Venticinque anni e non sentirli.
Ok, non era così vecchia da sentire il
peso dell'età, però il concetto era quello.
Ed era il suo compleanno!
Faceva caldo quel giorno.
La bella venticinquenne si sedette
all'ombra di un albero, la gonna dell'ufficio le lasciava scoperte le
ginocchia candide.
“Certe volte penso di riflettere la
luce.”
Il vento non spirava nemmeno a pregare
qualunque Kami possibile, ma l'ombra donava un certo sollievo.
La natura dona sempre sollievo a chi ne
ha bisogno.
Era letteralmente scappata. Doveva
essere alla mensa con i suoi colleghi, ma l'idea di uscire da quelle
quattro mura di cemento caldo e di godersi quello scorcio di natura,
era stata troppo allettante.
“Venticinque anni. E non ho ancora
trovato l'uomo giusto.”
Lanciò le scarpe laccate di nero ad un
paio di metri di distanza, le quali brillavano in modo quasi
fastidioso.
Quando si compiono gli anni è
inevitabile pensare al passato, ai successi e alle sconfitte, a tutto
ciò che non era stato realizzato e non sarebbe
più tornato.
Si sentiva fortunata ad avere un lavoro
che le piaceva, aveva avuto delle storie di amore e non le sembrava
di dover essere compatita.
Eppure...
Quella sensazione di malinconia non si
placava.
Forse se li avesse rivisti un'ultima
volta...
No.
Era come la dipendenza dalle sigarette.
“Questa è l'ultima e poi basta.”
Sai che non è così, che ne seguirà
un'altra e cercherai di trovare il modo di assaporare il sapore acre
sulla lingua ancora. Vivrai e ti consumerai per questa ossessione.
La dipendenza dalle persone, o del loro
ricordo, agisce allo stesso modo.
O forse è peggio.
Se scopri di non essere un loro
pensiero fisso, di non aver stravolto le loro vite come hanno fatto
loro con te, se ti rendi conto dei bastardi che sono diventati, se ti
accorgi che non siete compatibili.
Se capisci di aver vissuto nell'ovatta
composta da ricordi fin troppo felici per essere reali e da visi fin
troppo belli per essere veri.
A quel punto, cosa fai?
L'orologio scandiva il tempo, gli
uccelli cinguettavano, le nuvole passavano.
“Non sono cresciuta poi molto se
continuo a farmi certi problemi... vorrei solo sapere se si ricordano
di me.”
La schiena dritta era appoggiata contro
il legno dell'albero, le mani candide stringevano un lembo della
gonna celeste e gli occhi si facevano pesanti.
L'afa nelle città di mare è davvero
insopportabile.
-Doremi-chan svegliati!-
I grandi occhi della donna si aprirono.
Era un bel prato, ma il colore dell'erba sembrava azzurro e i fiori
erano completamente nuovi ai suoi occhi curiosi.
-Ma dove sono?- le parole uscirono
lente e pesanti.
-Lo sai dove siamo...-
Era così bella quella voce, così fine
e delicata. Era di ragazza, probabilmente lontana dall'età
adulta ma
anche dalla fanciullezza.
Sembrava provenire da una caverna,
eppure non vi erano pertugi o gallerie.
-Non ne ho proprio id...-
-Ti sei dimenticata di noi? Di me?-
-NO!-
Furono le sue labbra a muoversi, i suoi
polmoni a dare fiato.
Il suo cervello non le diceva nulla di
significativo, ma il suo corpo sapeva; proprio questa consapevolezza
fece muovere le sue gambe, dapprima con lentezza, fino ad una corsa
matta e disperata.
I fiori si spostavano e l'erba
ondeggiava ovunque anche se lei il vento non lo sentiva addosso.
Mentre respirava l'aria, nessun
particolare odore si levava da così tanta natura, si rese
conto di
un nome.
-HANA!-
Le gambe si fermarono facendola
crollare a terra di botto.
-Mamma...-
Si rialzò alla meglio, si
maledì per non aver capito prima che era Hana –
aveva pensato a
lei fino a poco prima, e si guardò attorno spaesata.
Dove era? La voleva vedere,
immergersi in quei grandi occhi castani fino ad affogare in ogni
singolo ricordo.
Poi una stretta calorosa la
avvolse e si materializzò qualcuno davanti.
-Hana-chan...-
Seguirono attimi di
silenzio. La testa bionda era stretta al petto della donna, piangeva
lacrime calde e si aggrappava con tutte le forze a quella camicetta
immacolata.
Doremi le accarezzava i
capelli lunghi e sciolti, sentiva che le lacrime rigavano le sue
guance, ma non singhiozzò.
