La fine dei dolci e semplici giorni scontati, in cui bastava solo una
pistola a salvarti la vita.
La testa dell’uomo saltò via, rotolando
a terra portandosi dietro una lunga scia di sangue, la quale
andò a tingere di un tetro scarlatto il pavimento lurido
della stanza, sul suo volto l’espressione terrorizzata,
confusa e quasi supplicavele, di un attimo prima del giungere della
morte, dell’arrivo della scure sulla fragile pelle.
L’inglese
arretrò spaventato da quella scena, sino a trovarsi con le
spalle al muro, troppo incredulo e sconvolto per riuscire ad emettere
un solo suono che non fosse un grido strozzato. Non si rendeva conto,
non comprendeva, cosa aveva appena visto accadere al suo compagno,
tutto era successo troppo in fretta per essere vero.
Meno
di un istante, il riflesso di un ombra sfuggevole sulla parete, e il
corpo dell’altro era già a terra privo di vita,
mancante non solo della testa ma anche degli altri due arti superiori,
immerso in una larga pozza cremisi.
Se
non avesse avuto indossò la divisa del suo superiore, non
sarebbe mai stato in grado di riconoscerlo, si disse Arthur guardandolo
con orrore, avvertendo un familiare dolore cominciare ad invadergli il
petto. L’ombra attraverso nuovamente il muro della parete
opposta alla sua.
Dalla
finestra semidistrutta sulla destra la tenue luce dell’alba
cominciava a farsi largo sul grigio asfalto del lurido vicolo su cui si
affacciava, arrivando persino ad illuminare il terzo piano di quel
palazzo fatiscente.
-Fuck! Adesso ti fai
ammazzare stupido francese!?- esclamò con un panico
crescente l’inglese, maledicendosi per aver voluto rispondere
a quella chiamata, infondo il loro turno avrebbe dovuto essere
già finito da un pezzo. Perché aveva insistito
tanto? Perché!?. Se gli avesse dato ascolto. “No! Idiot, i sensi di
colpa te li farai venire più tardi! Ora devi solo pensare a
come tirarti fuori da questa situazione senza farti uccidere”
urlarono i suoi pensieri, riuscendo finalmente a riscuoterlo dallo
shock nel quale era caduto, ricordandogli di avere ancora la propria
pistola riposta nel fodero. Forse ce la poteva fare, doveva solo essere
fortunato.
Nella
penombra, qualcosa cominciò a muoversi, e dei brividi
cominciarono a pizzicare Arthur dietro la nuca,
“A-spetta...” si disse avvertano dei passi lenti e
pesanti far scricchiolare il pavimento mezzo marcio pieno di tarli e
polvere, a poco meno di due metri da se, “aspetta, non
ancora...” i passi tacquero e un luccichio spezzo la
semioscurità sempre meno opprimente con il veloce giungere
del giorno, “... ci siamo quasi”.
Arthur
iniziò a digrignare inconsapevolmente i denti, mantenendo la
sua posizione, ancorato al muro con le braccia rigide lungo i fianchi,
in allerta ad ogni minimo movimento.
Per
lui non era facile.
Era
sempre stato troppo precisino per fare una qualsiasi cosa che non fosse
programmata sino nei minimi dettagli, e adesso stava affidando la sua
vita ad una scommessa.
Un
ultimo scricchiolio di un’asse e l’aggressore
piombò minaccioso su di lui, impugnando la temibile scure,
puntandola alla giugulare dell’inglese.
“Ora!”
la mano giunse veloce al fodero dell’arma.
Il
rumore di diversi spari attraversarono quel apparentemente tranquilla
mattinata di inizio autunno, tingendo di altro sangue i muri del
monolocale disabitato. Sul pavimento rimanevano due cadaveri.
- E m-eno male che ci avevano
chia-mato solo per dei ru-mori molesti..-
ironizzò Arthur con il fiatone e la fronte imperlata di
sudore, anche lui accasciato a terra, una spalla sanguinante. Quel
bastardo era riuscito a ferirlo nonostante gli avesse impiantato ben
tre pallottole in corpo prima che lo raggiungesse.
Chissà
di cosa si era fatto per essere riuscito a rimanere in piedi con quel
genere di ferite?
L’inglese
si era ritrovato costretto a dover mirare alla testa per non fare la
stessa fine del suo compagno.
Ora
il corpo dell’uomo con la scure gli stava disteso davanti,
sembrava essere un barbone ipotizzò dagli indumenti
indossati e dal puzzo che lo ricopriva, ma perché un
semplice disadattato si sarebbe ritrovato ad attaccare due poliziotti
senza alcun motivo?
Che
qualcuno lo avesse incaricato di proteggere quella stanza in cambio di
cibo? “Improbabile, non c’è nulla
qui...” si rispose, e già mille e altre domande
iniziarono ad occupargli la mente, ma il dolore alla spalla gli
impediva di essere abbastanza lucido da ragionare adeguatamente, e la
stanchezza accumulata in quella notte passate a fare la ronda per il
quartiere iniziò a farsi sentire. Le palpebre di Arthur
divennero pesanti sugli occhi, simili a macigni.
Il
panico, ormai scomparso, lo lasciò svuotato e triste,
infinitamente triste, con un pesante senso di colpa a stringergli il
cuore. Se fosse stato meno testardo probabilmente quello stupido
francese non sarebbe morto, anzi, in quel momento lo starebbe
perseguitando nel tentativo di costringerlo di prendere un birra con
lui per festeggiare la fine del turno.
Una
lacrima gli solcò il viso quando i suoi occhi si chiusero
vinti dal sonno e, in lontananza, arrivò
l’assordante rumore di almeno tre sirene delle polizia.
