?”
“Da lassù potevo stupire, meravigliare,
dominare. E' vero: ero il migliore tra voi. Dal trapezio udivo il
sospiro del pubblico troncarsi per la paura e poi l'applauso
esplodere, ma...”
“Ma?”
“Non potevo vedere la gioia nel
sorriso dei bimbi”.
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