CS - Chap 1
Ciao a tutti! Questa
è la prima fic che scrivo su Kuroshitsuji e quindi spero
davvero di non combinare un disastro! Questa storia è
dedicata a una mia amica, doc11, ma soprattutto è un
esperimento che mi ha permesso di inserire un personaggio che avevo
sviluppato un po’ di tempo fa. Spero di non offendere
inavvertitamente qualcuno con il contenuto di queste
pagine…Ho sempre questo terrore quando posto qualcosa di
nuovo!! ^^”
La storia
è ambientata nei due anni che seguono l’incontro
tra Sebastian e Ciel e che precedono l’inizio del manga. Ho
dato per scontato che Grell stesse già lavorando per Madame
Red in quel periodo, anche se non ne sono sicura…Tutti i
personaggi a parte Grell e Will sono di mia invenzione. Questo primo
capitolo serve a introdurre nella vicenda e a presentare i quattro
personaggi principali.
Farò
del mio meglio per tenere i personaggi, ma per piacere se vedete che la
cosa non mi riesce, sarei felice se me lo faceste notare! Ripeto
brevemente gli avvertimenti: questa storia contiene dello shonen-ai
(WillxGrell, e forse anche una coppia OCxOC), potrebbe darsi che la
sottoscritta vada OOC come si è detto, potrebbe anche darsi
(molto improbabile) che ci sia qualche spoiler. Altra cosa, non sono
molto sicura del titolo, quindi potrei anche decidere di cambiarlo!!
Perdonatemi se vi
ho annoiati! Spero che possiate apprezzare il mio lavoro! I commenti e
le critiche sono ben accetti, quindi fatemi avere il vostro parere se
vi va! Sarebbe molto costruttivo per me.
Grazie mille a
chi leggerà!
MysticAsters
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Una figura camminava lentamente tra le rocce dell’antro, schivando gli ostacoli con facilità, come se ne conoscesse ogni centimetro. Come sempre le torce dovevano essersi spente, di sicuro a causa di qualche combattimento violento che si era tenuto lì, e nessuno si era ovviamente premurato di riaccenderle, lasciando così la caverna immersa nell’oscurità più totale. Il silenzio era turbato solo dal gocciolare dell’acqua che cadeva in piccoli rivoli dalle immense stalattiti che ricoprivano l’alto soffitto, reso invisibile dal velo di buio che avvolgeva tutto lo spazio circostante. Sbuffò irritato. Possibile che non potesse concedersi mai neanche un attimo di pace? C’era sempre un motivo che lo costringeva ad abbandonare quello che stava facendo. Ma, d’altra parte, non poteva certo rifiutarsi di obbedire quando lui lo chiamava, soprattutto dopo quello che aveva combinato durante il suo ultimo viaggio. Era già tanto se al suo ritorno non era stato costretto a combattere per salvarsi la pelle. Aveva deciso di risparmiarlo solo perché lui era l’unico sempre disposto ad aiutarlo nei suoi piani, ad eseguire i suoi ordini, e quella scusa lo aveva tirato fuori dai guai molte volte. Troppe forse. Quindi non poteva permettersi di fare un altro passo falso. Soprattutto visto che l’unica persona che avrebbe potuto proteggerlo dall’ira del suo “datore di lavoro” al momento era lontana da lui e non sarebbe tornata molto presto. Accelerò il passo. Prima sentiva cosa voleva quello da lui, prima avrebbe potuto levarseli dai piedi e riprendere a programmare con calma il suo prossimo gioco.
Le sue pupille a mandorla si contrassero per mettere meglio a fuoco per le ombre. Bene, ora avrebbe scoperto il motivo della fretta del suo “superiore”. Quando fu più vicino si bloccò e chinò, seppure con riluttanza mal celata di proposito, il capo in segno di rispetto.
“Hai fatto presto. Molto bene. E così sei venuto davvero. Non avevo dubbi. D’altronde non avevi altra scelta, a meno che tu non fossi pronto a dire addio alla vita” lo accolse sarcastica l’ombra posta al centro. Sul volto delle altre tre comparve un ghigno divertito e i loro denti appuntiti brillarono nel buio minacciosi.
“Cosa posso fare per te questa volta?” domandò lui, senza badare alla presa in giro, incurante anche degli sguardi fissi su di lui, che non promettevano nulla di buono.
“Una missione molto delicata e seria. Devi recuperare un’anima e portarla da noi” fu la risposta.
