Fanfiction partecipante alla 20
Fanfiction
partecipante alla 20° edizione del concorso di EFP
NOTA
DELL'AUTRICE: sono perfettamente a conoscenza che questa storia si discosta dal
canonico incontro tra Achille e Patroclo e che il linguaggio usato risulta
troppo moderno e semplificato per i personaggi e l'epoca in cui si svolge,ma la
cosa è voluta allo scopo di rendere più potabile la storia. Anche la scoperta
dell'omosessualità da parte dei due protagonisti può sembrare
"leggera", in realtà volevo solo che fosse naturale, poiché si parla
sempre di due persone destinate a stare insieme e ad amarsi per tutta la vita.
Questi
personaggi appartengo al Mito (ed a vari grandi autori che li hanno utilizzati),
la mia storia è scritta senza scopo di lucro e chiedo perdono per aver
utilizzato caratteri tanto conosciuti e amati.
Grazie
per la pazienza, buona lettura.
Il
destino di Achille
L’alba
aveva appena schiarito il cielo ad oriente, una nebbiolina rosa vagava a pelo
d’acqua, mentre il vento li spingeva verso l’isola. Un uomo dai corti
capelli neri e dai lucenti occhi verdi osservava la costa che si avvicinava,
posando le mani sul parapetto della nave; un’altra figura, avvolta in una
coperta, gli si avvicinò sbadigliando.
“Mi
ripeti perché siamo qui?” Affermò il ragazzo avvolto nella coperta, con voce
ancora impastata.
“Per
il volere di Atena.” Rispose quello più anziano.
“Fa
un freddo cane.”
“Ti
passerà appena sorgerà il sole.” Dichiarò l’uomo dai capelli neri.
“Piuttosto, Patroclo, ricordi tutto della nostra copertura, vero?” Gli
domandò poi, girandosi verso di lui; il ragazzo roteò i grandi occhi castani.
“Sì,
sì che ricordo, me lo hai ripetuto almeno un centinaio di volte!” Rispose
esasperato, allontanandosi dal compagno di viaggio. “Siamo dei mercanti
ateniesi…” Borbottò, mentre scendeva le scalette della prua; Ulisse lo
guardò sorridendo divertito.
“Sei
troppo giovane…” Mormorò il sovrano di Itaca.
Scesi
dalla nave si recarono, come da piano di Ulisse, alla dimora di Licomede: una
grande casa bianca in cima ad una collina, circondata da un bellissimo giardino.
I due uomini si fermarono all’inizio del sentiero che conduceva al palazzo;
Ulisse lanciò un eloquente sguardo a Patroclo.
“Mercanti
ateniesi, sì!” Sbottò il ragazzo, ancor prima che l’altro gli facesse la
domanda; Ulisse sorrise. “Ascolta, ma sei sicuro che sia lì?”
“Perché
chiedi questo, ragazzo? Atena in persona mi ha rivelato dove trovarlo.”
Rispose l’uomo, mentre camminavano lentamente verso la casa.
“Dovrebbe
essere un potente guerriero, ma, a quanto dici tu, vive qui travestito da
donna…” Affermò incerto il ragazzo dai capelli castani.
“Solo
per volere di sua madre.” Spiegò Ulisse.
“Sì,
ma che razza di guerriero accetterebbe una situazione simile… per quanto possa
non dispiacermi l’idea di vivere in mezzo a tutte queste fanciulle in
fiore…” Dichiarò Patroclo, concludendo la frase con uno sguardo malizioso.
“Dammi
retta, figliolo, tu non ti preoccupare, segui le mie indicazioni e tutto andrà
come previsto dalla dea.” Lo rassicurò l’uomo, dandogli una pacca sulla
schiena; nel frattempo erano arrivati al portone della casa.
Un
grande cancello di legno scuro si apriva sul candido muro di cinta e consentiva
l’accesso ad un lussureggiante cortile interno, dove crescevano piante e fiori
di ogni tipo. Il portone era aperto, così i due visitatori lo attraversarono
tranquillamente; qualcuno stava annaffiando le piante.
Patroclo
si guardava intorno, cercando inutilmente di riconoscere qualcuno di quegli
arbusti misteriosi, mentre Ulisse pareva sapere dove dirigersi; il ragazzo non
aveva proprio notato il rumore della carrucola del pozzo, finché non ci furono
più vicini, distratto dagli abbacinanti colori dei fiori del giardino.
C’era
una fanciulla di spalle, vicino al pozzo; aveva capelli lunghi fin oltre la
schiena, lucidi, morbidi come onde di un mare calmo, intrecciati semplicemente,
indossava un abito con le maniche lunghe, candido. La ragazza si girò veloce,
quando avvertì i loro passi, e Patroclo rimase folgorato dalla sua bellezza.
Il
suo viso era di una nobiltà severa, con gli zigomi e la mascella ben disegnati,
la pelle era bianca come madreperla, le labbra imbronciate erano splendidamente
morbide e di un color rosa pesca, ma la cosa che lo colpì di più furono i suoi
occhi: sotto i riccioli ribellatosi alla treccia spuntavano due specchi di mare
aperto, blu, e verdi, e d’oro, del colore scuro e meraviglioso del mare
all’orizzonte, come se qualcuno ne avesse preso una parte, la più lucente, e
l’avesse travasata in quelle iridi di liquida fiamma.
Il
suo sguardo, però, era diffidente.
“Chi
siete?” La sua voce era profonda, severa come il suo aspetto.
“Non
temere, fanciulla.” Le disse Ulisse, mentre il ragazzo si sentiva incapace di
pronunciare parola. “Siamo dei mercanti ateniesi, vorremmo parlare con il
padrone di casa.” Aggiunse; lei li squadrò ben bene, prima di rispondere.
“Mio
padre Licomede è in casa, ve lo chiamo.” Lei e Ulisse si scrutavano
negl’occhi, ma Patroclo era totalmente rapito dalla sua voce. Erotica, ecco
com’era quella voce; il ragazzo non ricordava un’altra donna che gli avesse
provocato un tale sommovimento emozionale.
La
fanciulla, dopo un ultimo, altezzoso, sguardo ad Ulisse, si voltò salendo gli
scalini che portavano all’interno della casa. In quel momento, Patroclo
desiderò afferrarla, abbracciarla, baciarla, possederla, sposarla… e tutto
nel tempo dei suoi prossimi due passi. Lei scomparve oltre la porta.
“Oh
Dei! Ulisse l’hai vista?!” Esclamò il ragazzo entusiasta.
“Eccome
se l’ho vista…” Rispose l’uomo con un tono indefinibile.
“E’…
è… stupenda…” Mormorò Patroclo; nella sua mente la missione di Ulisse
era già passata in secondo piano.
