La
pioggia cadeva incessante e fitta in minuscole gocce fredde che
sparivano alla
vista ancora prima di toccare terra: le
accompagnavano, ogni tanto, il boato di un
tuono o un lampo che schiariva il cielo plumbeo per un istante soltanto
prima
di lasciarlo al suo grigiore.
La
ragazza seduta al tavolino fissava persa le minuscole goccioline
d’acqua che si
appoggiavano sul vetro e scivolavano, incuranti di tutto, in
piccolissimi
rivoli trasparenti.
Un tipico temporale estivo
che la obbligava a starsene
chiusa in quella tavola calda senza possibilità di fuga. Chi
mai avrebbe potuto
pensare che un acquazzone simile potesse scoppiare a metà di
luglio?
Di certo non Chandra
Lowell, ex studentessa del
quarto anno della scuola superiore locale, sbadata per la maggior parte
del
tempo. Se solo avesse messo un piccolo ombrello pieghevole in borsa ora
di
sicuro non sarebbe stata bloccata in quella tavola calda tremendamente
affollata nella quale il chiacchiericcio incessante dei presenti faceva
da
sottofondo e dove il profumo
di
cibo appena sfornato la tentava malizioso.
Esalò un sospiro di sconforto e si avviò alla
porta: non
aveva scelta, se voleva arrivare in orario all’appuntamento
con il suo, forse,
futuro datore di lavoro, avrebbe dovuto bagnarsi. Un lavoretto estivo
le
avrebbe fatto molto comodo in vista di una probabile ammissione al
college.
Decise di attendere ancora
qualche minuto di fronte
al vetro della porta nella speranza, forse utopica, che la pioggia
diminuisse
il suo flusso costante. Peccato che, con un tempismo
pressoché perfetto,
qualcuno le passò di fianco e spalancò la porta
mentre, senza nemmeno
accorgersi di lei, scontrava la spalla con la sua spingendola fuori.
L’acqua fredda la
investì insinuandosi nella
scollatura della sua canotta e lasciandola completamente fradicia e,
subito,
senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò a urlare contro
un perfetto
sconosciuto, il quale, con aria piuttosto infastidita, la
degnò finalmente di
uno sguardo.
«Pensi di
chiedermi scusa?» disse molto più che
arrabbiata mentre a grandi passi lo raggiungeva sotto il suo ombrello.
«Scusami?»
si trattava di un ragazzo poco più grande
di lei, dagli occhi azzurri come il ghiaccio e i capelli castani
spettinati. La
sua bellezza, piuttosto fuori dal comune, non servì tuttavia
a risparmiarlo
dalla furia della ragazza, resa ancora più implacabile dalla
laconica risposta
che le aveva riservato.
«Mi hai spinta
sotto la pioggia con la tua fretta.»
spiegò ormai senza più un briciolo di pazienza.
«Magari avresti
potuto evitare di startene in mezzo
alla porta, non ti pare?»
«Stavo aspettando
che la pioggia si calmasse.» non
riuscì a trattenersi: sbatté un piede a terra
come una bambina, schizzando, tra
l’altro, i jeans asciutti del ragazzo. Ben gli stava,
pensò.
«Allora suppongo
sia tutta colpa mia in quanto non
ho saputo leggere nel tuo pensiero!» le disse voltandosi,
già pronto ad
andarsene, lasciandola di nuovo sotto la pioggia.
«Ti costa
così tanto domandarmi scusa?» lui la
guardò per un attimo indeciso.
«Effettivamente
sì, arrivederci.» Chandra non si
fece minimamente scoraggiare e accelerò il passo.
«Bene, in tal
caso sarai sicuramente così gentile da
offrirmi un passaggio sotto il tuo ombrello.»
Il ragazzo la
guardò esasperato e forse anche un po’
stupito dal fatto che una ragazza più giovane avesse trovato
il coraggio di
opporsi a lui con tanta foga. «Se ti offro un passaggio la
smetterai di
pedinarmi e tormentarmi?»
«Sì.»
rispose infine dopo averci pensato su un poco,
solo il tempo sufficiente a insinuare in lui il dubbio che quella
ragazza
potesse essere un po’ matta.
«Bene, dove ti
devo accompagnare?» le chiese
ricominciando a camminare e non preoccupandosi di controllare se lei
riuscisse
a stare al passo. Gli diede l’indirizzo e lui, avrebbe dovuto
aspettarselo, non
disse niente, non si disturbò nemmeno a guardarla.
«Comunque,
signor-mi-sento-superiore-a-tutti, il mio
nome è Chandra Lowell.» gli
tese la
mano davanti al volto, tagliandogli la strada.
Lui la guardò di
nuovo perplesso poi, senza
afferrarle la mano, ricominciò a camminare.
«Daniel, Daniel
McHarrys» il tono in cui lo disse
suonò alle orecchie di Chandra come ‘Bond, James
Bond’ e non poté fare a meno
di scoppiare a ridere. Di nuovo lo sguardo di lui lasciò
intuire cosa pensasse
di lei e delle sue stranezze.
«Scusa, ma il
modo in cui l’hai detto mi ha
ricordato James Bond.» e di nuovo scoppiò a ridere
tanto che le lacrimarono gli
occhi. Questa volta Daniel lasciò gli abiti impettiti del
perfetto inglese per
unirsi a lei in quella risata.
«Sei strana, lo
sai?» le disse, questa volta
sorridendole.
«No, sono unica
nel mio genere.» di nuovo lui rise e
lei si ritrovò a pensare a quanto fosse bello il suono di
quella risata
genuina, profondo e limpido allo stesso tempo.
«Okay, Chandra
raccontami qualcosa di te.»
Due ore dopo erano seduti
al tavolino di un bar,
sapevano già praticamente ogni cosa della vita reciproca ma
non erano per nulla
stanchi di stare in compagnia.
8 anni
dopo…
«Chads! Ti sembra
il momento di chiamarmi?» Daniel
rispose al telefono piuttosto irritato. Quella ragazza riusciva sempre
a
mandarlo in bestia, era la sua miglior amica da otto anni, cinque dei
quali li
aveva passati rinchiuso in quel medesimo ufficio per dodici ore al
giorno e lei
ancora si scordava che in quella precisa fascia oraria non voleva
ricevere
chiamate.
Alzò gli occhi
al cielo:
«Cosa è successo di
così urgente da
non poter aspettare la nostra pizza di questa sera?»
«Michael
mi ha mollata.» a quelle parole la reazione
di Daniel fu spontanea: una mano andò alla fronte, scese
massaggiandosi gli
occhi per poi passare sulla bocca e posarsi a sorreggere il mento
rasato quella
stessa mattina.
«Chads io capisco
perfettamente che tu possa essere
a pezzi ma…» una risata acuta e piuttosto isterica
lo interruppe all’altro capo
del telefono.
«Essere a pezzi?
Io non sono per niente a pezzi,
anzi, ero talmente sollevata che sono corsa dalla parrucchiera a farmi
un nuovo
taglio di capelli. Sai come si dice, no? Ogni volta
che cambia qualcosa nella sua vita
una donna cambia anche il suo taglio di capelli, stasera potrai
constatare tu
stesso!»
A quel punto ci voleva
assolutamente una sigaretta.
Il fatto che Chandra fosse così allegra significava solo che
non aveva ancora
accettato la cosa: era nella fase
‘qualsiasi-cosa-mi-succeda-non-può-toccarmi’,
poi sarebbe passata alla fase di disperazione con pianti e auto
compatimento,
poi ci sarebbe stato il rifiuto e quindi la vendetta e, infine, se
tutto fosse
andato secondo i piani, i propositi per il futuro. Era la fase
preferita di
Daniel, significava che il peggio era passato e che poteva smetterla di
controllarla a vista.
