Autore:
Shizue Asahi
Titolo: Un altro
Personaggi: Ted/Andromeda, Famiglia Black
Genere: Romantico, Introspettivo
Avvertimenti: One-short, Missing Moment.
NdA:
il titolo è riferito sia a una battuta di Andromeda, sia al
fatto che lei è un’altra
Black, un'altra
bruciatura sull’arazzo. Non so qual è la data di
nascita né del padre di Luna,
né di Ted, quindi ho dato per buona l’ipotesi che
fossero nati nel 1953. Spero
di non aver fatto pasticci con le date! >.<
Un
altro
Hogwarts,
1 settembre 1964
I primini erano tutti
allineati, schiacciati gli uni sugli altri, come a farsi forza. I
più
mingherlini faticavano per non essere schiacciati e alcuni si alzavano
sulle
punte dei piedi per sbirciare, oltre le teste dei loro compagni, la
Sala Grande
e i quattro tavoli che portavano gli stendardi delle Case di Hogwarts.
Il professor Silente li
chiamava uno per uno, li faceva sedere e gli ficcava in testa il
Cappelli
Parlante.
Andromeda guardò
curiosa
l’oggetto lacero e smunto, chiedendosi se fosse vero che
potesse leggerti nella
testa. Bellatrix aveva detto di sì, ma, anche se aveva solo
undici anni, sapeva
bene che Bella si divertiva a prenderla
in giro, per citare le parole della madre.
Con la coda
dell’occhio
individuò la chioma scapigliata della sorella, seduta al
tavolo dei Serpeverde,
intenta a commentare l’ultimo acquisto di Tossorosso:
Mullicent Tod, una
ragazzina piccola, estremamente bassa anche per la sua età,
con i capelli rosso
fuoco stretti in due treccine che le arrivavano a malapena alle spalle
e la
gonna della divisa troppo lunga, che le intralciava i movimenti.
Mentre Andromeda la
osservava dirigersi verso il tavolo dei Tassorosso ebbe
l’assoluta certezza che
fosse una Nata Babbana. Nessun Purosangue camminava facendo ciondolare
le
braccia in quel modo assurdo!
Sbuffò, annodandosi
un
boccolo castano all’indice della mano destra. Non vedeva
l’ora che Silente le
facesse indossare il Cappello Parlante e che quell’affare la
spedisse a
Serpeverde. Sì, a Serpeverde, lei era una Black e tutti i Black finivano a Serpeverde.
Un altro ragazzino si
alzò
dallo sgabello e si diresse verso il tavolo di Grifondoro e poi Silente
chiamò
un altro nome, l’ennesimo, e non era lei. In quanti dovevano
essere smistati?
Andromeda lanciò
un’occhiata
obliqua ai suoi compagni, non
erano più
di una decina. Bene.
-Ciao.- le sussurrò
un
ragazzino all’orecchio e lei sussultò
impercettibilmente.
Non rispose, limitandosi ad
osservare dubbiosa il suo interlocutore. Era alto non più di
dieci centimetri
più di lei, aveva il volto paffuto, le guance rosee, i
capelli di un biondo
spento e l’aria di chi ha vissuto nella più
completa bambagia fino a qualche istante
prima.
-Io sono Ted Tonks.-
insistette lui, sfiorandole una spalla con la mano.
-Andromeda Black.- rispose
lei, sicura di metterlo a tacere con il suo cognome, ma così
non fu.
-Vieni da una famiglia di
maghi?- riprovò lui, sorridendole gioviale, mentre un
ragazzino incredibilmente
alto e sottile lo tirava per una manica del pullover grigio.
-Sì, e tu sei un
Nato
Babbano.- rispose noncurante, spostando lo sguardo sul tavolo dei
Serpeverde,
lasciando a intendere di non essere intenzionata a continuare la
conversazione.
Ted si passò una
mano tra i
capelli biondi e fece per riaprire bocca quando Silente
chiamò il suo nome.
Andromeda lo vide diventare
paonazzo e avvicinarsi ciondolando allo sgabello. Sorrise interiormente
quando
il Cappello Parlante, troppo grande, gli si calò fino alla
funta del naso
tondo.
