Mmh, devo andare al
lavoro... ma che
ora è? Perché ho l'impressione che sia troppo
tardi?
Batto le palpebre un paio di volte e allungo le braccia verso l'alto
per sgranchirle.
«Buongiorno, splendore» dice una voce calda e
maschile da
qualche parte alla mia sinistra. Mi ci vuole un po' per riconoscerla,
così mi volto verso l'uomo appoggiato allo stipite della
porta.
«Dio, e io che speravo che fossi stato un brutto
sogno» sbotto, per poi rigirarmi dall'altra parte.
Leo scoppia a ridere. «Buono a sapersi»
Sbuffo, poi mi metto di nuovo supina, incapace di riaprire gli occhi
per un qualche strano motivo. Non ho dormito molto questa notte,
continuavo a pensare a Camilla e a quello che ci siamo dette ieri sera.
E a Leo, e l'assurda promessa che chissà perché
gli ho
fatto. Le mie labbra si piegano in una smorfia.
«Cos'è quella cicatrice che hai sulla
pancia?» chiede lui ad un certo punto.
Sussulto, rendendomi conto che mentre dormivo la maglietta del mio
pigiama si è sollevata scoprendomi completamente fin poco
sotto
il seno. Irritata, e improvvisamente sveglissima, la copro e mi metto a
sedere.
«Non sono affari tuoi» metto in chiaro, secca,
alzandomi e
superandolo senza degnarlo di uno sguardo per raggiungere il bagno.
«L'avevo notata anche l'altra sera... è piuttosto
grande» continua, imperturbabile.
Alzo gli occhi al cielo, preferendo continuare a non rispondere.
Arrivata in bagno faccio per sbattergli la porta in faccia, ma lui la
ferma con una mano e solleva appena le sopracciglia.
«Ti hanno pugnalata?» scherza.
Lo guardo malissimo. «Non-sono-affari-tuoi» ripeto,
scandendo ogni parola come se non fosse in grado di capire la mia
lingua.
«Ero solo curioso» si giustifica.
Spingo la porta e riesco finalmente a chiuderla, poi giro due volte la
chiave e mi appoggio contro il muro, chiedendomi come mai
all'improvviso la mia casa sembri così piccola. Quando
riapro
gli occhi vedo il mio riflesso scrutarmi attraverso lo specchio intero
sulla parete opposta. Faccio una piccola smorfia, poi sollevo
lentamente la maglietta fino a scoprire la sottile linea bianca e
orizzontale subito sotto le costole, lunga una decina di centimetri. La
sfioro, assorta, mentre il dolore affiora pian piano, mozzandomi il
respiro. Improvvisamente ho il terrore di chiudere gli occhi,
perché so benissimo cosa prenderà il posto del
mio
riflesso allo specchio. Paura, grida, urla, suppliche... e il male
fisico di ogni pugno, ogni schiaffo. Il desiderio di poter solo mettere
una fine a quell'esistenza orribile.
Mi vedo sbiancare e mi copro la bocca con la mano, per poi chinarmi sul
water e vomitare. Sento il sapore amaro della bile in bocca e scoppio a
piangere, maledicendomi per la mia stupida debolezza, per la mia
incapacità di sopportare quei ricordi nonostante tutto il
tempo
passato. Mi siedo e poi mi sdraio a pancia in su sul pavimento,
singhiozzando sommessamente per qualche secondo senza trovare la forza
di smettere. Non appena il mio respiro si è regolarizzato
abbastanza chiudo gli occhi e mi impongo di ricordare a come la mia
vita sia a posto, ora. Nonostante gli alti e bassi ho una famiglia e
tanti amici che mi sono accanto, il lavoro che voglio fare in una
città che amo. Quella bambina terrorizzata non esiste
più, ora è una donna, una donna forte, che ha
bisogno di
alzarsi dal pavimento del bagno e prepararsi per una nuova giornata.
Annuisco, per darmi un po' più di forza, poi mi tiro su e
tiro
lo sciacquone, per poi raggiungere barcollante il lavandino e
sciacquarmi la faccia e la bocca e lavarmi i denti. Mentre mi pettino
mi accorgo di essere ancora un po' pallida, ma preferisco fare finta di
niente e uscire dal bagno.
Faccio appena due passi per poi rendermi conto di quanto sia tutto
stranamente calmo. Aggrottando la fronte entro in cucina e non
trattengo una smorfia quando vedo Leo seduto che sfoglia il giornale,
una tazza piena di caffè in mano.
