Untitled Document
<< Lyra? >>, una voce.
“Oh no… Non adesso…”, pensò Lyra serrando
ancora di più gli occhi nel sonno.
<< Ragazza, è venuto il momento… >>
“Ma perché? Vorrei restare così, non voglio svegliarmi…
Non ancora….”
<< Lyra Linguargentina. >>, scandì la voce, profondamente.
“Eh? Ma chi… Come… Iorek!”
Lyra aprì gli occhi di scatto, e sussultò.
Bianco assoluto.
La distesa piatta e immobile di neve si estendeva davanti a lei come un oceano
di latte, e il cielo sembrava rifletterlo, atono e spento. Sbatté gli
occhi più e più volte, cercando di fare mente locale su ciò
che era potuto accadere. Si trovava ancora accucciata per terra, con Pan in
grembo, si era… Addormentata. Prima era a Oxford, e poi si era svegliata
lì, dovunque fosse…
Ma perché si era svegliata?
I ricordi incominciarono a sfumare come in un sogno… Una voce amica, lontana,
che non sentiva da tempo… Un ricordo doloroso… Un volto che si perdeva
nella nebbia…
Confusa, cercò di alzarsi, e solo in quel momento capì che c’era
qualcosa di davvero strano.
Neve. Era stata seduta sulla neve, in quel momento le sue mani vi erano totalmente
immerse, ed era vestita come soleva fare negli inverni cupi di Oxford, dove
certo non nevicava e malapena la temperatura andava sotto lo zero.
Ma non sentiva freddo. Non sentiva… Non sentiva neanche più il
calore del suo daimon, che ancora teneva in braccio e non sembrava voler svegliarsi.
Lo guardò distrattamente, pensierosa.
“Come posso essere finita qui? Non riesco a capire… In realtà,
non ricordo nemmeno cosa stessi facendo prima, strano…”
Pantalaimon continuava a tenere gli occhi chiusi, immobile.
“Tutto è così immobile, calmo… Strano luogo”
Pan si contorse, irrequieto
“Oh, accidenti, ma che faccio?”
Improvvisamente, mugolò nel sonno e… Sparì.
Lyra percepì subito l’assenza dell’animale, e una fitta
al cuore la prese. Abbassò di scatto la testa, e dove prima la sua mano
teneva il corpo inerme del daimon, ora stringeva il vuoto.
Stava per gridare, per chiamarlo, per disperarsi…
La sua vista si fece sfocata, ed ebbe un mancamento: si lasciò cadere
pesantemente sulla neve, morbida anche se non poteva sentirla.
Una folata di vento mosse le chiome degli alberi, senza sfiorarle un capello.
“A cosa stavo pensando? Che importanza può avere?”,
si chiese improvvisamente confusa.
Poi lo vide.
Era… Enorme. Possente. Il pelo bianco qua e là striato di rosso,
rosso sangue. Il muso aveva qualcosa di umano, qualcosa di rassicurante in quegli
occhi neri come pozzi d’inchiostro.
Le erano zampe levate, camminava ansimante lasciando pesanti solchi nella neve,
girandosi di tanto in tanto, con le zanne scoperte grondanti di sangue.
Si stava avvicinando.
Lyra lo fissava, immobile, come invasa da una specie di trance, un torpore
che le impediva di pensare coerentemente…
Continuava ad avanzare. Adesso poteva vedere ogni singola incrostazione di
sangue sul muso, il candore del pelo contrastava ferocemente col rosso scurissimo
che scaturiva dalle ferite, gli macchiava la dentatura e l’anima.
Era un guerriero, sempre reduce da una qualche battaglia.
Adesso, gli ero quasi a fianco.
Si accorse che con tutto probabilità non sembrava vederla, vista che
procedeva ostinatamente in avanti, chinando ogni tanto il muso per resistere
alle raffiche, guardando in lontananza, come passandole attraverso.
Poi accadde. Come un fiotto d’aria calda, come una zaffata d’odore
improvviso e pungente, come l’acqua gelida che ti sveglia inaspettatamente.
Le parole le arrivarono alle labbra, in qualche modo sotto il controllo di
qualcun altro.
<< Iorek… Byrnison. >>, sussurrò nell’esatto
momento in cui lui le passava così vicino da sfiorarsi.
Ma non successe nulla. La ragazza si voltò, disperata, vedendolo allontanarsi
impassibile, come se non fosse lì, come fosse… In un sogno.
Un sogno che non le apparteneva, un sogno vivido come un universo parallelo,
invisibile come la più sottile lama di un coltello.
Ancora una volta, vento. Quella sensazione di vuoto, smarrimento, perdita.
L’orso era irrimediabilmente lontano, e con lui qualcos’altro andava
perso… Ogni secondo che passava, le sembrava di abbandonare una parte
di sé, di lasciare una traccia su quel cammino.