“Un’anima?” ripeté lui, sorpreso. C’era solo un motivo perché lui potesse chiedergli una cosa del genere. Ed ecco spiegata l’urgenza con cui era stato chiamato. “Quel tipo di anima, vero?”.
“Esatto. Ne è nata un’altra e noi non vogliamo che la ottengano i nostri avversari. Non possiamo permetterlo, la scorsa volta se la sono presa con troppa facilità. Sai bene quanto sono preziose e soprattutto rare”.
“Era stato mandato un imbecille probabilmente. Dovreste imparare a scegliere meglio i vostri agenti” commentò lui con voce innocente che nascondeva però un tono decisamente sarcastico. “Davvero una perdita insanabile. Ne nasce una ogni mille anni, se non vado errato”.
“Vedo che te ne intendi. Quindi capirai anche perché sei stato scelto per questo compito. Non abbiamo intenzione di ripetere l’errore dell’altra volta, non sei d’accordo?”. La voce della figura si fece minacciosa anche se quella continuò a sorridere in modo inquietante. “Sei uno dei pochi che sa ambientarsi tra gli umani senza dare troppo nell’occhio e poi anche l’obiettivo è un moccioso come te. È la tua occasione per riscattarti. Fa’ quello che ti chiedo e potremmo dire che gli ultimi problemi che hai causato sono acqua passata”.
“Immagino di non avere altra scelta. Comunque stavo giusto pensando di farmi un giretto sulla terra” fece lui mentre un sorrisetto gli si allargava sul viso. “Potrei anche divertirmi”.
Gli occhi rossi del suo interlocutore lampeggiarono. “Attento, questa sarà la tua ultima possibilità. Prenditi gioco di me o tradisci i miei ordini di nuovo e per te non ci sarà scampo in nessun luogo. Nessuno potrà proteggerti da me, ricordatelo bene”.
“Ricevuto. Trova il bersaglio, togli di mezzo gli eventuali rompiscatole, prendi l’anima e rientra alla base. Niente di più semplice” sogghignò lui in apparenza per nulla spaventato dalla minaccia, anche se in realtà l’idea di dover combattere contro di lui lo impensieriva e non poco. E questa volta sarebbe stato da solo. “O almeno, facile per me, salvo imprevisti”.
“Sei stato avvertito” disse ancora l’ombra. “Ora va’ e vedi di non perdere tempo in cosa inutili come tuo solito. Sicuramente a quest’ora l’informazione sarà arrivata anche ai nostri avversari” ordinò la figura, quasi irritata dal suo comportamento così ostinatamente poco serio. Affidare una missione del genere a quel moccioso. Aveva un pessimo presentimento. Ma d’altra parte era uno dei migliori tra quelli disponibili al momento. E anche tra quelli che non lo erano.
Lui chinò nuovamente il capo. “Quell’anima è già qui”. Si voltò. “Ci sarà da divertirsi, poco ma sicuro” mormorò poi tra sé e sé allontanandosi. Chissà se il suo avversario sarebbe stato di nuovo quel tipo. In fondo di solito mandavano sempre lui quando la situazione era critica e vitale. Come in quel caso. Il ghigno sul suo volto si allargò. Ci sperava perché allora sì che la faccenda sarebbe stata davvero interessante.
William
fissava
con aria assorta il fascicolo che aveva appena finito di leggere e che
ora giaceva aperto sulla sua scrivania di fronte a lui. Quella missione
lo aveva preso davvero alla sprovvista, il che non era una cosa che
capitava spesso. A quanto pareva sulla terra era comparsa
un’altra di quelle anime e, com’era ovvio, il
dipartimento voleva recuperarla a tutti i costi prima che lo facessero
i demoni. E ovviamente per quella missione tanto delicata aveva scelto
uno dei loro uomini migliori. Tutto come al solito. E infatti non era
tanto la missione in sé ad impensierirlo. Ciò che
lo preoccupava, o meglio, che lo irritava era il fatto che per compagno
gli avessero affidato quell’imbecille di Grell Sutcliff che
di sicuro avrebbe reso le cose molto più difficili, a
partire dal non farsi scoprire dal loro avversario. Certo che chiunque
avesse pensato di mandare lo shinigami rosso a compiere quella missione
doveva essere un emerito imbecille, anche se ovviamente non glielo
avrebbe mai detto in faccia: era una faccenda di primaria importanza,
che richiedeva tatto, scrupolosa attenzione, serietà
assoluta. Tutte doti che Sutcliff decisamente non possedeva.
