Sto tentando di convincermi di essere sveglia, che sia tutto
vero. Di non essere in un film. Perché questa scena è da film e l’ho vissuta
talmente tante volte nella mia mente, prendendomi in giro da sola per la sua
assurdità, che ora mi sembra surreale viverla davvero.
Se questo fosse un film tu ora saresti qui. Se questo fosse
un film tu torneresti da me.
Ma questo non è un film eppure tu sei tornato.
Come se fossimo in un film.
Fermo, immobile, gli occhi puntati su di me che ho appena
aperto il cancello di casa con la mia chiave, per poi alzare lo sguardo ed
incontrare il tuo. Per poi affogare nel tuo.
Come sono affogata quella volta, salutandoti.
Ricordi quando ci siamo visti per l’ultima volta? L’estate
stava finendo, io ti ho detto che quello sarebbe stato il nostro ultimo bacio e
tu non ci avevi creduto.
È stato così, hai visto?
Avevo ragione io. Avrei voluto non aver ragione, avrei
voluto sbagliarmi.
Avrei voluto che tu lo sapessi, quanto avevo voglia di
sbagliarmi.
Ma l’estate stava finendo e siamo finiti anche noi.
Quanto ci hai messo a dimenticarmi?
E quanto ci hai messo a ricordarti di me, a convincerti a
venire sotto casa mia, a tornare?
Ci hai messo troppo tempo?
Forse, non te lo perdonerei mai.
Ti sei mai chiesto quanto sarebbe cambiato se ti avessi
detto tutto quello che avrei voluto dirti, cioè che non era colpa tua? Cioè che
ti stavo salvando, in realtà? Cioè che non saresti stato felice, con me?
Volevo dirti tutto, ma con te è sempre stato troppo tardi,
qualunque cosa.
Era troppo tardi quando ci siamo incontrati, era troppo
tardi quando ci siamo detti addio.
È troppo tardi ora, per perdersi ancora ed andare alla
deriva nei tuoi occhi; è troppo tardi per fare anche solo un passo avanti verso
di te, che corrisponderebbe a troppi passi indietro.
Tornare a quando ti pensavo troppe volte al giorno e non
avrei dovuto. Tornare a quando contavo le volte in cui ti pensavo per tenerle
sotto controllo, ma non ci riuscivo mai.
A quando non c’erano il giorno e la notte, l’amore e l’errore,
ma solo l’indeterminatezza del crepuscolo.
E ancora ogni volta ho un sussulto quando sento quella
canzone.
Ho immaginato tante volte questa scena: vederti lì, in
piedi, immobile, gli occhi fissi nei miei, come se avessi sentito che stavo
arrivando proprio in quel momento. Ho immaginato questa scena, ma non il
seguito.
Perciò e per centinaia di altri motivi, adesso non so cosa
fare: fuggire o restare, allontanarmi o avvicinarmi.
Forse aspetto solo che tu dica qualcosa, con quella tua voce
che è unica, perché quando parli sembra sempre che tu stia sorridendo, anche se
è solo al telefono.
Ma lo sai che non sono brava a prendere decisioni.
Ne ho presa una, una volta e poi sono tornata indietro altre
mille volte. Indietro da te.
Sai qual è la mia specialità, di fronte ad una scelta.
Scappo. Più veloce che posso.
Perché farmi male non è tra le opzioni, il coinvolgimento va
evitato da subito. Scappare è facile, è la strada sicura. Scappare è l’unica
cosa che conosco, perché tutti sono sempre scappati da me, senza guardare
indietro.
Stavolta, però, i miei piedi sono incollati al terreno.
Stavolta che ne va davvero della mia vita, il mio istinto di
autoconservazione non funziona come dovrebbe.
Mi lascia bruciare nel tuo sguardo.
Perché nei film, l’eroina non scappa. Affronta i problemi a
testa alta, li risolve e vive felice e contenta.
Quell’eroina che io non sono, perché questo non è un film.
Quindi io rimango ferma ad immaginare cosa ti abbia spinto a
venire qui, a tornare qui.
Cos’è stato? Hai sentito quella canzone, visto quel
telefilm, incontrato qualcuna che mi somiglia? Hai riletto quel messaggio che,
dopo averlo letto troppe volte, avevi imparato a memoria? Hai cercato di
cancellare il mio numero dalla rubrica e non ci sei riuscito? Mi hai chiamata
per farmi gli auguri e ti ha risposto la segreteria?
Ti sei semplicemente chiesto, per la prima o per la
centesima volta, “perché”?
Senza sapere che io in realtà ti ho salvato.
Ti sei salvato?