E se tu senti il mio richiamo, e se tu vedi la mia luce, ti aspetterò.
In quel momento quello specchio, d’illusioni e di bugie, si frantumerà
– t’aspetterò.
Riesci a vedere, questa via che sale?
Intuisci le moltitudini?
E noi ora, siamo sopra il cielo stellato, fra la verità dobbiamo abitare.
E se tu senti la mia voce, se hai ancora quella luce – tornerò.
Stordita, irrequieta e con una spossatezza fastidiosa che si impossessava delle
sue ossa, Lyra si guardò intorno, come aspettando un qualche segnale.
I suoi piedi non lasciavano impronte, la sua mente non era né attenta
né vigile, e passo dopo passo, un battitto alla volte, perse la via.
Innervosita, e stanca – ma non d’una stanchezza fisica, più
che altro psicologica e morale – si accasciò nelle neve, atona
e senza voce. Chiuse gli occhi, e ricordò.
La neve incominciò a cadere, ricoprendola come un velo, come un abbraccio,
penetrandola come un colpo di pistola.
Ancora quel viso, quegli occhi, quel sorriso. Emergevano dalla nebbia, si avvicinava
fino a sfiorarla… Per poi cadere, inesorabilmente nel nero abisso dei
ricordi.
“Oh no, per favore, almeno questa volta…”
Ma da quanto stava dormendo su quel marciapiedi? Forse era il caso di alzarsi,
correre via… Fuggire.
“Io non fuggirò, mai, mai… Però, adesso lasciami
in pace… Will, almeno nei sogni, fate che lo dimentichi, solo qui…
Non voglio più ricordare, non voglio più chiudere gli occhi.”
Ma tu stai già sognando.
Impossibile, questo è un sogno.
“Io… Ricordo.”
Ne sei sicura? Sei sicura che l’oblìo sia la cosa migliore?
Stai vivendo il mondo reale?
Adesso che puoi vedere, non lasciare andare, mai più.
Lyra.
Lyra.
<< LYRA! >>
<< Ah! Chi è? Chi sei? >>
Si svegliò di soprassalto, strabuzzando gli occhi per la sorpresa e
guardandosi intorno. La neve l’aveva ricoperta quasi totalmente, ma non
sentendo freddo non poteva accorgersene.
Aveva fatto un sogno strano…
Era come trovarsi da un’altra parte, pur rimanendo lì.
Ricordava molte cose, quel senso di chiarezza se lo sentiva ancora sulla pelle.
Poi si rivolse allo sconosciuto, perplessa.
<< Ma tu chi sei? >>
<< Non lo so. >>, rispose lui con occhi vacui.
<< Neanche io. Eppure mi hai chiamato. Hai usato un nome… >>,
mormorò confusa.
<< Sì. Ma perché è quel che stavi dicendo tu nel
sonno… Lyra… E un altro nome… >>
<< Will! >>
<< Sì, era quello. Quello… Ma chi è? >>
<< Forse sei tu? >>, chiese esitante, scrutandolo con attenzione
<< Io? No, non è possibile. Io sono qui da sempre. >>, rispose
stordito.
<< Ne sei sicuro? Ma questo è solo un sogno… >>
<< Eppure tu stavi dormendo, e com’è possibile? >>
<< E così, perché… Là vedevo. Ricordavo e
sentivo. Per quanto doloroso possa essere, per quanto assurdo e ingiusta la
vita appaia-
<< No, sta’ zitta! >>, gridò lui, improvvisamente
nervoso.
<< …Per poter ricordare i momenti felici, per non diventare dimentichi
e inutili, ne vale la pena, non è vero, Will? >>, mormorò
infine, con gli occhi velati di lacrime.
<< No, no! >>, continuò a ripetere, con una nota di disperazione
nella voce.
Lyra fece un sorriso amaro, e gli mise gentilmente una mano sulla guancia.
<< Torniamo, Will. >>
<< Non… Non è vero che ne vale la pena. >>
<< Ti ricordi, di me…? Ricordi… Di noi? >>
<< Non voglio. >>
<< Alzati. >>, disse improvvisamente brusca.
<< Come? >>
<< Avanti, alzati. >>, ripeté rimettendosi in piedi, un
po’ a fatica. La sua immagine diventata sempre più sfocata e irreale,
come dovesse dissolversi da un momento all’altro.
Will si alzò, guardandola negli occhi con aria di sfida.
<< Chiudi gli occhi. >>
Lui obbedì.
<< Come ti chiami? >>
<< Will… >>
<< Sì, è così… Adesso dimmi, ricordi Svalbard?
E le streghe, il mondo dei morti e i nostri ricordi? Quando eravamo insieme?