In
quel momento, però, un rumore di passi numerosi lo distrasse dai suoi nuovi
pensieri; rialzò lo sguardo in tempo per vedere arrivare un uomo dal nobile
portamento, seguito da un’orda di fanciulle di età diverse, ma tutte dalla
bellezza leggiadra, che cominciarono a lanciargli occhiatine maliziose. Tutte,
tranne quella che gli interessava, la quale ricominciò a pulire il cortile,
senza degnarli più di un’occhiata.
La
sera, dopo che Ulisse ebbe ottenuto di essere ospite di Licomede, e dopo che
Patroclo ebbe risposto a più sguardi di fanciulla possibile, i due si
sistemarono; L’uomo ripeté ancora una volta il piano, sembrava che lui
sapesse già tutto, mentre il ragazzo aveva decisamente la testa altrove.
Durante
la cena cercò in ogni modo d’incrociare quegl’occhi di mare, ma fu inutile:
lei era abilissima ad evitare l’attenzione; al contrario, le sue sorelle, si
arrangiarono in tutti i modi per essere carine con lui. Patroclo, però, non si
arrendeva tanto facilmente.
Era
notte, ormai, ed il ragazzo notò un’ombra nell’orto dietro la casa, non fu
difficile riconoscere Altea (questo era il suo nome); la raggiunse
immediatamente.
“Cogli
le spezie?” Le domandò avvicinandosi; lei si voltò facendo balenare il
coltello affilato alla luce della lanterna; Patroclo spalancò gli occhi,
sbalordito dai suoi riflessi.
“Sei
fortunato, mi sono accorta che eri tu, altrimentisaresti già morto.” Rispose calma la leggiadra fanciulla, tornando a
piegarsi sul cespuglio di rosmarino.
“Mamma
mia, come sei cattiva!” Esclamò il ragazzo ridendo e alzando le mani.
“Sì,
scherza pure, ma hai rischiato la vita.” Affermò Alteasenza ironia, rialzando su di lui il profondo sguardo.
E
Patroclo si sentì travolgere dalla marea; fino a quella mattina credeva
impossibile provare tanta attrazione per una persona, ed ora era lì, a fremere,
a bramare un contatto anche minimo con la pelle di lei. La fanciulla lo fissava,
come se il suo sguardo lo potesse tagliare in due, e lui sentiva un calore
crescere nelle sue viscere, e quella sensazione conosciuta al basso ventre…
Eccitarsi per uno sguardo freddo era proprio da scemi, ma avvertiva, percepiva
il fuoco in fondo a quegl’occhi…
“Sei
coraggiosa.” Riuscì soltanto a dire, mentre cercava di controllare le
reazioni del proprio corpo; lei roteò gli occhi, poi sbuffò annoiata.
“Mettiti
una cosa in testa, presunto ateniese.” Gli disse continuando a fissarlo. “Io
non sono come le mie sorelle, perciò ti conviene cambiare aria.” Aggiunse
minacciosa, scotendosi i capelli dalla fronte con alterigia. Patroclo le sorrise
dolcemente.
Ci
mancava soltanto questo finto ateniese impertinente! La sua vita era già
abbastanza complicata così, cercando di mantenere sempre il controllo,
soffocando gli istinti e la sua natura, senza poter soddisfare i desideri,
sfogare le inclinazioni. Ma che cosa voleva? Perché quello sguardo… quello
sguardo pieno di desiderio? Era qui per farle la corte? Non aveva idea di cosa
l’aspettava…
“Presunto
ateniese?” Chiese il ragazzo dopo un po’, cambiando espressione
all’improvviso.
“Sì,
e secondo me non siete neanche mercanti.” Rispose Altea; lo sguardo di
Patroclo si fece leggermente preoccupato.
“E
cosa te lo fa pensare?”
“Basta
guardarti, non indossi abiti sfarzosi, com’è in uso ai mercanti, sei magro e
muscoloso, di solito sono grassi, e poi… né tu né il tuo compare avete un
accento ateniese.” Spiegò serissima; il ragazzo trasse un profondo sospiro:
aveva ragione.
“Sei
attenta ai particolari…” Mormorò.
“Hm…”
Sospirò lei, stringendosi nelle spalle, poi si piegò e raccolse il cesto con
le spezie. Patroclo, riprendendosi improvvisamente dallo stupore, le si avvicinò
subito. Quale occasione migliore?
“Posso
aiutarti?” Si offrì, mettendo le mani sulle sue, intorno al bordo del cesto;
lei gli lanciò un’occhiata di rabbia incendiaria, strappando violentemente il
canestro e le mani dalla presa del giovane.
“Non
credo.” Rispose, cercando di non far capire la sua rabbia; dopo un ultimo
sguardo offeso si allontanò, rientrando in casa.
Patroclo
rimase immobile nell’orto, ancora sbalordito da quella donna, dal suo
carattere, dalla sua decisione, dalle sensazioni inspiegabili che gli faceva
provare, dall’attrazione incontrollabile che provava per lei, e preda dei
battiti accelerati del suo cuore, che gli pulsava in gola. Il ragazzo si guardò
le mani; riusciva ancora a sentire la morbidezza della sua pelle di
madreperla…
“Ehm…”
Sospirò Patroclo appoggiato allo stipite della finestra da cui si vedeva anche
il mare; Ulisse gli lanciò un’occhiata d’ironico sospetto, mentre l’altro
perdeva lo sguardo nell’orizzonte.
“Perché
sospiri?” Gli chiese poi.
“Sono
stato nell’orto, e ho parlato con Altea…” Terminò la risposta con un
altro sospiro.
“Spero
per te che non ti abbia lanciato qualche ortaggio andato a male!” Affermò
ridendo l’uomo.
“Oh,
Ulisse non scherzare!” Ribatté il ragazzo buttandosi sul letto. “Lei è così…
così…”
“Corazzata!”
Patroclo gli rivolse un’occhiata tra il divertito e l’offeso.
“Smettila!
È vero che non ha un carattere proprio malleabile, ma è molto intelligente.”
Rispose l’altro, rialzandosi in piedi e dandogli le spalle. “Ha capito che
non siamo ateniesi…” Non vide il volto di Ulisse, mentre pronunciava quelle
parole.
“Cosa?!”
Esclamò l’uomo, facendolo voltare di scatto. “Come ha fatto?” Domandò
poi; il giovane lo osservava stupito.
“Mi
sono meravigliato anch’io.” Rispose dopo un attimo di smarrimento.
“Sostiene che non abbiamo l’accento ateniese, e poi ha anche capito che non
siamo mercanti, perché non siamo grassi, pensa!” Ulisse non seguiva più le
parole intrise d’entusiasmo di Patroclo, ora era assorto nei suoi pensieri e
si reggeva il mento, misurando la stanza con i passi. “Qualcosa non va?”