[Una
settimana dopo...]
Il
suo risveglio non fu certo dei migliori, visto che si
ritrovò disteso in un letto d’ospedale con una
flebo conficcato nel braccio, monitorato da strani macchinari e
fasciato dalla spalla ferita a buona parte del torace, avevano
abbondato con le bende.
No,
di certo questo non si definiva una bella sorpresa, soprattutto per
lui.
Prima
ancora di aver riaperto del tutto lo sguardo, Arthur avvertì
subito un forte fischio riempirgli le orecchie, accompagnato da un
atroce mal di testa, e imprecò a se stesso per aver perso
conoscenza. Dovevano averlo riempito di farmaci.
L’inglese
sbuffò irritato lasciando vagare la mente stanca, appannata
dalle cure che stava ricevendo, lenta e appesantita da tutti quegli
agenti chimici.
Quanto
odiava quella sua reazione ad ogni tipo di medicinale, si sentiva come
estraneo al proprio corpo, e per di più proprio non riusciva
a sopportare l’olezzo di disinfettante sparso in ogni singolo
centimetro quadrato dell’edificio, per non parlare del cibo
scadente dal sapore inesistente.
E
questi erano solo i primi di una lunga serie di motivi per la quale
l’inglese evitava in qualunque modo gli ospedali, anche se
principalmente, era perché ogni volta che si era ritrovato
ricoverato ( incidenti vari, spesso sul lavoro), era sempre costretto a
dover prolungare la sua permanenza in quel luogo un po’
più del previsto.
Era
capitato, quando magari il ragazzo aveva già preparato i
bagagli e stava per prendere la porta, che un dottore (mai visto prima)
se ne uscisse con la frase: scusa, ma dobbiamo fare degli
“accertamenti", o simili, inchiodandolo cosi di nuovo a
letto. “Lo facciamo per il tuo bene” aggiungevano,
Arthur però aveva sempre avuto la sensazione di essere
trattato come una cavia da laboratorio. Era come se medici ed
infermieri fossero pronti a vivisezionarlo da un momento
all’altro, ma forse quella era solo una piccola ossessione
associata alla sua fobia per tutto ciò che trattava
l’ambito medico.
Non
aveva mai avuto un buon rapporto con i farmaci, i vaccini gli causavano
l’orticaria, e gli incessanti bip della macchina per la
misurazione del battito cardiaco gli urtava talmente i nervi da
procurargli un forte attacco isterico dopo solo quindici minuti,
insieme ad un insensato terrore di non avvertirne più il
rumore, ricollegandolo al fatto che avrebbe significato la sua morte.
Insomma
Arthur Kirklad aveva una vera e propria repulsione per gli ospedali,
più volte nei suoi precedenti incidenti si era ritrovato a
scappare dalla proprio camera prima della fine del ricovero, difatti,
non poteva più farsi vedere in giro in molti luoghi se non
voleva rischiare di essere riacciuffato da medici psicopatici fissati
con esami assurdi e inutili.
Lui
stava bene ed era probabilmente questo che non tornava.
A
qualunque incidente Arthur fosse stato partecipe, non aveva mai
rinvenuto lesioni gravi o che richiedessero un intervento. Certo, un
osso rotto ogni tanto, ma niente che lo avesse portato alla sala
operatoria e, visto a cosa era sopravvissuto, non era una cosa facile
da credere.
Molti
dottori, infatti, si aspettavano dovesse collassare da un momento
all’altro, per un emorragia interna o per un qualcosa di non
riscontrato con gli esami precedenti, era questo il motivo per cui
esageravano ogni volta con gli “accertamenti”.
Ma
Arthur era ben consapevole di non avere nulla, perché sempre
cosi era stato.
- Bonjour
bell’addormentato...- una pessima sensazione attraverso
l’inglese, accompagnata da quella voce sconosciuta,
“No, un altro francese no!” esclamò la
sua mente mentre si alzava a sedere di scatto, stupito e confuso nel
vedere chi fosse appena giunto nella sua camera, ma la visuale gli
venne subito occupata da un enorme mazzo di fiori messogli proprio
davanti al naso, -... dormito bene?- chiese in tono un poco ironico
l’estraneo senza nemmeno presentarsi, porgendogli le dodici
rose rosse che formavano la composizione floreale.
-
Chi saresti tu..?- fece invece l’inglese ignorando la domanda
e allontanandolo con un gesto del braccio, colpendo cosi i fiori che
gli venivano porti.
E
fu in quel momento, tra una miriade di petali scarlatti e un profumo
dolciastro mescolato all’odore intenso di disinfettante.
Lì, disteso su un letto d’ospedale, Arthur
Kirklad, agente di polizia inglese scorbutico e scostante, ventitreenne
single dall’atteggiamento da vecchio ottantacinquenne, ebbe
il suo primo incontro con Francis Bonnefoy.
Iniziò
cosi la sua veloce discesa verso l’inferno.
Francis
Bonnefoy era colui che veniva chiamato nei casi
“speciali”, qual ora non si trovasse alcuna
spiegazione logica nelle indagini, nel momento in cui in esse
subentrava un qualcosa di non umano, sovrannaturale o semplicemente
inspiegabile. Se succedeva era lui a prendere le redine della faccenda,
risolvendo a modo suo il problema.
Era
qualcuno la cui esistenza doveva rimanere un segreto per tutti coloro
al di fuori delle stanze dei piani alti di un dipartimento di polizia.
Era
la stessa persona che aveva tradito quel segreto.
-
Uhm... Dalla tua espressione devi avermi riconosciuto fiorellino
– fece il francese sorridendo affabile, espressione che diede
subito sui nervi all’inglese, il quale aveva già
sentito molto parlare di lui, come tutti del resto.
