ghen
Ricordo di te
Ricordo il profumo dei
magici fiori in
primavera, gli opachi primi raggi di sole che illuminavano le strade e
l’ingresso di casa della nonna. Ricordo le risate dei bambini che
correvano nelle
strade ancora un po’ umide dalle fresche piogge passeggere e del pane
caldo che
il caro signor Green
ci offriva come
colazione, gentile come sempre. E ricordo di te, disegnata sul
coperchio di una
scatolina, che danzava con un tutù rosa. Davanti a quella vetrina ogni
giorno
io venivo a trovarti, ammirarti, e sorriderti. Eri bella; il mio sogno
in
pastelli colorati. Solo mia.
La
voce stizzita della professoressa fu così vicina che, deglutendo, prese
ad
abbassare piano il quaderno che aveva posto come scudo sul suo banco,
cominciando
a sorridere mortificata.
«Megan
Rich, com’è che non la vedo mai attenta alle mie lezioni?», strabuzzò
gli occhi
la donna, scrutando sul suo banco il disegno abbozzato di quella che
sembrava
una ballerina ritratta con la penna, invece di prendere appunti come
tutti.
Finse
mezza risata. «Forse non mi guarda poi così spesso».
La
donna le rispose con una conseguente occhiataccia e alzò i tacchi verso
la
lavagna; ovviamente, per Megan Rich, quello
significava altri compiti extra di latino.
«Dovresti
almeno tentare di ascoltare la Foster
quando spiega», la sgridò la ragazza al suo fianco, mentre camminavano
per i
corridoi della scuola. «Poi lo sai com’è fatta quella! Sembra che tu lo
faccia
apposta a farla innervosire».
Megan
sbuffò. «È noiosa; il latino è noioso! Mi sono messa a disegnare per
tenermi sveglia»,
rise.
«Forse
dovevi cambiare indirizzo», replicò l’amica, raggiungendo il suo
armadietto.
«Uff…
Lo sai che se non faccio questo mia madre mi taglia i fondi per la
danza»,
mugugnò, incrociando le dita.
«Sarebbe
un buon proposito per smettere», rise, riponendo i suoi libri per poi
specchiarsi e passarsi il rossetto color carne sulle labbra, «Sei come
un orso quando
balli, lo sai che non fa per te», continuò a ridere.
«Bella
amica che ho», sbuffò ancora.
«Un’amica
sincera».
«Ma
vai! Ne capirai tu, di danza», le diede un colpetto per spingerla per
poi
essere spinta a sua volta, mettendosi a ridere.
Megan
Rich: alta un metro e settantadue, dalle spalle larghe e le ossa
grosse, un po’
troppo alta
e un po’
troppo
massiccia per la danza
classica, la sua passione. Ma Megan era determinata: sapeva perfino che
non ci
era portata, sbagliava spesso e cadeva ancor più spesso, eppure era
ancora lì
che ci provava. Sapeva bene cosa l’avesse portata alla danza: quando
era
bambina, nel quartiere dove abitava sua nonna, la vetrina impolverata
di un
vecchio negozio di cianfrusaglie mostrava sempre una piccola scatoletta
di
legno con sopra riportata una giovane ballerina, e affascinata, decise
che
doveva essere sua. Quello era il destino che si era scelta: la danza
gliel’avrebbe portata.
Si
impegnò con tutte le sue forze giorno dopo giorno; ancora non era
brava, ancora
era mediocre, ma ancora era lì con loro.
«Su,
ragazze», incitava l’insegnante. «Uno, due! Uno, due! Dritta quella
schiena!
Uno, due!».
Megan
seguiva le lezioni come tutte, con completo interesse, non saltando mai
un
passo, e anche se fuori tempo si impegnava per fare del suo meglio.
«Va
bene, basta così! Pausa».
Megan
riportò la gamba sinistra a terra, lasciando la stecca e allontanandosi
un po’ dallo
specchio, per avvicinarsi alla sua borsa e bere dell’acqua.
«Megan»,
la sua insegnante non perse tempo per avvicinarsi, sorridente.
Subito
la ragazza prese ad agitarsi, ingurgitando l’acqua ad una velocità
inaudita,
raschiandole la gola. «Dica».
«Ascolta,
che ne diresti di prendere parte alla prossima gara, il mercoledì che
viene?»,
chiese in un sorriso la giovane insegnante. «Ti andrebbe di appoggiare
le tue
compagne e affrontare il grande pubblico?».
Rossa
sulle gote cominciò a muovere la bocca, senza pronunciare parola.
«Allora?»,
sollecitò.
«…
Ma certo! Vo-Voglio dire, so di non essere brava come le altre, ma ce
la
metterò tutta! Senz’altro», sorrise a sua volta.