Chiese timidamente il ragazzo, vedendolo così assorto; Ulisse rialzò lo
sguardo sull’amico, con aria seria.
“Non
innamorarti di quella ragazza, Patroclo.” Gli consigliò; l’altro gli
rivolse un grosso sorriso, poi si gettò supino sul letto, alzando lo sguardo
sognante sul soffitto.
“Troppo
tardi, sono già innamorato…” Mormorò rapito da un’immagine che vedeva
solo lui.
Non dovevo portarlo con me, spero
che non sia un errore irreparabile. Atena guidami tu, mia dea… si
disse il re di Itaca.
Il
mattino era splendente, ma non c’era nessuno in giro, quando Patroclo uscì
nel cortile; era stupido negare che si era alzato così presto solo nella
speranza di vederla, ma il giardino era vuoto. Il ragazzo uscì allora nel parco
esterno alla casa, dominato da grandi pini; poiché lei non c’era, sarebbe
stato meglio fare un po’ d’esercizio, o magari una nuotata. La sua
attenzione fu però attirata da un piccolo particolare.
Uno
dei pini, molto frondoso, formava con i rami una specie di culla; lì, tra le
fronde verdeggianti, stava accoccolata una figura vestita d’azzurro: era
sicuramente lei; chi altro avrebbe potuto nascondersi in un posto simile?
Patroclo ringraziò i suoi sensi sviluppati da soldato, per essere riuscito a
notare quel lembo di stoffa azzurra tra i rami del grosso pino. Decise
immediatamente di raggiungerla.
Era
decisamente il rumore di qualcuno che saliva, che violava il suo posto
preferito; addio alla riflessione quotidiana, alla pausa della mente, erano
riusciti a disturbare anche lì. Roteò gli occhi, quando vide spuntare la testa
dai bei capelli castani del suo spasimante. Eppure era carino, ma perché non
andava a cercarsi una ragazza come si deve?!
Il
ragazzo si issò su un ramo dirimpetto a quello su cui stava lei, ma decisamente
meno robusto, facendo scuotere tutta la pianta. Altea sospirò esasperata: che
doveva fare con questo tizio? Lui le sorrideva soddisfatto.
“Scendi
di lì, non vedi che quel ramo è troppo fragile per reggere il tuo peso?” Fu
la prima cosa che gli disse.
“Ma
no.” Rispose lui, mentre valutava al tatto la consistenza del suo sedile.
“Regge benissimo.”
“Fai
un po’ come ti pare.” Sbottò la ragazza, voltando il capo dall’altra
parte.
“Ti
disturbo?” Le chiese.
“Sì!”
Rispose subito Altea, tornando a guardarlo.
“Dai,
sono sicuro che non è vero! Te ne stai sempre per conto tuo, avrai voglia di
scambiare quattro parole…”
“Ma
tu non sei esattamente ciò che sceglierei.”
“Certo
che hai la risposta pronta!”
“Più
pronta del tuo cervello, comunque, che non ha ancora capito che non è aria.”
Patroclo adorava come gli rispondeva per le rime, con quella sua voce che
risvegliava istinti e appetiti inconfessabili.
“Eh
sai, non sono molto sveglio in certe cose…” Ribatté malizioso.
“Questo
lo avevo capito.” Uno scricchiolio preoccupante li distrasse dalla loro
discussione, facendogli portare gli occhi sul ramo di Patroclo. “Io te lo
avevo detto…” Non fece in tempo a finire la frase che il ramo si spezzò,
facendo cadere nel vuoto il giovane, sotto lo sguardo divertito della fanciulla.
Quando
Altea scese dal pino trovò Patroclo ancora a terra, dolorante. Cominciò a
ridergli in faccia, incurante dei lamenti di dolore del ragazzo, che tentava
invano di alzarsi.
“Aiutami…”
La supplicò, con quello sguardo da cucciolo indifeso che piaceva tanto alle
donne; per tutta risposta lei gli sorrise malignamente.
“Ma
non ci penso neanche… Ahahahah!” Ricominciò invece a ridere, con le mani
sui fianchi. Gli faceva rabbia, quella sua risata crudele, ma il suo volto…
quando rideva era come se s’illuminasse. Meravigliosa e distaccata come una
dea; il cuore di Patroclo ricominciò a battere più veloce, e non a causa della
caduta.
“Ci
vediamo… ateniese!” Lo salutò ironica, e sempre ridendo prese ad
allontanarsi.
“Sei
crudele!” Le gridò il ragazzo.
“Oh,
sì, lo sono.” Rispose soddisfatta Altea, girandosi solo per guardarlo
negl’occhi mentre glielo diceva.
Patroclo
sbuffò deluso, preparandosi ad alzarsi da solo, e continuando a seguire
l’andatura elegante della fanciulla che rientrava nel cortile interno.
“Oh,
Patroclo ti sei fatto male?!” Un coro di voci preoccupate lo circondò in un
attimo, mentre era ancora concentrato su Altea; si ritrovo accerchiato dalle sue
sorelle, con sguardi e sorrisi apprensivi sui volti.
“No,
grazie, sto bene…” Mormorò il ragazzo, massaggiandosi il sedere. “Ho solo
un po’ male alla schiena, sapete la caduta…”
“Non
preoccuparti di nulla, ora ci pensiamo noi a te…” Lo interruppe una voce,
mentre le ragazze lo aiutavano a sollevarsi.
“Ora
ti facciamo un bel massaggio…” Disse un’altra voce. “…così la smetti
di pensare a quella strega di Altea…” Le figlie di Licomede lo trascinarono
con sé.
La
scoperta che nella casa c’era un bagno termale fu interessante; soprattutto
per come passò il tempo in quella particolare stanza della dimora. L’aria era
impregnata di vapore, i marmi candidi rendevano tutto limpido e le fanciulle,
con i fini abiti aderenti al corpo per l’umidità, erano uno spettacolo
veramente educativo.
Lo
spogliarono completamente e lo fecero stendere su un giaciglio, evidentemente
fatto apposta per i massaggi; poi cominciarono a frizionargli la schiena con oli
profumati
“Hmmm…”
Patroclo socchiuse gli occhi, sospirando al piacere di quei movimenti di mani
sul suo corpo; le dita delle ragazze erano fresche, delicate e… ardite… non
temevano, infatti, di avventurarsi nei punti più nascosti del suo corpo, ed
erano particolarmente “stimolanti” quando raggiungevano l’interno delle
cosce, l’incavo alla fine della schiena, le natiche…
Lo
stavano toccando in una maniera che non lasciava adito a dubbi sulle loro
intenzioni; gli ultimi sparirono quando cominciò a sentire anche delle labbra,
che si aggiungevano alle mani.