-Tassorosso!-
sentenziò dopo qualche minuto il cappello.
Ted se lo tolse dalla testa,
si girò a guardarla indirizzandole un sorriso di
incoraggiamento e poi si
diresse verso i suoi compagni di casa.
Dopo di lui fu il turno di Xenophilius
Lovegood, un ragazzino magro e allampanato, dagli occhi incredibilmente
vispi e
il sorriso facile. Il cappello lo mandò a Corvonero e fu
accolto da un applauso
soddisfatto e da un paio di pacche sulle spalle.
-Andromeda Black.-
recitò in fine Silente e la piccola Black
si diresse verso di lui a piccole falcate, con le spalle dritte e lo
sguardo
fiero.
Silente sorrise vedendola
tutta impettita e lasciò che il
Cappello Parlante calasse sui suoi boccoli bruni con delicatezza.
Andromeda, seduta
rigidamente sullo scomodo sgabello, era
tentata di far dondolare un po’ i piedi, tanto per far
scemare un po’ il
nervosismo, ma si trattenne dal farlo. Tutti la stavano guardando, Bella la stava guardando.
Le sembrò che
il cappello indugiasse più del dovuto su di
lei e avvertì un rivolo di sudore gelido scenderle
giù per la schiena.
Alla fine, con una vocina
squillante e fastidiosa, le chiese
in quale casa ritenesse di dover andare.
-Serpeverde.-
rispose
prontamente, così come aveva imparato a fare in undici anni
di vita.
-E Serpeverde sia!-
trillò il Cappello Parlante, di modo che
tutti lo potessero sentire.
Sollevata si
alzò dallo sgabello e si diresse verso il
tavolo dei Serpeverde, poi si bloccò e avvertì le
guance andarle a fuoco.
Ripercorse i suoi passi, si sfilò dalla testa il Cappello e
lo riconsegnò al
professore.
Una volta al tavolo della
sua casa incontrò lo sguardo della
sorella e decise che per quella sera era meglio che le si sedesse
lontana.
Hogwarts, 13
dicembre 1967
Gli stivaletti neri
affondarono nella neve, mentre con passo spedito faceva ritorno al
castello.
Le mani intirizzite infilate
nelle tasche del cappotto e i boccoli castani schiacciati da un
cappello di
lana. La sciarpa, annodata un paio di volte attorno al colo esile
dondolava ad
ogni suo passo e la borsa sbatteva fastidiosamente contro la sua gamba.
Al suo fianco Charlaine Harris e Penelope Hagges,
entrambe Serpeverdi
del suo stesso anno, si lamentavano, inveendo ferocemente contro il
vecchio e,
ormai, decrepito preside, chiedendosi perché diamine
dovessero uscire dal
castello con un tale gelo.
Andromeda contrasse le
sopracciglia sottili, girando il capo. Avrebbe voluto dir loro che “dovevano fare Erbologia, per Erbologia
servivano le serre e le uniche disponibili si trovavano al limitare
della
Foresta Proibita”, ma si trattenne dal farlo,
probabilmente appariva una
cosa ovvia solo per lei.
Strinse il più
possibile i
denti, nel tentativo di attutire il rumore che producevano battendo, ma
non ce
ne fu bisogno. Charlaine lanciò un grido indignato e prima
che lei riuscisse a
voltarsi per capire che cosa fosse successo, si ritrovò
stesa per terra, con la
faccia affondata nella neve gelida e un dolore sordo
all’altezza dell’orecchi
sinistro, come se fosse stata colpita da qualcosa di estremamente duro
e
freddo.
Puntò le mani per
terra e cercò
di rialzarsi, con pochi risultati. Digrignò i denti,
intontita e poi si sentì
sollevare, mentre una voce familiare borbottava parole incomprensibili.
-Mi dispiace, non vi abbiamo
visto!- ripeté per l’ennesima volta Ted Tonks
stringendole un braccio preoccupato.
Il viso rosso e paffuto, gli
occhi accesi dalla preoccupazione e dalla vergogna.
