Babylon
(seguito di "A Divine Love")
Prologo – La Colonna
Un silenzio tombale era
sceso sulla grande sala, talmente cupo che parve oscurare il sole, i
cui raggi erano liberi di illuminare l’ampio ambiente
passando per
il lucernario sulla volta. Ma nemmeno il suo caldo chiarore era in
grado di scacciare le tetre preoccupazioni che in quel momento
tormentavano la mente del giovane uomo seduto sullo scranno
d’oro
in fondo alla sala.
Il gomito poggiato sul
bracciale, la mano alla fronte a coprire gli occhi fissi e quasi
vuoti di speranza, la chioma bionda a nascondere il resto del volto
alla vista di altri, l’uomo tentava in tutti i modi di
trovare una
soluzione a quella tragica notizia appena arrivatagli.
Mai avrebbe pensato che
qualcosa sarebbe arrivato a distoglierlo dal suo obiettivo primario.
Ma mai, sapeva anche, era una parola pesante e da
usare con
parsimonia, proprio come egli aveva mancato di fare.
E ora iniziava a subirne
le conseguenze, talmente gravanti da costringerlo a fare una cosa che
gli bruciava fare: tornare sui suoi passi. Si giustificò al
pensiero
che lo faceva per amore della sua grande e potente famiglia, la cui
memoria non voleva venisse dimenticata o rilegata in qualche borioso
libro che il tempo avrebbe consunto.
Già pochi erano quelli
che si ricordavano dei loro nomi, delle loro imprese, del loro
potere. Ancora meno quelli che decidevano di servirli fedelmente.
Altri nomi, altre famiglie erano nate per prendere il loro posto, per
essere ricordate, le loro azioni esaltate, i loro insegnamenti
tramandati.
Per questi nomi, alcuni
avevano infine deciso di agire, di minacciare. Magra consolazione gli
portò il pensiero che, alla fine, erano soltanto nomi.
Zeus sospirò e riprese
la posizione eretta sul trono che gli si confaceva, puntando lo
sguardo dorato sul suo messaggero. Hermes aveva portato la funesta
ambasciata più velocemente possibile, quindi aveva atteso
paziente
la decisione finale del suo signore. Nulla trapelava dalle iridi
color del fulmine del re degli dei, i muscoli del viso non
accennavano a dare al volto severo un’espressione
decifrabile, il
respiro regolare non ingannava nessuna agitazione.
“Porta Apollo e
Artemide al mio cospetto” ordinò secco. Hermes non
si perse in
inutili considerazioni e sparì fulmineo oltre
l’apertura sulla
volta.
In breve fu di ritorno,
entrando dal pronao affiancato dalle divinità che il suo re
desiderava vedere.
I divini gemelli si
inchinarono al suo cospetto, figli devoti di un sovrano che stava
perdendo il suo regno.
“Alzatevi”
comandò
Zeus, ed essi eseguirono.
“Cosa comanda il padre
degli dei?” domandò Apollo reverente.
Zeus volse però lo
sguardo alla sorella.
“Che ne è
stato del
Santuario di Atene?” le chiese.
“L’ho
lasciato, come
voi avete ordinato, dopo lo scontro con Atena e i suoi Cavalieri.
Adesso è nelle mani degli esseri umani che ivi sono rimasti,
fedeli
ad una dea che non vi ha fatto ancora ritorno”
Dalle parole di Artemide
trapelò il fastidio per il fallimento della sua missione
sulla Terra
e la sconfitta riportata contro la sorellastra, senza dubbio la
favorita di Zeus.
“E la
colonna?”
indagò ulteriormente il dio.
“Intatta, mio signore.
In quanto artefatto divino, non può essere scalfita da
alcunché e
il suo contenuto è rimasto quindi imprigionato in
essa”
“Perdonatemi, divino
Zeus” si intromise Apollo “Ma possiamo sapere a
cosa queste
informazioni sul Grande Tempio vi servano?”
“Il tempo per le
spiegazioni è poco, quello per agire ancora meno”
rispose Zeus,
volgendo lo sguardo sulla divinità del Sole “Per
ora sappiate che
le vostre sorelle sulla Terra sono in grave pericolo e che se la
minaccia che al momento incombe su di loro non sarà arginata
in
tempo, è possibile che raggiunga anche
l’Olimpo”
“Ma è
impossibile!”
obiettò Apollo “Nessuno è mai riuscito
a scalare l’Olimpo
contro la volontà degli dei”
“I tempi del mito sono
finiti, figlio mio” ribatté greve Zeus
“Nuovi nemici premono
alle nostre porte, ben più potenti di quelli di allora.