«Oh,
tu sei bravissima quanto le tue compagne e io sono certa che ce la
metterai
tutta! Ecco perché conto anche su di te», le poggiò una mano su una
spalla a
mo’ di incoraggiamento, facendola sobbalzare appena.
«Gr-Grazie…»,
mugugnò imbarazzata, traendo da quelle parole solo ciò che voleva
sentir dire ed
escludendo parti meno importanti come quel “anche”.
Abbassò un poco lo sguardo. «M’impegnerò giorno e notte».
«Pensa
anche a dormire, non voglio allieve semiaddormentate sul palco», rise,
prima di
lasciarla.
La
seguì con sguardo imbarazzato mentre si allontanava per parlare con
altre
allieve, attenta a non farsi sfuggire un più piccolo andamento. Quella
donna
non era solo la sua giovane e bellissima insegnante, ma era anche la
donna
della sua vita, si diceva Megan. Era normale all’età di quindici anni
pensare
di poter passare tutta la sua vita in compagnia della sua insegnante di
danza? Oh
beh, certo Megan non si faceva di questi pensieri, sperava solo di
poter
toccare quelle curve con mano, un giorno.
«Come
sta andando la danza?», suo padre spezzò il silenzio nel soggiorno
dalle luci
soffuse. Tutti avendo finito di cenare già da una mezzora guardavano la
tv
tranne Megan, in una poltrona, intenta a disegnare.
«Bene…»,
rispose in un sorriso. «La signorina Miller mi ha selezionata per
partecipare
alla prossima gara», riprese subito a tracciare i ciuffi sfuggiti dai
capelli
raccolti della sua ballerina sul foglio, mentre provava un saltello.
«Ah,
brava…», fece il padre, restando incantato al suo televisore.
«La
scuola invece?», interruppe sua madre, voltandosi a lei, «Come sta
andando la
scuola?».
«Va…
Normale».
«E
com’è il normale, secondo te? Ho incrociato una delle tue professoresse
al
supermercato oggi e mi ha detto che non stai mai attenta e non ti
applichi».
Megan
sbuffò. «Quale professoressa, la Foster? Lasciala perdere a quella,
tanto ce
l’ha con me».
«Non
ce l’ha con te se tu le fai vedere che sei una brava studentessa… Vedi
di
applicarti».
Terminò
così la discussione e Megan ritornò alla sua ballerina.
Se
voleva continuare a ballare, pensava, doveva frequentare per forza
quell’indirizzo
come aveva scelto sua madre; non c’era
via di scampo,
continuò per sé, aggiungendo le ombre a quel viso felice sul
foglio.
Il giorno
dopo, entrando in palestra da ballo, lei e le sue compagne videro
stupite che
non erano sole: una decina di ragazze erano dentro la sala, tutte
intorno alla
loro insegnante che parlava con una donna.
«Oh…
Ci mancava», disse una delle ragazze accanto a Megan, fermandosi tutte
davanti
all’ingresso. «Lo sapete chi sono quelle? Le nostre prossime
avversarie,
naturalmente», rise fingendo disgusto.
«E
che cavolo ci fanno qui?», chiese un’altra.
«Guardate…
Allora…», ricominciò la prima, «La vedete la biondina alle spalle di
quella
bassa? Quella con la sacca blu? Ho sentito che è una delle più brave».
«Che
brutta che è», rise un’altra.
«E
ho sentito parlare molto bene di quella coi capelli a più colori»,
riprese,
indicando.
Megan
ascoltava senza dire niente le sue compagne, e man mano voltava lo
sguardo su
chi era il centro della discussione: questa volta si trattava di una
ragazza un
po’ bassa, dal fisico asciutto che di certo le avrebbe permesso di
arrivare
lontano nel campo del ballo. Poi proseguì nello squadrarla: i piedi
sotto
converse di tutti i colori, una gonna rossa a scacchi con sotto leggins
neri, un
giubbottino in jeans con attaccate spille d’ogni genere, la sua bocca
si
muoveva con volgarità su e giù, masticando qualcosa, e sotto al labbro
inferiore portava un piercing; lo sguardo annoiato fissava il
pavimento. Di certo,
la cosa che spiccava maggiormente erano i suoi capelli, a tratti rossi
e neri,
con alcuni ciuffi blu, viola e biondi. Il suo aspetto di certo non era
quello
che si addiceva ad una ballerina di tutto rispetto: per Megan poteva
essere
brava quanto voleva, ma non aveva nulla delle ballerine che lei sognava
e
disegnava con tanto amore.
«Cioè,
se quella sa ballare, io mi butto sotto un treno», rise una,
distogliendola dai
suoi pensieri.