Ma
forse
più della presenza di Grell lo turbava quello che quasi
sicuramente sarebbe stato il demone con cui avrebbero dovuto
scontrarsi. Abbassò lo sguardo sulla faccia purtroppo fin
troppo nota che lo fissava divertita e strafottente dalla foto
segnaletica della pagina del rapporto. Si fece scuro in volto e la sua
mano corse istintivamente alla montatura degli occhiali. Quel
mocciosetto infernale era una delle pochissime creature che potevano
fargli perdere la calma. E di certo non poteva biasimarsi dopo quello
che gli aveva combinato quel bastardo circa un secolo prima.
Sospirò rassegnato. Avrebbe svolto quella missione come
aveva fatto con tutte le altre, che ci fosse quel moccioso di mezzo o
meno. E questa volta non gli avrebbe permesso di metterlo in ridicolo.
In fondo se gli avevano affidato quel compito era perché i
suoi superiori conoscevano bene le sue capacità. Anche se
aveva il sospetto che qualcuno dei piani alti, per fargli uno scherzo a
suo parere di pessimo gusto, avesse proposto lui proprio
perché era coinvolto quel particolare demone. A quel
pensiero fece una smorfia. E forse sapeva anche chi avrebbe potuto
giocargli un tiro del genere.
Si
alzò e prese la giacca. Per prima cosa doveva recuperare
quell'idiota di Sutcliff che era sulla terra a fare quello che gli
usciva meglio: combinare guai. Magari gliene avrebbe anche dette
quattro già che c’era. Almeno avrebbe potuto
sfogare il suo malumore su qualcuno. E Grell era la persona che
più di tutte poteva offrirgli gratuitamente tutti i pretesti
del mondo per raggiungere quello scopo.
Kyler
guardava
distrattamente fuori dalla finestra. Nella strada oltre il giardino la
gente camminava in fretta, indaffarata. C’erano donne del
popolo che trasportavano ceste con la biancheria da lavare, altre che
tiravano per la mano i propri figli per evitare che si perdessero nella
folla, nobildonne che passavano in carrozza con i loro mariti o che
passeggiavano sui marciapiedi con le loro dame di compagnia, uomini che
correvano verso il loro posto di lavoro o che si fermavano a parlottare
tra loro agli angoli degli edifici, mocciosi di strada che giocavano
rischiando spesso di venire investiti dalle vetture in corsa. Avrebbe
tanto voluto essere là in mezzo a loro, a sporcarsi di fango
e a strapparsi i vestiti, piuttosto che stare in quella sala linda e
grande insieme al suo insegnante privato. Avrebbe tanto scambiato la
noia con la fame, con il dolore fisico, con la fatica,
perché la sua comoda vita lo stava conducendo pian piano
alla disperazione più nera.
Da
quando anche
suo padre era morto, la sua vita sembrava aver perso significato. Sua
madre era morta di parto ma lui non ne aveva sentito troppo la mancanza
perché Victor Bysse, suo padre, aveva tentato di sostituirla
in tutti i modi, crescendolo con tutto l’affetto che lui
necessitava. L’aveva istruito personalmente, lasciandogli
però la libertà di scegliere la strada che
preferiva senza mai fargli mancare il suo appoggio e senza mettergli
fretta o fargli pressione. Quindi la sua vita era trascorsa serena, tra
gli agi seppure spartani che il lavoro di mercanti permetteva loro.
Kyler imparava con rapidità tutto quello che gli
veniva insegnato, con particolare predilezione per la letteratura. Era
bravo a scrivere, veramente bravo, e l’alta
società in cui era stato introdotto dagli amici di suo padre
apprezzava molto i suoi lavori, per quanto strani fossero. Infatti la
maggior parte dei suoi racconti trattavano di soprannaturale, in
particolare di angeli e demoni per i quali il ragazzo aveva sviluppato
una passione dopo aver letto le opere di Milton e l’Inferno
di Dante. Inutile dire che suo padre era orgogliosissimo del suo
successo e glielo dimostrava ogni volta che poteva.