La
sua storia non era più un nascosta a nessuno.
Un
bel giorno quello stupido francese aveva deciso di mollare tutto e di
mettersi in proprio, senza alcun motivo ne ragione.
Abbandonò la polizia decidendo di votarsi solo al denaro,
rendendosi disponibile solo a chi avesse avuto la
possibilità di dargli in cambio un lauto compenso per i suoi
servigi, non importava se questo indossasse un distintivo o fosse il
capo della malavita cittadina. Arthur aveva solo un appellativo per
definire le persone come lui, ed era traditore. L’uomo che
aveva davanti era un insulto a tutti i buoni principi su cui avrebbe
dovuto basarsi un poliziotto, non riusciva a credere fosse stato un
tempo un suo collega.
La
sua figura gli metteva una tale irritazione che neppure si chiese per
quale motivo fosse venuto da lui.
-
Non ho idea di chi tu sia, quindi fammi il favore di
andartene!..- lo congedò subito
l’inglese usando un tono piuttosto brusco e freddo, era
abbastanza chiaro quanto la presenza dell’altro lo
infastidisse,
-
Sono Francis Bonnefoy – si presentò
l’altro con un leggero inchino, cosa che lo fece somigliare
ad un gentiluomo di altri tempi,
- E
allora..? Vattene subito – continuò ostile Arthur,
era un traditore ed un francese, due fattori per cui, anche se presi
singolarmente, non sarebbe mai riuscito nemmeno a rimanere
più di una quindicina di secondi nella stessa stanza senza
tentare di ucciderlo.
-
Come siamo irritabili fiorellino, hai detto tu di non avere idea di chi
io sia, per questo ho dovuto fare la fatica di presentarmi...-
sbuffò con un fare teatrale Francis, scostandosi con un
elegante gesto i capelli biondi dal viso, -... E adesso che ci
conosciamo non puoi più cacciarmi –
continuò regalandogli un sorriso strafottente, facendo
l’occhiolino,
-
Qu...questa non è una cosa che decidi tu! –
ribatté l’inglese rosso in viso dalla rabbia,
additandolo con l’indice della mano destra, un comportamento
tutt’altro che da gentleman, ma quel suo fare da cascamorto
gli dava alla testa, aggiungendosi alla già lunga lista
delle cose che di lui non sopportava, la quale sfiorava
l’infinito nonostante si fossero incontrati da nemmeno due
minuti.
–
Esci subito da questa stanza! – continuò a
ribadire e qualcosa sembrò spezzarsi, un attacco di tosse lo
colse impreparato mentre la testa cominciava a dolergli ancora di
più.
Voleva
ucciderlo, questo era il desiderio che gli era balzato alla mente sin
da subito.
Solo
in quel momento Arthur se ne rendeva conto, ma gli era bastato un unico
sguardo a quel bel faccino dai lineamenti femminei e un brutale istinto
omicida si era risvegliato in lui. La mano sarebbe corsa subito alla
pistola se solo l’avesse posseduta e la cosa non gli piaceva,
perché reagiva cosi?
L’inglese
non riusciva comprendeva pienamente tutta quella rabbia risiedente nel
suo animo, ma non aveva intenzione di trattenersi a spaccargli la
faccia se quella rana gli si fosse avvicinata ancora, la sua colonia
era cosi intensa da annebbiargli la mente.
- Esci fuori cuccioletto..-
Arthur non seppe con quale lingua Francis gli parlò, di
sicuro però non era francese, quello un poco almeno lo
capiva, e la cosa non gli importava più di tanto, piuttosto,
si chiedeva come avesse fatto ad avvicinarsi a lui abbastanza da
sussurrarglielo con un fil di voce all’orecchio e come, pur
non riconoscendo le parole, le avesse in qualche modo comprese.
-
C-come..?- balbettò l’inglese, ora un inspiegabile
panico accelerò i battiti del suo cuore, aumentandone il mal
di testa,
- Cuccioletto se proprio vuoi
posso sempre usare le maniere forti- parlò
nuovamente con quelle strane parole, la sua espressione era fredda e
seria, e per un momento nel petto di Arthur persino la circolazione del
sangue sembrò fermarsi, la stanza ai suoi occhi venne
avvolta dall’oscurità, calarono le tenebre, anche
se durarono solo pochi istanti.
- N-on puoi farlo, il ragazzo
è ancora vivo...- Arthur sentì la
propria voce rispondere all’altro nella stessa lingua
sconosciuta, ma non era lui a parlare, qualcosa sembrava farlo al posto
suo,
-
Ammirevole da parte sua resistere tanto, ma un fiore a cui si recidono
le radici finirà solo per appassire – fece il
francese tornando a parlare in modo a chiunque comprensibile, mentre
osservava apatico l’inglese davanti a se.
Bonnefoy
sbuffò seccato costatando come gli occhi, da prima verdi del
ragazzo, erano divenuti di un intenso colore scarlatto, simile al
sangue, e non vi trovò più nulla di normale in
loro, la pupilla si era allungata, assottigliandosi come quella di un
felino. – Ormai il suo destino è comunque segnato.
Non ci sarà molta differenza se morirà a causa
tua o mia – continuò parlando a quella cosa che
aveva preso il possesso del corpo dell’inglese. “mi
ucciderà!” fu l’unico pensiero veramente
proprio di Arthur, - ... Se voi “cosi” avete un
anima faresti meglio a pregare il tuo dio di risparmiartela,
perché non sarà un bel posto dove ti
manderò- fece sempre Francis accennando ad un sorriso
divertito vedendo come Arthur iniziò a tremare, felice di
riuscir a riempire quello sguardo dalle tinte dell’orizzonte
di puro orrore. Non si credeva tanto bravo, ma probabilmente era
perché di fronte a lui vi era uno di
“quelli” del rango inferiore, niente di
più di un fastidioso insetto.
