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Titolo: Baby’s in Black
Autrice: Melanyholland
Pairing:
Chuck/Blair, Nate/Serena
Timeline:
future-fic, dopo la 4x22 (The Wrong Goodbye).
SPOILER fino all’episodio in questione, dunque.
Parole da usare: Anello,
Victrola, Charles Place
Rating: Arancione
Summary: Rassegnato, si
sedette sul divano e l’occhio gli cadde sulla foto incorniciata d’argento appesa
al muro. Ricordò il momento in cui era stata scattata. Entrambi avevano un largo
sorriso sulla faccia, uno di quei sorrisi che ti farebbero sembrare un idiota se
contemporaneamente gli occhi non brillassero di una tale esuberante felicità da
illuminare tutto il viso di estatica bellezza.
Baby’s
in Black
Dopo essere uscito
dall’ascensore, Chuck posò la valigetta sul tavolino e infilò un dito fra il
colletto della camicia e la seta della cravatta a quadri per allentarne il nodo.
Pensò fuggevolmente che una delle ragioni per cui aveva sempre preferito il
farfallino alla cravatta, fin da quando aveva ancora i denti da latte e Bart lo
costringeva ad indossare i completi, era proprio evitare quella sensazione
opprimente di avere un cappio intorno al collo, pronto a soffocarlo.
Controllò la pila di lettere
vicino al vaso di ortensie, notando subito il foglio rosa pastello che spiccava
fra i neutri incartamenti di certificati e estratti conto, e abbozzò un sorriso,
riconoscendo la calligrafia sbadata e tutto sommato elegante di Serena:
Chuck,
io e
Blair siamo uscite per un’oretta di shopping. Torniamo per pranzo, promesso.
xo
S.
Un’oretta, eh?, pensò, scuotendo
la testa. Qualcosa gli diceva che Serena e Blair sarebbero tornate ben oltre
l’orario in cui di solito si pranzava, cariche di buste e pacchetti, e Serena
gli avrebbe rivolto quell’amabile sorriso di scuse che aveva incantato Nate in
più di un’occasione, convincendolo a perdonarla perfino dopo che era fuggita in
Italia con Carter Baizen, cinque anni prima.
Chuck, da parte sua, sarebbe
rimasto incantato dal sorriso di Blair, che avrebbe congelato ogni sua protesta
per il ritardo –come Blair sapeva bene, la furbetta-. Gli sarebbe corsa incontro
per dargli un bacio e poi gli avrebbe mostrato tutti i suoi acquisti, fiera e
civettuola, e Chuck le avrebbe confermato che era uno splendore in ogni mise,
guadagnandosi qualche altro bacio.
Sospirò, ripiegando il biglietto
e infilandoselo distrattamente nella tasca della giacca. Era stato in ufficio
tutta la mattina ed era piuttosto affamato. C’era persino la possibilità che
Serena e Blair decidessero di fare uno spuntino fuori, mentre lui era lì che le
aspettava con lo stomaco che brontolava. L’idea lo riempì di affettuoso
dispetto.
Rassegnato, si sedette sul
divano per ingannare il tempo leggendo l’Observer, e l’occhio gli cadde
sulla foto incorniciata d’argento appesa al muro. Ricordò il momento in cui era
stata scattata, il profumo dei boccoli di Blair che gli solleticavano la
guancia, la soffice pressione del suo seno contro il petto, la seta liscia sotto
la mano mentre le teneva il fianco. Entrambi avevano un largo sorriso sulla
faccia, uno di quei sorrisi che ti farebbero sembrare un idiota se
contemporaneamente gli occhi non brillassero di una tale esuberante felicità da
illuminare tutto il viso di estatica bellezza.
No, non sembravano idioti. Erano
stupendi, e nemmeno l’iper-critica e assurdamente insicura Blair aveva avuto
delle lamentele su quella foto, tanto che era stata lei a decidere di appenderla
in soggiorno, dove ogni ospite avrebbe potuto ammirarli e soprattutto
invidiarli, compiacendo l’altezzosa padrona di casa.
