kodomo no monogatari
Autore: reilin
Titolo della storia: Kodomo
no Monogatari
Rating: Verde
Genere: Malinconico,
Sentimentale, Fluff
Tipologia scelta:
One-shot
Avvertimenti:
Missing Moments, One-shot
Introduzione: «Maestro, non riesco
a dormire», si lamentò Koryu, chiamando a
sé il suo adorato precettore, «Mi raccontate una
storia?», gli chiese infine con una vocina tremolante che
proveniva da sotto le coperte, dove aveva nascosto il viso,
vergognandosi.
Citazione&Oggetto&Fiore:
Citazione n.5:
Il fiore che sboccia nelle avversità è il
più raro e il più bello di tutti. [Mulan] ; Oggetto: libro; Fiore: Magnolia
Immagine: immagine
n.3
Wordcount: 1831
(contatore di Word)
Note dell'autore: 1.
Ho sempre desiderato scrivere una fan fiction che raccontasse la prima
infanzia del piccolo Koryu e del suo rapporto con Komyo Sanzo:
è un tema troppo poco trattato dagli scrittori del fandom.
Ho quindi approfittato dell’occasione presentatasi con questo
Contest per raccontare uno dei “Missing Moments” a
me più cari: il ritrovamento del neonato Koryu da parte del
Venerabile Komyo Sanzo. Ho lavorato di fantasia, integrando i pochi
elementi forniti dalla Minekura nel manga con quanto narrato nel
capitolo 9 dello “Xi You Ji” di Wu Cheng En (si
tratta, per chi abbia un po’ di confidenza con la storia del
libro, del famoso e controverso capitolo che parla
dell’origine del monaco Tripitaka e che alcuni sinologi non
attribuiscono all’autore Cheng En). Il risultato di questo
lavoro è questa fan fiction, che mi ha fatto penare non poco
nella sua stesura (maledetto blocco dello scrittore!) e,
benché non mi soddisfi in pieno, ha ormai deciso in
autonomia di essere giunta alla sua forma definitiva.
2. Questa storia ha
partecipato al Contest
“Di Fiori e Paesaggi”
indetto da MyPride
sul forum di EFP classificandosi al secondo posto
e ricevendo il Premio
Giuria(... come attestano questi meravigliosi bannerini
♥♥♥).
3. Partecipante al The One
Hundred Prompt Project con il prompt 031.Sole.
La
notte era scesa sul Kinzanji1
, la luce del plenilunio illuminava il
giardino del tempio mentre una lieve brezza muoveva le fronde degli
alberi. Komyo Sanzo guardava distrattamente fuori dalla finestra, perso
in chissà quali pensieri, quando una vocina proveniente dal
lato opposto della stanza richiamò la sua attenzione. Il
monaco si avvicinò al piccolo letto nel quale giaceva un
bimbo di appena cinque anni, gli occhi color ametista lucidi e la pelle
d’alabastro arrossata a causa della febbre alta. Gli
accarezzò la testa, spostando delle ciocche di capelli
dorati dalla fronte per poi saggiargli la temperatura con un bacio.
«Come ti
senti, Koryu?», gli domandò dolcemente il bonzo.
Il bambino, nonostante respirasse affannosamente, non mancò
di rivolgere al suo maestro un sorriso: «Ho tanto freddo,
Venerabile Sanzo».
Il monaco dai lunghi
capelli biondi gli rimboccò le coperte del letto e
rassicurò il suo protetto: «Vedrai che presto
starai meglio, ora cerca di riposare». Così
dicendo Komyo Sanzo tornò accanto alla finestra, ad ammirare
come i candidi raggi della luna rilucessero sulle foglie lucide e sui
carnosi e nivei fiori dell’antico albero di magnolia che si
trovava proprio di fronte a lui, i cui boccioli emettevano una
fragranza dolce ed ipnotica, in grado di rapire i sensi del bonzo, che
si perdeva in estatica contemplazione di quel paesaggio notturno.
«Maestro,
non riesco a dormire», si lamentò Koryu, chiamando
a sé il suo adorato precettore, «Mi raccontate una
storia?», gli chiese infine con una vocina tremolante che
proveniva da sotto le coperte, dove aveva nascosto il viso,
vergognandosi.