“Perché
non ti volti?” Gli suggerì una voce melodiosa e maliziosa. “Il massaggio
non ti farà male nemmeno lì.” Anzi! Pensò
il giovane. È proprio lì che mi farà
bene! E si voltò, riaprendo gli occhi solo per vedersi sovrastato da decine
di fanciulle dagl’occhi vogliosi, con i capelli madidi ed i vestiti resi
trasparenti dall’umidità appiccicati ai seni turgidi. Convinto di essere,
ormai, nei campi elisi, Patroclo rilasciò la testa dai lunghi capelli castani
all’indietro, rilassandosi e riabbassando le palpebre.
Le
mani delle ragazze ricominciarono subito ad esplorare il suo corpo: il collo, il
torace, l’addome muscoloso, le gambe… e il resto…
La
situazione cominciava a farsi notevolmente eccitante: mani, bocche, dita su di
lui, il calore del vapore, il profumo degl’oli e delle fanciulle… Non riuscì
a capire mai se fossero state più di una, a toccare, baciare, addirittura
mordicchiare la sua intimità, ma ricordava bene di aver emesso più di un
gemito di piacere.
Perse
totalmente la cognizione del tempo, visse quei momenti in uno stato di limbo;
quando uscì dalla sauna gli si leggeva la beatitudine sul volto. Pensò che gli
ci sarebbe voluto tutti i giorni un “massaggio” simile.
Ulisse
lo incontrò nel cortile, mentre usciva di casa e gli rivolse un’occhiata
curiosa, sorridendo, divertito dall’espressione del compagno di viaggio.
“Che
ti è successo, sembri molto rilassato.” Gli chiese.
“Le
figlie di Licomede mi hanno fatto un massaggio…” L’altro alzò le
sopracciglia, trattenendo un sorriso.
“Anche
la tua Altea?” Ipotizzò Ulisse.
“No,
lei no.” Rispose serio il ragazzo, ma tornò subito all’espressione beata.
“Tanto
mi sa che sono bastate le altre…” Patroclo annuì profondamente sorridendo.
“A
proposito, sai lei dov’è?” Domandò poi all’amico.
“Mi
hanno detto che nel pomeriggio va ad assistere una vecchia zia…” Dichiarò
dubbioso Ulisse.
“Oh!
E’ anche generosa!” Esclamò il fortunato giovane, tornando a pensare al suo
prezioso bene. “E’ stupenda!”
“Ascoltami,
cerca di tornare con i piedi per terra, io mi devo assentare per qualche ora,
non voglio che combini qualcosa.” Lo mise in guardia l’uomo.
“Sta
tranquillo, per oggi ho già fatto troppo.”
“Sembra
anche a me, perciò occhi aperti.” Patroclo annuì con aria responsabile, ma
una vocina raccomandava ad Ulisse di essere prudente.
Il
tramonto infiammava già il cielo d’occidente, facendo baluginare il mare
all’orizzonte; il colore del cielo e della terra si confondevano, mentre si
rilassava tra le onde.
Nuotare
era una cosa meravigliosa, quella che amava di più; immergersi nell’acqua
trasparente e calda della sera riconciliava la mente col corpo. Nuotare,
sforzare i muscoli nell’acqua fino a sentirsi scomparire tra la schiuma, fino
a perdere il contatto con la realtà, riportava alla pace come nient’altro. La
vita era una frustrazione continua, mai si poteva realizzare i desideri, essere
se stessi, essere accettati per ciò che si è, non assecondare la necessità di
altri di trasformati in ciò che non sei. Il mare era un’altra cosa, nel mare
tutto è più puro, semplice, solo il tuo corpo nudo e l’acqua, e la
sensazione di pace.
Quella
nuotata solitaria era il momento più bello delle sue giornate, con la libertà
di pensare a nulla; anche se quel giorno non riusciva a vuotare del tutto la
mente. Il pensiero tornava su quel ragazzo impertinente, che l’osservava con
una sfrontatezza infantile ed un sorriso disarmante, nonostante le sue risposte
sprezzanti; era testardo, molto testardo, ma era innegabile che fosse anche
simpatico. Che stupido! Si ritrovò a ridere, ed a bere, quando un’onda gli
colpì la faccia.
I
suoi vestiti erano ormai asciutti quando raggiunse il sentiero che portava alla
casa di Licomede; portava con sé un cesto, che alla partenza era pieno di
dolci, lasciati all’ospite. Non lo vide subito, era appoggiato ad un pino
lungo il vialetto; se lo trovò davanti all’improvviso.
“Ciao!”
La salutò allegro; Altea prese un lungo respiro.
“Non
mi avrai aspettato?” Chiese la fanciulla, con tono adirato.
“Non
ti arrabbiare subito…” La blandì Patroclo.
“Non
sono arrabbiata, solo non riesco a comprendere come tu non capisca che con me
non hai speranze.” Rispose lei.
“E
perché non dovrei averne?” Lui continuava a sorriderle; aveva un bel volto,
dalle linee morbide, pelle olivastra, lunghi e corposi capelli castani, e due
grandi e vellutati occhi scuri.
“Sei
caparbio, eh?” Sbottò Altea, superandolo. “Lasciami stare, io non faccio
per te, credimi.” Aggiunse senza guardarlo, mentre procedeva verso la casa.
“Secondo
me, invece, un po’ ti piaccio…” Ipotizzò Patroclo, serio.
“Illuditi
pure, se ti fa piacere.” Dichiarò lei, senza fermarsi, con tono spietato.
Riusciva a fargli perdere il controllo, ma stavolta non lo avrebbe mollato lì,
come le altre volte. La raggiunse in pochi passi.
Successe
tutto in pochi istanti: una stretta forte che la fece girare, il cesto per
terra, una mano sul suo collo, due labbra sulle sue… un bacio estremamente
sensuale… una lingua che si fece spazio nella sua bocca, piccoli morsi e
saliva sulle labbra. Gli occhi rimasero spalancati dallo stupore, era il suo
primo bacio…
La
fanciulla spinse via Patroclo con forza, mandandolo a sbattere contro un albero,
poi gli rivolse uno sguardo offeso, stupito e… impaurito. Il ragazzo stava per
scusarsi, ma lei fuggì veloce verso casa, e lui si rese conto di essersi dato
la zappa sui piedi.
“Temo
di aver fatto una cosa molto stupida.” Affermò Patroclo; Ulisse si girò
subito verso il ragazzo, maledicendo la sua voce interiore.
“Non
può essere più stupida di quella di stamattina…” Si augurò l’uomo,
rivolto più a se stesso che all’amico.
“Lo
è, credimi.” Rispose mesto il giovane.