Andromeda non ebbe il tempo
di rimettersi in piedi, dirgli di non toccarla e di andarsene indignata
come
avrebbe voluto. Ted, infatti, si sfilò la sua sciarpa e
gliela strinse attorno
al collo, su quella che già indossava, poi la
tirò su e le pulì il cappotto
dalla neve. Il tutto mentre Charlaine e Penelope incantavano un paio di
palle
di neve, indirizzandolo a un gruppo di Tassorosso poco lontani da loro.
-Ah, beh, ora siamo pari.-
disse pacata Andromeda alludendo a due degli amici di Ted stesi a
faccia in giù
nella neve.
-A quanto pare sì.-
rispose
sorridendo e per un secondo Andromeda si chiese se le sue guance
fossero
davvero così rosse per il freddo.
Ted si passò una
mano
guantata tra i capelli biondi e prima che potesse aggiungere altro Penelope
afferrò l’amica e la trascinò via
per un braccio.
-Stupidi Tassorosso, usare
un’ora buca per una stupida battaglia a palle di neve, manco
fossero dei
Grifondoro.- si lamentò Charlaine con voce così
alta che coprì il saluto di
Ted.
Il
Tassorosso le osservò allontanarsi in
silenzio, concentrato sul curioso dondolare dei capelli di Andromeda.
Si
riscosse solo quando una delle palle di neve di Andrius Niggolse lo
colpì in piena
faccia.
Una volta nella sala comune
dei Serpeverde Charlaine abbandonò le amiche per dirigersi
verso Marcus Oddball,
del sesto anno e Penelope si eclissò dicendo che doveva fare
un salto in
biblioteca.
Andromeda si
ritrovò sola,
in mezzo alla sala comune, con il cappotto e due sciarpe. Sorrise
privando le
mani bianche dei guanti. Poi sollevò lo sguardo e
incontrò un paio di occhi
identici ai suoi.
Bellatrix le lanciò
un’occhiata indagatrice, sorridendole sarcastica, poi si
voltò, chiamata da
Narcissa.
Andromeda non perse tempo,
si strappò la sciarpa di Ted dal collo, la piegò
con cura e se la infilò sotto
al cappotto, defilandosi nella sua stanza.
Hogwarts, 25 maggio 1969
La scuola era quasi giunta
al termine e gli studenti si erano riversati fuori dal castello per
godere dell’aria
primaverile, c’era persino chi asseriva di sentire
già la sabbia tra le dita
dei piedi. Ma, dopo cinque anni, i suoi compagni di casa avevano
imparato a non
dare troppo retta a Xenophilius
Lovegood.
Andromeda si spostò
con una
mano i ricci capelli dalla spalla destra e si maledì
mentalmente per non
essersi portata un codino. Faceva caldo, incredibile a dirsi, ma
quell’anno non
solo non tirava un alito di vento, ma l’estate aveva persino
deciso di arrivare
in anticipo, giusto in tempo per godersi i loro G.U.F.O.
Osservò scettica
alcuni
ragazzi del quinto anno di Corvonero intenti a sfogliare i loro appunti
alla
ricerca di qualche nota mancata o di qualche particolare sfuggitogli,
mentre
dall’altra parte della stanza due Grifondoro si strappavano i
capelli e una
terza mostrava loro come far fare le capriole a una tazzina da
tè.
Charlaine si sporse oltre la
spalla di Andromeda e individuò una ragazza di Corvonero che
le doveva dare
degli appunti. Si scusò con l’amica e si
dileguò.
Andromeda la guardò
allontanarsi, chiedendosi dove diavolo fosse finita Penelope, di solito
era
sempre la prima pronta davanti alla porta di una classe in cui si
sarebbe
tenuto un compito o un corso particolarmente impegnativo. Una provetta
Corvonero se non fosse stato per la sua lingua tagliente ei suoi modi
altezzosi.
-Ciao.- le sussurrò
una voce
all’orecchi e Andromeda sussultò
impercettibilmente, non riconoscendola.
Si voltò facendo
dondolare i
boccoli castani e frustando così il viso tondo di Ted Tonks.