>>
<< Sì, ricordo. >>
<< Apri gli occhi, adesso. No, non verso di me. Non devi guardarmi, ma
svegliarti ora. >>
<< Ma perché?! Non possiamo… >>
<< … Restare così? Oh, Will, io vorrei, va bene, lo vorrei!
Ma non è così che deve andare, non è così che vivremo,
capisci? C’è qualcosa… Qualcosa che attende, sempre. >>,e
a metà frase la sua voce si incrinò appena.
Tese la mano verso di lei, sempre con gli occhi chiusi, fino ad andare a sfiorarle
le guance, le labbra, i capelli… E sentì, sentì il calore
del suo corpo, come essere davvero insieme. Lei gli prese la mano, e la strinse
fino a farsi male. Will non poté vederlo, ma anche lei chiuse gli occhi,
per tornare, per non piangere.
<< Non dimenticarti di me, Lyra. >>, mormorò pianissimo.
Il bianco assoluto di quella landa stava a guardare, e da quelle lacrime, cadute
sul suolo sterile e arido delle illusioni, si formò un solco, come una
traccia indelebile, una cicatrice invisibile…
E da lì, da quella promessa, sarebbe nato un fiore.
Apri gli occhi.
EPILOGO
Il vento soffiava impetuoso ad Oxford, sollevando le foglie secche, figlie di
quell’inverno gelido, che vorticavano nell’aria come fantasmi dalla
lunga ombra, danzando sotto le prime stelle che stavano sorgendo, in una luce
fredda che ghiaccia l’anima.
Will aprì gli occhi di scatto. Non si mosse, il corpo intorpidito per
il freddo. Scosse la testa e strabuzzò gli occhi, tentando di mettersi
in piedi e capire cosa ci faceva lì, su quella panchina gelida alle sette
di sera passate.
Si appoggiò a un albero, barcollando, e cominciò a mettere ordine
su quel che era successo…
Era lì con Christine. Erano lì e… Lei aveva pianto. No.
Però era triste, molto triste…
Ma era proprio Christine? O qualcun altro che le assomigliava incredibilmente?
Scacciò quel pensiero dalla testa prima ancora di poterlo formulare.
Non, non lei.
Lui l’aveva lasciata. Era da molto che programmava di farlo. Sì,
era per quello.
Poi si era addormentato – fin lì tornava tutto.
E…
Bianco assoluto.
Eh?
No, che vuol dire?
Aveva visto… Dio, che sogno strano!
Ma certo, aveva sognato Lyra. Un’abitudine, oramai. Eppure, questa volta
gli era rimasta una strana sensazione addosso. Come di serenità, appagamento…
Però, sentiva un gelo incredibile, come se avesse visitato Svalbard,
in sogno…
Che assurdità, pensò. Gli venne quasi da ridere, e un po’
da piangere. Ma non poteva, glielo aveva promesso. Quando era stato? Comunque,
sicuramente… Sicuramente.
Strinse forte i pugni, e ricominciò a camminare per quelle vie oscure.
E si accorse solo in quel momento, di avere in mano
Un fiore. Un piccolo fiore bianco, col pistillo azzurro.
Un sorriso. Un lacrima.
Questa, è la promessa.
…
Lyra aprì gli occhi con lentezza, quasi temesse di ritrovarsi accecata….
Ma da cosa poi? Era tardi, il sole stava calando, la luce calda del crepuscolo
si faceva più fredda, lasciando il posto alla brezza fresca della sera.
Sentiva gli arti intorpiditi e stanchi, come dopo una lunga passeggiata.
Pan non era più accoccolato vicino a lei, a appena se ne accorse si guardò
intorno, allarmata.
<< Pan! Pan, cosa fai? >>, gridò, guardandosi intorno.
Il suo daimon apparve pochi secondi dopo, il muso di martora che spuntava da
un groviglio di rami poco lontano. Le si avvicinò lentamente, lei era
ancora intirizzita per essere rimasta a lungo nella stessa posizione…
Strano, nel sonno si muoveva sempre come un’anima in pena, soprattutto
quando lo sognava. E invece era rimasta immobile questa volta, come svenuta.
Che sogno assurdo, poi! Era bianco assoluto, ed era quasi certa di aver visto
Iorek. Erano anni,in realtà, che non lo incontrava. Chissà se
era vivo o morto? Avrebbe cercato di interrogare l’Altiometro in proposito.
E poi…
…
Ma come…?
Si accorse solo in quel momento di avere le guance bagnate, ancora rigate di
lacrime.
Si strofinò con forza gli occhi, cercando di sopraffare quel groppo alla
gola che sentiva. Pan le si avvicinò, titubante, vedendola improvvisamente
pensierosa.
Lyra alzò la mano per accarezzarlo, ma si fermò a mezz’aria.
In bocca, teneva un piccolo, delicato fiore bianco.
Un ultima lacrima, una promessa.
Ricordati di me.
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