Oh, caffè. Sì, ho bisogno di caffè.
«Felice di rivederti» mi saluta lui, mentre io
prendo una
tazza e apro il frigo sperando che sia rimasto un po' di latte.
«Mi odi ancora» realizza qualche secondo dopo,
notando la mia mancanza assoluta di intenzione di rispondergli.
Svuoto il cartone del latte nella mia tazza e ci aggiungo un bel po' di
caffè. «Dove sono Camilla e Maria?»
domando,
esausta, dopo un po'.
«Questa mattina verso le sette hanno scoperto un amore comune
per
la fotografia e sono partire per un tour dei paesi nei dintorni alla
ricerca dello scatto perfetto» risponde, senza distogliere lo
sguardo dal giornale.
«Cosa?!» esclamo, aggrottando la fronte.
«E perché tu non sei andato con loro?»
Lui si stringe nelle spalle e non risponde, io bevo due lunghi sorsi di
caffellatte, nella speranza di recuperare un po' di forze.
«Aspetta un momento...» mormoro ad un certo punto,
mentre
un orribile pensiero si fa strada nella mia mente. «Che ore
sono?»
«Le nove e quarantacinque. Ad essere sincero mi sorprende che
tu
l'abbia chiesto solo ora» mi comunica Leo, tranquillissimo.
«Le... stai scherzando?!» ribatto, con voce
strozzata. «Dovevo essere al lavoro quasi due ore
fa!»
«Ho immaginato, perciò ho chiamato e ho detto che
non ti
sentivi bene e saresti rimasta a casa. La ragazza che ha risposto
sembrava molto sorpresa. Immagino che tu non sia un granché
con
il tempo libero, uh?»
Sollevo piano le sopracciglia, sentendo l'irritazione varcare
lentamente la soglia della rabbia. «E perché
avresti fatto
una cosa simile?» chiedo, scandendo ogni sillaba.
«Non avevo voglia di starmene da solo tutto il
giorno»
Sono troppo scioccata per dire o fare o addirittura pensare qualsiasi
cosa. Come se la mattina non fosse cominciata in modo abbastanza
disgustoso, ora devo passare tutto il giorno con
questo.
No, aspetta, io non devo fare proprio niente. Per un momento contemplo
l'idea di mandarlo a quel paese, vestirmi in fretta e correre
all'ospedale con una qualche scusa della serie “mi sono
svegliata
con un orribile mal di testa ma ora sto benissimo”.
Sì,
è quello che farò. È la cosa
più giusta da
fare, non voglio passare la giornata con lui, nemmeno morta!
Sì,
è la cosa giusta... non ci riesco. Merda, non so nemmeno io
il
perché. Mentre guardo quel suo insopportabile sorrisetto
divertito mi rendo conto che, forse a causa della crisi di poco fa,
oggi non sarei in grado di lavorare. Magari è una cazzata,
magari è solo un'altra stupida scusa per spiegare il
comportamento idiota che sto avendo negli ultimi giorni.
Chissà
perché, sembra sempre centrare lui.
«Allora, cosa facciamo?» chiede, senza nemmeno
provare a togliersi dalla faccia quell'espressione compiaciuta.
Lo fulmino con lo sguardo, poi, lentamente, mi volto e me ne torno
nella mia camera sbattendo la porta. E tutto perché ho
bevuto
due drink di troppo. E pensare che ero stata perfino eccitata all'idea
di quella festa, venerdì. Che idiota.
Mi lascio cadere a pancia in giù sul letto, contemplando
l'idea
di rimettermi a dormire e recuperare un po' del sonno perduto la scorsa
settimana. Probabilmente mi farebbe anche bene per schiarirmi la mente
o qualcosa del genere, cancellare l'episodio di poco fa...
Sento la porta aprirsi e gemo.
«È successo qualcosa?» chiede Leo,
serio, azzarderei preoccupato.
Non rispondo, chiedendomi come cazzo abbia fatto ad intuirlo. Sono
talmente facile da leggere? Non mi conosce nemmeno... ma
perché
non si fa gli affari suoi, poi?
«Viola?» mi chiama, dopo un attimo di silenzio.
«Piantala» sbotto io, la voce soffocata dal
materasso.
«Che?» fa lui, disorientato.
«Piantala di pronunciare il mio nome in quel modo»
spiego, seccata.
«Che modo?»
«Viooola» lo imito, «come se mi
conoscessi da una
vita, come se sapessi tutto quello che c'è da sapere su di
me.