«In
effetti…», aggiunse la prima, «Eppure così ho sentito dire…».
Come hanno fatto ad
accettarla con un
piercing?
Pensò Megan.
Restò
a fissarla, quando in quel momento lo sguardo annoiato di quella
ragazza si
voltò a lei, scambiandosi una breve occhiata. Megan d’impattò arrossì e
distolse gli occhi, sentendosi colta in flagrante.
«Bene,
è stato un piacere parlarne insieme! Adesso andiamo, abbiamo disturbato
anche troppo»,
esclamò all’improvviso a voce alta quella che doveva essere
l’insegnante delle
altre ragazze, facendo un gesto di saluto con la mano e sorridendo.
Presto tutte
le ragazze si misero in fila e, dopo aver salutato, presero ad uscire
seguendo
la donna.
Megan
e le altre restarono accanto alla porta, ma quando quella ragazza dai
capelli
colorati le passò accanto, si pentì di non essersi spostata anche solo
di un
altro metro.
«Se
vuoi ti scatto una foto», disse lei, fissandola dritta negli occhi,
seria,
tanto dal farle gelare il sangue. Megan avrebbe voluto scomparire.
«Che
voleva quella da te, Meg?», chiese subito una delle sue compagne e
tutte si
voltarono curiose.
«Che
ne so… Chi l’ha mai cercata», rispose con la prima cosa che le venne in
mente,
prima di abbassare lo sguardo. Subito le sue compagne si misero a
civettare tra
loro contro quella ragazza: erano crudeli e dalla lingua tagliente,
quando ci
si mettevano.
«Quella
si fa di qualcosa…», commentò acida una, senza perdere tempo.
«Fa pietà…
Ma l’avete vista? E poi non mi venite a dire che sa ballare bene! Avrà
anche il
fisico, ma la classe, quella, se l’è venduta da qualche parte».
«Senza
contare il pessimo gusto nel vestire! Un pagliaccio! Ma d’altronde era
abbinato
ai capelli», risero tutte.
«Pessima»,
continuò la prima, «Secondo me si crede pure! Avete visto lo sguardo?».
E fu
in quel momento che cominciarono a dire delle cose che Megan avrebbe
preferito
non sentire.
«E
sarà pure lesbica! Secondo me ci guardava».
«Oddio,
no…».
«Sì,
vi dico che è così, l’ho vista io! Dovrebbero proibire il ballo alle
lesbiche!
Immaginatevi negli spogliatoi…».
Tutte
commentarono stizzite quell’infelice frase, ma Megan non disse una sola
parola,
nonostante sentisse l’impulso di gridarle addosso. Stupide oche senza cervello… Commentò per sé.
Lei
era lesbica da che ricordava, da bambina, quando immaginava di voler
baciare
lei la principessa addormentata nelle favole, o quando si accorse di
essersi
innamorata della ballerina nella scatolina, eppure non le sembrava
affatto di
essere saltata addosso a qualcuna di loro negli spogliatoi. Megan
voleva bene
alle sue compagne, ma loro non avrebbero capito.
«Oh,
e finiamola con queste stupidaggini, ragazze», l’insegnante le fece
tacere di
colpo, facendo arrossire Megan: lei avrebbe capito invece, pensò.
«Ascolti,
ma come si chiamava quella con i capelli multicolor?», domandò una
delle
ragazze, per poi voltarsi alle altre e a bassa voce sussurrare «La
lesbica…»,
per farle sghignazzare.
«Parlate
di Isabelle Moore?», fece lei, impegnata a controllare alcune
scartoffie in
mano. «È una delle allieve migliori della sua scuola di danza: mi
laverei la
bocca, fossi in voi, prima di parlare di lei! Dovreste preoccuparvene
per la
gara, piuttosto».
Tutte
restarono colpite da quell’affermazione, che di certo non lasciò
indifferente
nemmeno Megan.
«E
cosa ci sono venute a fare qui, comunque?», chiese una.
«La
gara di ballo è stata spostata, non la si fa più nel vecchio edificio
che hanno
cominciato a ristrutturare, e insieme stavamo pensando ad una
soluzione», disse
lei, mettendo via le scartoffie per cominciare finalmente la lezione.
Poche
prestarono interesse allo spostamento di sede della gara quanto
piuttosto a quella
ragazza, Isabelle Moore: a Megan pareva di aver già sentito il suo
nome, forse
a scuola.
Ripensava che, da
bambina, innamorata della
ballerina nella scatola, cominciò a raccogliere nastri colorati in giro
per
casa della nonna, di tutti i tipi, cercando di farne un gioiello.
«Oh!
Quindi avete fatto conoscenza delle vostre rivali?!», sorrise la sua
amica
Agatha, truccandosi come a suo solito davanti allo specchietto
nell’armadietto.