L’uomo
tornò accanto al capezzale del bambino e con un sorriso
indulgente gli chiese:«Vuoi che ti legga di nuovo la storia
di Sargon di Akkad?».
Il bambino
annuì felice, facendo capolino da sotto le coltri del letto,
rassicurato dalla gentilezza dei modi del suo maestro,
mettendosi più comodo possibile per ascoltare quel racconto
che gli piaceva tanto. Komyo si avvicinò alla libreria in
legno chiaro che occupava un angolo di quella piccola stanza e prese da
essa un libro
dalla lucida copertina in pelle color cremisi, ornata con
fregi e lettere dorate. Quel tomo gli era stato portato in dono da quel
suo amico tanto bizzarro quanto geniale, quell’Ukoku, ed in
esso si narravano le più sorprendenti leggende delle
civiltà dell’Ovest, molte delle quali erano del
tutto sconosciute ai più. Il bonzo si sedette sul letto
accanto al suo pupillo, sfogliò le pagine del libro fino a
raggiungere l’inizio della storia, poi iniziò a
raccontare con la sua voce pacata:
«
Nel tempo
in cui la Mesopotamia era una terra fertile e ricca, una bellissima
sacerdotessa ebbe un figlio altrettanto bello, che chiamò
Sargon. Non potendolo tenere con sé, la madre
pensò di affidarlo al fiume, così lo pose
dolcemente in un canestro di vimini che spinse lontano dalla riva
sperando che il suo piccolo fosse trovato e cresciuto da buone persone.
Così fu. Un portatore di brocche trovò il cesto
incagliato tra le canne e portò il bambino nella sua dimora
dove crebbe forte e sano. In seguito, divenuto adulto divenne un
importante consigliere di Ur-Zababa, re di Kish…»
«Venerabile
Sanzo…», la voce esitante del piccolo malato
interruppe il racconto del bonzo , «… anche io
sono stato abbandonato sul fiume come Sargon, vero?».
Un sorriso dolceamaro
si dipinse sul volto di Komyo Sanzo: aveva ormai compreso che il motivo
per il quale a Koryu interessava tanto quella storia era
perché gli ricordava la sua situazione di trovatello
abbandonato alla nascita alle acque del fiume.
«Maestro, mi
raccontereste ancora una volta di quando mi avete trovato e preso con
voi?», chiese con tono di supplica il bimbo biondo.
Il monaco gli rivolse
un grande sorriso e, scompigliandogli i capelli d’oro con una
mano, capitolò infine alla richiesta del suo protetto:
«E va bene, piccola peste, stammi a
sentire…».
Mentre narrava al
piccolo Koryu la storia del loro incontro, le parole riportarono alla
mente di Komyo Sanzo le vivide immagini di quel giorno di alcuni anni
prima.
Era
un giorno di
autunno inoltrato ed il bonzo si era recato in visita allo
Shidereyanaji[2]
, un tempio posto a valle rispetto a quello di Kinzan;
dopo aver trascorso buona parte della giornata a recitare sutra e ad
impartire lezioni sulla via del Buddha, al calare del sole, Komyo ed il
suo seguito si erano rispettosamente congedati dal soujou[3]
del tempio ed
erano ripartiti alla volta del Tempio della Montagna d’Oro. I
due monasteri erano collegati da un sistema di canali che aveva il suo
fulcro nel grande fiume Yosuko, così, come al solito, il
venerabile Sanzo ed il suo assistente, l’abile monaco Shuei,
che stava iniziando il suo tirocinio come esorcista, salirono
nuovamente sulla piccola barca a remi che li avrebbe condotti a Kinzan.
Mentre la barca iniziava a muoversi lentamente fra le placide acque del
fiume, Komyo osservava in silenzio contemplativo il disco
solare tramontare dietro le verdi montagne che circondavano la valle,
mentre i suoi ultimi raggi aranciati disegnavano misteriosi arabeschi
sul tetto della pagoda occidentale del tempio, sulle fronde degli
alberi e sul filo dell’acqua , che si increspava al
passaggio dell’imbarcazione. I due monaci proseguivano il
loro viaggio di ritorno verso il monastero immersi in questa atmosfera
sospesa nel tempo, ognuno perso nei propri pensieri, nelle
proprie occupazioni e preoccupazioni.