Piantala, è irritante. Abbiamo dormito insieme una volta,
per
Dio, ed eravamo pure ubriachi»
Scoppia a ridere come se avessi appena detto la battuta del secolo. Ho
seriamente voglia di fargli del male.
«Come sei melodrammatica» commenta.
Finalmente mi tiro su e mi volto a guardarlo, sollevando le
sopracciglia. «E con questo cosa vorresti dire?»
chiedo,
sospettosa.
Si stringe nelle spalle. «Prendi certe cose troppo
seriamente» dice, con noncuranza.
«Certe cose?»
«Sì, è quello che ho detto»
«Ma che ne sai tu?»
«È tutto quello che hai fatto da ieri sera. Dare
più peso del necessario ad ogni cosa»
Emetto una sorta si sbuffo in espressione della mia indignazione.
«Parli del fatto che tu ti sia approfittato di me mentre ero
ubriaca nonostante avessi già una storia con un'altra, o
aspetta, non un'altra, la mia migliore amica!»
Ride. «Okay, primo, non avevo idea che tu e Camilla vi
conosceste, e sinceramente non sapevo nemmeno che sarei tornato assieme
a lei il giorno dopo. Secondo, chi ti dice che non sia stata tu invece
a sedurmi?»
Incrocio le braccia, storcendo il labbro.
«”Sedurti”. Dio, che razza di
parola» sbotto.
«Beh, è la definizione appropriata per quello che
tu hai fatto l'altra sera» si limita a ribattere.
Stringo le labbra, improvvisamente allarmata. «E
sarebbe?»
Lui fa un sorrisetto malizioso. «Non ti ricordi niente,
eh?» ridacchia.
Socchiudo gli occhi e lo guardo male, senza però dire
niente.
Penso che sia già tremendamente evidente che muoio dal
bisogno
di saperlo, non voglio sottolinearlo in alcun modo.
«Diciamo che per convincermi sei arrivata a mostrarmi il tuo
tatuaggio» aggiunge, con lo stesso identico sorriso.
Aggrotto la fronte e porto istintivamente una mano dietro il collo,
dove a diciotto anni mi sono fatta disegnare la farfalla stilizzata che
Camilla mi schizzava ovunque.
Il suo sorriso si allarga appena. «Oh, non quello,
l'altro»
dice, in un tono che dice tutto, poi ride ed esce dalla stanza.
Io avvampo, il viso immobilizzato dall'imbarazzo, mentre nella mia
testa elaboro la conversazione che abbiamo appena avuto.
“L'altro” tatuaggio è un piccolo
specchio di venere
sull'interno della mia coscia destra, fatto per una scommessa. Gemo e
mi lascio cadere all'indietro, nauseata.
Oh, non è finita. Se pensa di poter avere l'ultima parola
così facilmente si sbaglia di grosso. Mi alzo e gli corro
dietro, raggiungendolo in soggiorno.
«In ogni caso» esordisco, «ero ubriaca.
Tu a quanto pare non tanto, visto che ti ricordi tutto»
Lui si volta verso di me e solleva le sopracciglia.
«Cos'è, queste cose si misurano in base al grado
di
sobrietà, adesso?» ribatte.
«Ovvio. Non avrei mai dormito con te da sobria»
metto in chiaro.
Lui fa un sorrisetto ironico. «No, eh?»
Scuoto la testa, rendendomi conto di quanto assomigli ad una bambina in
questo momento. Una bimbetta saccente, di quelle che fanno tanto ridere
gli adulti per la loro testardaggine e le tesi assurde che riescono
chissà come a tenere in piedi. Beh, la mia tesi non
è
assurda, non sarei mai andata a letto con lui da sobria, è
insopportabile.
«Ne sei davvero sicura?» chiede, e perplessa noto
che si sta avvicinando.
«Non mi credi?» ribatto, scettica.
Fa un altro passo, e io indietreggio automaticamente, pentendomi di
averlo fatto l'istante dopo. Non voglio fargli credere che mi stia
mettendo in soggezione, che sia più forte di me. Nessuno
potrà mai abbattermi, non importa quanto blu siano i suoi
occhi
e quanto maledettamente affascinante sia quel sorriso. Scuoto appena la
testa, cercando di cancellare per sempre quello che ho appena pensato.
Hai voglia di tirargli un pugno,
mi ripeto,
non di
saltargli addosso.