Sebbene
la sua
famiglia fosse abbastanza ricca da permetterselo, non avevano mai
comprato il titolo nobiliare: erano più che fieri delle loro
origini borghesi. Victor compiva spesso viaggi per mare per curare in
prima persona i suoi affari e stare accanto ai suoi lavoratori e
collaboratori. Era un uomo solare, di anima decisamente popolare, e un
idealista dell’uguaglianza sociale. Kyler era fiero di essere
suo figlio e sosteneva gli ideali paterni con la stessa bruciante
passione che metteva nei suoi scritti. Erano felici di quello che
avevano, la loro vita sembrava, per quanto possibile, perfetta. Poi,
proprio durante uno di quei viaggi di lavoro, era accaduto. La ciurma
si era ammutinata e durante il tragitto suo padre era stato ucciso per
aver tentato di difendere un mozzo che si rifiutava di tradire la
parola data al capitano della nave. La notizia
dell’ammutinamento era giunta in fretta e la marina inglese
si era mossa velocemente, ma non abbastanza per salvare Victor.
La
notizia gli
era giunta in un pomeriggio di primavera come quello, due anni prima.
Una giornata normale. Che si era tramutata in un Inferno. Dopo era
successo tutto in fretta, troppo in fretta. Kyler era stato adottato da
Sir Francis Barret, un conte amico di suo padre, la cui moglie non
poteva avere figli e che per questo era stato assai felice di prendere
con sé il figlio del suo carissimo amico defunto. Il nobile
e sua moglie aveva tentato di non fargli mancare nulla, restituendogli
addirittura la figura materna che gli era sempre mancata, ma la vita di
Kyler era irrimediabilmente cambiata per sempre. Non solo aveva perso
la persona che sosteneva la sua esistenza e le dava senso, ma con lui
se n’erano andate anche la sua libertà di scelta e
la sua felicità. Il conte lo aveva costretto a prendere
lezioni da vari insegnanti privati che gli insegnavano tutto quello che
un nobile doveva sapere, senza curarsi delle doti artistiche del
ragazzo. Gli avevano impedito di continuare i suoi racconti assurdi e
lo avevano indirizzato verso temi più classici,
più convenienti al figlio adottivo di un
conte. I suoi
scritti piacevano ancora, più di prima forse, ma non
soddisfacevano lui che ormai scriveva solo per far piacere al suo
tutore. Inoltre il suo sogno di diventare uno scrittore errante era
andato in frantumi quando gli avevano annunciato che era destinato a
prendere il posto di presidente nell’attività
commerciale del conte di Barret. Lui si era sottomesso con
rassegnazione al suo destino deciso dagli altri senza consultarlo.
Tanto la sua voglia di vivere davvero se n’era andata con suo
padre. Era rimasto uno studente brillante, ma ormai non metteva
passione in nessuna delle cose che apprendeva e che studiava. Lo faceva
solo perché doveva. Se fosse dipeso da lui avrebbe preso la
prima nave e sarebbe salpato verso una destinazione sconosciuta. Ma
ovviamente non poteva. Era destinato ad altro. Gli avevano anche
già trovato una fidanzata, una duchessa figlia di un
importante latifondista, e presto avrebbe dovuto sposarla, anche se non
aveva ancora diciassette anni. Lui l’aveva conosciuta. Era
una brava ragazza, capiva la sua sofferenza, ma nonostante
ciò lui non riusciva ad amarla. E non l’avrebbe
mai fatto. Ma avrebbe seguito senza lamentarsi il corso determinato
della sua inutile esistenza.
“Signorino?
Mi sta ascoltando?”. La voce del maestro lo
riportò al presente. “Qualcosa non va?”.
“No,
è tutto ok, vada pure avanti. Mi perdoni, mi ero
incantato”rispose il ragazzo, tornando a volgere i suoi occhi
verso l’uomo. Le sue iridi avevano un colore davvero
insolito: erano di un viola intenso, striate di verde. I diversi
esperti che lo avevano esaminato avevano affermato di non aver mai
visto occhi del genere. Lui comunque non presentava nessun problema di
vista e la colpa era stata data a qualche malformazione genetica
innocua. Meglio così. Perché andava fiero dei
suoi occhi. Lo distinguevano dagli altri. E lo etichettavano come
figlio di suo padre.
“Signorino,
non dovrebbe dare del “lei” ai servitori, quante
volte glielo devo ripetere?”gli fece notare paziente
l’insegnate.