«Già…
E il bello è che tutti dicono che questa tizia è tanto brava, pure la
nostra
insegnante-», venne interrotta.
«Quella
per cui hai una cotta spaventosa?».
«Sì! E invece non sembra proprio
tipa da
ballo, basta guardarla! Sembro più portata io».
«Tutti
sono più portati di te, ippopotamo»,
rise.
«Ma
me l’hai finita?», sbottò in broncio: non sopportava più il suo
umorismo
pungente. «Comunque è una certa Isabelle Moore! Che tu la guardi e dici
“no,
non fa ballo”».
«Isabelle
Moore?», Agatha si voltò, lasciando per un attimo in sospeso il
mascara. «Bassa,
capelli colorati, muso lungo,
saccente so-tutto-io e priva d’umorismo Isabelle Moore?».
«La
conosci?», restò spiazzata, per un attimo.
«Naaah, non ci posso credere che
quella
fa danza! Sì che la conosco, è la prima delle classe, in Economia»,
sbottò
Agatha, sorpresa, «Non ci credo! Sì, hai ragione, non avrei mai detto
che
Isabelle Moore facesse danza! Tutto ma non danza», rise per sé, «Vieni,
te la
presento!», disse poi.
«Non
dire stronzate! Non la voglio conoscere», Megan obiettò senza mezzi
termini. Il
pensiero di incrociare di nuovo il suo sguardo con quella ragazza le
metteva
addosso una certa angoscia. Ed era strano, mai nessuno le aveva messo
addosso
una simile impressione. Non la voleva rivedere; forse ne aveva paura.
«Eddai,
non fare la difficile». Agatha richiuse l’armadietto dopo un ultimo
schiocco
alle labbra e la prese subito per un braccio, trascinandola con lei per
i
corridoi. «Conoscendola, a quest’ora sarà in biblioteca», rise. «È una
secchiona».
«Ti
ho detto che non la voglio vedere! Cosa non ti è chiaro? Agatha!».
Inutili
furono i suoi tentativi di farsi obbedire che presto si ritrovarono di
fronte
alla biblioteca. La porta era aperta e non pochi studenti sembravano
immersi in
letture. Presto la videro: Isabelle Moore era tra quelli, con un libro
aperto
sul tavolo e una pila accanto, con la testa poggiata sul braccio nel
tavolo,
presa dalla lettura.
«Umh…
In effetti adesso che la guardo meglio ha un fisico perfetto per fare
la
ballerina, mica come te», dichiarò Agatha.
«Ah,
grazie… Questo l’avevo notato anch’io, ma un fisico perfetto come dici
non fa
una ballerina, deve avere anche tante altre qualità», rispose a tono,
osservando Isabelle. Aveva uno sguardo così soave perso nella lettura
che non
sembrava neppure la stessa ragazza che incrociò il suo sguardo in
palestra solo
ieri; ora sembrava così dannatamente fragile
dal farla arrossire.
«Magari
ha pure queste altre qualità, non credi? Se pure la tua insegnante l’ha
elogiata ci sarà una ragione, penso…», commentò. «Comunque, a dispetto
di tutto
è una gran bella ragazza, dovresti provarci».
«Cito
me stessa poco fa: “non dire stronzate”», corrugò le labbra, vagamente
rossa
sulle gote, per poi mettersi in broncio e fissare la ragazza.
«Oh
beh, se io non fossi troppo presa dai megafusti e quindi
indiscutibilmente
etero, lo farei! Cos’ha che non ti garba? Secondo me è sexy… Si veste
un po’
strana ok, ma ha fascino».
«Ha
tutto che non mi garba! Il mio modello di ragazza è ben differente da
lei»,
ripensò alla ballerina leggiadra e femminile, dolce e sensibile
disegnata sulla
scatolina. «E poi io penso solo alla mia bella e tutta-curve insegnante…», sorrise,
arrossendo.
«Ah,
dimenticavo…», si passò una mano sul viso voltandoci lo sguardo, come
rassegnata.
Isabelle
Moore alzò lo sguardo dal suo libro e le vide, incrociando di nuovo i
due
sguardi, ma stavolta sorrise.
Imbarazzata,
Megan sentì un brivido lungo la schiena e arrossendo prese a voltarci
lo
sguardo e il corpo, cercando di nascondersi dietro l’amica senza però
darlo
troppo a vedere, fingendo un gesto naturale. «Forse è meglio se
andiamo…»,
mugugnò.