Per la gioia di Chuck, Blair non
aveva avuto da ridire nemmeno sulla curva dolce del ventre che gonfiava l’abito
da sposa di Vera Wang, benché avesse scelto un modello a vita alta con
una vaporosa gonna di raso e chiffon proprio per mascherare gran parte della
pancia. Il suo matrimonio da favola di certo non prevedeva che fosse incinta, ma
a dirla tutta, non prevedeva neanche lui, quindi a Chuck era andato più che bene
così.
La navata che li aveva portati
all’altare era stata difficile da percorrere, più di una volta avevano
inciampato rischiando di cadere. Blair era stata davvero legata a Louis, e Chuck
non era riuscito a contenere la rabbia quando aveva scoperto che lei gli aveva
nascosto la gravidanza. “Non ti permetterò di portarmelo via, Blair”, l’aveva
minacciata, furioso e tagliente, quando lei aveva espresso la sua volontà di
continuare con i preparativi per la partenza per il Principato di Monaco,
prevista subito dopo il matrimonio con l’altro.
Le lacrime le si erano
raggrumate sulle ciglia, ma lo sguardo di Blair era stato deciso quando aveva
contrattaccato, scintillante nel riverbero di un sole insolitamente caldo per
una giornata di fine Ottobre:
“Farò ciò che è meglio per il
bambino, Chuck. Tu non sei pronto a fare il padre, perfino Jenny Humphrey è più
matura di te. E poi”, aveva aggiunto, gelida, tirando fuori gli artigli affilati
che le avevano permesso di regnare sulla Constance, “Non credo che sia tuo.”
“Mi domando cosa penserebbe il
promesso sposo se sapesse cosa è accaduto al Bar Mitzvah l’anno scorso.”
aveva ribattuto lui mellifluo, per poi indurire il tono, lasciando trapelare
tutta la sua furia: “Forse è mio dovere morale avvertirlo su quanto sia a buon
mercato la presunta virtù della ragazza che dichiara di amarlo.”
“Fa’ pure, Chuck. Non ho paura”.
Blair aveva sollevato il mento, celando dietro l’alterigia il dolore che era
certo le sue parole le avessero inferto. “Dopo la tua scenata patetica al party
di fidanzamento, dubito che Louis crederebbe a una parola di quello che dici”.
Aveva ragione, naturalmente, ma
Chuck era stato pronto a darle battaglia. Aveva parlato con diversi avvocati, i
migliori che i suoi soldi erano riusciti a pagare.
“Stia tranquillo, signor Bass.
Avremo la vittoria in pugno ancor prima di arrivare effettivamente in
tribunale”.
Non erano mai arrivati in
tribunale, infatti. La questione si era risolta nella suite di Charles
Place, quando con la bocca umida di lacrime Blair l’aveva baciato,
sussurrandogli sconfitta: “Non ce l’ho fatta, Chuck. Louis merita qualcuno che
lo ami quanto lui ama me... quanto io amo te. Gli ho mentito, e l’ho ferito. Era
pronto a perdonarmi, ma... non posso.”
“Shhh”, aveva bisbigliato lui,
tenendola tra le braccia e riempiendole di baci le guance calde e salate.
Avevano fatto l’amore sul bancone del bar, sparpagliando le scartoffie legali, e
quando Chuck l’aveva baciata sull’ombelico, gli era sembrato di sentire un
palpito sotto le labbra –una sciocchezza, ovvio, perché Blair non sembrava aver
percepito nulla.
Mentre si rivestivano, Chuck
aveva notato che nella foga lei gli aveva fatto saltare i primi tre bottoni
della camicia arancione e aveva sorriso con malizioso divertimento, pensando che
era uno dei pochi a conoscere quel lato così passionale della Principessina di
Park Avenue. Blair, che stava lisciando meticolosa con le dita le increspature
sulla gonna, gli aveva scoccato un’occhiata impertinente, indugiando per un
momento sul colletto inevitabilmente sbottonato della camicia che le permetteva
di sbirciare il petto nudo, e aveva detto, giuliva: “Chi l’avrebbe mai
immaginato che Chuck Bass e Blair Waldorf lo avrebbero fatto in un hotel di
Brooklyn?”, ed entrambi avevano riso fino a farsi dolere la pancia, ben
consapevoli che le risa scaturivano sì per la battuta, ma soprattutto perché
erano maledettamente felici e per la prima volta dopo tanto tempo
sembrava che non avrebbero mai smesso.