“Sentiamo
che cosa hai combinato.” Affermò rassegnato Ulisse, mentre Patroclo gli
sedeva di fronte.
“Ho
baciato Altea.” Dichiarò senza preamboli il ragazzo; l’espressione
dell’altro rimase fissa, imperscrutabile, per un lungo momento.
“Hai
fatto una cosa davvero molto, molto, stupida.” Gli confermò poi sicuro.
“Grazie,
questo lo sapevo…” Mormorò Patroclo reggendosi la fronte.
“Ma
non per il motivo che credi tu.” Continuò Ulisse; il ragazzo gli rivolse
un’occhiata interrogativa. “Sarà meglio che non ci giri tanto intorno,
tanto se devi sconvolgerti.”
“Aspetta
un momento, che cosa stai cercando di dirmi?” Domandò preoccupato Patroclo.
“Sto
cercando di dirti che se tu avessi ragionato di più con la mente, e meno con il
basso ventre, ti saresti reso conto da solo che quella ragazza non era da
corteggiare.” Gli rispose ironico Ulisse.
“Ulisse…”
Sussurrò sempre più preoccupato il giovane.
“Patroclo,
quella ragazza non è una ragazza, bensì il guerriero che stavamo cercando,
Altea è il Pelide Achille!” Gli urlò in faccia. “E sarebbe bastata un
po’ di logica per capirlo, visto come vive, sempre isolata, senza condividere
le scorribande erotiche delle sorelle.” Patroclo si guardava intorno, con aria
smarrita.
“Tu
come… lo hai…”
“L’ho
osservata, ascoltata, ho guardato bene il suo corpo… Non l’hai abbracciata,
vero?” Il ragazzo negò col capo. “Sennò ti saresti accorto che non ha il
seno, né la vita sottile.” Patroclo si passava nervosamente una mano sulla
nuca. “Poi mi sono informato. Sai chi vive dall’altra parte dell’isola,
dove lei va il pomeriggio?” Il ragazzo negò di nuovo. “Non la sua vecchia
zia, ma bensì suo padre Peleo, colui che lo ha addestrato alle armi, come
previsto da Atena.” Le parole di Ulisse lo stavano turbando, ma riusciva
ancora a sentire il sapore delle sue labbra, morbide labbra.
“Io…
io…” I suoi occhi, i suoi capelli, la sua pelle, il suo bacio… Gli girava
un po’ la testa.
“E’
ora che io riprenda in mano le cose.” Affermò Ulisse, poi si avvicinò e
prese il ragazzo per le spalle, scuotendolo. “Tu, domani lo seguirai, senza
farti vedere, e mi riferirai tutto. Capito? CAPITO?!” Patroclo annuì, ancora
un po’ stranito. “Bene, ora fattici una dormita sopra.” Gli ordinò,
indicandogli il letto.
Dormire
quella notte fu impossibile, e anche passare quella mattinata; non vide Altea…
non vide Achille per tutta la mattina, e nemmeno a pranzo, come svanito nel
nulla. La fortuna lo assisté nel primo pomeriggio; lo vide uscire di soppiatto
dal portoncino laterale, e lo seguì con prudenza.
Era
strano come, ora che sapeva la verità, riuscisse a notare particolari che la
sua infatuazione gli aveva impedito di scoprire prima: le spalle larghe, la
mascella volitiva, le mani decisamente troppo grandi per una donna, ma non
c’era nulla da fare, la sua bellezza restava immutata, e anzi, acquistava un
fascino particolare.
Achille
raggiunse una casa isolata, situata su uno strapiombo sul mare, protetta da
fitti arbusti; Patroclo rimase nascosto tra i cespugli mentre l’altro salutava
un uomo robusto e affascinante, probabilmente suo padre, avevano lo stesso
profilo.
Il
giovane si spogliò dei suoi abiti femminili, togliendo a Patroclo l’ultimo
dubbio sul suo sesso, lasciandosi solo un peplo a coprire i genitali. Era
decisamente un uomo, oltretutto dotato di una muscolatura di tutto rispetto.
Ecco spiegata la facilità con cui lo aveva sbattuto contro l’albero.
Il
resto del pomeriggio passò tra allenamenti con la spada, con la lancia,
esercizi per potenziare le gambe, corsa; il Pelide s’impegnava con costanza,
ed era bravo, specialmente con la spada.
Patroclo,
osservando i suoi muscoli imperlati di sudore, si rese conto che il fatto di
sapere che era un maschio non attenuava minimamente l’attrazione provata nei
suoi confronti; così, nella sua vera veste, impegnato in attività consone a
se, era ancora più bello, si leggeva l’entusiasmo nei suoi meravigliosi occhi
di mare, sorrideva soddisfatto. Sorrise, vedendolo così, anche colui che lo
spiava.
C’era
mai stato qualcosa, o qualcuno, che gli avesse fatto battere il cuore più
forte? Si trovò ad incitarlo silenziosamente, mentre il padre ordinava ai suoi
uomini di attaccarlo tutti insieme; avrebbe voluto gridare e saltare di gioia,
quando Achille se ne liberò in pochi istanti.
Ora
capiva cos’era quel fuoco nel suo sguardo, era la virtù guerriera, la voglia
di combattere, la passione di chi era stato costretto a rinunciare alla sua
natura, alle sue attitudini.
Non
gli interessava, non gli importava un accidente, se era un uomo; aveva gli
stessi occhi, lo stesso volto, la stessa voce, di cui si era infatuato, era la
stessa persona, che differenza faceva qual’era il suo sesso?
L’addestramento
finì, Achille salutò suo padre e gli altri uomini che lo avevano aiutato, poi
raccolse le sue cose e lasciò la casa; naturalmente Patroclo lo seguì.
Seguì
un’altra strada per il ritorno, e si fermò ad una spiaggetta isolata,
circondata da aguzzi scogli scuri; lì si spogliò completamente e si gettò in
acqua, cominciando a nuotare con foga.
Ha ancora parecchia energia, per
aver affrontato quel duro allenamento. Pensò
l’altro giovane, che l’osservava da dietro gli scogli. Patroclo era
titubante, aveva promesso ad Ulisse di non farsi vedere, ma qualcosa gli diceva
che doveva essere sincero con Achille, o avrebbe compromesso l’amicizia che
poteva nascere. E quell’amicizia contava molto per lui. Scese lentamente dagli
scogli e camminò sulla spiaggia, fino agli abiti di Achille, fermandosi accanto
ad essi.