L’aria
appena fresca che si respirava era un toccasana dopo un paio di
giornate afose,
con quel sole caldo che faceva impazzire un po’ tutti. Mentre la
squadra di football
della scuola e le cheerleader si allenavano in cortile, Megan si era
seduta sulle
panchine per approfittare della bella giornata, con il suo album da
disegno e
le matite, pronta per creare un’altra bella e delicata ballerina da
collezionare.
Ogni
tanto dava un’occhiata alle cheerleader per poi tornare al suo disegno:
le
capitava di prendere spunto da ciò che vedeva per visi ed espressioni.
Udì
dei passi ben poco leggiadri camminare alla sua sinistra e diede uno
sguardo:
si ghiacciò nel vedere una gonna a scacchi rossa. Cosa ci faceva qui Isabelle
Moore?
Cercò
di non distrarsi ma presa dall’euforia fece una linea di troppo e prese
subito
a cancellare, sperando di non aver rovinato la sua ballerina.
«Quella
testa non è un po’ troppo grande per il corpo? Credo sia
sproporzionata»,
commentò quella voce fredda che la immobilizzò.
«Ah…», in realtà non sapeva bene
cosa
dire, fino a che non si indispettì per quella critica non richiesta.
«Non è
sproporzionata», sbottò, alzandole lo sguardo, «e mi copri la luce».
Isabelle
si dispose accanto a lei, in modo da non coprirle la luce del sole, e
allungò
la mano sul disegno. «Sì, vedi?», cerchiò con un dito la testa della
ballerina.
«È troppo grande! Osserva la cheerleader mora, la quarta», indirizzò
poi il suo
sguardo in basso, seguito da Meg. «Guarda com’è messa la ballerina del
tuo
disegno e quella cheerleader. Hanno una movenza molto simile, ma se
metti a
confronto le due teste ti accorgi dell’errore».
Meg
fissò per un attimo la cheerleader e la ballerina, e poi di nuovo. Si
morse un
labbro. Aveva ragione. Sbuffò un attimo, cercando di cancellare,
facendo meno
danni possibili al lavoro ormai già abbozzato.
Sentiva
il suo cuore che batteva oltremisura per quella vicinanza un po’ troppo
stretta
con quella Isabelle Moore: non dovrebbe darle troppa importanza nemmeno
il suo
cuore, considerando quante arie si era data nel farle accorgere
dell’errore.
«Devi
osservare molto per poter fare ottimi disegni. Chi non osserva non
saprà mai
quale movenza è quella giusta, o il colore… Se non guardi i colori del
mondo
non potrai riprodurli, no?», si voltò a lei.
«Beh,
ma non mi intendo di disegno, comunque… Sono schizzi… Ogni tanto…», si
giustificò Megan, senza guardarla, tenendo lo sguardo fisso alla
ballerina.
«Oh,
peccato… Nonostante tutto hai un bel tratto, la tua ballerina non
sembra male…»,
commentò poi, lasciandola di stucco, bloccandosi.
Era per caso un
complemento quello…?
Il
suo cuore mancò improvvisamente un battito, e deglutì, riprendendo a
cancellare.
«Comunque
io sono Isabelle Moore», sorrise. Megan alzò finalmente lo sguardo,
pronta a
presentarsi, quando l’altra passò con la voce sulla sua. «E tu, Megan
Rich, vuoi
una mia foto».
Voleva essere una
battuta, quella?
Pensò
per sé, prima di riflettere sul fatto che quella ballerina che tutti
acclamavano conoscesse il suo nome.
«Solitamente
mi irritano gli sguardi fissi su di me, ma ci sono anche in un certo
senso
abituata…».
«Ah…
Scusa, non volevo…», cercò di giustificarsi.
«Sì
che volevi, non sono nata ieri», dichiarò. «Ho sentito che parlavate di
me».
Megan
si sbiancò.
«Ma
non m’interessa ciò che dice la gente, specie se nemmeno mi conosce. E
soprattutto se nemmeno voglio
conoscerla», specificò. «Ma d’altro canto tu non fai parte di quella
categoria.
Mi piacerebbe conoscerti meglio, Megan Rich», sorrise ancora, alzandosi
dalla
panchina. «Ora devo andare. Ho sentito dire che sei piuttosto scarsa
come
ballerina ma che non hai mai mollato. È interessante. Fossi scarsa come
te
avrei già rinunciato e mi sarei data a qualcos’altro. Bene, ora vado,
ci
vediamo», estrasse un altro sorriso e se ne andò, seguita con lo
sguardo
sbigottito di Megan.
Era
così dannatamente seria nel dire cose così delicate dal farle quasi
rimpiangere
l’umorismo pungente dell’amica Agatha.
«Ma
chi si crede, quella?», sbottò all’uscita della scuola, accompagnata da
Agatha.