«Non li hai tinti
di verde vero?» chiese speranzoso
e già un po’ terrorizzato all’idea della
nuova acconciatura che poteva essersi
fatta fare quella pazza.
«Tranquillo, a
questa sera, e sii puntuale.» non vi
fu il tempo per i saluti, Chandra aveva già riagganciato la
cornetta.
Daniel passò
l’intero pomeriggio a tentare di
concentrarsi sul lavoro ma, invece che nuove idee e appigli legali cui
aggrapparsi per tirare fuori dai guai i suoi clienti, l’unica
cosa che riusciva
a pensare erano i capelli di Chandra e questo era molto preoccupante. Sono
un uomo, un avvocato di successo, si disse, non la
sua balia. Chi se ne
importa di come si è fatta i capelli? Lui, invece,
se ne preoccupava eccome
perché nel caso remoto in cui, preda dell’euforia,
Chandra si fosse fatta fare
un taglio orribile, quando fosse rinsavita lui avrebbe dovuto
preoccuparsi
anche di quello oltre che delle paturnie da fidanzata scaricata.
Fu
dunque con tremenda ansia che quella sera suonò alla porta
di casa della sua
miglior amica.
Quando la porta si
aprì Dan non poté credere ai suoi
occhi. I meravigliosi boccoli biondi dell’amica, gli stessi
che per anni si era
divertito ad arricciare tra le dita mentre se ne stavano sul divano a
guardare
un film, erano spariti; al
loro posto, un
caschetto sbarazzino sfiorava la mandibola, muovendosi ogni qualvolta
Chandra
muovesse la testa e dandole l’aria ancora più da
pazza.
«Ti ho lasciato
senza parole, vedo.» gli sorrise e
uscì chiudendosi la porta alle spalle.
«Mi aspettavo
capelli colorati e rasta.» le disse
mentre si sedevano in macchina e lui avviava il motore diretti nella
loro
pizzeria preferita.
«Hai
così poca stima dei miei gusti?» chiese,
fingendosi offesa.
«A dire il vero
ho poca stima di te in generale
quando sei nella fase post-rottura.»
«Non sei per
niente carino!» lo rimproverò.
«Andiamo Chads,
lo sai anche tu che la maggior parte
delle volte dai di matto. Anzi, come
mai questa
sera non hai ancora cominciato?» le chiese sospettoso.
Conosceva bene la sua
amica e altrettanto bene le sue crisi di fiducia verso se stessa: tanto da sapere che, se era così calma,
c’era qualcosa che bolliva in pentola.
«Te l’ho detto. Sono contenta che Michael mi abbia
lasciata.» aveva appena pronunciato quelle parole che si
pentì subito di averle
dette. Daniel la guardava scettico e lei non poteva di certo dargli
torto,
aveva passato anni guardandola entrare in crisi ogni qualvolta il
fidanzato di
turno la lasciava. Era sempre stato al suo fianco, una sicurezza, un
faro per
risalire dal vortice di sfiducia che la attanagliava ad ogni rottura.
Questa
volta, sebbene non stesse particolarmente bene, non aveva nessuna
intenzione di
appoggiarsi a lui, di farsi vedere come la solita frignona. Aveva
venticinque
anni e voleva dimostrargli che poteva cavarsela, che faceva a meno di
controllarla a vista e di preoccuparsi per lei.
«Sicura?»
la voce di lui era più dolce, priva di
quella sfumatura scettica che l’aveva caratterizzata fino a
poco prima. Lei gli
sorrise e si limitò ad annuire, poi decise che era meglio
cambiare discorso.
«Allora, che hai
fatto oggi?» chiese tornando
improvvisamente allegra.
«Dopo la tua
telefonata molto poco, mi scoccia
ammetterlo, ma non riuscivo a far a meno di immaginare mille possibili
modi in
cui avresti potuto distruggere i tuoi capelli.» gli diede una
pacca sulla
spalla.
«Ma che gentile,
ricordami di dire alla tua prossima
fidanzata di evitare sempre di farti una sorpresa con un nuovo taglio
di
capelli.» scosse la testa un attimo divertito, poi
tornò a guardare la strada.
«A proposito di
nuove fidanzate…» credeva forse di
poter lasciare la frase in sospeso a quel modo?
«Vai
avanti!» lo incalzò sempre più curiosa
di tanto
mistero.
«Ieri sera sono
uscito con una persona.» Chandra si
domandò se fosse il caso di cercare un paio di pinze per
tirargli fuori le
parole dalla bocca, tuttavia, decise di starsene in completo silenzio.
A volte,
quando Daniel non aveva il coraggio di dirle qualcosa, stare
completamente
zitta senza fargli domande era il modo migliore per farlo parlare. Non
poté far
a meno di chiedersi, però, cosa dovesse dirle di tanto grave
visto che stavano
parlando di frequentazioni femminili. Fu quando lui parlò
che tutto le fu
chiaro e forse avrebbe preferito non fosse così.
«Con Evelyn
Richards per la precisione.» sentì una
fitta allo stomaco. Dan teneva lo sguardo fisso sul volante, il
codardo. Le
dava una notizia del genere e non aveva nemmeno la decenza di guardarla
negli
occhi.
«Con
Evelyn Richards? Daniel, per l’amor del
cielo!» lo vide sbiancare, sapeva bene
che quando lo chiamava con il suo nome per intero significava solo una
cosa:
era molto più che arrabbiata. «Con tutte le donne
che ci sono sulla faccia
della terra, proprio Evelyn Richards? Accosta la macchina!» a
quel punto lui la
guardò.
«Non essere
sciocca. Che intenzioni hai?»
«Ferma la
macchina!» Daniel si lasciò sfuggire un
sospiro esasperato e fece come lei gli aveva chiesto, non tanto per la
paura
che lei aprisse la porta nel tentativo di scendere quanto, piuttosto,
per evitare le possibili grida isteriche che sarebbero seguite a un suo secondo
rifiuto. Aveva appena fermato
la macchina che lei aprì la portiera e scese sbattendo i
tacchi, lui la
raggiunse subito.
«Sei
impazzita?» le chiese mentre
lei cominciava a camminare avanti e indietro sullo stesso tratto di
marciapiede. Infine, andò verso di lui e gli
puntò un dito sul petto.
«Si dà
il caso che non sia io quella che ieri sera è
uscita con Evelyn!»
«Chads sono
passati cinque anni.»
«Non chiamarmi
Chads! Io non posso crederci, dopo
tutto quello che ha fatto.» Dan decise che era ora di
fermarla o presto avrebbe
scavato un solco: l’afferrò per le braccia e la
guardò negli occhi azzurri e
arrabbiati.
«Chandra, non sei
nemmeno tu quella che ha tradito.
Se io credo di potermi fidare di lei mi farebbe piacere che tu
appoggiassi la
mia decisione, quanto meno perché ti fidi di me.»
lei scosse la testa.
«Come puoi
perdonarla? L’hai trovata a letto con il
tuo miglior amico!»
«No,
l’ho trovata a letto con quello che credevo il
mio miglior amico, e poi sono passati cinque anni e lei è
cambiata. È diventata
una donna matura e ha ammesso di essersi comportata male. Chads non ti
sto
chiedendo di fidarti di lei ma di me.»
«Non voglio
vederti soffrire di nuovo.» lui sorrise,
la strinse a sé e le posò
un
bacio sulla testa.
«Solo perdere te
mi farebbe soffrire di nuovo a quel
modo, anzi, forse peggio.» Sentì le braccia minute stringerlo più
forte e poi, lentamente, affievolire la
presa per allontanarsi. Le accarezzò una guancia e, involontariamente,
si ritrovò a pensare a come sarebbe stato se avesse perso
lei. Se per un
qualche stupido motivo la loro amicizia fosse finita. Inaccettabile,
si
disse e per distogliere il pensiero la invitò a salire di
nuovo in macchina.