- T-tu sei u-un mostro!-
lo insultò l’inglese avanzando di scatto verso di
lui, nell’ultima azione disperata di un condannato a morte, e
nello stesso momento Francis portò svelto una mano sotto la
giacca, i suoi riflessi furono però troppo lenti.
L’essere
nel corpo di Arthur riuscì ad atterralo sovrastandolo,
stupendosi persino di esserci riuscito, - Allora non sei poi cosi forte
come dicono- si ritrovò a dire non riuscendo a trattenere
una risata vittoriosa,
- No, sei tu che sei fortunato
cuccioletto- lo corresse il francese sostenendo senza
paura lo sguardo del nemico, anzi, sorridendogli ironico, - O forse
dovrei dirlo a te fiorellino?- chiese.
-
Non voglio che tu mi uccida!- urlò Arthur terrorizzato,
versando calde lacrime sul viso dell’altro, era ingiusto
dover fare una fine cosi misera, ma cosa?... gridò confusa
una voce nella sua testa, la stessa di colui che l’aveva
posseduto, com’è possibile?!
-
Non ti preoccupare. Adesso non è più necessario
che lo faccia - lo rincuorò Francis, scostandolo da lui,
mettendosi a sedere al suo fianco, l’inglese tiro su un paio
di volte con il naso, asciugandosi gli occhi, si vergognava da morire
nel essere visto cosi da qualcuno, ma al momento non gli importava
molto, come è possibile?! Si ripeté la voce
causandogli una fitta al cervello che lo portò
d’istinto a tapparsi l’orecchie, chiudendo gli
occhi, anche se non servì a molto,
- Semplice, le radice di questo
fiorellino sono rinate o, forse, non sono mai state tagliate-
rispose Bonnefoy poggiando le mani dove Arthur teneva le proprie.
L’inglese
avvertì un leggero calore a contatto con la pelle
dell’altro, il quale sembrò pronunciare parole
ancora più incomprensibile di quelle di poco prima, e subito
un urlò agghiacciante invase la testa
dell’inglese, che sembrò sul punto di spaccarsi,
arrivando a raggiungere sino le radici più profonde del suo
animo.
Infine
fu il silenzio e, l’ultima cosa che Arthur vide prima di
scivolare nel dolce oblio dell’incoscienza, il sorriso
leggermente divertito di Francis, il quale gli augurò ad un
respirò dal viso “au revoir
fiorellino”.
[Due
giorni dopo...]
-
Li... Licenziato?! Come potete licenziami?!- si ritrovò a
gridare Arthur in un misto di incredulità e frustrazione,
non poteva credere a ciò che gli stavano dicendo,
-
Hai capito bene Kirklad, restituisci pistola e distintivo- lo
invitò nuovamente il suo superiore, ostentando un
espressione gelida ed assente,
-
Spiegamene almeno il motivo!- urlò l’inglese
battendo violentemente le mani sulla scrivania del proprio capo, con
aria di sfida, cercando di sfogare almeno un poco la rabbia che sentiva
sempre più montare nel proprio petto. Non gli era mai
piaciuto quel tizio, sin dal primo giorno in cui l’aveva
incontrato aveva sempre mantenuto la stessa espressione qualunque cosa
gli accadesse, non importava cosa, rimaneva impassibile, ed era una
cosa insopportabile. Non sembrava nemmeno conoscere il significato
delle parole “contatto umano”, evitava tutti
parlando con qualcuno solo quando era costretto, come in quel momento
in cui gli stava chiedendo “gentilmente” (sembrava
ignorare anche il significato di quella parola) le dimissioni.
-
Hai ucciso un uomo in preda all’ira perché aveva
fatto fuori un tuo compagno. Qualcuno di tanto efferato non
può pretendere di mantenere il distintivo- la sua
tonalità di voce rimase piatta come una tavola, tanto da
mettere i brividi Arthur,
-
Efferato? Cosa stai dicendo, ho dovuto ucciderlo per non fare la stessa
fine di James!- ribatté l’inglese, - Quel pazzoide
stava tentando di far fuori anche me!.- tento di spiegarsi, ma
l’altro non sembrava voler ascoltare ragioni. Con calma si
alzò dalla sedia dandogli le spalle, scuotendo leggermente
la testa sdegnato, improvvisamente sembrò diventare
estremamente vecchio, e le rughe sul suo volto s’infittirono,
anche se erano state causata il per lo più dallo stress che
dal tempo. Respiro profondamente, quasi stesse cercando di trattenersi
prima di parlare,
-
Hai sparato tre colpi nel corpo di quel bastardo prima di ritenerti
soddisfatto! Non uno, tre!! Questa non si può considerare
legittima difesa!!- lo sguardo che Arthur ricevette fu tanto freddo da
gelarlo sul posto paralizzandogli la lingua, la quale avrebbe voluto
dire “si è vero ma solo perché quello
continuava ad avanzare” -... Già al primo colpo
quel poveraccio doveva essere a terra, ma tu hai continuato ad
infierire prima di sparagli dritto in fronte. Non ho idea di come tu ti
sia poi procurato quella ferita alla spalla, potresti anche essertela
causato da solo, non mi interessa. Resta il fatto che tu da adesso sei
fuori- e sotto quegli occhi che avrebbero gelato l’inferno,
la rabbia di Arthur si acquieto tramutandosi in una logorante e vuota
frustrazione che gli divorò lo stomaco, la bocca rimase
muta, in silenzio, senza trovare più parole, o forse
avendone troppe da dire (lui che si feriva da solo, ma quali
scempiaggini erano?).