Le aveva dato l’anello qualche
giorno dopo, con una proposta che non prevedeva atri d’ospedale o voce impastata
dall’alcol, bensì la bucolica atmosfera di Central Park in autunno, lo
starnazzare delle anatre nel laghetto e lui in ginocchio di fronte a Blair nel
suo completo più elegante. Lei, in un fresco cappottino a fiori rosa e con i
capelli raccolti in una coda morbida sulla spalla, aveva sgranato gli occhi
stupita, dischiudendo le invitanti labbra per mormorare, incredula:
“È l’anello di Parigi.”
“È il tuo anello, Blair. Se lo
vorrai”, aveva aggiunto, per paura di essere sembrato troppo arrogante. L’umore
di Blair era altalenante in quel periodo e c’era il rischio che lo spingesse nel
laghetto, stizzita e vendicativa. Serena gli aveva raccontato una storia su una
fontana in Francia che costituiva un allarmante precedente.
Ma Blair era concentrata su un
altro punto:
“No, voglio dire... dopo l’anno
scorso, la mia partenza con Louis... credevo che l’avessi restituito, o te ne
fossi sbarazzato in qualche modo”.
Chuck aveva fatto un sorriso
mesto.
“È il tuo anello, Blair.” aveva
ripetuto, come se spiegasse tutto. Ed era così. Non avrebbe mai potuto
separarsene o regalarlo a chiunque altra, perché non apparteneva a lui. Era
sempre stato di Blair, fin dal momento in cui la commessa lo aveva preso dalla
vetrinetta e aveva disteso le labbra in un largo sorriso di circostanza,
facendogli le sue congratulazioni. Non importava che Blair lo volesse o no,
Chuck lo avrebbe custodito per sempre, letteralmente a costo della sua vita.
Il viso di Blair si era
illuminato di gioia, e aveva estratto il prezioso gioiello dalla scatoletta di
velluto blu.
“Lo voglio, Chuck”.
Il loro bacio era stato
pubblicato su Gossip Girl, scatenando le ire di Blair, che avrebbe voluto
annunciare a tutti il suo fidanzamento e mostrare l’anello di platino e diamanti
Harry Winston a Penelope e le altre per godersi le loro facce divorate
dall’invidia, ed era stata invece battuta sul tempo dalla maligna blogger.
Gli ci erano voluti parecchi altri baci per calmarla. Non che si fosse
lamentato, anche perché, quando Blair sporgeva le labbra nel suo irresistibile
broncio, diventava impossibile non desiderarla.
I preparativi per le nozze erano
stati frenetici, dato che Blair voleva assolutamente entrare nel vestito, e in
alcuni momenti c’erano stati dei picchi di isteria che lo avevano sinceramente
spaventato. Una di queste volte era stato presente anche Nate. Blair era entrata
come una furia nella suite dell’Empire dove si era rifugiato, con le
guance paonazze e uno sguardo che prometteva omicidio, sbraitando che se Chuck
davvero pensava che avrebbero decorato il salone per il ricevimento di
viola e giallo allora poteva anche chiedere la mano del Joker, perché
lei di sicuro non si sarebbe presentata. Chuck, lungi dal ricordarle che
la decorazione del salone era l’unica cosa che Blair gli aveva concesso di
decidere e che in teoria non aveva diritto di protestare, aveva sfoggiato il più
affascinante e collaudato dei suoi sorrisi e aveva sussurrato:
“Non fa niente. Scegli pure i
colori che preferisci, baby.”
“Oh, ma certo!” aveva sbottato
Blair, avanzando verso di lui con passi pesanti e collerici, e facendolo
indietreggiare d’istinto. “Io devo solo pensare ai vestiti delle
damigelle, alla torta, ai fiori, alla musica e alla cena! Sei così inutile,
Chuck!”.
Chuck non sapeva se attribuire
quell’estrema suscettibilità agli ormoni della gravidanza o alla data delle
nozze sempre più incombente, ma aveva tirato un sospiro di sollievo quando Blair
e le sue ire erano turbinate fuori dalla suite. Nate, a quanto pareva,
condivideva il suo stato d’animo.