«Hai ragione, è saccente, sa tutto di ogni cosa, è anormale», sbraitò
allargando le braccia, prima di fermarsi, bloccata da un’idea
fulminante. «È
un’aliena! Senz’altro un’aliena».
L’amica
sogghignò, d’un tratto: anche a lei sembrava esser arrivata un’idea
fulminante.
«E ti piace».
«Che?», si fermò del tutto,
bloccando
Agatha. «No!», sentenziò poi,
ricominciando a correre.
«Oh
sì! E questa ne è un’altra prova», si mise a ridere. «Ah, ah, ti piace Isabelle!
Inutile mentire, ti ho smascherata».
«Sai
benissimo chi mi piace, quindi non rompere», ringhiò più indispettita
del
solito, rossastra sulle gote.
Le
piaceva la sua insegnante e basta, continuava a ripetersi. Quella
Isabelle
Moore non aveva nulla di speciale, anzi era totalmente diversa dal suo
ideale
di ragazza. Era fuori discussione.
Tuttavia,
quando la vide davanti all’uscita di palestra, dietro le automobili
parcheggiate dall’altro lato della strada, le venne un colpo,
trasformando il
viso in una moltitudine di colori, e non poteva credere che il suo
cuore aveva
iniziato a battere all’improvviso più forte senza un’ovvia ragione.
Udì
le sue compagne sghignazzare nel vederla lì, poggiata ad un muro con
delle
cuffie nelle orecchie, mentre sembrava aspettare qualcuno. Le sentì
parlar male
di lei come sempre fino ad allontanarsi. Megan salutò le sue compagne
con
appena un cenno della mano e prese a camminare dritta sul marciapiede,
senza
incrociare lo sguardo di quella ragazza, facendo finta di non averla
vista.
Cominciò ad andare più veloce, quando vide che facilmente Isabelle
Moore
l’aveva già raggiunta.
Si
sfilò le cuffie, poggiandole sulle spalle, e le sorrise, mettendosi al
suo
fianco. «Perché scappi da me?».
«Non-Non
scappo da te», ringhiò rossa sul volto e senza guardarla negli occhi,
voltando
continuamente il viso.
«Sì
invece. Sei poco furba, non riesci minimamente a mentire, né coi
movimenti né
tanto meno con lo sguardo. E il tuo viso che non riesce a sostenere il
mio-».
«Basta»,
la interruppe, prima che quella voce proseguisse dicendo cose che in
realtà non
voleva sentir dire. «Che cosa ci fai qui?». E
come mai aspettava lei?,
voleva forse aggiungere.
«A
casa mi stavo annoiando e ho pensato di volerti vedere. Ti posso
offrire
qualcosa?».
«No!»,
decise immediatamente.
«Coca-cola
e patatine, mi è venuta fame. Dai, non farti pregare», sorrise.
Non
sapeva nemmeno come quella Isabelle Moore, con quel sorriso e due
parole, era
riuscita a fregarla, a farsi convincere, ma forse era stata aiutata
dallo
stomaco che dopo la palestra era sempre un po’ più sensibile e coca-cola e patatine non erano una
cattiva idea. Presero un tavolino davanti alla vetrina del locale,
mangiando
con le mani con salsa di ketchup e maionese, ridendo e scherzando,
parlando del
più e del meno. A dispetto di come potesse sembrare, pensava Megan,
Isabelle
Moore non era poi così fredda: rideva
divertita e, quando raccontava, le si illuminavano gli occhi. E forse – sottolineò –, aveva ragione
Agatha: era proprio una bella ragazza.
Dopo
aver mangiato per continuare i discorsi cominciarono a fare una
passeggiata nel
parco accanto, sedendo su di una panchina. Meg restò affascinata dal
sedersi di
Isabelle tanto diverso dalla ragazza sensibile che a lei piace tanto
eppure
colpendola in ugual modo, e non era niente di speciale, prese
semplicemente a
seder nella spalliera per poi poggiare i piedi accanto a dove si era
seduta
lei. Ma i suoi movimenti, come i capelli lisci le ricadevano sul viso,
la
facevano così… affascinante.
Isabelle
le sorrise, prendendo poi il discorso per una piega inaspettata.
«Quindi se non
sei così portata per il ballo come dici, perché continui? Perché ti
ostini
tanto? Se sei una schiappa, non è meglio mollare e puntare sul disegno,
visto
che ci sai fare?».
«Ah…»,
arrossì un poco per l’inaspettato complimento dopo l’averle appena dato
della
schiappa. «Non è così semplice… Cioè, il ballo è sempre stato il mio
sogno… Più
che altro, lo era una ballerina», prese a raccontarle, mantenendo basso
lo
sguardo. «Mi ero innamorata di una ballerina disegnata sul coperchio di
una
scatola da piccola e da allora è stato il mio piede fisso… Quella
ballerina… la
volevo…», prese poi a voce sempre più bassa. «Per me…».