Fa ancora un passo, e poi altri due. Di nuovo sono tentata
dall'indietreggiare, ma questa volta mi è impossibile. Sono
contro il muro, in trappola. Cosa vuole fare, uccidermi? Eppure non
c'è pazzia nei suoi occhi, solo divertimento e malizia, il
sorriso di uno che ha già vinto. Ora è
così vicino
che sento il calore del suo corpo, rabbrividisco. Lui appoggia una mano
sul muro oltre la mia spalla sinistra e avvicina il volto ancora di
più. Sento il suo respiro sulla pelle e mi rendo conto che
quel
blu è davvero irresistibile, non ha senso negarlo.
Il suo sorriso si allarga appena e con la mano libera mi scosta una
ciocca di capelli dal viso e rabbrividisco di nuovo sentendo il calore
della sua pelle sfiorarmi appena la guancia.
«Affatto» mormora, ad un centimetro dalle mie
labbra.
Mi sembra quasi di sentire il suo sapore in bocca. Un buon sapore, devo
ammetterlo, talmente buono da indurmi a chiedermi cosa si provi
baciandolo, e a farmi quasi dispiacere il non ricordarmi niente
dell'altra notte.
«Calmati, Viola» sussurra, pronunciando il mio nome
come
gli avevo vietato di fare ancora. «Non ti sto nemmeno
toccando»
Non lo sta facendo, in effetti, sebbene sia così
maledettamente
vicino. Vorrei che lo facesse, Dio, tanto da mozzarmi il fiato. Voglio
sentire la sua pelle sulla mia, il suo respiro caldo sul collo, le sue
mani tra i miei capelli. Per un momento non capisco più
niente,
e tutto quello che ho attorno svanisce eccetto che per quegli occhi di
quel blu impossibile. Per un momento, mentre ci fissiamo, mi sembra
quasi che il suo sorriso si incrini appena, i suoi occhi si fanno seri
e vi leggo lo stesso desiderio che c'è nei miei.
È un
momento, poi, improvvisamente, fa un passo indietro e scoppia a ridere,
e io ho voglia di sparire sottoterra.
«Ovviamente» annuncia, «non hai bisogno
di essere ubriaca per trovarmi irresistibile»
Riesco miracolosamente a scrollarmi le sensazioni di poco fa di dosso,
almeno in parte, e incrocio le braccia, la sconfitta che mi brucia in
petto.
«Stronzo» sibilo, senza sapere se dovermi sentire
offesa oltre che arrabbiata.
Lui si stringe nelle spalle. «Che ci posso fare?»
Faccio un sorrisetto sarcastico. «Ovviamente niente. Non
c'è rimedio, sei e sarai sempre un idiota» osservo.
Lui scuote appena la testa. «Hai detto stronzo, non
idiota»
«Stessa cosa» taglio corto, infastidita.
«No, affatto» ribatte, «e comunque, ti
brucia solo aver perso»
«Perso? Non era un gioco, e non hai provato niente riguardo
all'altra notte»
«Non toglie il fatto che tu abbia perso»
Dio, lo odio. Lo odio, lo odio lo odio. «Stronzo»
ripeto.
«Sai, più lo dici e meno fa male... potrei anche
abituarmici» commenta.
«
Stronzo»
sorrido io, poi lascio la stanza, se possibile più irritata
di com'ero quando sono entrata.
Torno in camera mia e Mi sfilo la maglia del pigiama, abbandonandola
sul pavimento, per poi prendere un reggiseno dall'armadio e indossarlo
appena prima che Leo mi raggiunga. Non sembra affatto imbarazzato nel
vedermi mezza nuda, ha la sua solita espressione noncurante. Sbuffo,
irritata dalla sua completa mancanza di disagio.
«Ti dispiace?» chiedo, infastidita.
«No no, vestiti pure» risponde lui, per poi
sorridermi.
Alzo gli occhi al cielo, incapace di ribattere, poi mi volto di nuovo
verso l'armadio in cerca di qualcosa da mettere.
«Allora, cosa facciamo oggi?» chiede lui, lo
sguardo fisso sulla mia schiena.
Esamino il mio solito paio di jeans, per poi rendermi conto del sole
che spacca le pietre e dell'avere caldo solo al pensare di indossarli.
«Non lo so. Niente. Lasciami in pace, okay?» sbotto.
«Senza offesa, ma se avessi voluto passare la giornata da
solo ti avrei lasciata andare al lavoro, non trovi?»
Mi volto per guardarlo esasperata. «Ma che cazzo vuoi da
me?»