“Cavoli, amico. E pensare che
poteva succedere a me”, aveva gongolato per un istante, ridacchiando per lo
scampato pericolo. “Sarei fuggito come un fulmine”.
Anch’io, aveva pensato
Chuck, il profumo suadente di Blair che aleggiava ancora nella stanza.
Anch’io... se non l’amassi così tanto.
E quando Blair gli era venuta
incontro il grande giorno, i riccioli che ricadevano rigogliosi sulle spalle
nude, il bouquet di peonie rosa contro il seno, l’abito bianco che drappeggiava
la sua figura desiderabile, Chuck aveva sentito le lacrime che gli pizzicavano
gli occhi e aveva dovuto deglutire per contenere l’emozione, che aveva
minacciato di sommergerlo definitivamente quando l’aveva baciata sulle labbra
raggianti di rossetto dopo il sì.
“Chuck Bass sinceramente
commosso”, l’aveva preso in giro Blair vivace, mentre danzavano al ricevimento.
Gli occhi castani erano più luminosi dei diamanti della Erickson Beamon
che le adornava il collo, e non aveva smesso di sorridere un attimo per tutta la
cena. “Che tenero”.
Chuck le aveva scoccato
un’occhiata di divertito rimprovero, facendola volteggiare fra le sue braccia al
ritmo di Time after Time di Cindy Lauper. Oh, se Blair voleva giocare,
non l’avrebbe certo delusa.
“Appena ti ho vista, è stato
impossibile trattenermi.” aveva risposto sentimentale, aspettando che il sorriso
di Blair si tingesse di vittoriosa delizia prima di aggiungere, con un ghigno:
“Ti sei accorta di quanto ti siano cresciute le tette? Non vedo l’ora di
toglierti di dosso questo vestito per godermele.”
“Chuck!” l’aveva redarguito lei,
dandogli uno schiaffo sul braccio. Serena e Nate, che ballavano poco lontano da
loro, si erano scambiati un’occhiata e avevano scosso la testa sorridenti alla
vista del gesto.
“È un complimento, tesoro. Hanno
l’aria così appetitosa.” aveva insistito, leccandosi adagio le labbra,
allusivo. Le guance di Blair si erano accese di una tonalità di rosso che poco
aveva a che fare con il fard. Chuck aveva scommesso che fosse per due terzi
imbarazzo e un terzo desiderio, e la considerazione aveva aumentato anche la sua
eccitazione.
“Se non la pianti, non avrai
modo di assaggiarle mai più.” aveva ribattuto lei, teneramente maligna e
palesemente bugiarda, schiacciandogli contro stuzzicante il proprio corpo. “Ora
perché non usi la bocca per baciarmi? Così i fotografi si dedicheranno a noi,
invece di ossessionare Serena”.
Chuck aveva obbedito con estremo
piacere, rovesciandola all’improvviso in un casqué che l’aveva fatta
sussultare di sorpresa, prima di unire le loro labbra, passionale. Il bacio in
perfetto stile Hollywood era finito su tutti i giornali e i siti internet di
cronaca mondana, mettendo in secondo piano qualsiasi scatto di Serena nel suo
abito da Damigella d’Onore disegnato esclusivamente per lei da Dolce e Gabbana.
“Serena voleva fare Pippa con
me, ma noi siamo molto più belli di William e Kate.” aveva commentato
spumeggiante Blair, mentre Chuck le tirava giù la lampo dell’abito e le
ricopriva di baci l’invitante schiena nuda, giù fino alla curva aggraziata del
sedere. La prima tappa della luna di miele era stata Venezia e la finestra della
loro suite dava sul Canal Grande, una vista che Blair aveva definito
romantica, subito prima di proporgli con uno sguardo impudico di giocare almeno
una volta a Desdemona e Othello che nascondono il loro matrimonio clandestino a
Brabantio. Chuck a quel punto l’aveva spinta sul letto e aveva dichiarato
convinto che era la donna perfetta, prima di raggiungerla e dedicarsi
all’oggetto del loro battibecco durante il ricevimento.
“Chuck?”.
Aprì gli occhi, sbattendo più
volte le palpebre, e capì che doveva essersi assopito sul divano, perso in quei
ricordi meravigliosi.
