Rieccoli lì,
dove ogni cosa è cominciata. Dove tutto finirà.
Sembra solo uno
stupido modo di dire -e l'ha sempre considerato tale- ma 'sembra
ieri'. Sembra trascorso un solo giorno da quel primo appuntamento.
No, non gli è
stato annunciato nulla, ma sa perfettamente quello che sta per
affrontare.
Ci sono i segni,
seppur difficilmente individuabili. Abbracci mancati, mani che non si
trovano più come un tempo e neppure forse si cercano. Ad un
occhio esterno, nulla però è cambiato.
Norge non è
il tipo da tenergli la mano in pubblico, neppure mettersi a baciarlo
in un luogo come quella spiaggia, neppure se gli unici spettatori
danno già spettacolo.
No, lui è
quello che gli tiene discretamente la mano solo quando sono tanto
vicini che è impossibile distinguerli. Hanno addosso lo stesso
cappotto. Colore e modello.
Come sembra
ridicolo, adesso.
Un anno esatto da
quando li hanno comprati. Inizialmente non era previsto -nulla, tra
loro, lo è mai stato, è sempre stato un caso, un colpo
di testa-, aveva avuto quell'idea solo nel negozio, quando per
divertimento si era provato lo stesso cappotto, scherzandoci su.
Cappotti identici,
blu scuro. Un colore che sta decisamente male al danese, ma che, sul
momento, non importava affatto. Norge aveva detto la solita cosa
carina mascherata da commento sarcastico e li aveva presi, senza
neppure pensarci... che cosa aveva detto, per convincerlo?
Probabilmente nulla
di eccessivamente carino.
Anche
i guanti avrebbero dovuto essere identici, per portare la follia al suo
apice, ma ne rimaneva un paio del modello che piaceva ad entrambi ed
avevano finito per comprarli ed indossarne un paio in due. Norge
continuava a sottolineare come fosse un'idea del danese, quella, ma
era stato lui a metterla in atto.
Non
aveva parlato, fuori dal negozio, quando aveva cominciato a nevicare.
Aveva separato i guanti dal pezzo di plastica che li teneva insieme e
se n'era infilato uno, dando il secondo a Den e prendendo la mano al
freddo con la propria, nascondendola dentro la tasca del cappotto.
Senza una parola.
Che
cos'aveva detto sui cappotti? Giusto, come ha fatto a dimenticare?
Se ci teniamo per
mano e siamo abbastanza vicini, le persone, da lontano, ci
prenderanno per una persona sola. Non sapranno dove inizia uno e
finisce l'altro.
Parole
rarissime, quelle, tanto che doveva averle scritte sul calendario e
poi trascritte in quell'agendina che portava sempre, in cui segnava
tutte le frasi che gli scaldavano il cuore e che era proprio il suo
ragazzo a pronunciare.
Come
ci sono finiti su quella spiaggia, abbastanza lontani da essere
soltanto due uomini stupidi con lo stesso cappotto?
Mette una mano in
tasca, rovistando tra caramelle, chiavi e troll di plastica, fino a
raggiungere le sigarette.
Le tira fuori, apre
il pacchetto, ne tira fuori una facendo scorrere prima il dito sui
filtri, come per sceglierne una -come se non fossero tutte
maledettamente uguali, anche loro- e se la porta alle labbra.
Gli lancia
un'occhiata mentre accende, ma il norvegese continua a fissare
l'acqua e non nota neppure il rumore dei tentativi dell'accendino
mezzo vuoto per creare una fiamma.
Alza lo sguardo
verso il cielo ed ha il riflesso di buttarsi nella sabbia, liberando
nella caduta un po' dell'ansia che gli sta mangiando pezzo per pezzo
lo stomaco. E' grigio. Probabilmente pioverà tra poco. E' uno
di quei momenti di calma irreale prima di un temporale. E' tutto
troppo calmo per non insospettirsi.
Oh, ironia. Persino
gli elementi lo prendono in giro. O forse è solo lui a vedere
similitudini ovunque.
“Detesto
quando fumi.”
Si volta verso
Norge, leggermente sorpreso e si lascia sfuggire una risata amara,
insieme al fumo. “Detesto quando menti.” ribatte,
portandosi le ginocchia al petto e poggiandovi la guancia, il viso
rivolto verso di lui.
Non gli importa di
sembrare ferito prima del tempo o di non sorridere come al solito. E
sa perfettamente di sembrare patetico.
Gli importa di poco,
ormai. Solo della sensazione di vuoto che continua a crescere nel
petto.
“Dimmelo e
facciamola finita, Norge.”
L'altro sobbalza ed
infila una mano nella sabbia. Pensa che dopo sarà pieno, che
rimarrà nelle maniche e che gli darà fastidio e che la
sua pelle si arrosserà da morire.
Sa che non dovrebbe
importargli neppure.
“Ho baciato
un'altra persona.”
Ah.