Quando la
riaccompagnò a casa era molto tardi e
decise di non fermarsi. Era rimasto
piuttosto stupito dalla reazione di Chandra alla notizia
del suo
appuntamento con Evelyn, sapeva che la sua miglior amica aveva sofferto
con lui
quando cinque anni prima si era sentito tradito dalla donna che credeva
di
amare e dal suo miglior amico: lui, tuttavia, era riuscito ad andare
avanti,
dimenticando il passato o, meglio, facendosene una ragione. Chandra, al
contrario, sembrava molto seccata, che non volesse vederlo soffrire di
nuovo
era logico, in fondo anche lui, al suo posto, sarebbe stato scettico,
ma la
reazione della ragazza era stata esagerata e insensata.
Arrivato a casa si
fermò come sempre sulla porta,
lasciando scorrere lo sguardo sul suo appartamento per controllare che
fosse
tutto in ordine. La porta finestra leggermene aperta per lasciar
entrare l’aria
fresca di inizio giugno, le tende di velo che si muovevano leggere al
soffio
della brezza, la segreteria telefonica, posata vicino
all’ingresso, che lampeggiava.
Premette il tasto e la voce
gracchiante della
segreteria lo avvisò che aveva ben tre messaggi non letti.
Il primo era di sua
madre, lo avvisava che domenica si sarebbero ritrovati come sempre alla
villa;
il secondo era di Evelyn, lo ringraziava per la splendida serata e gli
diceva
che non vedeva l’ora di uscire di nuovo assieme. Non
poté non rallegrarsi
dell’entusiasmo mostrato dalla ragazza, le cose avrebbero
potuto aggiustarsi
dopotutto; l’ultimo era di pochi minuti prima ed era di
Chandra, si scusava di
nuovo per la reazione esagerata dicendo che dopotutto era lui a dover
decidere
e che lei gli sarebbe stata accanto comunque. Sorrise a
quell’ultimo messaggio,
Chandra aveva un problema con la manifestazione dei propri sentimenti e
il
fatto che due volte nella stessa sera si fosse scusata e avesse ammesso
di
preoccuparsi per lui era di sicuro un gran passo avanti. Non che lui
non fosse
consapevole del suo affetto, glielo dimostrava in svariati modi:
abbracci da
koala, lunghe notti passate ad ascoltarlo insultare Evelyn, perfino
mentre lo
picchiava o lo rimproverava dimostrava quello che provava, ma dirlo a
voce era
un’impresa.
Guardò
l’ora e decise di richiamare Evelyn,
dopotutto era stata lei stessa a dirgli che avrebbe potuto telefonarle
a
qualsiasi ora. La ragazza rispose al primo squillo.
«Daniel! Che
bello sentirti.» lo salutò subito la
ragazza allegramente, come se non fosse mezzanotte passata.
«Evelyn, ho
sentito il tuo messaggio, sono contento
che tu abbia voglia di rivedermi, stavo giusto pensando di uscire
domani sera
se ti va.» le disse.
«Daniel senti,
pensavo che magari domenica potresti
venire a casa mia a pranzo.»
«A dire il vero
dovrei andare a pranzo a casa dei
miei genitori.» il tono dispiaciuto di chi si scusa per un
rifiuto.
«Peccato, ai miei
genitori avrebbe fatto piacere
rivederti.» Daniel non ne aveva dubbi. I genitori di Evelyn
come i suoi
facevano parte della nobiltà britannica, lord da
generazioni, e avevano una
sorta di predilezione per i rampolli del loro stesso rango. Veder la
propria
figlia sistemata con uno di loro di certo significava aumentare il
prestigio
della famiglia.
«Ti faccio sapere, va
bene? Prima devo parlare con mia madre.»
«Okay, nessun
problema.»
«A domani
Lyn.» aveva sempre preferito quel
soprannome, molto meno altisonante di Eve o del nome completo, con cui
la sua
famiglia si ostinava a chiamarla ogni qualvolta.
«Daniel…»
lei che imperterrita, nonostante
l’infinito numero di volte in cui lui l’aveva
rimproverata, continuava a
chiamarlo con il suo nome «Ci terrei molto.»
«Farò
il possibile. Buona notte!» la sentì rispondere e
riagganciare. Andare a pranzo
dai genitori di Lyn significava ammettere di stare insieme, affermare
che
avrebbe potuto essere una storia seria. Era pronto per darle tutta
quella
fiducia? Dopotutto Chandra aveva ragione, Evelyn l’aveva
ferito e non poco, far
finta che non fosse mai accaduto non era un’opzione ma
perdonare sì, e
perdonare Evelyn significava darle l’opportunità
che lei chiedeva, significava
andare a quel pranzo.
«Sei
arrabbiata?» Chandra scosse la testa «Andiamo,
sii sincera. Lo so che sei arrabbiata.» Chandra
sospirò «Chads…»
«Daniel per
l’amor del cielo!» prese il caffè lo
mandò giù tutto in un sorso e appoggiò
nuovamente la
tazzina sul piattino facendo molto più rumore del necessario
«Non sono
arrabbiata, se continui in questo modo però potrei
diventarlo!»
«Okay.»
«Okay?»
«Sì,
la smetto.»
«Bravo.»
«Pensi che abbia
sbagliato?» l’aveva chiamata non
appena si era alzato quella mattina, nonostante l’odio che
Chandra provava per
Evelyn doveva sapere il suo parere. Si erano dati appuntamento a
metà mattina,
prendendosi una piccola pausa dal lavoro alla tavola calda in cui si
erano
conosciuti. Erano passati otto anni ma non avrebbero mai potuto
smettere di
andare ogni tanto in quel locale che profumava di ricordi e abitudine.
«Penso tu abbia
fatto un enorme cazzata.» lui storse
il naso, non gli piaceva quando diceva parolacce, l’aveva
sempre rimproverata
in merito ma lei proprio non ce la faceva a trattenersi, se doveva dire
qualcosa
voleva esprimersi a modo suo, anche se ogni tanto il suo modo era un
po’ troppo
colorito.
«Devi sempre
essere così sincera?»
«No, solo quando mi chiedi cose ovvie.» lui scosse
la
testa «Te ne pentirai, fidati.» e lo disse con una
luce negli occhi e un
sorriso che lo lasciarono per un attimo stupito.
Quando era diventata la
donna che aveva davanti? Era
sempre stato con lei in quegli otto anni e l’aveva sempre
vista uguale,
immutata, come se il tempo su di lei non avesse effetto. I lapislazzuli
furbi
che aveva al posto degli occhi, il sorriso dolce, l’aria
sempre un po’
sognatrice. Ora, forse a causa del nuovo taglio di capelli, sembrava
più donna,
sempre con l’aria di chi ti sta prendendo in giro ma in un
modo totalmente
diverso, elegante, non più la ragazzina romantica.
«Cosa
guardi?» la domanda interruppe i suoi
pensieri.
«Niente, mi ero
incantato.» lei sorrise e scosse la
testa.
«Io credo invece
che stessi meditando, meditando su
come tirarti fuori da questo guaio.»
«Sciocchezze.»
disse alzandosi e avviandosi alla
cassa per pagare.
«Devo tornare al
lavoro.» lo aveva già raggiunto e
affiancato.
«Certo, anche io.
A proposito tutto bene? » Chandra
era una fantastica fotografa, per farsi conoscere faceva servizi
soprattutto ai
matrimoni di amici e parenti ma ogni tanto le arrivava qualche incarico
più
importante: una foto di famiglia richiesta da un lord, un servizio per
un
giornale.
«Sì,
certo. Mi hanno appena assegnato un incarico
per una pubblicità.»
«In bocca al
lupo.»
«Crepi!»
si avvicinò e gli lasciò un bacio sulla
guancia poi si affrettò verso la porta.