“Non
mi
interessa. Lei è una persona ed è più
grande di me. Quindi io le devo portare rispetto. Non importa la classe
sociale. Mio padre ha dato la vita per un mozzo. E io, suo figlio, non
ho intenzione di mancare la base del rispetto civile verso le persone
che mi circondano”fu la risposta convinta.
Il
maestro
sospirò, sconfitto, e riprese la lezione. Quel ragazzo
sapeva essere testardo. Non dava problemi a nessuno però su
quelle piccole cose era irremovibile. In un certo senso era contento.
Non erano tanti i nobili rampolli che ti trattavano da persona e non
come se fossi una bestia.
Terminati
i corsi
per quel giorno, Kyler scese la scalinata diretto al portone di uscita
dove sicuramente lo stava aspettando il maggiordomo del suo tutore per
riaccompagnarlo alla villa di campagna. Il conte infatti era con la
moglie in viaggio per affari in Francia e aveva dato ordine che il
figlio adottivo abitasse nel villino lontano dalla città,
per sicurezza. Londra era una capitale caotica, dove la malavita
prosperava anche in pieno giorno, e quindi il nobile non aveva nessuna
intenzione di lasciare il suo erede così esposto ai
pericoli. Kyler, da parte sua, aveva come sempre accettato quella
scelta passivamente, anche se era contrario. A lui Londra piaceva,
anche con tutto il suo rumore e la sua confusione, perché
gli dava quell’idea di vitalità che mancava del
tutto nella tranquillità monotona della villa. Aveva
ottenuto però dai genitori adottivi di poter continuare a
compiere i suoi studi in città, risparmiando così
lunghi e scomodi viaggi ai suoi maestri e ottenendo anche di poter
passare qualche ora a pochi passi dalla vita vivace della capitale.
Percorse
il
vialetto che attraversava il giardino con la cartella contenente i suoi
libri a tracolla. Si era rifiutato di farla portare al servo che in
quel momento gli si indaffarava intorno, sistemandogli i vestiti e
cercando di convincerlo che non era decoroso che un conte portasse da
sé il proprio bagaglio. Ma lui lo ignorò
ostinatamente per tutto il tragitto e, una volta giunto al cancello,
congedò gentilmente l’uomo che, rassegnandosi come
il maestro ai desideri e al comportamento anticonvenzionale del suo
signorino, si inchinò lievemente e rientrò in
casa.
Il
ragazzo si
prese un attimo per respirare ed assorbire i rumori che gli giungevano
dalla strada prima di spalancare il cancello. Ma prima che potesse
muovere anche un solo passo fuori dalla recinzione un braccio gli
sbarrò la strada, costringendolo a bloccarsi. Kyler, preso
alla sprovvista, alzò i suoi occhi viola che ne incontrarono
un paio cremisi con la pupilla stranamente a mandorla. Davanti a lui si
era parato un ragazzo che non poteva avere più anni di lui,
vestito con una divisa che ricordava vagamente quella dei soldati
semplici dell’esercito, ma priva di contrassegni e
completamente nera, e con ai piedi degli stivali stringati con la suola
spessa. Aveva i lineamenti affilati, quasi felini, ma al tempo stesso
sinuosi, e sulla pelle candida del viso gli ricadevano ciuffi
disordinati di capelli blu elettrico. I suoi denti erano vagamente
appuntiti. Lo sconosciuto gli sorrideva divertito e il suo sguardo
rosso sangue era fisso su di lui, ipnotico.
“Kyler
Bysse, figlio adottivo del conte Barret, immagino”disse con
sicurezza lo sconosciuto senza smettere di sorridere in quel modo
inquietante.
Kyler
annuì, sempre più sorpreso. Chi diamine era quel
tizio? E come faceva a conoscerlo?! Sperò che non fosse uno
di quei malavitosi da cui il suo tutore voleva proteggerlo.
“Sono io. E tu saresti?”rispose cercando di
mostrarsi calmo anche se l’ansia aveva iniziato a salirgli.
“Sono
la sua nuova guardia del corpo, signorino. Il suo tutore ha scritto una
lettera all’agenzia per cui lavoro per richiedere qualcuno
che la proteggesse ventiquattr’ore su
ventiquattro”spiegò lo sconosciuto mostrandogli
una lettera in apparenza comparsa dal nulla. “In fondo, nella
sua situazione, è normale che il signor conte voglia i
migliori per proteggerla”.