Mentre
se ne andava non gli passo nemmeno per la mente di chiedere chi era
l’uomo che aveva ucciso James, tanto entrambi erano morti,
non avrebbe fatto molta differenza, e comunque nessuno glielo avrebbe
più detto adesso che se ne andava privato
dell’uniforme.
Arthur
camminava solo per le vie della città, nel petto il forte
impulso di piangere, sulle mani la gran voglia di spaccare la faccia a
qualcuno. Non riusciva ancora a capire come avessero potuto fargli una
cosa simile, licenziarlo, e da neanche un giorno che era stato dimesso
dall’ospedale.
L’inglese
si sentiva fortemente abbattuto mentre, sovrappensiero, entrava nel
parco che stava giusto di fronte all’entrata della metro,
trovandosi a calpestare un mucchio di foglie secche che ricoprivano il
suolo. Solo quando senti il loro scricchiolio sotto alla suola delle
scarpe Arthur sollevò lo sguardo, rendendosi finalmente
conto di dove fosse finito, e un leggero ed amaro sorriso gli
incurvò le guancie. Per quanto cercasse di ignorarle il
richiamo era per lui troppo forte.
“Tanto
sono un disoccupato, non ho di meglio da fare se non perdere
tempo...” si disse alzando sconsolato le spalle, cercando una
panchina isolata, priva di occhiate indiscrete e di drogati in cerca di
un posto sicuro per farsi una dose.
La
trovò non troppo lontano dal punto in cui era in quel
momento, proprio sotto ad uno di quei alberi sui quali rami rimaneva
ancora aggrappata qualche foglia, nonostante l’inteso
avanzare dell’autunno.
L’inglese
si sedette e, assicurandosi che non vi fosse nessuno, iniziò
a fischiettare.
Ma
non stava fischiando a caso, come un qualunque passante avrebbe potuto
credere ascoltandolo, no, stava seguendo una precisa melodia. Una
canzone priva di parole e in apparenza anche priva di senso, in quel
miscuglio infinito di note, il cui significato però era ben
noto ad Arthur e a chi voleva richiamare con essa.
- Dai Arthur non ti abbattere...
Si, infondo non è nulla di che- parole dolci e
gentili gli giunsero all’orecchio per confortarlo, mentre
leggere figure, simili a farfalle, cominciarono a prendere forma
intorno a lui, svolazzandogli attorno simili a falene attratte da una
fiamma,
-
Grazie ragazze- fece Arthur, concludendo il motivetto, allargando un
poco il proprio sorriso, il quale però non gli raggiunse lo
sguardo,
- Uh-uh, sei cosi carino quando
fai la faccia da cucciolo bastonato... Ah-ah è vero-
continuarono a parlare quei piccoli e strani esseri, e
l’inglese non riuscì a trattenersi dal raccogliere
una di esse in mano, lasciandosela posare sulle proprie dita,
ricoprendole cosi di una leggera polvere dorata, simile a quella che si
usa per le decorazioni natalizie.
-
Siete gentili come sempre- disse causando una serie di risolini, ah,
quanto amava Arthur quelle risate, non vi era niente di più
bello che quelle loro voci limpide e cristalline, come
l’acqua, potessero pronunciare.
-
Adesso capisco, sei un pupillo del popolo fatato...- una voce a lui
nota gli arrivò però alle spalle distruggendo
quel suo effimero istante di felicità.
-
Francis!?! Cos..Cosa ci fai qui!?- esclamò Arthur saltando
letteralmente in piedi dallo spavento, rischiando di investire le sue
piccole amiche, le quali trasalirono inorridite alla presenza dello
sconosciuto e si nascosero velocemente dietro le spalle
dell’inglese,
-
Niente di particolare, volevo solo vedere come stava il mio fiorellino-
rispose sorridendogli affabile il francese, -... Ho saputo che ti hanno
“tirato fuori”- aggiunse mantenendo la medesima
espressione cordiale, cosa che non piacque all’altro.
Nonostante
non provasse per lui lo stesso istinto omicida del loro primo incontro,
non significava che Arthur lo trovasse improvvisamente simpatico, anzi,
dopo il suo giochetto dell’ultima volta “io ti
uccido” l’antipatia che provava per quel francese
era notevolmente aumentata.
-
Si, ma non sono cose di cui ti dovresti interessare stupid frog- lo
ammonì incrociando le braccia al petto, non aveva mai amato
chi si faceva gli affari degli altri, soprattutto se quegli
“affari” erano i suoi.
-
Oh-oh, stupid frog?
Ci siamo già dando ai soprannomi?..- rise senza alcuna
allegria Bonnefoy, nascondendo malamente una leggera irritazione per
quel nomignolo poco gradito,
-
Se non sbaglio, pur conoscendo il mio nome sin dal principio, tu mi hai
sempre chiamato “fiorellino”- replicò
con voce piatta Arthur, provando una leggera soddisfazione
nell’avergli suscitato quella reazione di stizza.
- Fiorellino, che soprannome
carinooo!!... Dai Arthur presentacelo quel bel pezzo d’uomo-
parlarono i piccoli esseri, sussurrando all’orecchio
dell’inglese,
-Shh!..
Zitte!- gli ordinò questi a bassa voce, ma con un tono che
non ammetteva obbiezioni, perché, a differenza delle sue
amiche, lui aveva ben sentito la prima frase detta dal francese, e la
cosa non gli tornava.
Nessuno
avrebbe dovuto vederle, certo, nessuno tranne lui. Per quale motivo?