-Ahi!- si lamentò
lui
sfiorandosi il naso –Non volevo spaventarti.-
proseguì facendo
casualmente cadere l’occhio sulla
scollatura della camicia della Black.
-Non mi hai affatto
spaventata!- si difese Andromeda indispettita dall’occhiata
del ragazzo. Assottigliò
gli occhi grigi e osservò di sbieco la figura del
Tassorosso. Era diventato più
alto ed erano finiti i tempi in cui la superava di soli dieci
centimetri, ora
gli arrivava a malapena al mento; le guance si erano un po’
sgonfiate, ma
mantenevano comunque il loro colorito purpureo e i capelli gli stavano
dritti
sulla testa, manco li avesse incantati. Inoltre aveva cambiato voce
dall’ultima
volta che le aveva rivolto la parola.
-Ti è saltato un
bottone.-
disse a un tratto Ted, sfoderando la bacchetta. Fece un piccolo
movimento col
polso e il bottone tornò al suo posto, rammendato e infilato
nella sua asola.
-Grazie.- borbottò
Andromeda
sentendosi avvampare.
Cadde il silenzio e Ted
ripose con calma la bacchetta nella tasca posteriore dei pantaloni
scuri della
divisa.
-Sei nervosa, per gli esami,
intendo?- le chiese a bruciapelo, strofinandosi la nuca con la mano
destra.
-No.- rispose pacata
Andromeda, cercando con gli occhi Charlaine –Sono brava con
gli incantesimi.-
-Ah, beata te, io sono un
disastro, so fare giusto quelli per rammendare i vestiti. Vitiuos
è convinto
che farò saltare per aria gli esaminatori.-
scherzò lui, con una vena di
preoccupazione.
Andromeda lo fissò
negli
occhi, facendogli diventare le guance ancora più scure.
-Sono sicura che non
accadrà.-
disse alla fine, pacata. Poi individuò Penelope, intenta a
parlare con un
ragazzo di Tassorosso di cui non conosceva il nome.
Fece un cenno di saluto a
Ted, gli voltò le spalle e si allontanò.
Hogwarts, Stesso giorno
-Allora, signor Tonks.-
disse gentile Alabastar Galouye –
Sarebbe così gentile da far fare una capriola a questa
teiera- e gli allungò
una grossa teiera di porcellana finemente lavorata.
Ted ingoiò un paio
di volte
a vuoto, osservando il riflesso della luce sulla superficie panciuta
dell’oggetto.
“Sono
sicura che non accadrà.” La voce pacata
di Andromeda gli tornò
alla mente e sorrise sicuro di sé.
Agitò la bacchetta,
farfugliò qualche parola confuse e poi lanciò
l’incantesimo.
Galouye gridò,
mentre
entrambi venivano violentemente sbalzati all’indietro.
Ted atterrò con la
schiena per terra
e, mentre il dolore
del colpo lo rintontiva, pensò che anche quella volta aveva
avuto ragione Vitiuos.
-Fuori! Fuori!-
inveì
l’esaminatore al suo indirizzo, tirandosi velocemente in
piedi e sistemandosi
la lunga tunica celeste che, nell’impatto, si era sollevata
mettendo in mostra
i suoi mutandoni. –Fuori!- gridò una terza volta e
Ted reputò cosa poco saggia
farselo ripetere di nuovo. Afferrò la sua bacchette e
lasciò velocemente
l’aula.
Una volta chiusa la porta
lanciò un’occhiata sconsolata a Mullicent Tod e
imboccò uno dei corridoi
laterali, diretto verso il suo dormitorio.
“Ah, e chi se lo
sarebbe sentito, il Frate Grasso!” pensò
tra sé,
mentre la sua attenzione veniva catturata da una chioma castana e si
andava a
schiantare contro una delle armature disseminate per il castello.
Andromeda Black si
fermò in
mezzo al corridoio, avvertendo un fragoroso rumore.
-Che
c’è?- le chiese
Penelope nervosa. Oggi era strana, troppo strana, ed era la giornata
sbagliata!
-Hai sentito?- le disse,
girando la testa nella direzione di un corridoi laterale.