Non risponde, si stringe nelle spalle e si guarda attorno un momento
prima di tornare a fissarmi. Noto i suoi occhi scrutare nuovamente la
mia pancia e mi volto, infastidita, per poi tirare fuori dall'armadio
un vestito di cotone verde pastello, talmente chiaro da sembrare quasi
bianco, dalla vita alta e piuttosto corto.
«È carino» commenta Leo, alle mie spalle.
Sì, anche a me piace, è molto semplice, nel mio
stile, e
in più sembra essere leggero. Lo libero dalla gruccia e lo
infilo dalla testa, per poi liberare i capelli e sfilare i pantaloncini
del pigiama. Dopo aver controllato velocemente il mio aspetto allo
specchio allungo la mano dietro la schiena nel vano tentativo di
chiudere la lampo.
«Aspetta, ti aiuto»
Non faccio in tempo a dire niente che mi ha raggiunta e mi ha sollevato
i capelli con una mano, mentre con l'altra chiude il vestito in un
unico, fluido gesto. Sussulto, quando sento la sua mano sulla nuca.
«È un bel tatuaggio» commenta, sfiorando
il disegno con due dita, «quando l'hai fatto?»
«A diciotto anni» rispondo, arrossendo appena,
colta alla
sprovvista dalla familiarità con cui improvvisamente mi sta
parlando.
Il suo tocco si fa più leggero, tanto da farmi quasi il
solletico. Sento un brivido scendere lungo la schiena e mi schiarisco
appena la voce, voltandomi in modo che mi lasci andare. Lui mi guarda,
per la prima volta leggermente imbarazzato, poi fa un passo indietro.
«Tu non hai caldo?»
Piazza San Marco è affollata, come immaginavo, e il sole
batte forte e bollente sulle nostre teste.
«Sto morendo» annuisco, sbuffando.
Alla fine, grazie anche ad un messaggio implorante da parte di Miles,
ho deciso di portarlo a fare un giro per Venezia, niente di che, solo
una passeggiata in centro, snocciolando qualche informazione sui
monumenti più famosi – e anche quelli meno famosi,
ad
essere sincera – ricevendo in tutta risposta un commento su
quanto sia “secchiona” per il quale lo sto
guardando male
ancora adesso.
«Granita?» propone, «le vendono proprio
lì» aggiunge subito dopo, per poi avviarsi.
Lo fermo, afferrandogli il braccio, e scuoto la testa.
«Qui ci spennano, fidati, conosco io un bel posto»
Mi guarda sospettoso per un attimo, non so perché, ma poi si
stringe nelle spalle con la sua solita aria noncurante e mi segue fuori
dalla piazza e poi per un reticolo tortuoso di stradine che sembrano
farsi sempre più strette. Cammina al mio fianco, rilassato,
sicuramente molto più di me, e si guarda attorno
incuriosito. Io
ho gli occhi fissi sulla strada, che conosco a memoria, lanciandogli
solo ogni tanto qualche occhiata furtiva che lui sembra non notare.
«Sai» esordisce dopo un po' «se volevi
uccidermi potevi farlo tranquillamente a casa tua»
Mio malgrado, sorrido. «Nah, avrei sporcato il nuovo parquet.
Mi
è costato una fortuna» scherzo, e lui sorride a
sua volta.
«Comunque, siamo arrivati» annuncio, per poi
indicare l'insegna scolorita sopra le nostre teste.
«
Belleville
Café» legge ad alta voce,
«Pretenzioso» commenta, subito dopo.
«Non lo è affatto, fidati»
Lo precedo attraverso il portone aperto e per il breve viale che
collega il cortile interno dell'edifico alla strada, fino a trovarci
all'interno di una sorta di peristilio: a destra e a sinistra, dietro
le colonne i muri sono occupati da enormi librerie piene zeppe di libri
da consultare o prendere in prestito, mentre sullo spiazzo centrale
tavolini da caffè e divanetti di vimini, ombreggiati da
ombrelloni di tela bianca, in mezzo una fontana che sgorga acqua
limpida. Sul fondo la parte dietro le colonne è chiusa ai
lati e
bloccata da un bancone di marmo sul davanti, dietro il quale si trova
il proprietario, che non appena mi vede si illumina.
«Viola!» esclama, gioioso, alzando le braccia, e io
sorrido, mentre Leo distoglie lo sguardo dalle piante rampicanti
attorno a gran parte delle colonne e che ricoprono i muri dell'edificio
per guardare l'uomo che è uscito dalla porticina laterale e
ci
sta venendo incontro.
Gli do due baci sulle guance, come al solito, poi mi volto verso Leo.