Il
ragazzo in acqua si accorse di lui solo quando decise di uscirne, mentre il
tramonto già infuocava la spiaggia; venne fuori dalle onde con estrema
naturalezza. Patroclo non aveva mai visto niente di più bello: i lunghi capelli
bagnati aderivano come alghe alla sua pelle candida, il fisico magro ed i
muscoli perfetti erano imperlati di piccole gocce d’acqua, che il sole faceva
brillare come gioielli. Le divinità marine dovevano essere così. Achille lo
guardò con espressione seria.
“Beh?”
Gli disse; Patroclo era immobile davanti a lui, davanti al suo corpo nudo.
“Cosa?”
Riuscì solo a rispondere, distogliendo gli occhi di scatto da quello splendido
spettacolo.
“Ora
sarai pentito di avermi baciato.” Dichiarò risoluto Achille, con la sua bella
voce bassa.
“No.”
Rispose l’altro, ed era la verità.
“Sapevi
che ero un uomo?” Gli chiese, mentre si toglieva i capelli bagnati dal petto.
“No,
te lo giuro, l’ho saputo solo ieri notte.”
“E
non sei pentito…” Achille evitava di guardarlo negl’occhi, stava cercando
di valutare la sua sincerità dal tono di voce.
“Mentirei
se lo dicessi, ma mi dispiace, sono dispiaciuto di quello che ho fatto, ma non
sono pentito.” Rispose ancora una volta Patroclo; l’altro lo guardò
negl’occhi e lo giudicò sincero.
“Perché
siete qui?” Altra domanda.
“Non
posso dirtelo…” Lo sguardo del Pelide divenne freddo, poi cominciò ad
avanzare verso il ragazzo.
“Che
cosa fai? Aspetta un attimo…” Lo aveva praticamente addosso, e quegl’occhi
cominciavano a fargli paura; si ritrovò con le spalle contro gli scogli.
Achille lo afferrò per la veste, sollevandolo con entrambe le mani, lo spinse
contro le rocce. “Lasciami…” Implorò il ragazzo.
“Dimmi
perché siete qui.” Insisté l’altro, con aria truce; faceva veramente
paura, Patroclo cominciava a pensare di avere davanti davvero un guerriero.
“Cercavamo
te, Ulisse dice che lo ha mandato Atena…” Affermò il giovane in un
sussurro.
“Atena?”
Patroclo annuì, reggendosi ai polsi di Achille; il Pelide lo lasciò andare e
lui cadde sulla sabbia, tossendo violentemente. “Ho capito, lui sa della
predizione delle Moire.” Dichiarò Achille, dandogli le spalle.
“La…
predizione delle… Moire?” Balbettò allibito Patroclo.
“Sì.”
Rispose Achille, iniziando a raccontare. “Le Moire predissero a mia madre che
sarei divenuto un guerriero più forte di mio padre, ma che se avessi scelto la
vita dell’eroe sarei morto presto. Le davano un’alternativa, però…”
Continuò. “Sarei vissuto a lungo, e in pace, se avessi scelto di condurre una
vita anonima, lontana dai clamori della gloria…” Patroclo cominciava a
capire perché la madre aveva costretto Achille a nascondersi tra le figlie di
Licomede.
“Per
questo ti nascondi?” Domandò il ragazzo; l’altro si voltò con espressione
rabbiosa.
“Io
non mi nascondo, lo faccio solo per mia madre, essa teme per la mia vita!” Gli
rispose gridando.
“Ma
ti infiammi subito, accidenti a te.” Ribatté Patroclo massaggiandosi il
collo. “Non volevo insultarti, è solo che ti ho visto combattere oggi, e non
mi sembra che il tuo stile di vita ti piaccia troppo… o non saresti sempre di
cattivo umore…” Achille lo fulminò con gli occhi, ma lui non si spaventò,
anzi gli sorrise.
“Cosa
ne vuoi sapere tu…” Provò a protestare, indebolito dal sorriso disarmante
di Patroclo. “A mia madre si spezzerebbe il cuore, se decidessi di
seguirvi.” Aggiunse, abbassando lo sguardo.
“E’
una dea, non morirebbe certo per quello…” Achille rialzò gli occhi e
stavolta Patroclo si spaventò davvero.
Il
pugno che gli arrivò sulla faccia fu violento e lo fece cadere a terra;
Patroclo si pulì il sangue che gli era uscito dal labbro col dorso della mano,
poi reagì. Si alzò e si gettò addosso ad Achille, sbattendolo a terra e
colpendolo con un paio di pugni sul volto; l’altro lo fermò, afferrandogli le
braccia lo spinse, scansandolo da se, poi gli mollò una ginocchiata nello
stomaco. Patroclo ruzzolò sulla sabbia, ma non ebbe il tempo di riprendersi,
perché Achille gli era già sopra e gli mollava altri pugni al viso; il ragazzo
dovette fare un grosso sforzo per toglierselo di dosso. Cominciarono a rotolare
sulla sabbia, continuando a picchiarsi; arrivarono fino al bagnasciuga,
l’acqua salata faceva bruciare le ferite. Non dissero una parola, si
picchiarono fino al crepuscolo, sulla riva del mare.
Arrivarono
a casa a notte fonda, doloranti e stanchissimi, sostenendosi a vicenda;
fortunatamente non li vide nessuno, dormivano già tutti. Entrambi si sentivano
stranamente leggeri, come se si fossero tolti un peso dalla coscienza; si
salutarono e, appena toccato il letto, si addormentarono pesantemente.
“Patroclo!”
Una voce si ostinava a chiamarlo ed una mano a scuoterlo, provocandogli dei
dolori lancinanti; c’era luce nella stanza, ma lui si ostinava a non voler
sollevare le palpebre.
“Mh…”
Mugolò il ragazzo, stentando ad aprire gli occhi. “Cosa c’è…”
“Svegliati.”
Era decisamente la voce di Ulisse; Patroclo si voltò, sollevandosi leggermente
su un gomito. “Santi Numi! Ma che t’è successo?!” Domandò allibito
l’uomo, trovandosi davanti la faccia pesta del giovane.
“Non
è niente, ma non toccarmi che mi duole tutto.” Rispose biascicando il
giovane.
“Ascolta,
cosa hai scoperto ieri?” Gli chiese allora, in fondo era quello che gli
premeva.
“Avevi
ragione tu, va da suo padre ad allenarsi, ci passa tutto il pomeriggio, poi si
fa una nuotata in mare e torna a casa.” Gli raccontò Patroclo.
“Ti
ha picchiato lui?” Domandò insospettito Ulisse; il ragazzo lo scrutò
pensoso.
“No,
lungo la strada mi hanno aggredito, mi sono saltati addosso in tre, mi hanno
pestato, poi siccome non avevo denaro se ne sono andati.” Gli parve di essere
stato convincente, ma con Ulisse non si poteva essere mai sicuri; dal suo viso
non si poteva dedurre cosa pensasse.