Blair lo guardava con un
sorrisetto insolente e uno scintillio malizioso negli occhi, seduta accanto a
lui sul divano in lingerie. Era così bella, si ritrovò a pensare. Era
come se per Blair il tempo si fosse fermato. Nonostante ormai fosse accaduto
tanti anni prima, la ragazza che lo occhieggiava ammiccante sembrava in tutto e
per tutto la sedicenne che lo aveva ammaliato sul palco del Victrola,
rubandogli il cuore.
“Solo i bambini fanno il
sonnellino pomeridiano. O i vecchi.” lo sbeffeggiò allegramente, gettandosi
dietro la spalla la lunga chioma ondulata. Le sue labbra, velate di rosso scuro,
spiccavano sul viso bianco latte.
Chuck sorrise, accarezzandole il
fianco avvolto in seta color avorio. Ricordò quanto era stata calda la pelle di
Blair, come il tessuto liscio della sottana le era scivolato via dal corpo sotto
le sue mani bramose, come si era inarcata contro di lui quando era venuta.
L’aveva amata quella notte, ma non per la prima volta. Era sempre stato
innamorato di lei, forse fin dal momento in cui gli era corsa incontro all’asilo
e lui l’aveva spinta nel fango, guadagnandosi un calcio.
“A proposito di bambini, la
piccola come sta?”
“Sta bene, Chuck. È di là con
Serena.” lo rassicurò lei dolcemente, accarezzandogli i ciuffi sulla fronte con
le dita sottili e fresche di manicure. “Ti preoccupi troppo. Sei un bravo papà.”
“Davvero?”.
Lo chiese in tono scherzoso, ma
attese la risposta quasi in ansia. Blair, che era capace di sbirciare dentro di
lui con l’abilità e la tenerezza di una bambina che spia nei pacchetti regalo il
giorno del suo compleanno, si sporse per sfiorargli le labbra con le sue.
Sapevano di ciliegia e champagne.
“Sì.”
“Ti amo, Blair”.
Blair sorrise, incantevole come
un angelo. “Anch’io. Ti amerò per sempre, ricordi?”
“Per sempre.” ripeté lui,
accorato. Sentì di nuovo le lacrime pungergli gli occhi e strinse Blair a sé,
come un naufrago che affoga si aggrapperebbe all’ultimo relitto della barca,
disperato.
“Chuck!”.
Fingendo di strofinarsi le
palpebre per la stanchezza, Chuck si asciugò gli occhi prima di voltarsi verso
Serena, in top dorato e calzoncini di jeans, con le mani piene di buste (proprio
come lui aveva previsto).
“Non sai che caldo fa, là fuori!
Io e Blair ci siamo prese un gelato. Aveva paura che la sgridassi, ma io le ho
detto che ti avrei parlato. Non ti arrabbierai con lei, vero?”
“Dovrei arrabbiarmi con te.”
brontolò, poi si accorse delle manine grassocce aggrappate alle cosce di Serena
e sorrise.
“Blair, vieni qui. Non sono
arrabbiato.” la blandì, tenero, e la faccia della piccola sbucò fuori da dietro
Serena.
“Davvero davvero?” chiese, gli
occhioni che lo scrutavano mentre si mordicchiava il labbro. Diffidente come sua
madre, pensò, adorante.
“Davvero.”
“Nemmeno con zia Serena?”
“No.”
“Te l’avevo detto che non si
sarebbe arrabbiato!” esclamò trionfante e fiera rivolta a Serena, poi gli corse
incontro a braccia spalancate, con quella fiducia e quello slancio tipico dei
bambini di cinque anni, il vestitino di Hello Kitty che le svolazzava
intorno alle gambe esili. Chuck la sollevò e se la posò sulle ginocchia, mentre
lei gli allacciava le mani dietro il collo.
“Bacetto a Blair! Bacetto a
Blair!” gli ordinò, perentoria e Chuck e Serena si scambiarono un’occhiata
divertita prima che lui obbedisse, baciandole la guancia. La piccola aveva
ancora la bocca sporca di cioccolato e odorava di sudore. L’avrebbe infilata in
una vasca non appena la digestione fosse terminata.
Avendo ottenuto ciò che voleva
(come sempre, del resto), Blair sorrise felice, poi si sporse verso di lui.