Il
ragazzo
esaminò la lettera con attenzione, sospettoso. Sembrava
proprio la calligrafia del conte ed era rivolta al capo di
un’impresa che non aveva mai sentito nominare. Probabilmente
era una di quelle agenzie segrete di cui i nobili si servivano per
curare la parte losca dei loro affari. Nello scritto si accennava a un
probabile attentato alla sua vita che sarebbe dovuto accadere nei
giorni seguenti, ma non si diceva nulla su chi avrebbe dovuto compierlo
e perché e si richiedeva immediatamente l’uomo
migliore di cui l’agenzia disponeva. Però nella
lettera c’erano dei riferimenti a una corrispondenza
precedente dove il conte aveva sicuramente dato al capo
dell’organizzazione tutte le informazioni necessarie.
Comunque, lui potè constatare che la firma era autentica e
quindi decise che poteva rischiare di fidarsi. Alzò lo
sguardo sul suo interlocutore e gli rese il foglio. “Un
attentato alla mia vita? Che significa?”chiese cercando di
mostrarsi calmo, anche se in realtà tutta quella faccenda lo
innervosiva e non poco.
“Il
suo
tutore non le aveva detto nulla?”chiese l’altro, in
apparenza sorpreso. “Probabilmente non voleva impensierirla
prima di aver compiuto le opportune indagini. Ma ormai è
certo. Stanno venendo a prenderla. Anzi, potrebbero essere
già qui a guardarci”. I suoi occhi lampeggiarono
pericolosamente. “Ma non si deve preoccupare, io sono qui per
proteggerla. E quando ci sono io non muore nessuno se non chi voglio
che muoia”.
Kyler
annuì incerto, per nulla rassicurato da quelle parole. E se
quel tizio fosse stato uno dei criminali che lo cercavano, che aveva
preso il posto della sua vera guardia del corpo per arrivare a lui?
Poteva davvero fidarsi? Insomma, era giovane per essere
l’uomo migliore di quel tipo di agenzie. Troppo giovane. E
poi il suo aspetto e il suo sguardo in particolare erano inquietanti.
Se mai avesse dovuto scrivere di un demone in forma umana,
l’avrebbe descritto esattamente come si presentava lo
sconosciuto. A quel pensiero rabbrividì. Possibile che
quello strano ragazzo fosse davvero una di quelle creature infernali
che popolavano la sua fantasia? Quasi a rispondergli quello gli rivolse
un altro dei suoi sorrisetti che però era molto
più simile ad un ghigno soddisfatto, mentre nei suoi occhi
cremisi si accendeva un altro lampo. Il ragazzo ebbe la sgradevole
impressione che quell’essere, qualunque cosa fosse, potesse
leggergli nella mente e la cosa lo inquietò ancora di
più. Doveva prendere una decisione. “Va bene, mi
fido della tua parola e verrò con
te”mormorò con voce incerta dopo qualche attimo di
silenzio.
Il
sorriso parve
allargarsi sul volto della creatura. “Bene, signorino. Se
vuole seguirmi…La carrozza ci aspetta più avanti
in un vicolo laterale. Ho preferito non farla venire qui, sarebbe stata
un bersaglio troppo facile”disse voltandosi.
“Aspetta
un attimo prima di andare!”lo bloccò il ragazzo.
“Visto che dovremmo passare ogni minuto del nostro tempo
insieme da adesso a non si sa bene quando, posso almeno sapere il tuo
nome? Voglio sapere a chi sto affidando la mia vita”.
Il
demone lo
fissò serio. Quel ragazzino non si prospettava niente male
come compagno di avventure dopo tutto. Era rimasto quasi calmo anche se
aveva appena scoperto che c'era qualcuno che voleva la sua vita.
Inoltre aveva scelto di fidarsi di uno sconosciuto, ma non l'aveva
fatto ingenuamente bensì solo dopo aver esaminato le prove
che potevano dimostrare che poteva dargli fiducia. Peccato che in
realtà fossero false. Ma questo ovviamente quell'umano non
poteva saperlo. Così come non poteva sapere che chi gli
stava dando la caccia erano demoni e shinigami che volevano molto di
più della sua vita. Iniziava a piacergli quella missione.
Magari dopo avergli preso l’anima avrebbe potuto tenerlo con
sé. “Il mio nome? Puoi chiamarmi
Zachary”fece con calma. Un nuovo ghigno gli
illuminò il volto. Avrebbe potuto usare quel nome, tanto,
visto il loro legame, era più che legittimo.
“Zachary Michealis”.
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