«Lui è Pierre, è un amico dei miei
genitori da
quando si sono trasferiti a Firenze, nonché colui che
è
incaricato di tenermi d'occhio qui a Venezia» presento,
divertita
«
Pierre, il
est Leo, le petit ami de Camilla¹»
aggiungo poi, nel mio francese traballante.
«Di Camilla, eh?» chiede lui, con un sorrisetto che
preferisco ignorare.
«
Est-ce que tu
as de la place pour nous?²»
chiedo invece, speranzosa.
«
Toujours, ma
puce³»
detto questo mi dà un buffetto sulla guancia e mi indica un
tavolino libero accanto ad una colonna.
Io e Leo ci sediamo e ordiniamo due granite al limone, senza
abbandonare il sorriso.
«Sai il francese» osserva lui, divertito, una volta
che Pierre è tornato dietro il bancone.
Mi stringo nelle spalle. «Mio padre è per
metà
francese, e anche mia madre è cresciuta bilingue. Non lo so
molto bene, però... di certo non bene quanto mia
sorella»
Lui appoggia il mento sulla mano e mi guarda interessato.
«Come mai?»
«Ho cominciato a parlarlo più tardi» mi
limito a dire, senza aver voglia di approfondire.
«Tu e tua sorella siete legate?» chiede.
«Sì» dico solamente, senza sapere
cos'altro poter aggiungere.
«Come si chiama?»
«Celie»
Mi è sempre stato difficile definire quello che
c'è tra
me e mia sorella. I nove anni di differenza non hanno mai aiutato a
legare particolarmente, ma siamo comunque fondamentali l'una per
l'altra. Credo che mi abbia sempre vista come figura di riferimento e
la cosa un po' mi fa piacere e un po' mi spaventa. Celie è
la
persona più dolce che abbia mai conosciuto e mi ha insegnato
molto a sua volta su me stessa e sul mio rapporto con le altre persone,
e anche se non siamo il tipo di sorelle inseparabili che si raccontano
qualsiasi cosa e non hanno mai abbastanza l'una dell'altra, siamo per
entrambe tra le persone senza le quali non potremmo vivere. Sorrido
nostalgica e abbasso lo sguardo sulle mie mani unite sul tavolino.
Pierre ci porta le nostre ordinazioni e lo ringrazio, per poi bere un
sorso della mia granita e trattenermi dal sospirare di sollievo quando
il ghiaccio mi scende lungo la gola.
«Tu hai fratelli?» chiedo dopo un po', per rompere
il silenzio.
«Due, un maschio e una femmina, entrambi più
grandi» risponde lui subito.
Annuisco, distratta. È così strano essere qui
assieme a
lui, da soli, a tentare di parlare del più e del meno senza
prenderci a frecciatine come abbiamo fatto fino a poco fa. In qualche
modo innaturale, eppure non mi sento a disagio, qualcosa in lui me lo
impedisce.
«Non abbiamo chissà che rapporto,
però» aggiunge, dopo poco.
«Perché?» chiedo automaticamente, ma
sinceramente interessata.
«Non lo so... nessuno nella mia famiglia è molto
“espansivo”, siamo tutti un po' chiusi. In
più
abbiamo interessi diversi...»
«Interessi diversi» ripeto, perplessa, cercando di
dare un significato alla sua frase.
«Già» commenta lui, con un'espressione
stile “che ci vuoi fare?”
«Non mi sembra un granché come motivo»
osservo, sincera.
Lui fa una smorfia, poi si stringe nelle spalle. «Non abbiamo
mai avuto niente in comune»
«Beh, fate parte della stessa famiglia»
Mi guarda in modo strano, una via di mezzo tra il diffidente e il
divertito, possibile?
«Com'è che improvvisamente sei tanto interessata
agli affari miei?» chiede, sospettoso.
Faccio spallucce, tentando di imitare la sua aria di noncuranza.
«Tu ti sei interessato ai miei tutta la mattina»
gli faccio
notare.
Lui scuote appena la testa, quasi come si fosse aspettato una risposta
del genere. «Ci ho provato, ma tu non mi hai mai dato
risposte
più lunghe di una frase, e nemmeno a tutte le mie
domande»
mi corregge.
«Nessuno ha detto che sei costretto a rispondere»
ribatto
io, più per avere l'ultima parola che perché lo
pensi
davvero. Ovvio, nessuno lo obbliga a rispondermi, eppure ho davvero
voglia di sentirlo parlare un po' di lui. Ho come l'impressione di non
sapere assolutamente niente sul suo conto, mentre lui sa già
molto di più sul mio.