“Non devi prendertela con la
zia”, gli bisbigliò all’orecchio, in un tono cospiratorio e presuntuoso che
suonava buffo nella sua vocetta infantile. “Le faccio fare quello che voglio.”
“Ah, sì?” rise Chuck. Blair
annuì energicamente.
“Sì, sì.”
“Beh, io ora vado. Nate mi sta
aspettando.” annunciò Serena, spostando la borsa di pelle con le frange da una
spalla all’altra prima di recuperare le buste da terra. Si avvicinò, baciò a sua
volta Blair sulla guancia e le sorrise:
“Ci vediamo stasera, piccola B.”
“Metto il vestito nuovo!”
squittì Blair, battendo le mani, ancora in grembo al padre. “Posso, papi?”
“Prima devo vederlo.” obiettò
lui, toccandole la punta del naso all’insù con un dito. “Tua zia ha strani gusti
in fatto di abiti”. E il dettaglio che si divertisse a portare sua figlia per
negozi per vestirla come le pareva, quasi fosse una bambola, non gli era mai
stato di conforto.
“Ehi!”.
Blair fece un risolino, poi posò
la testa sulla sua spalla. Stare dietro a Serena doveva averla stancata
parecchio, perché dopo una manciata di minuti Chuck sentì che diventava più
pesante nell’abbandono del sonno. Le accarezzò i capelli castani, dolcemente.
Serena non era ancora andata
via, e approfittando del fatto che Blair era fuori gioco, sussurrò, premurosa:
“Tutto okay, Chuck?”
“Certo”.
Serena gli rivolse il suo
sguardo indulgente da donna di mondo comprensiva che talvolta gli dava sui
nervi. Come in quel caso.
“Manca anche a me.” commentò,
arguta e triste. “Anche se sono passati cinque anni, a volte... mi aspetto
ancora di vederla entrare in camera mia”.
E sarebbe sempre stato così, lo
sapevano entrambi.
I primi tempi, il dolore era
stato così violento e così totale che Chuck era convinto si sarebbe
ucciso, se non fosse stato per Blair. La piccola era stata l’unica cosa che lo
aveva trattenuto, proprio come sua madre lo era stata anni prima. Oh, c’era
stato l’alcol, quello sì, e anche qualche sniffata di cocaina. Finché una
mattina si era svegliato con i postumi di non sapeva nemmeno più che miscuglio
di sostanze e non aveva trovato Blair nella sua culla, ed era corso per tutta la
suite e poi per l’albergo, ancora i vestiti sciatti e sporchi della sera
prima, la barba incolta e gli occhi arrossati, chiedendo di lei a chiunque
incontrasse, disperato e irrequieto, e tutti lo avevano guardato fra pietà e
disgusto pensando magari che finalmente era successo, Bass era impazzito del
tutto, era solo questione di tempo dopo la morte della tanto amata moglie.
Aveva ritrovato Blair tra le
braccia di Lily. Nate, che si era trasferito di nuovo da lui per sostenerlo, si
era accorto che non era in grado di occuparsene e l’aveva portata da qualcuno
affidabile (probabilmente, aveva realizzato Chuck quando era stato di nuovo in
grado di ragionare lucidamente, Nate ne aveva approfittato anche per chiedere
notizie di Serena, scomparsa con Baizen subito dopo la tragedia).
Chuck, indicibilmente sollevato,
l’aveva guardata e l’aveva trovata così piccola, gli occhi chiusi, il
faccino rosa e un ciuffetto misero di capelli scuri in cima alla testa, e aveva
deciso che non ci sarebbero state più droghe o sbronze, perché lei aveva bisogno
di lui. Così, aveva ascoltato pazientemente i severi rimproveri di Lily e le
aveva permesso di abbracciarlo prima di lasciare l’appartamento degli Humphrey.
“Ti voglio bene, piccola.”
bisbigliò, cullandola e posandole un altro bacio tra i capelli setosi.