Ha sicuramente molta
sabbia nella gola e altrettanta è riuscita ad entrare nei
polmoni, bloccandoli e rendendo una tortura anche fare semplici
respiri. Non ha sempre fatto così male, respirare, vero?
“Quella che è
iniziata come un'amicizia è sfociata in questo e prima di fare
altri danni forse è meglio finirla.”
Finirla.
Anche se non si
ferma per balbettare o cercare le parole, sente che quelle sono dette
con difficoltà. Almeno anche lui soffre.
Gli sfugge un
sorrisetto sadico, ma lo reprime. Ha combattuto per reprimerla,
quella parte... hanno combattuto, insieme come un tempo ed è
anche merito suo se riesce a prenderla bene, senza afferrare il primo
oggetto contundente per sfogare la rabbia su chiunque osi
presentarglisi davanti. Gli riconosce quel merito, per quella rabbia
scomparsa, ma non sente altro, quindi ci dev'essere qualcosa di
irrimediabilmente rotto. Irreparabile.
A cosa serve essere
sani, ora? A cosa serve sentirsi tanto vuoti, sentire soltanto il
deserto nella gola e i polmoni e il nulla totale nel petto?
“Dan...”
“Come si
chiama?”
“Dan...”
“Non chiamarmi
come se non fosse mai successo nulla!” riesce a sbottare,
stringendo i pugni e raddrizzandosi, improvvisamente furioso.
“Mattæus...”
Non è meglio.
Affatto. Sentirsi chiamare con quel nome, dopo quelle parole, davanti
a quell'incredibile distanza che è riuscito a mettere di nuovo
tra loro, dopo i mesi e gli anni trascorsi a creare un ponte, pietra
dopo pietra, un sorriso, uno sguardo, un tocco gentile... tutto...
per niente?
Quel nome è
insopportabile perché solo lui può usarlo. Un nome che
gli ha dato, per separare la Nazione e la persona che ama. Che amava.
Danmark non è
Mattæus.
Ah,
Mattæus. Ha un suono meraviglioso. Aveva. Deve imparare
che quello è il passato, che fa parte soltanto dei ricordi. Un
suono bello e sempre diverso, Mattæus... la dolcezza del miele
in quello del buongiorno e il fuoco quando lo gemeva un milione di
volte mentre facevano l'amore.
Ricordi. Cose che
non torneranno. Perse.
“Per
lei chi sei? Lukas?” chiede, infilando la mano nella sabbia
fredda e stringendo il pugno. Perché questo terrore? E' solo
un nome... Solo uno stupido nome inventato una mattina in cui erano
ancora stanchi ed assonnati per la notte appena trascorsa.
“Non
essere ridicolo, Lukas è solo tuo.” è la risposta
pronta di Norge, mentre si volta finalmente verso di lui.
Se
Lukas è suo, allora... significa che Lukas è morto?
“Mi
dispiace.”
Un'altra
cosa imparata insieme, quella. Chiedere perdono, superare l'orgoglio,
abbassare la testa e riconoscere una colpa quando questa fa male
all'altro. Non sono cose da fare in pubblico, neppure quelle, ma poco
importa, no? L'importante è il gesto, dovunque esso sia.
“Non
importa.” gli risponde, automaticamente, alzandosi e
spazzolandosi i vestiti con le mani.
Comincia
a fare freddo e non ha guanti. Deve andare a casa, prima di...
Danmark...
Mattæus. Lukas ti ha lasciato, hai capito?
Ha
capito. Sa esattamente tutto ciò che sta perdendo.
Sta
perdendo il suo viso come la prima cosa che vede al mattino. L'aroma
di caffè come presenza costante in ogni angolo della casa. Le
sue mani nelle proprie quando si ferma a guardare fuori dalla
finestra e lui lo avvolge, aspettando che termini il proprio
fantasticare, la testa sulla sua spalla a guardare lo stesso nulla.
Il suo peso sul petto quando dormono insieme. Raccogliere le fragole
di bosco e litigare su come mangiarle -ogni anno- finché
inevitabilmente non decidono di fare a metà. La fossetta che
gli si forma sulla guancia quando sta sognando qualcosa di bello e
sembra un sorriso. I tentativi di cucinare qualcosa insieme che
terminano sempre con qualche ustione ed una pietanza orribile ma
miracolosamente buona. Il modo in cui gli accarezza i capelli quando
guardano la televisione sul divano. Come gli stringe la mano quando
qualcuno li addita per strada. La sua furia quando le occhiate
diventano insulti, che sembra placarsi solo quando l'altro fa qualche
battuta sui poveri sfigati che non hanno capito nulla della vita.
Tutto
questo è irrimediabilmente perso.
Vorrebbe
aver immortalato ogni singolo istante, per dire che non tutto è
perduto.
“Ucraina.
E' lei.”
Scuote
la testa. Non gli importa neppure quello. Eppure deve dire qualcosa,
reagire, non può stare fermo a dare calci alla sabbia, no?