Ci studiamo per qualche secondo, entrambi in silenzio, io seria, lui
sorridendo. Istintivamente mi chiedo cosa abbia tanto da sorridere
tutto il tempo. Davvero, tutto il tempo, è come se ci fosse
una
qualche sorta di molla o qualcosa del genere che impedisce alle sue
labbra di stare dritte per più di un minuto. In
più,
sembrerà stupido, ma ho la sensazione di essere io a
divertirlo.
Dovrei sentirmi offesa? O forse sono solamente paranoica... aspetta, ma
sta ridendo? Si è davvero messo a ridere?
«Cosa?» chiedo, aggrottando appena le sopracciglia.
Lui scuote la testa, mentre le risate si spengono lentamente.
«Niente, niente» mi assicura, senza però
suonare
completamente serio.
Continuo a guardarlo, insospettita.
«Sei buffa» ammette, un momento dopo.
Inclino leggermente la testa di lato e socchiudo gli occhi.
«Buffa?» chiedo, perplessa.
Lui annuisce, poi scoppia a ridere di nuovo. Fantastico, i miei dubbi
sono stati confermati. Ma cosa avrò di tanto buffo, poi?
«Buffa» ripeto, più rivolta a me stessa
che a lui,
come se dire quella parola ad alta voce possa darmi un nuovo
significato per essa, qualcosa che spieghi perché lo ritenga
un
aggettivo tanto adatto a me.
«Non sembri convinta» osserva.
«Buffa?» ripeto ancora una volta io, questa volta
leggermente scettica.
«Le tue espressioni... la tua faccia è davvero,
davvero espressiva,
lo sapevi?»
Sollevo appena le sopracciglia. «Espressiva?»
«Sì... non so come potrei spiegarlo in altre
parole»
si china leggermente sul tavolo, grattandosi il mento con l'aria
appassionata e pensosa di chi sta cercando il modo giusto per
descrivere il suo libro o film preferito. «Sul tuo viso
riesco a
leggere tutto quello che senti... non avevo mai conosciuto nessuna come
te. Non hai paura di dire quello che ti passa per la testa, e nemmeno
di dimostrarlo. Sei pura e naturale, e lo trovo straordinario»
Arrossisco appena, sebbene non abbia colto completamente il senso di
quello che sta dicendo. Pura... non mi sono mai sentita pura in tutta
la mia vita, non con tutte le cicatrici che mi ha lasciato il mio
passato. Cerco di mostrarmi noncurante e bevo un altro sorso di granita.
«Dovremmo diventare amici» osserva lui dopo un po',
e per poco non mi strozzo.
«Amici?» chiedo, leggermente scettica.
Lui annuisce e si appoggia di nuovo contro lo schienale della sedia.
«Noi due? Sul serio?»
«Perché no?»
Mi mordo il labbro inferiore, non è ovvio?
«Perché sei venuto a letto con me nonostante
stessi con la mia migliore amica?»
«Non stavamo...»
«Hai capito»
Incrocia le braccia e mi sorride. «Potremmo essere ottimi
amici»
«Dici?»
«Certo. C'è chimica, non la senti?»
«
Chimica»
«Com'è che ripeti ogni parola che dico?»
«Non ripeto ogni parola»
«Ne ripeti molte»
«Ripeto quelle che mi sembrano assurde. Chimica, quanti anni
hai, quindici?»
«Cos'è, non si può più usare
la parola “chimica” adesso?»
«Puoi trovarne di migliori»
«Feeling»
«Dio, meglio chimica»
«Non me ne vengono in mente altre...»
Lo osservo in silenzio per qualche secondo, le labbra strette, poi mi
decido a parlare. «Non credo che potremmo essere
amici»
ammetto.
«Perché no?» chiede lui, incuriosito.
«Per Camilla»
«Camilla non è un motivo. Dammi un vero
motivo»
«Lei è un vero motivo, visto che l'hai tradita con
me»
«Non l'ho tradita!»
«Fidati, l'hai tradita. E qualsiasi ragazza sarebbe d'accordo
con
me... in ogni caso, è comunque squallido andare a letto con
una
donna, che per giunta conosci appena, solo per non pensare alla tua ex
dopo soli tre giorni dalla rottura»
Scuote piano la testa, incredulo, ma preferisce non ribattere. Io
finisco la mia granita e poso il bicchiere vuoto sul tavolo,
osservandolo per qualche secondo assorta.