Quando anche l'ultima
lacrima finì di uscire dagli occhi di Hana, le due
cominciarono a
parlare.
Le parole uscivano come
fiumi: erano sconnesse, eccitate, cariche di significato e stupide
allo stesso tempo, nostalgiche, lasciate a metà.
Eppure erano parole. Le voci
erano diverse dall'ultima volta che si erano parlate, eppure quella
nota, l'accento, l'intonazione... erano inconfondibili.
-Non potevamo lasciarti un
altro compleanno senza regalo!-
Fu l'ultima frase della
principessa, la quale fece apparire un paio di orecchini dal nulla.
Erano come rubini, ma
definirli tali era sbagliato. Brillavano dall'interno.
-Non posso accettarli!-
-Certo che puoi... anzi,
devi! Con questi vederci sarà più facile...-
La luce interna si mosse
vorticando.
Erano belli e magici, ma non
le sembravano così potenti.
-Io.. e le altre?-
-Questo è il tuo
compleanno.-
Fu la parola “compleanno”
a far sparire tutto.
Nero totale.
-Hana!- disse, ma non appena
riaprì gli occhi si rese conto di essere a Misora, nel
parchetto.
-Accidenti, che sogno
strano...-
Era stanca, i muscoli le
facevano male e la testa le scoppiava.
Si toccò le orecchie, ma
ovviamente non c'era niente.
Aveva sognato Hana, come
spesso le accadeva, ma non vi era traccia di lui;
eppure era strano, se sognava il mondo delle streghe c'era sempre il
principe di quando era bambina a farla sorridere.
Un'angoscia
interiore le attorcigliò lo stomaco.
Come
poteva essere stato tutto così irreale e triste? Aveva
toccato i
capelli setosi di Hana, si era crogiolata nel calore di quella
stretta così desiderata, aveva sentito quella voce
così tenera.
Si
guardò le ginocchia ancora una volta. Non doveva aver
dormito molto,
il sole non si era mosso granché e anche se avrebbe dovuto,
non
guardò l'orologio.
Se era
in ritardo sarebbe stata sgridata, non le importava. Ma sapeva che se
si fosse alzata tutto il sogno sarebbe svanito.
Dipendeva
dai ricordi, lo sapeva.
Ripercorse
a occhi chiusi tutto il sogno, ogni singola parola che si erano dette
e sorrise della foga di ragazzina che aveva avuto nel parlare con la
sua piccola principessa. Le succedeva di parlare così solo
quando si
ritrovava con le sue Ojamajo e ricordavano i bei tempi con Majo Rika
e LaLa, di quando il problema più difficile fosse creare un
gioiello
che non sembrasse uno sgorbio.
Poi si
decise. Alzò gli occhi alle fronde degli alberi e si mise in
piedi,
pronta a tornare in ufficio.
Guardò
l'orologio e si rese conto di aver dormito e fantasticato solo per
venti minuti, quindi si piegò per prendere le scarpe.
Fu lì
che accadde.
Dalla
sua tasca destra cadde un pacchettino di velluto grigio. Era una
scatolina piuttosto piccola, strana quasi.
“Cosa
ci fa nella mia tasca?” si chiese raccogliendola.
Prima di
aprirla pensò a quei bei orecchini rossi.
Non
potevano essere loro, eppure...
La prima
cosa che vide aprendo il contenitore, fu un bigliettino piegato e
ripiegato. Era una carta marrone, sembrava prestigiosa.
“Un
messaggio di Hana-chan!” esclamò felice, prima di
aprirlo.
Intravide
che effettivamente gli orecchini erano quelli, solo che non vi era
nessuna luce interna.
“Cara Doremi-chan,
o forse dovrei usare il
-san? Non so bene quanta confidenza possa darti.
Ho pensato di farti un
regalo, spero ti possano piacere! Sai, sarò nella tua
città presto
e magari... non so, ti andrebbe di prendere un caffè
insieme? Lo so,
forse penserai che sia una cosa fuori luogo, non ti ricorderai
nemmeno chi sono. Ma tu hai lasciato dentro di me una macchia
indelebile.
Quindi, quando vorrai,
indossa gli orecchini e io saprò che vuoi incontrarmi.
A presto spero,
Shidoosha Akatsuki”
Un
caloroso sorriso le illuminò il viso.
Non era
la sola ad essere dipendente dai ricordi.
Fin
Note:
Piccola storiella nata alle 3 di notte, mentre non riuscivo a
prendere sonno! -.- La dedico in particolare a Diana, ma anche a
tutti coloro che leggono e commentano le mie fanfiction! :) (Sono
AikoSenoo, ho cambiato nick!)
Grazie a
tutti e a presto spero.
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