Due secondi dopo stavo
tornando verso di lui:
«Questa sera film a casa mia?» lui finse di
pensarci su un istante, il tempo
necessario perché lei mettesse il broncio, quella smorfia
carina che usava tutte
le volte per convincerlo a fare qualcosa che non voleva. Come se ci
fosse stato
bisogno di convincerlo a passare una serata con lei, le avrebbe detto
di sì
anche se gli avesse chiesto di scalare l’Everest, per il
semplice fatto che lei
era Chandra, la sua miglior amica e una delle donne a cui lui tenesse
di più al
mondo.
«Va bene,
ma lo
scelgo io.» lei sorrise e scappò via di nuovo. Lui
rimase un attimo a
osservarla mentre con eleganza ed entusiasmo usciva dalla porta e
salutava
l’anziana signora che stava entrando. Una forza della natura,
ecco cos’era
diventata sotto ai suoi occhi.
Quando Chandra quella
mattina rientrò in negozio si
trovò Grace ad aspettarla appoggiata al banco di lavoro.
Grace era la sua
migliore amica e socia. Si erano incontrate alla scuola di fotografia
ed
avevano deciso di tentare la fortuna insieme.
«Allora? Che cosa
vi siete detti?» Chandra alzò gli
occhi al cielo mentre sorpassava l’amica e lanciava la borsa
sul tavolo,
l’amica, ovviamente, la seguì come un cucciolo in
cerca di cibo.
«Quando?»
«Adesso, ieri
sera, che importanza ha?» chiese con
una pessima imitazione degli occhi del gatto degli stivali di Shrek.
«Niente, abbiamo
parlato del più e del meno come
sempre.»
«E avete
concluso?» Chandra alzò di nuovo gli occhi
al cielo mentre si avviava alla camera oscura per stampare le foto.
«Oddio, Grace! Ma
cosa dovevamo concludere?» l’amica
la guardò come se fosse matta.
«Insomma Chandra!
Siete amici da otto anni, lui è un
figo pazzesco e ancora non te lo sei scopa…»
«Grace!»
la interruppe con un tono misto tra
l’esasperato e lo sconvolto «Tra me e lui non ci
sarà mai niente.»
«Ma se sei
innamorata cotta!»
«Esce di nuovo
con Evelyn Richards…» lasciò sfumare
la voce nella speranza che l’amica lasciasse cadere il
discorso. Speranza vana.
«Che figlio
di…»
«Grace!»
la riprese ancora una volta «La mia
reazione è stata meno colorita ma il pensiero è
stato lo stesso.» ammise alla
fine ridendo.
«Cosa hai
fatto?»
«Gli ho detto di
fermare la macchina.» Grace allargò
le pupille «Sono scesa sbattendo i tacchi e ho
imprecato.» Grace la guardò
ammirata.
«Batti il cinque
tesoro! E lui?» sempre più curiosa.
«Mi ha detto di
fidarmi di lui.» Grace tornò seria.
«Cosa hai
provato?»
«Rabbia.
Tradimento. Ingratitudine. E una stretta
allo stomaco.» disse facendo pause piuttosto lunghe tra una
parola e l’altra
dovendo pensarci un attimo.
«Oh
tesoro.» l’amica l’abbracciò.
«Sono
così grave?»
«Molto peggio.
Sei innamorata di lui.» Chandra
iniziò a girare per la stanza «Ma lo sapevi
già da tempo, no?» in realtà ci
aveva pensato più volte, e più volte si era
prontamente data dell’idiota per il
semplice fatto che il pensiero l’avesse sfiorata. Lui era
Daniel, l’amico
inaspettato che la consolava nei momenti tristi, lo stupido che la
prima volta
che si erano incontrati le aveva fatto prendere la pioggia, quello che
aveva
visto il peggio di lei ma non si era mai lamentato. Poteva essersi
innamorata
di lui e di tutti i suoi difetti? La risposta chiaramente era
‘sì’, e lo sapeva
da tempo.
«Esce con lei
questa sera?»
«Viene a vedere
un film a casa mia, questa sera.»
disse svogliatamente mentre si allontanava per prendere una cosa.
«Sta con lei e
passa il sabato sera con te?
Interessante.» Grace la seguiva come un’ombra
mentre Chandra si muoveva avanti
e indietro per la stanza.
«Grace
smettila.» l’amica trattenne una risata.
«Grace?» Grace continuò a cercare di
mascherare, tra l’altro in modo pessimo,
un evidente euforia «Grace?!» insistette Chandra,
il tono leggermente più acuto
e irritato. L’amica non riuscì più a
trattenersi e scoppiò in una fragorosa
risata. «Si può sapere che diavolo ti
prende?» Grace si ricompose.
«Niente,
semplicemente pensavo che Evelyn è
spacciata.» Chandra alzò entrambe le sopracciglia
per sollecitare l’amica a
continuare «Questa sera sfonderete il divano!»
concluse. Gli occhi di Chandra
si spalancarono e dovette lottare con la voglia di prendere
l’amica per il
collo e strozzarla.
«E questa tua
consapevolezza su cosa si basa?» le
chiese tentando di mantenersi razionale e non cadere in istinti omicidi.
«Mi pare ovvio,
sul fatto che tra voi due la
tensione sessuale è già alle stelle e che quel
nuovo taglio di capelli ti rende
irresistibile.» Chandra scosse la testa sconsolata e
lasciò cadere l’argomento.
Dan arrivò come
sempre puntuale e non si disturbò a
suonare il campanello di Chandra, dopotutto lei gli aveva dato le
chiavi per un
motivo, si disse. La trovò raggomitolata sul divano, un
sacco di fazzoletti da
naso attorno e la televisione impostata su un canale che trasmetteva un
telefilm dalla trama improbabile. Un nodo gli strinse il petto in una
inspiegabile morsa.
«Che
succede?» le chiese raggiungendola e sedendosi
di fianco a lei. Le scostò una ciocca di capelli dagli occhi
e sia accorse di
quanto fossero arrossati a causa del pianto. Ti prego dimmi
che è a causa
del telefilm, si ritrovò a sperare. «Si
tratta di Michael?» le chiese
infine. Chandra tirò su con il naso e scosse la testa
«Il telefilm?» le chiese,
e ancora lei scosse la testa. Dan sbuffò esasperato, la
prese per le spalle e
la voltò in
modo che lo guardasse negli
occhi.
«Di che si
tratta?» le chiese infine dolcemente.
«Stavo pensando
che se tu ed Evelyn tornerete
insieme non ci sarà più spazio per me.»
disse tutto di un fiato e mangiandosi
le parole tre le lacrime. Lui sorrise e la strinse a sé.
«Sei proprio una
sciocca, lo sai?» lei alzò la testa
dalla sua spalla e lo guardò torva. Come poteva anche solo
pensare che
l’avrebbe abbandonata? Che se la lasciasse dietro le spalle
come se niente
fosse stato. Non poteva stare senza di lei, Chandra era parte di lui da
otto
anni, sarebbe stato come privarsi di una parte di sé.
«Così
non mi aiuti.» disse imbronciata. Dan non poté
far a meno di scoppiare a ridere.
«Chads, non
importa con chi uscirò. Tu sei la mia
migliore amica. Punto.» lei si alzò e
cominciò a camminare avanti e indietro
per la stanza.
«Evelyn non mi
vorrà, mi chiederà di starti lontana,
l’ha già fatto in passato.» lui perse il
sorriso, si alzò e in due falcate la
raggiunse.
«Ti ha chiesto di
starmi lontana?» posò le mani sulle
sue braccia incrociate, ansioso di sapere. Le mani che tremavano
già un po’
dalla rabbia repressa alla sola idea che Evelyn avesse potuto fare una
cosa
simile. L’avrebbe uccisa, uccisa e lasciata, magari non
esattamente in
quest’ordine ma quelli erano gli obiettivi.