L’era
della supremazia di noi olimpici sta volgendo al termine e le
continue reincarnazioni ne sono una dimostrazione. Ma là
fuori c’è
qualcuno che non solo vuole toglierci il potere, ma persino
l’immortale vita”
I gemelli ammutolirono di
fronte a quel presagio nefasto che fece crollare tutte le loro
certezze. Era quasi impossibile credere alle parole di Zeus, ma il
barlume di apprensione che infine trapelò dai suoi occhi li
convinse
che era tutto vero.
“Tuttavia
un’azione
tempestiva può andare a nostro vantaggio. Il nemico
è ancora acerbo
e, secondo le mie riflessioni, procederà per tentativi prima
di
organizzare un attacco studiato e deciso. È fondamentale
estirpare
il male prima che cresca troppo e acquisisca sicurezza”
“Come fare, allora, mio
signore?” domandò Artemide, turbata.
“Attaccheranno sul
fronte più debole, sulle reincarnazioni, sulle
divinità in Terra, e
lo faranno di sorpresa. Intervenire di persona ci esporrebbe troppo.
Serve perciò inviare in soccorso delle vostre sorelle coloro
che più
si avvicinano a noi in potenza”
“Divino Zeus, non
vorrete…”
“Sì, Apollo.
È mio
volere che la colonna venga distrutta, e che siate voi a
farlo”
Una calma quasi irreale
regnava al Grande Tempio, devastato dalla furia degli Angeli di
Artemide e ormai irriconoscibile. Quel luogo di gloria e potenza non
era altro che un cumulo di macerie tra le quali camminavano lenti gli
ultimi guerrieri rimasti. Pieni di volontà avevano deciso di
restare
e di piegare le loro schiene affinché il Tempio tornasse al
suo
antico splendore, con le Dodici Case a svettare su tutti gli altri
edifici e i loro futuri custodi sulla soglia.
Di quelli precedenti non
era rimasto che quell’inquietante colonna al centro
dell’area
occupata dal Santuario, eretta a monito dagli dei per ricordare la
punizione inflitta a chi osa ribellarsi al loro volere.
In molti avevano pregato,
pianto, semplicemente atteso sotto gli sguardi di pietra dei volti
dei Cavalieri d’Oro, nella speranza che un giorno la loro
memoria
fosse ristabilita e che altri prendessero e onorassero il loro posto
alle Dodici Case.
Marin dell’Aquila
poggiò una mano guantata sulla parete liscia della colonna,
il volto
mascherato sollevato a guardare uno solo dei volti, per non
dimenticarne mai le fattezze. Molti mesi erano passati da quando i
dodici guerrieri si erano sacrificati sotto il Muro del Lamento,
nelle profondità degli Inferi, ma per lei il dolore era
ancora
bruciante.
Un potente cosmo alle sue
spalle la fece voltare di scatto, pronta ad un eventuale
combattimento, ma i suoi muscoli si rilassarono subito a sentire le
parole di pace della dea Artemide.
“Ferma, donna, non sono
bellicose le mie intenzioni”
Ben presto accorsero in
molti alla colonna, richiamati dal potente cosmo della dea. Marin si
affrettò a placare gli animi più irruenti. Dal
gruppo si fece
avanti Shaina, coperta dall’armatura di Ophiuco, per
esprimere con
un’unica voce il dubbio di molti.
“Qual è il
motivo del
vostro ritorno, dea Artemide?”
Lei e gli altri Cavalieri
che un tempo erano stati devoti ad Atena erano passati sotto il suo
comando una volta che Artemide aveva preso in mano il potere sulla
Terra, ma l’unico motivo per cui l’avevano fatto
era la totale
devozione alle dea della giustizia, il cui volere non andava
discusso, anche se contrario ai loro principi. Per Shaina era stato
doloroso attaccare Seiya, ma non aveva avuto altra scelta.
“Non intendo occupare
nuovamente il tempio” esordì la dea, distaccata
“Eseguo solo gli
ordini del divino Zeus, poi di me non vedrete più neanche
l’ombra”
L’uditorio
ammutolì
quando Artemide allargò le braccia e un piccolo arco con una
freccia
incoccata comparve davanti a lei, puntando la colonna.
Marin si affrettò ad
allontanarsi quando il dardo venne scoccato. L’esile punta
perforò
la possente colonna da parte a parte e una profonda crepa la
venò
lungo tutta l’altezza, andando a crearne altre più
piccole in
un’infinita ragnatela che, infine, esplose in un accecante
bagliore
di luce.