-Sarà Pix che si
diverte
come al solito. Andiamo.- borbottò la Serpeverde liquidando
lì la cosa e
afferrando l’amica per un braccio, trascinandosela dietro.
Andromeda lanciò
un’ultima
occhiata alle sue spalle. Nessuno aveva riso, si era sentita solo
un’imprecazione. Non era stato Pix!
Hogwarts, 16
febbraio 1971
Parlava, parlava e parlava
ancora. Dalla sua bocca usciva una fiumane di parole apparentemente non
collegate tra di loro e Andromeda si stupiva si se stessa. Non aveva
mai
parlato tanto in vita sua, né tantomeno riso. Anche
perché, come sua madre non
mancava mai di sottolineare, la sua risata somigliava al grugnito di un
maiale.
Ted sembrava pendere
praticamente dalle sue labbra e la sollecitava a continuare ogni volta
che si
fermava per riprendere fiato. E
Andromeda gli raccontava di sua sorella, di sua madre, del suo elfo
scorbutico,
di suo cugino che si rifiutava di dire che sarebbe diventato un
Serpeverde, di
come Charlaine si fosse invaghita di un Corvonero del settimo anno e di
Penelope che si rifiutava di parlarle perché non le aveva
passato il compito
durante l’ora di pozioni, facendole prendere un cattivo voto.
Poi gli spiegò la
gerarchia
che vigeva nella sua famiglia, accennandogli alla scomparsa di Marius,
e
all’arazzo con il suo albero genealogico che ornava il
salotto di sua zia
Walburga. Di sua nonna che vi aveva personalmente cancellato il nome
del suo
secondogenito, un magonò, un disonore per la famiglia!
Ted ascoltava in silenzio,
ammaliato dalle piccole labbra vermiglie di Andromeda, che si
piegavano,
socchiudevano, assottigliavano, distendevano seguendo il ritmo del suo
discorso.
-Però.- disse alla
fine –E
io che pensavo che mia madre fosse una tiranna.- scherzò.
-Le madri babbane devono
essere incredibili!- aggiunse a un tratto la Black, spiazzandolo.
-Perché?-
-Beh, lavano, stirano, si
occupano di marito, figli e casa senza magia!- spiegò come
se fosse una cosa
ovvia.
-Sì, davvero
incredibili.-
sussurrò Ted osservando la piccola bocca di Andromeda.
Premette le sue labbra su
quelle di lei, in un bacio delicato e timido. Si ritrasse dopo qualche
secondo,
vergognandosi di quello che aveva fatto.
-Scusami!-
farfugliò mentre
le orecchie gli si infiammavano.
Andromeda spalancò
gli
occhi, avvampando.
Cadde un silenzio
imbarazzante e Ted prese a passarsi la mano tra i capelli.
-Un altro!- esclamò
a un
tratto Andromeda.
-Eh?-
La Black si sporse in avanti
facendo sfiorare i loro nasi, in un impacciato tentativo di rendersi
accattivante.
-Un altro bacio.- gli
soffiò
sulle labbra.
Paiolo Magico, 17 novembre 1971
Era tardi e i
clienti si stavano tutti ritirando nelle loro stanze o tornando a casa.
Tom, il
gestore del Paiolo Magico, dietro al bancone, lucidava una grossa
caraffa di
vetro, il viso rugoso contratto in un cipiglio assorto e i baffoni
candidi
arruffati.
Una strega
dalla voce stridula lo salutò, lasciò una grossa
moneta d’oro sul bancone e
uscì dal locale.
Seduto ad un
tavolo un uomo dalle spalle larghe e la testa lucida si dondolava
pigramente
sulla sedia, facendo ciondolare le lunghe gambe, mentre fumava la pipa
e
riempiva l’abitacolo dell’odore pungente del
tabacco.
-Maledizione!-
borbottò a mezza voce Andromeda guardandosi in giro.
-Stai calma,
va tutto bene.- cercò di rassicurarla Ted sistemandole
meglio sulla testa il
cappuccio.
-Va tutto
bene? Stai scherzando, non è vero? Non mi sarei dovuta
lasciar convincere! Appena
lo verranno a sapere ti uccideranno!-
esclamò accalorandosi e stringendogli così forte
la mano da fargli male, ma lui
non si lamentò.