«Non me
l’ha proprio chiesto.» solo uno sguardo
interrogativo «Me lo ha fatto capire.»
«Come, di
grazia?» le chiese sollevato. Sicuramente
Chandra, con la sua insicurezza, aveva travisato il comportamento di
Evelyn.
Per quanto quest’ultima potesse essere snob, a volte, non si
sarebbe mai
sognata di fargli un torto simile, non sapendo quanto lui tenesse a
Chandra. Si
disse che era stato stupido, impulsivo ed esagerato.
«Non importa,
tanto dal tuo sguardo si capisce che
non mi credi.» si divincolò dalla sua presa e si
sedette a tavola, poi cominciò
a mangiare dal suo piatto. Troppo preoccupato per le lacrime
dell’amica non si
era nemmeno accorto che sul tavolo il cibo cinese ordinato stava
aspettando di
essere mangiato. Si sedette al suo fianco e tirò la sedia di
lei verso di sé.
«Chads, non ho
detto che non ti credo, solo penso
che tu possa aver male interpretato il suo comportamento.»
lei scosse le spalle
e continuò a mangiare.
«Non
ignorarmi.» la rimproverò ma lei
continuò
imperterrita a mantenere lo sguardo sul suo piatto.
«A volte sei
tremendamente infantile.» le disse,
però stava già sorridendo, perché non
riusciva ad avercela con lei, nemmeno
quando il suo comportamento era totalmente assurdo ed insensato. Prese
un
gambero dal suo piatto e glielo lanciò, lei alzò
gli occhi indignata.
«Ma che
diavolo?»
«Ah ora mi stai a
sentire, vero?» due minuti dopo il
cibo volava da un piatto all’altro, per lo più
sparpagliandosi sui loro
vestiti, se qualcuno li avesse visti da lontano non avrebbe mai potuto
definirli persone adulte e in carriera.
Chandra si alzò
dalla sedia, intenzionata a scappare
a quella pioggia di cibo, girò intorno alla tavola ma lui
fece lo stesso,
minacciando di afferrarla e di riempirle i capelli con quella che
doveva essere
salsa di soia.
«Non
oseresti.» tentò di dissuaderlo.
«Mettimi alla
prova.» le rispose con quel sorriso
impertinente che sapeva darle i nervi. L’unica via di fuga
era rifugiarsi in
bagno e chiudere la porta dietro di sé prima che lui la
raggiungesse. Si mosse
velocemente nella speranza di salvare i suoi capelli da quel liquido
appiccicoso, Dan, tuttavia, fu più svelto di lei. Le
afferrò la maglia e la
tirò indietro, pochi attimi e tutti e due si trovarono
sdraiati a terra,
immersi nella salsa di soia. Scoppiarono entrambi a ridere.
Sentì le braccia di
Dan stringerla e la sua bocca lasciarle un bacio sui capelli. Il cuore
fece un
balzo e i suoi occhi incontrarono quelli di lui. Azzurro
nell’azzurro,
incatenati per un tempo indefinito finché lui non spezzò
quell’attimo con la sua voce.
«Sei piena di
salsa.» le disse accarezzandole la
testa ma restando mezzo coricato sopra di lei.
«Forse
è meglio se ci diamo una sciacquata.» propose
sicuramente rossa in viso. Un tentativo disperato di allontanarsi da
quella
situazione imbarazzante. Tante volte erano stati vicini, abbracciati,
persino
nello stesso letto, in quel momento, però, tutto era
diverso. La consapevolezza
di amarlo, aggravata dall’ammissione ad alta voce di quel
pomeriggio, il
pensiero che lui appartenesse già ad un’altra,
rendevano le cose decisamente
complicate e spinose.
«Sì,
forse è meglio.» lo disse alzandosi, porgendole
una mano, aiutandola ad alzarsi ma senza mai, nemmeno per un momento,
distogliere gli occhi dai suoi, quasi fossero imprigionati.
Dan guardò
Chandra entrare in bagno e si lasciò
cadere su una sedia. Cos’era stata quella scossa che aveva
sentito quando
l’aveva avuta sotto di sé? E
l’incapacità di distogliere gli occhi dai suoi,
mare in cui naufragare? Cosa diavolo gli stava succedendo?
Era felice che la sua
storia con Evelyn fosse
ricominciata. L’idea di pensare a un futuro con una donna
bella e intelligente
con Lyn lo esaltava, eppure…eppure cosa?
Si chiese, lo sguardo fisso su
un punto della porta bianca dietro cui era sparita Chandra. Eppure poco
fa si
era sentito completo, disteso su quel pavimento, con il corpo della sua
miglior
amica in parte schiacciato dal suo. L’idea di una famiglia
gli balenò in mente:
Chandra che lo attendeva a casa con la cena pronta e il grembiule
indosso. Chandra
non Evelyn. Non di nuovo, si disse.
C’era stato un
periodo, subito dopo la sua rottura
con Evelyn, quando la sua miglior amica gli era stata particolarmente
vicina,
che aveva pensato a lei in un altro modo. A lei non come amica, o
sorella, a
lei come ragazza, come compagna. C’era stato quel periodo in
cui aveva persino
creduto di essere innamorato di lei. Era stato breve. Aveva posto fine
a quella
follia in poco tempo, non solo perché lei aveva trovato un
ragazzo ma perché
aveva visto la differenza nel modo che aveva di guardare lui e di
guardare gli
altri ragazzi. Lei non provava nulla per lui, non lo considerava
nemmeno come
essere di sesso maschile. Si era detto che confessandole quello che
credeva di
provare avrebbe solo rischiato di uccidere la loro amicizia e che era
meglio
lasciar perdere, questa convinzione si era pian piano fatta spazio in
lui fino
a che quel pensiero non era stato rilegato del tutto in un angolo della
sua
mente. Proibito. Ora, invece, l’idea di una famiglia con lei,
di una vita con lei
sembrava riaffiorare. La voce di lei lo riscosse.
«Ho finito, se
vuoi andare. Ti ho messo degli
asciugamani puliti e una tuta che hai lasciato qui la settimana
scorsa.» era
capitato più volte che per stanchezza lui si fermasse a
dormire a casa sua così
Chandra, sempre previdente, aveva preso l’abitudine di
tenersi una sua tuta dal
mucchio di panni che lui gli portava da stirare, giusto nel caso.
Annuì e si
affrettò ad andarsi a ripulire.
Quando uscì dal
bagno lei aveva già sistemato la
cucina.
«Resti qui questa
notte?» gli chiese alzando lo
sguardo dal pavimento che stava lavando. Non proprio la scelta migliore
da fare
visti i pensieri che gli ronzavano nella testa, e come privarsi,
tuttavia, di
altro tempo passato con lei?
«Se non ti
disturbo.» lei lo guardò stranita.
«Da quando devi
chiedere se disturbi o meno?» aveva
ragione, lui non le aveva mai chiesto se la sua presenza notturna la
disturbasse, si era sempre limitato a farle presente che quella notte
avrebbe
dormito a casa sua, esattamente come faceva lei. Mai una volta, forse
solo la
prima, si erano chiesti il permesso. Sperò non interpretasse
quell’esitazione,
sperò che ci passasse sopra considerandola un segno di
stanchezza o di
qualsiasi altra cosa che non fosse il vero motivo.
«Hai ragione, scusami.»
lei gli sorrise e scosse la testa.
«Scegli il film
che arrivo.» lui ubbidì.
Qualche minuto dopo lei lo
raggiunse sul divano,
accoccolandosi vicino a lui.
Nemmeno mezz’ora
dopo stava dormendo con la testa
nell’incavo della sua spalla. Lui sorrise guardandola. Quando
dormiva sembrava
ancora più vulnerabile e sicuramente appariva meno matta.