Non lo sapeva, semplicemente, era sempre stato cosi.
-
No, no lasciale purè parlare, tanto sono abituato ai
complimenti- fece Francis accentuando le varie note di
vanità nella sua frase e, nuovamente, Arthur se lo
ritrovò vicino senza nemmeno rendersene conto, come quella
volta in ospedale, un momento prima era a qualche metro da lui,
l’istante dopo i loro respiri quasi si mescolano
l’uno con l’altro per la vicinanza.
-Tu..!
Tu le v-vedi?!- balbettò quasi urlando Arthur, arretrando
quasi ne fosse spaventato, avvertendo un forte calore sulle guance.
Perché era arrossito?
-
Ovviamente. Vedere certe cose è il mio lavoro- ammise il
francese scostandosi i capelli dal viso e sorridendo orgoglio,
mostrandosi cosi in tutta la sua gloria, ma l’inglese non
capì la perfezione della posa da lui assunta e
pensò che fosse affetto da chissà quale strana
malattia mentale, non sapeva che quel gesto era frutto di ore e ore di
dure prove passate a rimirarsi nello specchio del bagno.
-
Cosa intendi per “certe cose”?- gli chiese Arthur
assottigliando gli occhi, non li piaceva il modo in con il quale aveva
pronunciato quelle due parole, sembrava vi fosse qualcosa di strano
nelle sue “amiche”,
-
Mostri, fantasmi e via dicendo, tutto ciò che una persona
“normale” non riuscirebbe a definire trovandola
inspiegabile- rispose Francis indicando poi gli esseri nascosti alle
spalle dell’altro, - Se tu potessi consultare un manuale
della polizia della sezione “paranormale” (del
quale facevo parte), potresti leggere che “loro”
sono classificate come “fastidi” di grado 6, molto
bassi, facili da sbarazzarsene-
-
C...Cosa?!- esclamò stupito l’inglese,
“fastidi”, grado 6, sbarazzarsene? Non capiva quasi
nulla di quel che gli diceva, ma di certo non gli avrebbe permesso di
avvicinarsi nemmeno di un altro passo alle sue amiche, anzi, fu lui
stesso ad iniziare ad arretrare, spingendole indietro.
-
Eh, si. Siamo cosi stupidi da definirli “loro”
senza nemmeno preoccuparci di chiamarli con il loro vero nome, parlando
di “fastidi” anche quando non sono affatto nocivi,
come nel tuo caso- sospirò svogliatamente Francis alzando le
spalle, - Piuttosto (sempre trattando il tuo caso), potremmo chiamarle
spiritelli, fatine o appartenenti popolo fatato, per essere
più giusti.
Solo
perché li abbiamo rinchiusi tutti in uno stesso gruppo, non
significa che “loro” siano tutti uguali-
continuò a parlare, Arthur però sentiva che non
si stava più rivolgendo a lui, ma stava solo enunciando i
fatti come erano realmente trattati. – Pensa, persino io e te
siamo divenuti parte di quello stesso insieme- aggiunse tornando a
guardare dritto negli occhi l’inglese,
-
Eh?..- fu la cosa più intelligente che Arthur
riuscì a pronunciare dopo l’ultima affermazione di
Bonnefoy.
-
Come non lo avevi pensato?.. Non è strano che ti abbiano
licenziato solo perché hai esagerato con la
“legittima difesa” (dopo che un tuo compagno
è stato trucidato)? Insomma, io conosco bene la struttura di
una centrale di polizia e so quanti fatti vengono insabbiati al giorno,
questo in particolare sarebbe risultato nell’ordinaria
amministrazione- gli fece notare il francese e Arthur ammise che si,
dopo tutto aveva ragione, difatti, anche lui era venuto a conoscenza di
avvenimenti simili, se non peggiori, risolti con una lieve sospensione
o un ammonimento,
-
Non m’importa- mentì l’inglese
ritornando a sedersi sulla panchina, spinto dalle fatine che si erano
stancate di nascondersi,
- Stai mentendo fiorellino... Si,
si questa è una bugia fiorellino- lo ripresero
subito le sue amiche, cominciandolo a chiamare nello stesso modo di
Francis,
-
Non vi avevo detto di rimanere zitte?..- ribatté lui
colorando di nuovo le sue guance di un leggero rossore, -... Infondo
non sappiamo ancora che intenzioni abbia- aggiunse a tono
più basso, comunque udibile all’altro, il quale si
lasciò sfuggire un leggero sorriso sghembo,
-
Non ti preoccupare, non voglio far nulla alle tua
“amichette”, come ho già detto le fatine
non sono affatto nocive e, finché qualcuno non mi paga per
toglierle di torno, non le toccherò nemmeno con un dito-
tentò di rassicurarlo Francis, ma dall’inglese
ricevette solo un occhiataccia storta, priva di una qualunque fiducia
nelle sue parole.
-
Perché dovrei crederti?..- domando scettico Arthur, -.. Non
so nemmeno cosa volessi dire con quel discorso: “persino io e
te siamo divenuti parte di quello stesso insieme”-
citò scimmiottando un poco il suo tono di voce,
-
1) “io non parlo assolutamente cosi”- volle
sottolineare Bonnefoy, ritenendosi offeso, la sua voce era profonda e
soave, simile a quella di un tenore, non rauca e gracchiante come il
canto di una cornacchia, - 2) Volevo semplicemente avvertiti che tu
ormai, non sei solo stato serrato fuori dalla polizia, ma anche dal
qualsiasi altro lavoro tu possa cercare. In pratica, sei stato buttato
fuori dal mondo- gli rivelò, lasciando Arthur ancor
più confuso di quanto non lo fosse un attimo prima.