“Hum…”
Rispose soltanto l’amico. “Presto lo faremo scoprire, non abbiamo più molto
tempo.” Dichiarò poi risoluto.
“Ulisse,
non possiamo andare contro la sua volontà…” Mormorò incerto Patroclo.
“Non
ho detto questo, e tu cerca di farti passare l’infatuazione, è
controproducente.” Ribatté prontamente l’altro, alzandosi ed uscendo dalla
stanza.
Patroclo
scese dalla sua stanza sul tardi, quella mattina; era ancora molto indolenzito.
Mangiò un po’ di pane e latte in cucina, evitando le dolci padroncine di
casa, non si sentiva in animo quel giorno; poi uscì in giardino. Achille stava
annaffiando le piante, come tutte le mattine; il giovane si avvicinò, l’altro
si voltò quando lo sentì. Patroclo spalancò gli occhi sbalordito vedendolo:
solo pochi sbiaditi segni sul suo viso, niente ferite ancora brucianti o grossi
lividi sulla sua pelle bianca.
“Cosa…
Dove sono finiti i pugni che ti ho dato?!” Gli chiese poi allibito.
“Non
conosci il mito?” Gli rispose noncurante lui, tornando ad occuparsi dei fiori.
“Io sono invulnerabile, le ferite sul mio corpo non durano che poche ore,
specie se le bagno con l’acqua di mare.” Aggiunse.
“Bella
storia, io battuto come un tamburo e tu fresco come una rosa!” Sbottò il
giovane. “Senza contare che ne hai prese almeno quanto me.” Precisò;
Achille si voltò con un sorrisetto sarcastico.
“Scusa,
ma non mi pare proprio…” Insinuò.
“E
invece sì!” Esclamò l’altro offeso.
“Io
te ne ho date almeno il doppio!” Sbottò allora la falsa fanciulla.
“Sì,
come no…” Replicò ironico Patroclo. “Ma se ti ho fatto nero!”
“Non
mi sembra…” Affermò Achille, carezzandosi il bel volto, su cui era visibile
appena un’ombra vicino all’occhio sinistro.
“Grazie!
Semidio dei miei calzari!” Gridò arrabbiato Patroclo.
“Non
offendere!” Ma, a stento tratteneva le risate, davanti alla faccia impermalita
del ragazzo; il sorriso gli stava già increspando le labbra. Quando l’altro
se ne accorse smise di lamentarsi e lo fissò negl’occhi, poi entrambi
scoppiarono a ridere.
Ulisse
si fermò sul porticato, aguzzando la vista, la scena era alquanto preoccupante:
sotto un oleandro dai fiori cremisi, Patroclo ed Achille ridevano come bambini,
tenendosi per le spalle… Allora, il suo compagno di viaggio non gliela aveva
raccontata giusta…
Il
pentimento era uno stato d’animo interessante, decisamente; in special modo
quando ti trovi davanti allo sguardo truce che non avresti mai immaginato su un
volto tanto angelico. Lui era pentito di aver accettato di seguirlo al suo
addestramento quotidiano, pur immaginando che gli avrebbe chiesto di affrontarsi
con la spada o altro; ogni colpo che parava con lo scudo era come una martellata
sulle costole, ancora contuse dalla scazzottata del giorno prima. Il dolore lo
stava facendo piangere, fortunatamente il copioso sudore copriva le lacrime.
Achille
era una furia, potente, preciso, furbo, impossibile riuscire ad evitare tutti i
suoi colpi; lo costringeva ad espedienti da codardi o a mosse non troppo
ortodosse, ma era comunque difficile. Faceva sul serio, e lui che aveva pensato
sarebbe stato solo uno scontro amichevole…
Il
clangore delle spade che si scontravano con gli scudi stava aumentando, Achille,
da qualche momento, aveva intensificato la sua azione, e Patroclo si rendeva
conto di non poter resistere a lungo. Gli occhi dell’avversario erano
straniati, pareva che non lo vedessero nemmeno, annebbiati dalla foga della
lotta; il ragazzo cominciava ad avere paura. Peleo li osservava da un angolo,
con aria severa e assorta.
Ora
combattevano tra gli alberi, Patroclo sperava che attirandolo lì avrebbe avuto
un vantaggio, proteggendosi tra i rami bassi, ma non era stato sufficiente a
frenare l’impeto dell’avversario. Achille lo spingeva con i suoi colpi,
facendolo indietreggiare sempre più, finché Patroclo non cadde all’indietro,
inciampando in una radice. L’altro ragazzo, però, non si fermò, continuando
a colpire con veemenza il suo scudo.
Paura,
terrore allo stato puro; che cosa poteva diventare Achille con una spada in
mano? Come poteva dimenticare quello che erano diventati? Erano amici… Ma non
era in se, e poteva ucciderlo ora.
“Basta!
Fermati!” Tentò il ragazzo, ma niente. “Fermati! Basta, BASTA!!”
Finalmente il suo grido sortì un qualche effetto: Achille si bloccò con la
spada sollevata in aria.
Patroclo
rimase fermo a terra, con lo scudo sul petto, respirando affannosamente;
altrettanto faceva Achille, in piedi sopra di lui. Gli occhi del Pelide
ritornarono normali, sembrava stesse recuperando il controllo; dopo qualche
istante, infatti, gli rivolse uno sguardo sorpreso e imbarazzato, poi si
allontanò di qualche metro, dandogli le spalle. Il ragazzo a terra lo seguì
con gli occhi, poi rivolse un’occhiata offesa a Peleo, che lo aveva convinto
ad affrontare il figlio, in seguito si alzò, sfilandosi lo scudo dal braccio e
scaraventandolo a terra e, reggendosi l’addome, s’incamminò nel bosco.
Non
sapeva quanto tempo potesse essere passato, sapeva solo di aver vomitato vicino
ad un leccio; aveva dolori ovunque, era stata l'esperienza più traumatica della
sua vita.
Adesso
era in piedi, con la spalla appoggiata ad un vecchio pino dal tronco contorto, e
pensava che probabilmente la storia di Achille era troppo più grande di lui,
perché riuscisse a capirla in pieno; certo capire come si poteva sentire un
semidio invulnerabile, destinato a diventare un eroe, ma costretto a vivere
travestito da donna, non era un'impresa semplice…
Sentì
qualcosa di morbido sfiorargli la schiena nuda, si voltò e vide Achille con uno
sguardo dispiaciuto; Patroclo sospirò, poi serrò la mascella. Non sapeva se
provava rabbia o delusione, sicuramente un brivido gli percorse la pelle, quando
la mano dell'altro si spostò sulle sue spalle.
"Stai
bene?" Gli domandò Achille.
"No."
Rispose secco lui, senza guardarlo.