«Ma
così non sembra affatto che sia tu a voler diventare quella ballerina,
ma a
volere una ballerina! Il concetto è diverso», spezzò l’incantesimo.
«Beh…
In effetti forse un po’ è così… Volevo quella ballerina e speravo che
il ballo
me l’avrebbe portata! Lascia
perdere»,
rise convulsamente, immaginando di aver appena fatto coming out si
sentì sulle
spine. Non si sarebbe dovuta far prendere troppo dall’entusiasmo.
«Sai
una cosa?».
Megan
alzò il viso incuriosito, ancora rosso sulle gote. Sperava che anche
Isabelle
facesse presto una dichiarazione imbarazzante, in modo da farla sentire
meglio.
«Mi
interessi», disse seria, senza il benché minimo sconvolgimento. «Credo
che tu
mi piaccia. Pensaci, ok?». Svelta sfiorò le labbra di Megan, prima di
scendere
dalla panchina con un balzo e gridare «Ci vediamo», andandosene.
Megan
restò immobile su quella panchina, ad occhi spalancati, cominciando ad
ansimare. Che
le era preso all’improvviso
a quella?
L’aveva… baciata. Il suo primo bacio. Divenne rossa, cercando di
nascondere il viso tra le gambe.
Ricordava di averci
impiegato davvero tanto
tempo a creare un gioiello carino con quei nastri, che non si distrusse
subito
o che non avesse un brutto aspetto… Doveva essere perfetto per la sua
ballerina.
Non
sapeva perché, ma in realtà un po’ si vergognava per quel bacio: forse
perché
non era riuscita a dire niente, forse perché si era lasciata baciare
con
facilità senza opporsi, forse perché in fondo non voleva ammettere –
dopo
averci riflettuto senza chiudere occhio la notte – che non l’era
dispiaciuto.
La
mattina non ne fece parola con Agatha, rendendosi più silenziosa del
solito, e
vagando come un ninja cercando di non incontrare Isabelle, riuscì a
trascorrere
la giornata scolastica, ma come doveva sospettare, all’uscita della
palestra,
lei era lì che l’aspettava.
Senza
guardarla camminò dritta per la sua strada ma si fermò di colpo,
aspettando che
la raggiungesse: era stupido scappare.
«Ti
sei fermata», sorrise.
Megan
per tutta risposta fece un mugugno, senza degnarla di sguardo. Non
sapeva
adesso che le prendeva.
«Agatha
Steps mi ha rivelato chi ti piace».
Meg
si congelò per un attimo prima di blaterare agitata. «L-Lei ha fatto
cosa?».
«È
tua amica, no?».
«Ora
non più».
«Beh,
comunque, toglitela dalla testa, è fuori dalla tua portata.», esclamò
seria.
«E
tu cosa ne sai di quello è fuori dalla mia portata? Ma chi ti credi di
essere?»,
strinse i pugni Megan. Non reagì bene a quelle parole, anche se in
fondo
l’aveva sempre saputo.
«Sei
mai stata ad aspettare che la tua insegnante uscisse da palestra?»,
chiese.
Megan
decise di accettare e insieme si nascosero dietro una parete, in
attesta di
vederla. Le accuse rivolte a Isabelle non la fecero muovere di un
muscolo mentre
Megan cominciò invece a pensare se non le dovesse delle scuse.
Restarono una
ventina di minuti in silenzio dietro quella parete, finché finalmente
non la
videro scendere dalle scale dopo la porta e Megan si raggelò: un uomo
scese da
una macchina e la raggiunse, per poi baciarsi.
«Come
ti dicevo: era fuori dalla tua portata», commentò Isabelle, con il
solito tono
freddo. «Quella donna non solo è fidanzata, ma comunque non avrebbe mai
accettato di vedersi con una delle sue allieve. È un grave errore
quello di
pensarlo». Si voltò a Megan e per la prima volta fece una smorfia
dispiaciuta,
osservando il viso rivolto a terra e ascoltando il suo silenzio. «Oh,
accidenti! Ho parlato troppo, non me ne rendo neanche conto, ti chiedo
scusa…
Sono una stupida…». Stava per avvicinarsi a lei, quando Meg alzò il
volto,
mostrando un forzato sorriso.
«Non
importa, dai, in fondo l’ho sempre saputo, era solo una stupida cotta…
Andiamocene».
Isabelle
passò un veloce sguardo all’insegnante alle loro spalle e poi a Meg,
afferrandole il polso. «Ci hai pensato?», domandò.