Sorrise di nuovo a
quel pensiero, la sua piccola pazzoide.
Lasciò vagare un dito tra le sue
ciocche corte, rigirandoselo come faceva quando ancora aveva lunghi
boccoli
dorati, il dito scese, sfiorandole la linea della sopracciglia,
giù fino alla
punta del naso dove posò un leggero bacio. È
così bella, si ritrovò a
pensare, stupendosi per la prima volta di quanto
quell’affermazione fosse
evidente e lui fosse stato un completo idiota a non accorgersene prima.
O forse
lo aveva sempre saputo e non lo aveva mai ammesso?
La prese in braccio e la
alzò. La adagiò sul letto e
la coprì, poi si stese al suo fianco continuando ad
osservarla. Uno strano
senso di pace e perfezione lo invase facendolo sentire a casa.
Quando domenica mattina la
sveglia suonò Chandra si
svegliò imprecando. Guardo il rumoroso oggetto sul suo
comodino e si accorse
che il suono non proveniva da lì. Si guardò
intorno, assonnata e nervosa per
essere stata svegliata, a suo parere, a un orario indecente. Dan
dormiva di
fianco a lei beato, il suo cellulare sul comodino opposto squillava con
insistenza. Lo scosse piano, non volendo essere troppo brusca.
«Dan.»
nessuna risposta «Dan.» ancora nulla
«Dan,
dannazione, il tuo cellulare sta strillando!» lui si
alzò a sedere di scatto.
«Perché
diavolo urli?» lei lo guardò incredula e lui
finalmente sembrò sentire il suono del suo telefono.
«Cristo!»
esclamò dopo aver guardato lo schermo, si alzò
velocemente e si diresse verso
il bagno.
La
sera prima Chandra aveva messo da lavare i vestiti e lui sicuramente
era in
cerca proprio di quelli. Lei se la prese comoda, si tirò la
pelle e guardò la
sveglia. Le undici e mezza.
«Dove vai
così di corsa?» gli chiese entrando in
cucina. Si fermò all’istante sulla porta. Dan era
nel bel mezzo della sua
cucina, il cellulare retto tra la spalla e l’orecchio mentre
tentava di
allacciare i pantaloni eleganti, la camicia sbottonata.
«A pranzo da Lyn,
ricordi?» disse tra
un’imprecazione e l’altra. Chandra si costrinse ad
avvicinarglisi, prese il suo
cellulare e lo appoggiò sulla tavola poi si diresse alla
macchinetta del caffè.
«Ne vuoi?» gli chiese. Dan si limitò ad
annuire e la
raggiunse. Le diede un bacio su una guancia mentre le prendeva la tazza
dalle
mani e Chandra trattenne il respiro mentre il cuore perdeva un battito.
Era
così estremamente perfetto. Svegliarsi la mattina accanto a
lui, fare colazione
insieme. Perfetto. Peccato non fosse reale. Peccato che lei non fosse
perfetta.
Lei non era Evelyn Richards, lei era Chandra Lowell, migliore amica, il
che
passava decisamente in secondo piano rispetto a una possibile fidanzata
di alta
società con un corpo da modella.
«Amo il
caffè, un po’ meno la tua voce strillante
come sveglia.» lei, ripresasi dai suoi pensieri, gli diede
una sberla sul
braccio rischiando di fargli ribaltare il caffè.
«Non essere aggressiva, la
rimproverò.» lei scosse la testa «Ora
devo andare. Ti chiamo al più presto,
grazie di tutto Chads.» le sfiorò il naso con un
bacio e si avviò alla porta.
Ancora una volta lei rimase imbambolata e solo il suono della porta che
si
apriva la fece risvegliare dallo stato di torpore in cui era caduta.
«Mi chiami sul
serio?» gli chiese sul ciglio della
porta.
«Promesso.»
le disse mentre saliva in macchina.
Quando Chandra chiuse la
porta dietro di sé, una
leggera malinconia la colse. Il suo migliore amico, l’uomo
che amava, che aveva
passato la notte nel suo letto, stava per raggiungere
un’altra donna. Una donna
che avrebbe potuto essere la sua fidanzata. Una donna che gli aveva
già
presentato la sua famiglia in passato e che ora lo invitava di nuovo in
casa.
Benvenuto lui e il suo patrimonio, esclusa da quella parte della sua
vita lei e
il suo lavoro e il suo inesistente titolo nobiliare.
Daniel accettò
di pranzare a casa di Evelyn sotto
incoraggiamento di sua madre, ma qualcosa lo stupì non poco.
Aveva detto di
tenerci molto alla sua presenza a pranzo ma non appena lui aveva fatto
il nome
di Evelyn sua madre era partita in quarta, elencando tutte le buone
qualità di
lei e della famiglia, dopotutto non sapeva nulla degli avvenimenti
passati.
«Allora Daniel,
come va la carriera?» il padre di
Evelyn, in impeccabile completo blu, lo guardava dalla parte opposta
del tavolo
con sguardo indagatore.
«Piuttosto bene a
dire il vero, il mio nome comincia
ad essere ricordato e posso annoverare un certo numero di clienti
abituali.»
gli occhi del capofamiglia si illuminarono a quelle parole, quelli
della moglie
brillarono di luce propria.
«E dimmi caro,
come sta tua madre? È parecchio tempo
che non ho la fortuna di incontrarla.» Daniel odiava i
convenevoli e odiava
ancora di più star seduto a tavola con persone che fingevano
di interessarsi di
lui e della sua famiglia quando lo scopo evidente delle loro domande
era
accertarsi che avesse una dote con cui mantenere la figlia.
«Sta benone, non
disdegna mai una passeggiata in
città quando c’è bel tempo, lei dice
che è per mantenersi in salute, mio padre
sostiene che sia più che altro passione per i
vestiti.» aveva davvero detto
‘disdegna’? Chandra avrebbe riso di lui se
l’avesse sentito parlare a quel
modo. Era stata una sola volta a casa sua, non perché la sua
famiglia non la
vedesse di buon occhio, preferivano Evelyn ma non si erano mai mostrati
dispiaciuti
della sua amicizia con lei, piuttosto perché quello non era
il suo mondo.
Chandra diceva sempre che piuttosto che mettersi vestiti non suoi
sarebbe
andata in giro nuda, l’aveva sempre presa in giro,
accusandola di essere
melodrammatica, ora, invece, avrebbe voluto essere nudo. Essere se
stesso, come
quando stava con lei, come quando era nel suo ufficio a lavorare, non
il
pagliaccio che gli altri volevano vedere.
«Daniel, tesoro,
ti va di farci un giro nel parco?»
Evelyn gli aveva preso la mano e aveva già cominciato ad
alzarsi.
«Tutto
bene?» gli chiese quando furono soli. Lo
sguardo di lui incrociò i suoi occhi poi lo
lasciò scivolare sul parco della
villa. Era magnifico, un tripudio di colori, gli alberi erano in fiore
e il
prato verdissimo, una farfalla passò loro accanto.
Lapislazzuli, era color
lapislazzuli. Come i suoi occhi, pensò.
Poi alzò di nuovo lo sguardo,
Evelyn attendeva una risposta.
«Sì, solo non sono più abituato ai
pranzi della nobiltà.»
voleva mettere dell’ironia in quella frase, tuttavia, mentre
la pronunciava, si
accorse di una cosa: Evelyn aveva gli occhi verdi. Smeraldo, non
lapislazzuli.
«Grazie di essere
venuto. È stato importante per me.
Se sei stanco ora possiamo andare via, mi serve solo il tempo di
avvertire i
miei genitori.» lui annuì e la
ringraziò. Dieci minuti e troppi saluti dopo
erano diretti a casa sua.