"Mi
dispiace… io…" Tentò di giustificarsi il Pelide.
"Lascia
stare, non dire nulla." Lo interruppe bruscamente Patroclo. "Credo che
non riuscirei a capire, quindi è meglio che… Comunque..." Si girò verso
di lui e lo guardò negli occhi. "Promettimi una cosa." Achille annuì.
"Se mai dovessimo scontrarci ancora, ti prego, cerca di non perdere il
controllo, va bene?"
"D'accordo."
Rispose il ragazzo dagli occhi blu oceano, chinando il capo. "Scusami di
nuovo."
"Ti
scuso." Patroclo tornò a scrutare l'orizzonte.
"Vieni
con me, ho qualcosa che ti può far diminuire il dolore." Il ragazzo gli
lanciò un'occhiata poco convinta. "Eddai, non fare il sospettoso!" Lo
rimproverò Achille sorridendo.
"Mi
posso fidare?"
"Ma
sì!" Dichiarò l'altro dandogli una pacca sulla spalla.
"Ahhhhhhh!
Ma sei impazzito!" Gridò Patroclo, piegandosi in due dal dolore, mentre si
teneva la spalla.
"Ora
non esagerare..."
"Non
sto esagerando, parli bene tu..."
"Dai,
andiamo." Achille gli porse la mano, per aiutarlo; una volta che Patroclo
si fu alzato, l'altro gli fece passare un braccio intorno alle sue spalle e lo
sostenne per la vita, aiutandolo a camminare.
Mai
avrebbe pensato di guardare un uomo come guardava lui adesso; la causa non era
certo il vapore che emanava dalla vasca di acqua calda in cui stava languendo.
Achille era seduto sul largo bordo di marmo bianco, fissando chissà cosa, con i
gomiti posati sulle ginocchia piegate; il suo corpo perfetto era, in quel
momento, l'unico paesaggio interessante. Magnifico corpo, e pensare che mai
avrebbe immaginato di usare tale aggettivo per un corpo che non fosse di
donna... effettivamente, ancora, lui pensava che le donne fossero magnifiche, ma
non come lui...
"Perché
mi hai fatto fare il bagno?" Gli domandò; quel silenzio gli faceva venire
troppi pensieri contrastanti.
"Così
la tua pelle si ammorbidisce, e l'unguento si assorbirà più velocemente."
Rispose Achille, voltandosi verso di lui.
"Ah..."
"Adesso
esci e siediti sul bordo." Gli ordinò poi, mentre lui prendeva qualcosa da
una credenza; Patroclo ubbidì. "Ecco qua." Achille gli mostrò un
piccolo vaso decorato.
"Puzza?"
Chiese il ragazzo storcendo il naso.
"No,
anzi." Rispose l'altro.
"Allora...
dove devo darmela?" Domandò poi, rassegnandosi.
"E'
meglio se faccio io." Dichiarò Achille, mentre apriva il vasetto; Patroclo
cominciò immediatamente a preoccuparsi.
Guardò
le bianche, lunghe dita di Achille, prelevare un po' di unguento dal vaso, poi
le seguì nel loro spostamento, finché non toccarono, calde, la sua pelle e
cominciarono un delicato movimento rotatorio sulla sua spalla dolorante. I
battiti del suo cuore subirono una leggera accelerazione, mentre le mani di
Achille percorrevano la sua schiena e le braccia, gli era talmente vicino da
sentirne il respiro. Che mi succede?
Credevo fosse passato...
"Potresti
spostare il braccio? Così non posso raggiungere l'addome."
"S...
sì... ecco, forse se mi sposto in questo modo..." Balbettò Patroclo in
preda ai brividi; poi passò il braccio destro oltre la testa di Achille, il
quale alzò il capo. Si ritrovarono con i volti a pochi centimetri l'uno
dall'altro, in una posizione decisamente compromettente...
Si
fissarono negli occhi per qualche secondo, poi Patroclo prese un respiro e
Achille chinò nuovamente gli occhi, come per riprendere il suo lavoro.
"E'
meglio se continui da solo." Disse però, all'improvviso, alzandosi.
"Tanto hai capito come si fa." Aggiunse allontanandosi e lasciando il
vasetto dell'unguento vicino al ragazzo.
Patroclo
sospirò intensamente, poi abbassò gli occhi, e si accorse del motivo per cui
Achille se ne era andato tanto di fretta... Se avesse potuto, in quel momento,
sarebbe morto dall'imbarazzo...
"Qualcosa
non va?" Domandò Peleo al figlio, che aveva raggiunto sulla scogliera.
"No."
Rispose ermetico Achille, guardando il mare.
"Non
mentirmi, vieni sempre qui quando sei turbato, quel ragazzo ti ha detto
qualcosa..."
"Non
è successo nulla, padre." Lo interruppe lui senza guardarlo; l'uomo gli
posò una mano sulle spalle.
"Non
temere." Gli disse poi. "E' normale avere dei dubbi, quando si è
giovani, col tempo passerà. Presto riuscirai a vederlo solo come un
amico." Achille alzò sul padre uno sguardo sorpreso: lui aveva capito
veramente il suo turbamento. L'uomo annuì sorridendo, poi si allontanò,
lasciandolo solo.
Ciò
che lo preoccupava non era tanto il sapere che Patroclo provava dell'attrazione
per lui, del resto non glielo aveva certo tenuto nascosto, ma il fatto che lui
stesso fosse attratto dal giovane; fatto accertato dal piacere provato nello
spalmargli sulla pelle l'unguento curativo, ma soprattutto dal suo repentino
allontanamento, quando si era accorto che, con i suoi movimenti sensuali, non
aveva risvegliato solo l'eccitazione dell'amico, ma anche la sua...
Aveva
avuto paura, per la prima volta nella sua vita. Paura di un desiderio
sconosciuto, terrore del baratro rappresentato da quelle labbra leggermente
aperte... Lui non aveva mai desiderato una donna, ma nemmeno un uomo, se era per
quello... semplicemente certe cose non lo interessavano, le riteneva un fardello
inutile, assegnato dagli dei all'umanità solo per renderla più simile a loro,
adatte soltanto a distrarre da problemi molto più importanti. Ma ora... era
apparso lui...
Forse
era vero, quel mito in cui si dice che un tempo gli uomini erano creature
formate da due esseri, che furono divisi, e da allora si cercano, ma spesso non
si trovano; chissà, forse lui e Patroclo...
Scosse
la testa, poi diede un ultimo sguardo al mare, accorgendosi che era ora di
tornare a casa; diede le spalle all'orizzonte e s'incamminò verso la
costruzione.
CONTINUA
Ho
diviso la storia in due capitoli per comodità, ma pubblicherò il resto a
giorni. Fatemi sapere cosa ne pensate!
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