In
quel momento, il polso di Megan cominciò a prendere fuoco per
l’imbarazzo.
«Guarda
che io sono seria, non è una stupida cotta e basta…», la cinse in un
abbraccio.
Quello
che Megan non riusciva davvero a capire, era come poteva piacerle una
come
Isabelle che non rispecchiava affatto il suo ideale, la ballerina della
scatolina. Aveva passato anni a ricercare il suo ideale e poi era
arrivata lei
a distruggerlo.
Si
sciolse dall’abbraccio e si voltò, ed entrambe si cinsero in un lungo
bacio.
Quando finì il suo
gioiello, lo ammirò
sorridendo interi minuti, desiderando che restasse così per sempre.
Un
ciuffo biondo le continuava a ricadere sul viso invece che restare
legato alla
cipollina come gli altri, e Megan sbuffò. Tutte erano pronte per la
gara e la
tensione saliva fin alle luminarie installate in quel palco al centro
di una
piazza. Molta gente era venuta a guardare le ballerine che danzavano,
non solo
le loro famiglie. Megan ed Isabelle erano con le loro rispettive
compagne ai
lati opposti del palco, osservandosi, sorridendo.
Quando
la gara iniziò, ben presto si accorsero di come le loro avversarie
erano nettamente
superiori al loro livello, e soprattutto Megan.
Quando
Meg si ritrovò dietro le quinte ad osservare Isabelle che danzava,
guidata da
movimenti di pura eleganza e dolcezza, destreggiandosi e librandosi in
un poderoso
salto, rivide la ballerina che tanto amava disegnata sulla scatolina.
Era lì.
Era lei. L’aveva trovata. Arrossì.
Le
sue compagne continuavano a lamentarsi della sconfitta ma Megan era
l’unica
della loro palestra ad andare in giro con un sorriso vittorioso, quella
sera.
«Sono
fiera di te», la sua insegnante si congratulò con lei, facendola un
poco
arrossire.
«Grazie».
Vide Isabelle e subito le corse incontro. «Vieni», la prese ad un
polso,
trascinandola nell’edificio accanto, fino alla camera dove avevano
poggiato le
loro cose.
«Cosa
c’è? Ti brucia la sconfitta?», domandò sogghignante – riferendosi più
alle sue
compagne amareggiate che a lei –, osservandola frugare nella sua borsa.
«Credo
di essere veramente l’unica felice, questa sera, nel mio gruppo», rise.
«Chiudi
gli occhi…».
«Che
vuoi fare?».
«E
chiudili, no?».
«Ok…
Ma non farmi brutti scherzi…», sussurrò, poco prima che le calde labbra
di
Megan sfiorarono le sue.
«Ora
li puoi aprire… Ciò che c’è dentro: è per te».
Isabelle
si ritrovò tra le mani una piccola scatolina con la ballerina dal tutù
rosa
disegnata sul coperchio, e sorridendo, rossa sulle gote, l’aprì. Uno
strano
fiocco creato da tanti nastri colorati le si mostrava davanti,
incantandola.
Sapeva quanto per Megan questo era importante. Arrossì, prima di
scambiarsi un
lungo bacio.
«Grazie…».
La ballerina…
ora era…
«Mia».
[Versione
corretta (NON
riscritta) del 09/12/'14)
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Questa
piccola storia (5mila parole
titolo compreso) è stata scritta per il contest di Eylis [Mini Original 1] Lo Yuri e...
la Scatola, ed ecco la targhetta:
Seguendo
una trama simile avrei potuto scrivere un
libro XD
Mi
piace il personaggio di
Megan, ma quello che più adoro è Isabelle: è di una schiettezza
sconvolgente e
parla con tale disinvoltura che spesso la si potrebbe fraintendere, ma
non è
affatto “cattiva” XD Un altro personaggio che mi piace tanto è Agatha,
l’amica
di Meg: anche lei è schietta ma più che altro la prende a ridere,
prende in
giro dicendo le cose seriamente. E mi è dispiaciuto un sacco non darle
più
spazio di quello, visto che avrei voluto almeno descriverla
fisicamente, è una
bella ragazza come la immagino.
Un
pezzo che avrei voluto scrivere ma per forza di
cose non ci poteva stare era una piccola parte finale dove
probabilmente si
diceva che Megan aveva cambiato indirizzo di studi, cominciando a
prendere più
seriamente il disegno e lasciando la danza come hobby, facendosi
aiutare dalla
sua nuova ragazza. E va beh, pazienza ç^ç Va bene anche così (credo) XD
Grazie
di cuore a chi si è prestato a leggerla e a chi
magari voglia farmi sapere cosa ne pensa ^^
Alla
prossima, gente,
ciao, ciao da Ghen =^_____^=
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