Willkommen, meine genial Liebling di Trick (/viewuser.php?uid=21078)
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In
risposta alla sfida di Demetra333 per l'epocale I
♥ Shipping indetto da CoS:
era sta richiesta una Silente/Gellert
che contenesse al suo interno questa meravigliosa
citazione di Baricco:
"Perché
è così che ti frega la vita. Ti piglia quando hai
ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine, o un odore,
o un suono che poi non te lo togli più. E quella
lì era la felicità. Lo scopri dopo, quando
è troppo tardi".
Non
sono molto sicura del risultato, giacché questa è
la mia prima
slash, e mi sa che non è nemmeno poi
così tanto slash - al massimo è una mezza slash
velata. Chiedo perdono, ma tant'è che questo è
quanto.
*
Willkommen,
meine genial Liebling
Il
modo in cui il tempo
era trascorso aveva notevolmente inasprito i tratti del volto di
Gellert; il suo viso ovale di diciassettenne si era scarnito in una
maschera dagli zigomi sporgenti e dagli occhi incavati. Le spalle
erano più larghe, il suo torace meno femmineo e le mani
ruvide e
callose: c'era qualcosa di spigoloso, in lui, ma
Albus non
avrebbe saputo dire se fosse a causa del rigido completo che
indossava o perché lui era Gellert Grindelwald, il
più terribile
mago oscuro ancora in vita e l'uomo che aveva trascinato l'intero
pianeta nel più grande conflitto mondiale mai visto. O,
forse, gli
appariva tale perché, in quanto Gellert,
aveva significato
tante cose per lui e in quel momento, dopo quarantacinque anni,
continuava a significarne troppe.
«Albus»
sibilò
con profondo accento tedesco e perfino il tono rauco della sua voce
sembra spigolosa e sbagliata.
«Gellert»
rispose
lentamente Albus, chinando con elegante educazione il capo. Si
stupì
di essere stato capace di pronunciare il suo nome senza esitazione,
dopo tutti quegli anni trascorsi senza udirne il suono.
Attraverso
le dita
intrecciate fra loro, Gellert parve studiare ogni suo dettaglio con
feroce curiosità. Sebbene non si fosse mosso dalla propria
scrivania, i suoi occhi gelidi sembravano brillare di impazienza.
«Non
sono affatto
stupito che tu sia riuscito a superare tutti gli uomini che avevo
occupato a difesa del palazzo» disse con
casualità. «Tu sei sempre
tu, dopotutto... e, dimmi, come sta procedendo il tuo soggiorno nella
mia Germania?».
«Temo
di non essere
qui per conversare con te».
«E
per quale altro
motivo dovresti essere qui, allora?».
Albus
socchiuse le
palpebre e respirò profondamente.
«Sono
qui per
ucciderti, Gellert».
L'affabile
sorriso di
Gellert si trasformò in un provocante sogghigno.
«Willkommen,
mein
Freund».
Godric's
Hollow,
quarantacinque anni prima
«Stavo
pensando...
perché il geniale e intraprendente Albus Silente continua a
nascondersi in questo villaggio zeppo di Babbani? Perché la
sua
meravigliosa e brillante mente non si decide a reclamare al mondo i
meriti che le spettano? Perché, Albus, c'è
così differenza fra il
ragazzo che conosco io e quello che conoscono gli altri?».
Albus
si immobilizzò
con la penna a mezz'aria. Sollevò lo sguardo su Gellert,
fiaccamente
appoggiato al muricciolo che circondava la modesta casa di Bathilda
Bath. I riccioli biondi che gli ricadevano davanti al bel viso gli
davano un aspetto da discolo un po' troppo cresciuto –
così
diverso da Albus, con quel suo naso lungo e il portamento contegnoso
di un uomo di mezz'età.
«Me
l'hai già chiesto
un'infinità di volte».
«Già»
annuì
Gellert, grattandosi con aria indifferente una guancia. «E
per
un'infinità di volte non hai voluto rispondere».
«Sai
perfettamente
che--».
«--che
la tua povera
sorella e il tuo zotico fratello sono ciò che sono e bla,
bla,
bla... oh, ich bin so gelangweilt!».
«Puoi
annoiarti fino
alla fine del mondo: per quanto mi riguarda, non ho intenzione di
rispondere alle tue sciocche provocazioni».
Gellert
si alzò e
stiracchiò la schiena con l'eleganza boriosa di un gatto; si
avvicinò al tavolino dove lui stava lavorando e gli
appoggiò le
dita sulle spalle. Albus non poté fare a meno di notare
l'ineccepibile attenzione con cui il compagno curava le proprie mani.
«Certo
che no...»
soffiò mellifluo al suo orecchio. «Tu non rispondi
mai alle mie
provocazioni, no?».
Albus
si lasciò
sfuggire uno sbuffo divertito.
«Sono
un uomo di
parola, Gellert».
«Ja,
das ist
wahr. Proprio vero. Troppo di parola, Albus. A volte, sei
fatto
solo di parole».