La
barca procedeva
spedita lungo il corso del maestoso fiume, sospinta dalle vigorose
remate di Shuei ed accompagnata da una lieve brezza, troppo tiepida per
appartenere davvero ad una giornata di fine novembre.
Ad
un tratto qualcosa
attirò l’attenzione del monaco biondo, un rumore,
sembrava un lamento…
«Shuei,
lo
senti anche tu questo strano suono?», chiese
all’altro bonzo, che dopo essere rimasto per un attimo in
silenzio ed essersi guardato attorno, scuotendo la testa , gli rispose:
«Mi dispiace, Venerabile Sanzo, io non sento proprio
niente…»
«Sarà
stata la mia immaginazione», commentò allora
l’altro sorridendo, «forse ho solo bisogno di un
po’ di riposo».
La
piccola
imbarcazione proseguiva il proprio percorso verso la Montagna Dorata
nel più assoluto silenzio: Komyo cercava di non pensare a
quel misterioso suono, ma per qualche strano motivo non riusciva a
distogliere la sua mente da esso e così divenne
preda di un’inspiegabile agitazione.
I
due monaci giunsero
infine in vista del maestoso tempio di Kinzan: fu in quel momento che
quel suono divenne più forte nella mente del bonzo dai
lunghi capelli biondi, crebbe d’intensità fino a
diventare una voce implorante che si rivolgeva proprio a lui, a Komyo
Sanzo, e chiedeva un disperato aiuto. Si guardò attorno, in
preda ad una crescente inquietudine, poi tornò a domandare
al suo compagno di viaggio: «Adesso la senti anche tu
questa voce, vero?». Shuei gli rivolse uno sguardo
carico di preoccupazione e gli ripeté ancora una volta che
non sentiva nessuna voce, davvero. Questa volta però
l’abate di Kinzan non si lasciò convincere che si
trattasse di un brutto scherzo dettato dalla stanchezza,
anche perché quella voce nella sua testa diventava sempre
più forte, esprimendo senza parole
un’inequivocabile richiesta di salvezza impellente, un sommo
bisogno di protezione che divennero infine percepibili alle
sue orecchie sotto forma di un disperato pianto di un neonato. Come in
preda ad uno stato di trance, Komyo prese i remi dalle mani di Shuei ed
iniziò a vogare energicamente fino a dirigere la barca nei
pressi dell’argine del fiume, dove, con grande stupore di
entrambi, si trovarono di fronte a ciò che mai avrebbero
creduto potessero vedere. Incagliata all’argine del
fiume vi era una tavola sulla quale era legato con una
cintura di un kimono da donna niente meno che un neonato che piangeva
disperatamente con tutta l’energia che aveva in corpo. Il
monaco biondo tirò in secca la tavola e prese il bimbo fra
le braccia, osservandolo con attenzione: era davvero piccolissimo -
poteva avere al massimo un paio di giorni -, sulla sua testolina
spuntavano dei finissimi capelli del colore dell’oro, attorno
al collo aveva un juzu[4]
dai grani scarlatti, ed il suo piccolo corpicino
era avvolto in una candida camicia di seta di pregevole fattura, segno
questo che colei che l’aveva abbandonato alle acque del fiume
Yosuko doveva essere di nobile famiglia.
Avvinto
da una
tenerezza indicibile, Komyo cullando dolcemente il neonato, gli disse
sorridendo: «Allora eri tu che mi chiamavi,
eh?». La voce dolce e profonda del bonzo
attirò l’attenzione del bimbo che
spalancò i suoi profondi occhi color ametista, rivolgendogli
uno sguardo che lo colpì dritto al cuore, cambiando in un
solo istante la sua concezione di ciò che era giusto o
sbagliato, di quello che rendeva la vita degna di essere
vissuta…
«Venerabile
Sanzo, ed ora cosa ne farete di questo bambino?», gli
domandò il giovane esorcista.
«Questo
neonato mi ha chiamato con un’insistenza tale che non posso
far altro che prenderlo con me… il suo nome da oggi
sarà Koryu della Corrente del Fiume»,
replicò serenamente l’abate di Kinzan,
giocherellando con una manina del bimbo.