I presenti furono
costretti a ripararsi gli occhi e, una volta cessato il bagliore, si
meravigliarono di cosa aveva rivelato.
Artemide sembrava
scomparsa, così come la colonna, di cui neanche un piccolo
frammento
era rimasto. In compenso, tutt’attorno al luogo in cui si
trovava,
immersi in un liquido viscoso e trasparente, stavano i corpi nudi dei
Cavalieri d’Oro.
“Non è
possibile”
esclamò qualcuno.
“È un
miracolo” gli
fece eco qualcun altro.
Marin non disse niente.
Lo stupore per ciò a cui aveva appena assistito le aveva
fatto
morire le parole in bocca. Non uno mancava all’appello, e
oltre ai
dodici custodi, anche il Gran Sacerdote Shion e Kanon erano tornati
in forma corporea.
La Sacerdotessa
dell’Aquila fu la prima che osò avvicinarsi con
discrezione agli
uomini, puntando verso la chioma castano chiara impregnata di quel
liquido viscoso simile all’amnios che le arrivava alle
caviglie. Si
inginocchiò e lo voltò delicatamente sulla
schiena, per poi
pulirgli il volto con un lembo della sciarpa che teneva in vita.
Quando glielo passò sul collo, non riuscì a
trattenere un grido
emozionato nel sentire che il battito carotideo era presente.
“Sono vivi!”
esclamò
allora, rivolta agli altri guerrieri.
“Presto, andate ad
aiutarli” ordinò severa Shaina, efficiente come al
solito. Lei
stessa andò a soccorrere i leggendari guerrieri.
Una volta eliminato il
liquido dal volto di Aiolia, Marin lo trascinò fuori dalla
grande
pozza in cui era stato immerso e ne coprì le
nudità con un telo che
qualcuno le porse. Al contatto con la terra scaldata dal sole, il
corpo del Cavaliere del Leone iniziò a contrarsi in piccoli
movimenti, quindi il petto riprese ad alzarsi e abbassarsi
ritmicamente col respiro e le palpebre si socchiusero, rivelando gli
occhi chiari e pieni di vita di Aiolia.
Nonostante quella nuova
nascita, al Cavaliere non sfuggì l’ombra che
incombeva sopra di
lui, non minacciosa ma amorevole. Volse lo sguardo alla sua padrona e
sorrise, gli occhi colmi di lacrime. Col tempo aveva imparato a
scrutare oltre la maschera e a carpire le emozioni che agitavano la
donna china su di lui. In quel momento era sicuro che anche lei
stesse piangendo di gioia.
Sollevò piano un
braccio
e con la mano accarezzò il freddo metallo della maschera fin
sotto
il mento. Con poca forza la staccò dal volto di Marin, come
aveva
previsto bagnato da copiose lacrime.
“Sei tornato”
sussurrò lei tremante “Non posso ancora
crederci”
“Nemmeno io, Marin.
Nemmeno io”
Di nuovo pieno di vigore,
Aiolia si sollevò da terra poggiandosi su un gomito, per
raggiungere
le labbra umide e salate della sua amata, per nulla preoccupato che
qualcuno potesse vederli. Gli dei gli avevano fatto grazia di una
nuova vita ed era deciso più che mai a viverla appieno.
In breve tutti i
Cavalieri si risvegliarono, non meno sorpresi del miracolo di cui
erano stati protagonisti dei loro soccorritori. Molti di essi
domandarono il motivo della loro resurrezione, ma nessuno seppe
rispondere.
“Artemide ha solo detto
che questo era il volere di Zeus” fu l’unica
spiegazione che Shaina fu in grado di dare a Shion, mentre gli forniva
degli abiti
per coprirsi.
“Zeus, hai
detto?”
domandò il Gran Sacerdote, subito sorpreso ma poi
preoccupato da
quella notizia.
Era stato proprio Zeus a
imprigionare lui e gli altri guerrieri nella colonna, per punirli
dell’affronto fatto al signore degli Inferi. Per quale motivo
aveva
infine fatto marcia indietro? Cosa aveva avuto il potere di mettere
in dubbio le azioni del re degli dei a tal punto?
Shion sollevò lo
sguardo
accigliato sull’amico di sempre che gli era seduto poco
distante.
Anche Dhoko aveva ascoltato le poche parole di Shaina e sul suo volto
era dipinta la stessa preoccupazione del Celebrante. Gli dei erano
rinomati per essere irremovibili nelle loro decisioni, e
quell’eccezione aveva un retrogusto amaro.