«A
cosa ti stai
riferendo?».
«Lo
sai. Sembra quasi
che tu stia qui a perdere tempo – a parlare
– per paura di
afferrare ciò che puoi afferrare... ciò che sai
di meritare.
E te ne resti qui» aggiunse con voce squillante Gellert,
allontanandosi di colpo da lui e iniziando a girargli attorno.
«Qui,
sperduto e isolato, a far marcire il tuo ingegno a causa di una
sorella squilibrata e di un fratello deficiente a cui non interessi.
Non gli interessi, Albus, o non ti costringerebbero a stare con
loro».
«Stai
esagerando,
Gellert».
«Nein,
no, non sto esagerando. Non sei felice, qui. Lo vedo. Lo sento. Lo
so. Ti conosco
meglio di quanto
nessuno ti abbia mai conosciuto... io ti capisco, Albus. Io so chi
sei realmente – io amo chi
sei realmente. E chi sei non sarà mai felice, qui. Non ora
che sai
cosa significa esserlo, perlomeno».
Albus
fece un profondo sospiro, lasciò cadere la piuma e
intrecciò fra
loro le dita, scrutando intensamente Gellert. Lo amava? Oh,
sì... lo
amava probabilmente più di quanto non avrebbe dovuto e lo
ascoltava
più di quanto non gli sarebbe convenuto. E ne era
perfettamente a
conoscenza. Gellert era un'indefinibile unione di rettitudine e
perdizione: era giusto,
tutto ciò che facevano era giusto, ma Albus aveva la
sensazione di
essersi spinto un po' troppo oltre. Aveva superato la linea che,
tempo prima, aveva promesso a se stesso di non superare mai: non
amava Gellert, era già
parte di
Gellert – e Gellert
di lui.
«È
troppo presto» ribadì con fiacchezza Albus.
«Devi avere pazienza.
Non capisco come tu non possa capire la mia situazione».
«Perché
è così che ti frega
la vita, Albus. Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti
semina dentro un'immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo
togli più». Gellert si appoggiò con i
gomiti al legno del tavolo e
avvicinò il proprio viso a quello di Albus.
«Quella lì era la
felicità. Lo scopri dopo, quando è troppo
tardi».
Albus
lo fissò intensamente, poi scoppiò in una bassa
risatina.
«Non
sapevo fossi un filosofo» lo canzonò.
«Sono
il tuo filosofo. È
solo per te che parlo; solo per te, quindi bada di non rendertene
conto troppo tardi. Nur für dich,
meine genial
Liebling... nur für dich».
«Sono
qui per
ucciderti, Gellert».
L'affabile
sorriso di
Gellert si trasformò in un provocante sogghigno.
«Willkommen,
mein
Freund» sibilò freddamente, levandosi in
tutta la sua altezza e
aprendo le braccia. «Sei il benvenuto».
Albus
estrasse la
bacchetta dal mantello con un gesto lesto, pregando in cuor suo di
avere la forza di respingere qualunque esitazione. Non poteva
permettersi alcun passo falso: Gellert, di certo, non se ne sarebbe
concesso nemmeno uno. Era sempre stata quella, in fondo, la
differenza che li aveva sempre divisi. Albus, da una parte,
così
incline a sbagliare e a trascinarsi nel pentimento e Gellert,
dall'altra, troppo restio a vedere l'errore laddove era più
evidente. Perfino in un altro tempo e in un altro modo non avrebbero
avuto alcuna possibilità. Ciò che più
serrava il cuore di Albus,
tuttavia, era la consapevolezza di averlo capito troppo tardi
– se
solo lo avesse capito prima, quante cose sarebbero andate
diversamente!
«Avevi
ragione,
Gellert» disse d'un tratto, sforzandosi di nascondere il
sorriso
rassegnato che gli era comparso in volto aggiustandosi gli occhiali
sul naso. «Avevi davvero ragione tu, alla fine. Ho capito
tardi...
ho capito ogni cosa troppo tardi».
Gellert
inarcò confuso
un sopracciglio.
«Temo
di non capirti»
sentenziò con feroce forza, mentre la Bacchetta di Sambuco
gli
scivolava leggiadramente nella mano destra. «Temo di non
averti mai
capito, in effetti».
«Nessuno
dei due ne è
mai stato in grado... è il motivo per cui siamo qui, ora. Io
e te».
«Come
avrebbe potuto
essere, se solo tu avessi avuto il coraggio di seguirmi. Se solo tu
avessi avuto la forza di restarmi accanto... era per il Bene
Superiore, Albus. Lo giurasti più e più volte.
Per il Bene
Superiore... ed ora, guardati»
ringhiò con furia. «Se
solo io fossi in grado di ripescarti da quell'immondo strato di
moralità che ti sei fatto appiccicare addosso...
dov'è finito il
geniale ragazzo che sei stato? Dov'è finito il tuo
desiderio, Albus?
Wo ist, Albus!?».
«È
troppo tardi,
Gellert. È troppo tardi per entrambi».
Troppo.
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