-
S..stai scherzando vero? Perché dovrebbe essere come dici
tu?- replicò l’inglese, mentre una delle fatine
gli si sedeva sulla cima della testa, stendendosi tranquillamente trai
suoi capelli,
-
Perché hanno scoperto che in te c’è
qualcosa che non va, di non quadrante con tutto il resto del mondo, o
della “normalità” come amano definirla.
Quindi ti hanno chiuso fuori dalla società stessa,
abbandonandoti ad una fine quasi certa- continuò a spiegare
Francis sorridendogli cortese, e a quell’espressione Arthur
ebbe il desiderio di mollargli un pugno, visto quanto gli
risultò finta.
- E
cosa avrei di cosi fuori posto rispetto al mondo?.. Illuminami- lo
sfidò con un sorriso derisorio, non volendo credere a
nessuna delle parole da lui pronunciate,
-
Non sei morto quando sei stato posseduto, una persona normale avrebbe
fatto quella fine- disse secco e impassibile il francese, rivolgendogli
uno sguardo gelido, sembrava non gli piacesse che si ridesse della sua
persona, -... questo ha causato delle ricerche sul tuo conto, che hanno
portato alla luce un fatto, per cosi dire,
“scomodo” del tuo passato- pur cercando di
trattenersi, Arthur sussultò stupito
nell’ascoltarlo, “allora Francis era stato mandato
dalla centrale” avrebbe ricollegato poi in un altro momento,
ripresosi dalla confusione che quel discorso gli stava causando,
– All’età di quattro anni, sei stato
rapito dalla fate-
-
Ah-ah, non vorrai dirmi che sono stato licenziato per una simile
stupidaggine?- cercò di scherzarci l’inglese,
cominciando ad avvertire una leggera tensione nel suo petto, mentre le
sue amiche cominciavano ad agitarsi intorno a lui, -... ero solo un
bambino, mi sono perso in un bosco durante una gita con la mia famiglia
alla casa della nonna. Non mi ricordo bene nemmeno io cosa sia
successo, semplicemente quando mi hanno trovato ho detto di
aver inseguito una fata, ma quella era solo la fantasia di un bambino,
probabilmente era solo una farfalla- tento di dissimulare, ma era fin
troppo ovvio che l’altro non gli credesse affatto,
-
Potrai anche ingannare gli altri con questa storiella, ma io vedo
benissimo gli spiritelli che tu stesso hai richiamato, e solo chi ha
potuto danzare con loro conosce le canzoni con cui invocarle. Poi nel
tuo racconto manca la spiegazione di come tu sia riuscito, ad appena
quattro anni, a sopravvivere per ben sei giorni in quel bosco dietro la
casa della tua nonnina- osservò Francis sedendosi al suo
fianco sulla panchina, e tocco a lui prendere questa volta un aria
divertita, quasi fosse una rivincita dopo essere stato beffeggiato
dall’inglese.
-...
Bene, hai ragione, sono stato rapito dalle fate, e allora? Non posso
credere che mi abbiano licenziato per una cosa simile, la maggior parte
delle persona non avrebbe nemmeno mai creduto ad una fandonia simile-
ammise finalmente Arthur, portando abbattuto lo sguardo a terra,
ricordava bene quante volte lo avessero definito un bugiardo quando
aveva raccontato quella storia, nessuno, tranne sua nonna, aveva mai
pensato che nelle sue parole vi fosse la verità, e per molto
tempo i suoi genitori avevano cercato dei rapitori inesistenti, senza
ovviamente ricevere alcun risultato.
-
Da allora, qualunque cosa ti sia capitata, non ti sei mai ferito-
ricominciò a parlare Francis, -... e sono saltati fuori
anche il numero di volte in cui sei fuggito dall’ospedale:
1.214 se non sbaglio-
-
Non le ho mai contate..- divagò imbarazzato
l’inglese, non gli era mai passato per la mente che qualcuno
avrebbe potuto fare una ricerca simile, quindi non si era mai
preoccupato di nascondere certi fatti,
-
Tra lasciando le tue fughe, mister Houdini, per te è stato
scomodata un certa mia vecchia conoscenza (mooolto influente) la quale
ti ha archiviato come “soggetto strano” e questo ha
segnato la tua fine- concluse Bonnefoy, trovandosi a fissare gli occhi
smeraldini della’altro, il quale si prese qualche istante per
metabolizzare bene tutte quelle informazioni.