«Okay, fai finta per un secondo che tra noi due non ci sia
mai
stato niente» riparte lui, proprio quando ho cominciato a
pensare
che si fosse arreso. «Potremmo essere amici?»
Incrocio le braccia, cercando di immaginare la situazione, di trovarmi
nell'ingresso di casa mia, accanto a Camilla, e di vederlo per la prima
volta in vita mia. Di cenare tutti insieme e fargli qualche domanda su
di lui e sul suo lavoro.
«Forse» gli concedo, dopo un po'.
«Beh, forse è meglio di niente» osserva
lui, leggermente sorpreso.
Sorrido. «Ma è pur sempre forse»
¹Pierre, lui è Leo, il fidanzato di
Camilla
²Hai posto per noi?
³Sempre, piccola mia
*** Spazio Autrici ***
Hallo!
Come saprete, qui Leslie, pronta a stordirvi con un sacco di
info&news prima dell'inevitabile pausa estiva ^O^
Prima di tutto, però, parliamo del capitolo... come vi
è
sembrato? Personalmente è stato uno di quelli che mi sono
divertita di più a scrivere fino ad ora =P quei due mi
piacciono
tanto... chissà se ce la faranno mai a stare insieme? Mah,
dipende tutto da me e dall'idea geniale che non mi è ancora
venuta xD Comunque, tenete le dita incrociate (yn).
Oddio, cosa dire per primo? Beh, forse la notizia più
importante! Io e Lalla abbiamo cominciato la collaborazione ad un
nuovo progetto! *O*
Ohssì, signori e signore, ci siamo messe a scrivere una
nuova
long-fic (che forse diventerà un'altra serie? chi lo sa xD),
e
quando dico nuova intendo proprio nuova nuova. Niente più a
che
fare con DS (che dopo la fine del numero 3 probabilmente non
vedrà seguiti, ma sulla quale penso continueremo a lavorare
scrivendo forse qualche one-shot o missing moments come vi avevamo
annunciato che avremmo fatto già tempo addietro xD
vabbè,
si vedrà). Il titolo della storia (posso dirlo, vero? :D)
(oh,
sì ** NdLalla) è "The Eternity of Our Moments"...
bello,
eh? Non posso dirvi altro xD Ne saprete sicuramente di più a
fine agosto, quando torneremo con ds3, che, non vi preoccupate, non
abbiamo nessuna intenzione di abbandonare! (non adesso, dopo tutta
l'energia che ci abbiamo impiegato u.u) (direi u.u NdLalla)
Attualmente io ho iniziato (beh, ho scritto due righe di numero xD) il
capitolo 14 di ds3 mentre Lalla è all'11 e personalmente ho
intenzione di scrivere e scrivere e scrivere quest'estate. Basta che mi
vengano le idee... *asd (a chi lo dici! Io ho una paura matta di non
riuscire ad avere tempo per farlo, una volta al mare, ed è
per
questo che mi sto sforzando di scrivere adesso che sono ancora a casa!
NdLalla)
Next, cari lettori, vi annunciamo che abbiamo creato un account su
facebook per il
nostro account di efp! Vi consigliamo di tenerlo sott'occhio,
perché lo riempiremo di
anticipazioni
stuzzicanti sui capitoli inediti e aggiornamenti sui nostri vari
progetti (ohssì ** E se ci saranno delle richieste
particolari
potremmo anche soddisfarle ;) NdLalla)
Il link è questo:
CLICK
HERE (miraccomando, per chi ha FB, non esitate ad
aggiuncerci! ;D NdLalla)
Grazie mille agli angeli che ci recensiscono, come al solito, ma anche
a tutti quelli che seguono e preferiscono e ricordano, siete dei
tesori, è solo e solamente per voi che continuiamo a
scrivere
<3
Oh, credo che sia davvero tutto per questo aggiornamento... spero di
"rivedervi" tutti quanti quando torneremo dalle vacanze, belli riposati
dopo tanto mare e relax, e pronti a rimettere le dita sulla tastiera e
aiutarci ancora a migliorare e a tenerci motivate per continuare ad
aggiornare in tempo e scrivere tanto. Ci mancherete davvero troppo,
credetemi *^*
Tanti, tanti baci,
Leslie and Lalla
PS. Se vi va, passate a vedere la tabella che ho creato l'altro giorno
e inserito nella presentazione del mio account EFP (
QUI)!
Ci terrei a sapere cosa ne pensate! :D (NdLalla)