Deve fare una battuta, dire qualcosa di incredibilmente stupido.
Ma
Lukas non era quello timido di fronte agli altri? Quello che doveva
assolutamente fuggire o farsi scortare quando doveva conoscere
persone nuove? Come ha fatto a conoscere abbastanza quella donna -che
poi, da quando gli piacciono le donne?- da baciarla, da decidere di
mandare all'aria tutto, al diavolo il proprio ragazzo, per stare con
lei?
Da
qualche parte una vocina gli sussurra che potrebbe essere la causa
della sua sicurezza e della propria rovina.
Si
sente... svuotato.
Tornare
a casa raggomitolarsi sotto le coperte, per ora, sembra l'unico
futuro possibile... almeno per qualche tempo. Ma no. Le lenzuola
hanno il suo profumo.
Andare
da Berwald. Infilarsi nel letto degli ospiti. Liquirizia e detersivo
sono odori innocui, vero? Sì, è un buon piano B. E'
quasi sicuro che Svezia non lo caccerà di casa non appena si
presenterà alla porta. Con un po' di fortuna Tino gli
preparerà anche qualcosa di caldo. Veleno per topi, ad
esempio. Non sarebbe affatto male, se ci pensa.
“Ucraina
è Tino con le tette, Lukas. Quando lo saprà Berwald lo
chiuderà in cantina per paura che glielo rubi!” esclama,
senza energie, accendendo l'ennesima sigaretta, dicendosi che potrà
fumarne fino a sciogliersi i polmoni, d'ora in poi. Dovrebbe essere
consolante?
“Non
si lasceranno mai, quei due, lo sai. Berwald ne impazzirebbe.”
sussurra il norvegese.
Si
mordicchia la mano, laddove inizia il pollice, in un gesto nervoso
che non fa da moltissimo tempo.
Berwald
impazzirebbe. E lui? Lui, con la sua psiche rattoppata a fatica, con
quella voragine che ha sempre sentito nel petto, chiusa soltanto dai
suoi gesti e dalle sue rare parole, non rischia lo stesso?
“Ucraina.
Oh, davvero, non ho possibilità contro la sua intelligenza. Di
cosa parlate? Ammesso che parliate.” sibila, scuotendo la
testa. Ha ancora la gola secca e quelle parole escono quasi atone,
senza la giusta dose di rancore e rabbia.
Battuto
da una forma parassitaria di tette su un corpo ospite. Non si ricorda
neppure la sua voce, non è molto certo che abbia mai parlato.
E' possibile che si esprima con il boing boing,
in alfabeto Morse?
“Oh
bé, fosse stata la sorella avrei cominciato a pensare che la
tua fosse una patologia o che avessi uno strano fetish per i malati
mentali.” continua, sempre meno convinto, sempre più
vuoto.
Ancora?
Probabilmente non lo sta neppure ascoltando. Non cambierebbe comunque
idea, no?
Ha
uno strano gusto in gola, ma non lo registra immediatamente. Se ne
accorge soltanto quando fa per sbottonarsi il cappotto, soffocato da
quel colore che comincia a detestare -è così? Detesterà
qualsiasi cosa piaccia a lui, ora?- e vedendo la mano martoriata.
Non
ha perso tempo, eh? La prima vecchia abitudine è una delle
peggiori. Si è morso fino ad arrivare alla carne, poi
all'osso, pezzo per pezzo e la mano sanguina abbondantemente. Non fa
abbastanza male da distrarsi, però. Ricrescerà ogni
cosa, nei minimi particolari, nel tempo di una settimana...
Ha
sempre funzionato. Un dolore per un dolore, fissare il sangue e
dimenticare quello che fa male dentro. Ora è troppo? Dovrebbe
staccarsi la mano, dito dopo dito, per stare anche solo un po'
meglio?
“Mattæus...
non farlo. Non...”
Oh,
mani. Quelle sono perfette e tengono le sue come se non avessero
fatto altro, tutta la vita. Come se fossero create per questo. Le
riconoscerebbe tra mille. Le stringe, sorridendo.
E'
stupido sorridere, ha quelle mani solo per qualche manciata di
secondi, non può trattenerle.
Si
macchiano del suo sangue, ma a lui non sembra importare. Il gesto
successivo è automatico e patetico, ma si considera ormai
tale, quindi non importa neppure quello.
Si
porta la mano al petto e la stringe, poi torna a guardarla. Sta
gocciolando di sangue, come se fosse stata fisicamente dentro al
petto a comprimergli il cuore.
Sentimentale
e melodrammatico come sempre, vero Danmark?
Appena
metterà piede in casa di Berwald gli sequestrerà la
discografia completa degli ABBA per completare il quadretto patetico.
Oh,
ma chissà se ci arriverà, fino a lì.
Il
mare, quando si accorge di essere rimasto solo, è diventato
dannatamente invitante.
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