- E
perché sei venuto da me quella volta?- chiese infine,
cercando di completare gli ultimi pezzi del puzzle,
-
Bhè.. Ti ricordi il tizio che hai fatto fuori, quello che
rimase comunque in piedi nonostante i due colpi di pistola?-
provò ad ironizzare il francese, a quanto pare era stato
informato bene su tutti i fatti,
-
Non fare domande stupide - tagliò corto Arthur, causando le
risatine delle fatine, sembrava che si divertissero a vedere quanto
Francis lo irritasse,
-
Va bene, va bene fiorellino- cercò di calmarlo causando
invece ancor di più la sua stizza, - devi sapere che quella
persona era un notò avvocato di Washington, scomparso da
qualche settimana in circostanze che mi competono (eventi
soprannaturali e compagnia bella, per essere breve), insomma, tramite
le mie ricerche quest’uomo è risultato posseduto
da una qualche entità e, quando tu l’hai ucciso,
essendo l’unico essere vivente nei paraggi, essa è
passata a te- fu estremamente breve Francis, non accennando a chi fosse
il suo datore di lavoro, anche se Arthur ne aveva già una
vaga idea, visto come lo aveva trovato cosi facilmente
all’ospedale. -... Mi hanno mandato da te per
“esorcizzarti” e occultare come complicazioni
mediche le tua morte (te l’ho detto succede cosi alle persone
normali), il viaggio però è stato lungo e ti ho
trovato già sveglio quando sono arrivato, un'altra tua
fortuna, perché altrimenti ti avrei semplicemente ucciso
credendoti spacciato- fece ridendo nervoso, cercando di smorzare una
tensione che avvertiva sempre più crescente intorno a se,
Arthur però non ci trovo nulla da ridere, - O..ovviamente,
se avessi saputo fin dall’inizio che tu eri un pupillo del
popolo fatato, non mi sarei nemmeno preso la premura di fare un viaggio
cosi lungo per arrivare fin qui, grazie a tutta quella polvere magica
che ti passano, anche involontariamente, quegli esserini, sei diventato
un perfetto esorcizante, per fare un esempio sei meglio
dell’acqua santa per scacciare i vampiro- aggiunse crepando
ancor di più la propria espressione serena, pian piano stava
confermando i dubbi nascenti nella mente dell’inglese,
- E
quindi..?- lo invitò infatti a continuare,
-
Quindi ti saresti liberato anche sa solo di
quell’entità, il mio intervento non sarebbe
servito e...- Francis si accorse troppo tardi di aver pronunciato una
“e” di troppo,
- E
su di me non si sarebbero mai fatte delle ricerche, vero?- concluse per
lui Arthur, avvolto da una nera aura oscura di malumore,
l’istinto omicida si era risvegliato, e stavolta aveva delle
buone ragioni per colmarlo.
-
Sen...senti fiorellino, ne, ne possiamo parlare se v-vuoi...-
cominciò a balbettare Francis arretrando spaventato, -
Po-potresti lavora con me... Infondo hai una dote naturale per il
soprannaturale- cercò di dissuaderlo dai suoi intenti, era
da un po’ (da quando aveva capito il motivo per cui Arthur
non fosse morto per la “possessione”), che
quell’idea gli era balenata in testa, e trovava fosse
arrivato il momento perfetto per proporglielo, per lo meno se questo
gli avrebbe salvato la vita,
-
Ne riparleremo dopo che avrò preso a calci il tuo bel
sederino, stupid frog-
decise invece l’inglese alzandosi molto lentamente in piedi e
regalandogli un sorriso tanto sadico e malefico da essere degno di un
demone,
- Se non lo sai, intende
accettare... E ti avvertiamo che Arthur ha una doppia
personalità decisamente più violenta della prima-
si avvicinarono le fatine a Francis, ridendo sempre più
divertite dalla scena, arrivata al culmine quando Bonnefoy
cominciò a scappare terrorizzato, se quelle fate dicevano
era vero, significa che sino a quel momento aveva conosciuto solo
l’Arthur
gentleman (per cosi dire), e ora stava avendo un dritto
contatto con Arthur
pirata.
E
quello fu il giorno in cui Arthur Kirklad, ex-agente di polizia inglese
scorbutico e scostante, ventitreenne single
dall’atteggiamento da vecchio ottantacinquenne, fu assunto da
Francis Bonnefoy, investigatore squattrinato specializzato in casi
“speciali”, francese cascamorto e narcisista,
ventinovenne con una donna diversa ogni sera.
Ed
ebbe cosi iniziò la loro dolorosa
cooperazione.
(inutile)* Prefazione:
Arthur
ancora non se ne rendeva conto, ma era bastato il semplice
incrociò dei loro sguardi, o forse qualcosa di precedente ad
esso, e il fragile filo di quella sua vita
“tranquilla” (perché ammettiamolo con un
lavoro come il suo non era proprio la definizione più
appropriata), si era spezzato.
E
fu la fine di tutto il suo mondo.
Pur
non sapendolo, quella sensazione di vertigini che avvertì
ritrovandosi a guardare il proprio riflesso nelle profonde iridi blu
dell’altro, era la sua anima che, privata di un qualunque
appiglio, si ritrovò a sprofondare sempre più in
un pozzo di tenebre, nell’oscurità
dell’ignoto.
La
sua unica salvezza fu l’appiccicoso abbraccio di una rete
composta da ragnatele, posta a soli pochi centimetri dalla fine della
caduta.
La
sua però non fu fortuna.
L’inglese
in futuro l’avrebbe definita a sua maledizione.
Perché
si, grazie ad essa aveva evitato di sfracellarsi al suolo, ma in quel
modo era stato privato per sempre dell’opportunità
di risalire.
Si
era ritrovato imprigionato senza alcuna via di fuga in quel baratro
oscuro.
Non
aveva modo di andarsene.
Arthur
non poteva ancora saperlo, lo avrebbe capito solo inseguito, sarebbe
rimasto per l’eternità in quella rete, in attesa
che uno stupido ragno vinofilo decidesse finalmente di divorargli
l’anima.
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*
La prefazione è inutile perché è stata
messa alla fine del capitolo (quando in realtà andrebbero
prima dell’inizio della storia), quindi più che un
prefazione consideratelo un extra, leggetelo (per favore)
perché è con quello che è nato questa
ff
Bene,
questo è la prima fanfictione AU che ho il coraggio di
pubblicare, spero che vi sia piaciuta, e ringrazio chiunque l'abbia
letta (GRAZIE!), sperando che commentiate, please.
Per
infromazione, questa FF dovrebbe essere un One-shot, ma forse potrei
screverci qualcosa più avanti, almeno per dare un idea del
lavoro effettivo di Francis xD xD
Spero
che si capisca qualcosa... Cooomunque
bye-bye,
e
alla prossima ;-)))
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