Chandra continuava a girare
impaziente per la
stanza, erano le sei di sera e Daniel non l’aveva ancora
chiamata per
raccontarle del pranzo. Saperlo in compagnia di Evelyn e della sua
famiglia
ricca e snob la mandava in bestia. Lui non era così. Lui era
gentile, premuroso
e… lui era il suo miglior amico, non c’era
nient’altro da aggiungere. Come
poteva essere suo amico e allo stesso tempo essere interessato ad
Evelyn? Le due
donne che lui frequentava erano diverse come il sole e la luna. Forse
è per
questo, si disse, una come me può
essere solo sua amica mentre Evelyn… non
le andava nemmeno di pensarci. Si
ricordava come se fosse stato ieri il giorno in cui quella vipera lo
aveva
lasciato.
Erano
le undici di sera quando aveva sentito suonare il campanello, si era
alzata dal
divano ed era andata ad aprire. Davanti alla porta c’era
Daniel, completamente
bagnato e bisognoso dello stipite per tenersi in piedi da tanto che
aveva
bevuto. L’aveva fatto entrare, l’aveva aiutato a
sedersi sul divano ed era
andata a prendere un asciugamano. Gli aveva tolto la maglietta bagnata
e lo
aveva aiutato ad asciugarsi, poi si era seduta sul divano e lui si era
coricato
appoggiando la testa sulle sue gambe. L’aveva coperto e aveva
aspettato che lui
parlasse. Non l’aveva mai visto in quelle condizioni, lui
sempre perfetto,
sempre impeccabile avvocato nel suo completo scuro laccato. Eppure,
steso tra
le sue braccia e con gli occhi rossi per la sbornia sembrava un bambino
indifeso. Quando aveva cominciato ad accarezzargli la testa lui si era
deciso a
parlare. Le aveva raccontato di come aveva trovato Lyn, la
‘sua’ Lyn, a letto
con il suo miglior amico. Lei ci era rimasta piuttosto male, non
perché non se
lo aspettasse da Evelyn, non l’aveva mai digerita e sapeva
bene di cosa potesse
essere capace, ma perché, invece, John le era sempre
piaciuto, ci aveva
addirittura fatto un pensiero più di una volta. Si era detta
che non aveva
importanza, non avrebbe più rivisto Daniel in quelle
condizioni, avrebbe
impedito a chiunque di fargli del male. Soprattutto a lei.
Sì
alzò dal tavolo e prese il telefono componendo il numero di
Dan ma dopo un paio
di squilli partì la segreteria telefonica. Dan non aveva mai
la segreteria
telefonica inserita, nemmeno quando lavorava. Prese il giubbino e
uscì diretta
alla macchina, era decisa a raggiungerlo e scoprire cosa fosse successo.
Quando arrivò
mezz’ora dopo davanti a casa di Daniel
scoprì che la macchina era parcheggiata esattamente di
fronte al garage. Lanciò
gli occhi al cielo per la sbadataggine dell’amico che aveva
dimenticato di
chiamarla e si diresse su
per le
scale. Suonò il campanello tre volte prima di sentire i
passi dall’altra parte
della porta avvicinarsi, stava per rimproverarlo ma si
bloccò. Mai si sarebbe
aspettata quella vista.
Dan era in boxer. Solo in
boxer. Si conoscevano da
anni, erano andati al mare insieme e perciò
l’aveva visto in costume, ma mai,
mai in boxer. E c’era una bella differenza, per il semplice
fatto che lei
sapeva che quelli non erano di un costume da bagno. Si morse il labbro
e cercò
di guardarlo negli occhi, evitando accuratamente muscoli, bicipiti,
pettorali
e… Oh Dio! Lui sicuramente la stava
considerando pazza. Imbambolata così
davanti alla porta senza dire niente.
«Che ci fai
qui?» le chiese visto che lei non si
decideva a parlare.
«Sono»
deglutì «sono venuta a cercarti. Non
rispondevi alle mie chiamate ed eravamo
d’accordo…» solo a quel punto, sentendo
l’acqua della doccia scrosciare a pochi metri,
capì. «Oh ma che idiota! Scusa
io… me ne vado subito.» una nuova stretta al
petto, fece per andarsene ma lui
le bloccò il braccio.
«Ehi aspetta,
certo non è il momento migliore ma non
ti caccerei mai via.» lei scosse la testa. Doveva andarsene
al più presto.
«Meglio se vado.
Ci sentiamo domani, okay?»
lui la guardò e annuì e lei corse
lontano dalla porta, di nuovo in macchina.
Dire che era sconvolta era
un eufemismo. Sapeva che
Dan aveva delle relazioni, che ogni tanto faceva sesso occasionale con
qualche
donna, ma averne la certezza era tutt’altra cosa. Soprattutto
non si aspettava
di restarci così male.
Era innamorata di Daniel,
questo era appurato, ed
era anche il motivo per cui non aveva avuto una
delle sue solite crisi quando Michael l’aveva lasciata: non
gliene importava, o
meglio, un po’ le dispiaceva, in fondo Michael era una brava
persona e si erano
lasciati in amicizia ma il vero motivo che l’aveva spinta a
stare con lui era
cercare di far ingelosire Daniel e allo stesso tempo non pensare a lui,
due
obiettivi che non aveva mai nemmeno sfiorato, figurarsi raggiunto. Il
suo amore
per Dan era anche il motivo per cui aveva preso così male la
notizia di Evelyn,
l’idea non le sarebbe andata giù anche se fosse
stata un’altra a dire il vero,
ma Evelyn l’aveva fatto soffrire e non si meritava una
seconda chance. Non
quando lei che gli era sempre rimasta vicina non ne aveva mai avuta
nemmeno
una.
E poi c’era
l’idea di loro due. Di loro due
abbracciati, di loro due che si baciavano, di loro due che facevano
l’amore.
Inaccettabile, soprattutto considerando che quella mattina lui si era
alzato
nel suo letto, non in quello di Evelyn, ma si
disse che non significava
nulla. Era rimasto solo per stanchezza, molto probabilmente aveva
scelto il suo
letto al posto del divano solo per comodità.
Era appena arrivata a casa
quando il cellulare
squillò. Era un messaggio di Dan e l’avvisava che
la sera seguente sarebbe
andato a casa sua per parlarle, non
gli rispose e spense il cellulare. Aveva bisogno di stare sola, di
pensare,
magari con una vaschetta di gelato in cui affogare il dispiacere,
magari al
cioccolato.
Daniel passò il
resto del giorno successivo ad
attendere la sera. Doveva assolutamente parlare con Chandra e non solo
per
chiarire l’imbarazzante figuraccia del giorno prima. Era
successo qualcosa,
qualcosa che non sapeva spiegarsi e aveva bisogno di lei. Innanzitutto
c’era il
suo sguardo: lo sguardo che gli aveva riservato quando le era andato ad
aprire
la porta, e poi, c’era l’altro sguardo che gli
aveva riservato, quello di
quando aveva capito la situazione. Poi c’era lui, che era
terribilmente
confuso: sì, perché baciare una donna e vedere
gli occhi di un’altra è un
conto, ma fare l’amore con una donna, con cui sai da ricordi
passati quanto sia
bello farlo, e ritrovarti a desiderare di avere tra le braccia
un’altra è
tutt’altra cosa, soprattutto se l’altra
è la tua miglior amica. Soprattutto se
non riesci a toglierti dalla mente l’immagine di lei
addormentata al tuo
fianco. Sono
fottuto! Guardò l’orologio
e si rallegrò del fatto che mancasse solo
mezz’ora. Ticchettò per un momento
con l’indice sulla scrivania poi si alzò prese la
giacca e uscì diretto a casa
di Chandra.
Chandra sentì il
campanello suonare e corse ad
aprire. Era già arrivato.
«Sei in
anticipo.» lo salutò.