La risata mista al pianto
di un bambino di circa dieci anni spezzò momentaneamente la
tensione. Kiki corse a perdifiato in mezzo ai presenti, incurante di
chiunque urtasse, per gettarsi tra le braccia del suo fratello
maggiore, inginocchiato a braccia aperte e pronto ad accoglierlo.
Anche gli occhi di Mu dell’Ariete erano velati di lacrime e
non
tentò minimamente di frenare il pianto di gioia causato dal
rivedere
il suo fratellino.
Un sorriso si dipinse sul
volto di tutti i presenti davanti a quella scena commovente quanto il
bacio tra Aiolia e Marin di poco prima. Nessuno aveva osato
commentare né lo fece in quel momento, tutti erano
consapevoli di
quanto fosse doloroso vedere un legame profondo spezzato dalla morte
e quanta gioia portasse il vederlo improvvisamente ripristinato.
Un potente raggio di luce
andò ad illuminare lo spazio in cui erano raccolti i
Cavalieri e,
poco dopo, la luminosa figura del dio Apollo comparve al suo interno,
provocando scompiglio e suscitando mormorii preoccupati. Il dio
sorrise e alzò entrambe le mani in segno di resa.
“Calmatevi”
intimò
con voce chiara ai presenti “Come mia sorella non
è mia intenzione
recarvi offesa. Sono solo portatore di istruzioni per i Cavalieri
d’Oro”
I quattordici guerrieri
si riunirono attorno ad Apollo, in fremente attesa.
“Zeus ha deciso di
farvi grazia di una nuova vita per un motivo preciso”
iniziò “Una
nuova minaccia incombe sulla Terra, potenzialmente pericolosa anche
per l’Olimpo stesso. Siete dunque stati chiamati ad arginarla
prima
che divenga talmente grande e potente da travolgere le schiere
divine”
“Chi ci minaccia,
divino Apollo?” domandò Shaka di Virgo reverente.
“Non conosciamo
l’identità del nemico, ma in qualche modo siamo
riusciti a
carpirne i piani. I loro primi obiettivi sono le dee reincarnate che
dimorano sulla Terra, il fronte debole della resistenza olimpica.
Sarà un attacco a sorpresa che bisogna a tutti i costi
prevenire…”
“Aspettate…perdonatemi,
ma, avete detto ‘dee’? Chi altri si è
reincarnato oltre ad
Atena?” chiese incuriosito Milo di Scorpio.
“Afrodite ha deciso di
lasciare la sua celeste dimora per restare accanto ad Atena e
aiutarla nella difesa della Terra. Vivono entrambe a Tokyo ed
è
proprio lì che dovete andare. So che alcuni di voi sono al
momento
privi di armatura, distrutta nella lotta contro Hypnos nei Campi
Elisi, ma se riuscirete ad intervenire tempestivamente allora si
potrà porre rimedio. Ora come ora, però, ogni
momento di indugio
rischia di farci perdere tempestività nelle nostre
azioni”
Tutti i guerrieri attorno
a lui annuirono.
“Solo questo sono in
grado di dirvi, Cavalieri, ma Zeus mi ha pregato di farvi un
dono”
Apollo si voltò verso
il
pendio su cui una volta si ergevano le Dodici Case dello Zodiaco e
levò una mano nella sua direzione. Il terreno sotto i loro
piedi
prese a tremare e con difficoltà riuscirono a mantenere
l’equilibrio. Le macerie si librarono in aria sotto il
comando del
dio e, ordinatamente, andarono a ricostituire i dodici templi, di
nuovo intatti e splendenti sotto la Tredicesima Casa del Gran
Sacerdote.
I Cavalieri rivolsero al
pendio sguardi meravigliati e increduli di fronte a
quell’ennesimo
miracolo.
Dhoko si fece avanti e
ringraziò il dio da parte di tutti. Apollo chinò
leggermente la
testa in risposta.
“Ora basta indugiare.
Siete al diretto servizio del sommo Zeus e la vostra missione
è
fondamentale per la sconfitta del nuovo nemico. Buona fortuna,
Cavalieri”
Il dio del Sole scomparve
davanti a loro nello stesso bagliore di luce con cui era giunto,
lasciando i quattordici guerrieri con ancora mille domande in testa,
ma determinati più che mai a compiere la missione loro
affidata.
Buongiorno e buon weekend a
tutti!
Come promesso, ecco a voi
il lunghissimo prologo del secondo capitolo delle avventure di Ayame...
che qui non c'è ma che presto arriverà :)
Spero sia di vostro
gradimento e di essere riuscita un pochino ad incuriosirvi. Ringrazio
Panenutella per la supervisione e auguro a tutti buona lettura!
Martyx