«E
così ti presi con me senza chiedere il permesso a
nessuno», disse Komyo al piccolo Koryu che lo ascoltava con
attenzione da sotto le coperte, «ed ogni volta che ti guardo
non posso fare a meno di pensare quanto sia vero quel proverbio che
dice: “Il
fiore che sboccia nelle avversità
è il più raro e il più bello di
tutti”. Sì, le dure prove che hai
dovuto
affrontare fin dalla tua nascita hanno fatto e faranno di te una
persona speciale, che mi renderà sempre fiero, qualunque sia
la strada che tu scelga di intraprendere».
Gli occhi color
ametista del bimbo scrutarono ammaliati la figura del bonzo: le sue
parole erano state talmente intense, così pregne
di recondite aspettative e di un tale incondizionato affetto, che il
piccolo discepolo non era riuscito ancora a coglierne in pieno la reale
portata, sentiva solo dentro di sé un’estrema
urgenza di esprimere al suo maestro tutta la sua gratitudine per averlo
salvato, per averlo preso con sé, per amarlo così
tanto.
«Venerabile
Sanzo, tutto quello che io sono lo devo a voi: come potrò
mai ringraziarvi?», esclamò con le lacrime agli
occhi.
Komyo Sanzo si
avvicinò al suo protetto e lo abbracciò forte:
«Non ringraziarmi, Koryu, non avrei potuto fare diversamente,
davvero. Mi hai chiamato con una voce che non era una vera voce, ma che
indubbiamente era rivolta a me: il tuo è stato un appello a
cui non potevo non rispondere, e che mi ha cambiato la
vita…», gli rispose con una voce che non riusciva
a mascherare l’emozione.
“…
per questo, se necessario, non esiterò un solo istante a
dare la mia vita per te…”, si disse il
bonzo fra sé e sé, consapevole che sarebbe giunto
il giorno in cui, da buon padre, avrebbe dovuto sacrificare ogni cosa,
compresa la sua stessa esistenza, per lui.
[1]
La
traduzione di Kinzanji in italiano è : “Tempio (Ji) della Montagna
d’Oro (Kin- Zan)”.
[2]
Nome
di fantasia inventato da me, in italiano significa “Tempio
(Ji) dei
Salici Piangenti (Shiderayana)”.
[3]
Il
soujou è l’abate più importante di un
tempio buddista.
[4]
Il juzu è un rosario
buddista
formato da 108 grani, utilizzato nella recitazione dei sutra e dei
mantra.
Note a fine storia:
1. La leggenda di Sargon di
Akkad: ci sono molte leggende che
narrano di bambini abbandonati alla corrente del fiume, poi diventati
personaggi importantissimi: Mosè, Romolo e Remo, Sargon di
Akkad, ecc… Io ho scelto quest’ultimo in quanto mi
è sembrata essere la storia che più
“plausibilmente” avrebbe potuto essere conosciuta
da Komyo Sanzo (è la più antica e la
più “orientale”).
2. Ukoku Sanzo aka Professor Nii:
la Sensei Minekura nel Burial ci
racconta che Komyo Sanzo ed Ukoku Sanzo , pur così diversi,
sono grandi amici. Vista la genialità e
l’”apertura mentale” di
quest’ultimo, chi meglio di lui avrebbe potuto regalare al
bonzo biondo un libro sulle leggende occidentali?
3. Shuei aka Rikudo:
questo personaggio così importante nella
vita di Sanzo, a cui lui regalerà il suo rosario buddista:
l’unico oggetto che aveva quando è stato trovato
sul fiume. Ho per questo voluto che fosse presente anche lui
nel momento in cui Komyo Sanzo trae in salvo e prende con sé
il piccolo Koryu.
4.
Il ritrovamento di Koryu sul
fiume Yosuko: in cinese fiume Hung.
Secondo il capitolo 9 dello “Xi You Ji”
l’abate Fa’Ming (in giapponese Komyo Sanzo) ritrova
il bimbo mentre è intento a meditare. In questa fan fiction,
per poter usare l’immagine n.3 della sfida, ho immaginato che
invece il ritrovamento avvenisse mentre il monaco è di
ritorno da un viaggio sul fiume Yosuko.
Contest "Di
Fiori e Paesaggi" | Premio Giuria
Questa storia partecipa al The One Hundred Prompt Project con il prompt
031.Sole.
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