-Devono prima
trovarci, no? Fino a quel momento va tutto bene!- disse pacato,
sorridendole.
Andromeda si
schiacciò sulla sedia che occupava, osservando di sbieco la
porta del locale. Bellatrix si sarebbe
divertita un mondo a
darle la caccia e a bruciare il suo nome sull’arazzo!
Rimasero in
silenzio per quasi un’ora e Tom servì loro due
boccali di burrobirra,
osservandoli con sguardo paterno. Non erano di certo i primi ragazzini
che si
ritrovava tra i piedi, indecisi sul da farsi, scappati di casa e senza
un
piano.
-Piacerai
tantissimo a mia madre, non vede l’ora di conoscerti!-
sussurrò a un tratto Ted,
attirando l’attenzione di Andromeda.
Questa lo
fissò sconvolta –Sei impazzito?- gli chiese cauta,
quasi come se non fosse
sicura di aver sentito bene.
-No, certo che
no, non ancora, almeno!- scherzò, arruffandosi i capelli
biondi.
Andromeda lo
osservò sospettosa. Si era lasciato crescere un filo di
barba che gli dava
un’aria più matura, ma il viso era rimasto tondo
come la prima volta che le
aveva rivolto la parola.
Si infilò una
mano nel cappotto che indossava e ne tirò fuori una
scatoletta.
-Andromeda
Black.- esordì –Mi faresti l’onore di
diventare mia moglie?- disse diventando
completamente rosso.
La ragazza
emise un suono strozzato, mentre lui le mostrava un piccolo anello di
fidanzamento, molto semplice, tutto quello che era riuscito ad
acquistare con i
suoi risparmi.
Per poco
Andromeda non si strozzò con la burrobirra e ne
sputacchiò un po’ sul tavolo.
-Tu stai
tentando di uccidermi!- esclamò, mentre lui le infilava
all’anulare l’anello.
Lui le
sorrise, arricciando il naso tondo.
-E non ti ho
ancora detto di sì!- si infervorò.
-Allora è un
no.- Ted si rabbuiò e allungò una mano verso
l’anello.
Andromeda si
ritrasse –Non essere stupido, certo che non è un
no!- disse indignata posando
le labbra sulla guancia di lui e pungendosi con la barba.
Casa Black, 18 novembre 1971
Il sole era spuntato da poco
e l’elfo domestico si stava affrettando a preparare la
colazione per i suoi
padroni quando Druella Rosier cacciò un grido che
svegliò gli altri abitanti
della casa.
Cygnus Black, il marito, si
precipitò fuori dalla loro camera matrimoniale e venne
imitato dalle due figlie
nel giro di qualche secondo. E così quasi tutta la famiglia
si ritrovò riunita
sul pianerottolo.
-Che cosa ti prende, donna?-
chiese con voce dure infilando il braccio destro nella manica della
vestaglia.
-Se n’è
andata, tua figlia
non c’è!- sbottò mentre i capelli
biondi le ricadevano sul viso pallido.
Bellatrix sorrise velenosa
osservando la porta aperta della camera di Andromeda, mentre Narcissa
impallidiva, sapendo che cose stesse per dire.
-E’ scappata con
quel
mezzosangue!- sputò, infatti, velenosa.
Cygnus non si scompose,
limitandosi a corrucciare le folte sopracciglia nere.
-Non so di cosa tu stia
parlando, donna, le mie figlie sono tutte qui.- asserì
glaciale, sfiorando una
guancia pallida di Narcissa e scoccando un’occhiata ambigua a
Bellatrix. Poi
voltò le spalle alla moglie e si diresse verso la sala da
pranzo, al piano
inferiore. Bellatrix, invece, impugnò la bacchetta e
andò verso la stanza
dell’arazzo.
Druella seguì il
marito,
dopo qualche minuto e Narcissa rimase sola, davanti alla stanza della
sorella.
Guardò la porta
aperta e la
stanza vuota e un senso di angoscia le strinse la gola.
Se ne era andata, se ne era andata davvero!
[3.273]
|