«Dobbiamo
parlare.» il tono serio la fece
preoccupare.
«Senti mi
dispiace per ieri ma non pensavo che tu ed
Evelyn foste già a quel punto della vostra
relazione!» disse spostandosi per
farlo entrare.
«Non è
questo il punto.» le disse con una fermezza
che non credeva di possedere.
«Okay, e allora
qual è?» Chandra alzò un
sopracciglio e fece una smorfia e lui si ritrovò a pensare
di nuovo a quanto
fosse assolutamente perfetta in ogni sua più piccola
sfumatura.
«Il punto
è che tu sei cambiata. Fisicamente,
intendo.» lei aggrottò le sopracciglia e lo
guardò camminare avanti e indietro
per casa sua.
«Devo prenderlo
come un complimento?» nessuna
risposta «Non ti piace il mio taglio di capelli?»
di nuovo nessuna risposta
«Insomma, ti dispiacerebbe rispondermi?» lui si
girò verso di lei, gli occhi
erano un misto tra l’arrabbiato e il supplicante, e non
riuscì proprio a
resistere oltre. Inaspettatamente le prese il viso tra le mani e lei si
ritrovò
le sue labbra incollate alle proprie. Non fece nemmeno in tempo a
rendersi
conto di cosa fosse successo che lui si era già staccato e
la guardava.
«Ora ti
dispiacerebbe smetterla di fare la
logorroica per un secondo?» lei annuì
«Voglio dire, quando hai smesso di essere
la ragazzina dalla luna storta e le idee balzane? Quando il tuo corpo
ha smesso
di essere una tavola da surf?» Chandra fu tentata di dargli
una sberla.
«Sei venuto per
insultarmi?»
«No! Sono venuto
perché voglio sapere come mai erano
i tuoi occhi che avevo in mente mentre baciavo Evelyn, mentre facevo
sesso con
lei.» Chandra lo guardò «E vorrei sapere
come mai sei scappata in quel modo.»
«Non
mi sembrava il caso di restare.» lui si avvicinò
di nuovo e lei cercò di
allontanarsi andando a sbattere contro il tavolo. Il bacio di prima,
sebbene
velocissimo, l’aveva sconvolta e non aveva nessuna intenzione
di ripetere
l’esperienza facendo capire a Dan i suoi sentimenti. Lui,
però, a quanto pareva
era di tutt’altro avviso perché la
baciò di nuovo. Questa volta durò più
a
lungo. La mano di lui si intrufolò tra le sue ciocche corte,
l’attirò a sé e
insinuò la lingua nella bocca di lei. Chandra si fece
scappare un gemito e si
strinse di più a lui, poi accorgendosi di essersi esposta
troppo lo scansò.
«Dimmi che non mi
desideri come ti desidero io.» le
disse, sfidandola a un gioco che non era sicura il suo cuore avrebbe
saputo
sostenere.
«Infatti.»
«Bugiarda.»
«E' la cosa più carina
che mi hai detto in questo weekend.»
«Il weekend
è finito e tu sei bellissima.» si sentì
avvampare le guance.
«Dan, mi vuoi
spiegare che diavolo ti prende? Vieni
qui, mi insulti, mi baci, mi dici che sono bellissima.»
«Ieri,
mentre ero con Evelyn,
mi sono
accorto di una cosa: non era a lei che pensavo, non era con lei che
volevo
essere. Quando hai suonato alla porta, quando hai capito cosa avevo
fatto, ho
visto il tuo sguardo. Era triste, era accusatorio e allora ho sperato.
Ho
sperato di non essere l’unico ad aver cambiato idea, a non
essere l’unico che
all’improvviso si sente stretto in questa amicizia.
È così Chads, dopo otto
anni mi sono reso conto, per uno strano scherzo del destino, che non
è la tua
amicizia che voglio. Non solo quella.» lei abbassò
gli occhi e si avvicinò «A
dire il vero me ne ero accorto anche prima, qualche anno fa ma poi tu
ti sei
messa con Greg e…»
«George.»
lo corresse lei con l’unica parola che le
riuscì di far uscire dalla gola.
«Non importa. Il
punto è che quella volta mi sono
tirato indietro, e in questi giorni ho ripensato a quella volta e ieri
mi sono
detto che non voglio rifare lo stesso errore. Non voglio aspettare che
arrivi
un altro e che ti stringa tra le sue braccia, perché voglio
essere io a
stringerti.» concluse senza più fiato.
«Dan… io
non sono Evelyn e nemmeno una di quelle donne che ogni tanto ti porti a
casa.
Se è una notte di sesso che vuoi non la troverai qui
perché a me non basta.
Perché ho capito che ti amo e non ho nessuna intenzione di
ritrovarmi col cuore
spezzato e un amico in meno per una sola notte.»
«Non potrebbe mai
essere una sola notte con te.»
accorgendosi solo a quel punto di quello che lei aveva detto. Le
accarezzò una
guancia e la sentì sospirare, si avvicinò e le
posò un bacio sul naso, come
faceva sempre, solo che quella volta aveva tutto un altro significato.
«Ti stancherai.
Ti stancherai di me come di tutte le
altre dopo di lei. Io non sono perfetta come lei.» gli occhi
che si abbassavano
in cerca di una via d’uscita.
«Mai. Chandra non
lo avevo capito. Non fino ad oggi.
Dopo che ho rinchiuso il pensiero di noi due in un angolo della mia
mente, non
ho mai capito. Tutte le altre erano passatempi, esperienze fatte
nell’attesa.»
si fermò un attimo ma non la vide reagire e decise di
continuare «Nell’attesa
di te. Non importa quanto in passato Evelyn sia sta importante, e non
importa
che abbia provato a uscirci di nuovo, non importa più nulla
adesso che ti
guardo e so che l’unica che voglio, adesso e sempre, sei tu.
Nessun’altra.»
prese un sospiro e si costrinse a dire le uniche due parole che aveva
continuato a rimandare, non solo con lei ma anche nella sua testa
«Ti amo.»
vide il volto di Chandra illuminarsi e risplendere, sentì le
sue braccia minute
che gli avvolgevano il collo e la bocca di lei premuta contro la sua e
seppe,
senza più nessuna remora, che sì, ci sarebbero
stati momenti difficili, attimi
in cui entrambi avrebbero voluto lasciare perdere, ma che quello che
c’era
stato tra loro non poteva, in nessun modo, essere cancellato.
«E forse
è vero che non sei perfetta. In effetti tu
sei perfettamente imperfetta.» la baciò di nuovo
per zittirla prima che potesse
replicare.
«Per
sempre?» la sentì sussurrare contro le sue
labbra e non poté trattenere un sorriso.
«E anche di
più, non ti libererai di me così
facilmente. O, e
giusto per essere
chiari, fai sparire quella foto di Michael da quella
mensola.» Chandra non poté
non scoppiare a ridere.
«Rivendichi
già?» gli chiese mordendosi un labbro.
«Sono
estremamente geloso e possessivo.» le disse
stringendola più forte per farle capire che non stava
esattamente scherzando.
«Bene, allora,
giusto per essere chiari» lo citò
«Fai in modo che ‘Lyn’ capisca che non
sei più disponibile.»
«Dopo, prima
c’è una questione da risolvere.» la
prese in braccio e lei si aggrappò con le gambe ai suoi
fianchi per non cadere.
«Che
questione?» gli chiese confusa, l’espressione
che diventava consapevole non appena il suo corpo toccava il materasso
sul
quale lui l’aveva appena lanciata. «Sei anche
dispotico!» si finse sconvolta e
indignata mentre in realtà il suo cuore batteva talmente
forte da aver
l’impressione che potesse scoppiare.
«Assolutamente.» le imprigionò la bocca
con la sua,
deciso a non lasciarla scappare da sé, né in quel
momento né mai.