Un bravo papà. Blair
glielo ripeteva spesso, nei suoi sogni diurni. Di notte, invece, quando era solo
nel letto matrimoniale che avevano scelto insieme e che avevano condiviso per
poche settimane, sognava della notte in cui l’aveva persa. Oh, il destino
avrebbe avuto un’ironia davvero crudele se sua figlia fosse nata nelle sue
stesse circostanze, ma Blair non era morta di parto (e a volte Chuck si
chiedeva, avrei odiato mia figlia se così fosse stato?, vergognandosi
anche solo di averlo pensato, ma senza riuscire ad impedirselo). Nei suoi sogni,
sentiva di nuovo la mano di Blair che stritolava la sua, il suo respiro
affannoso a sbuffi, e la propria voce che ordinava ad Arthur di andare più
veloce, più veloce, Blair aveva le doglie e dovevano raggiungere la
clinica privata immediatamente. Più veloce, aveva sbraitato insistente, e
Arthur aveva obbedito, e allora non poteva realmente dare la colpa a lui se le
ruote avevano slittato sull’asfalto ghiacciato e l’auto era sbandata fino alla
corsia opposta e Blair aveva urlato terrorizzata, e l’ultima cosa che Chuck
ricordava, prima che l’impatto gli facesse perdere i sensi, era Blair che
chiamava il suo nome.
Non si era suicidato per sua
figlia, questo era vero. Ma non si era suicidato anche perché quando gli avevano
dato la notizia era bloccato a letto con diverse fratture e imbottito di
morfina. L’infermiera accanto al dottore aveva le lacrime agli occhi, quello lo
ricordava bene, anche nella nebbia farmacologica. Lui non aveva pianto in quel
momento, perché era tutto così surreale, e sentiva ancora la pressione
delle dita di Blair intorno alla mano sinistra, se si concentrava, e la sua voce
che lo chiamava, quindi come poteva essere morta? Ma le lacrime erano arrivate,
oh sì. Aveva pianto bloccato in quel letto, e aveva pianto quando gli avevano
riconsegnato gli effetti personali di Blair. Aveva tenuto il suo anello
fra le dita e aveva ripensato a quella giornata autunnale a Central Park e a
come erano state tiepide le sue labbra e dolce la sua lingua e aveva
singhiozzato e versato lacrime fino ad addormentarsi, come non gli capitava più
da quando aveva sette anni e Bart gli aveva risposto gelido che non avrebbero
mai festeggiato il suo compleanno perché non c’era niente da festeggiare.
“Almeno sono riusciti a salvare
la bambina”, gli ripetevano tutti, cercando di confortarlo.
Non aveva detto a nessuno di non
aver mai fatto il test di paternità. Lui e Blair erano stati così bene dopo la
rappacificazione che aveva temuto di rompere qualcosa se vi avesse anche solo
accennato. Blair, da parte sua, non aveva mai toccato l’argomento. Essendo
cresciuti nell’alta società, erano entrambi maestri nell’ignorare l’elefante
rosa nella stanza.
In tutta franchezza, Chuck era
stato spaventato dal test. Se avessero scoperto che il padre era
effettivamente Louis, cosa sarebbe accaduto? Era una domanda alla quale non era
capace di rispondere, purtroppo. Farò ciò che è meglio per il bambino,
gli aveva detto Blair, ed era assolutamente sincera, Chuck lo sapeva.
Un giorno, la piccola aveva
scalciato mentre Blair era tra le sue braccia e lei aveva riso.
“Sa quando il papà è vicino alla
mamma”, aveva bisbigliato, deliziata, prima di baciarlo sulla bocca con dolcezza
ma trasporto. Chuck aveva risposto al bacio, e intanto aveva pensato, sì, lo
sono. Sono il suo papà, e nessuno potrà portarmela via.
Un bravo papà.
Ma lo era veramente? Blair
sembrava felice e in salute. Magari un pochino viziata e capricciosa, ma tutti i
bambini lo erano un po’, soprattutto nell’Upper East Side. Lui e Blair stessi
non avevano fatto eccezione.
Dubitava che sarebbe mai
riuscito a mettere a tacere quella voce che minava la sua sicurezza e la sua
autostima, quella voce che aveva spesso i toni freddi e sbrigativi di Bart.
Però faceva del suo meglio. Per
crescere Blair, per sopravvivere alla perdita dell’unico amore della sua vita.
Per diventare l’uomo che Bart non era mai stato in grado di essere.
Ma stavolta per davvero.
Fine
Note dell’Autrice:
[1] “Baby’s in Black” è
il titolo di una canzone dei Beatles
[2] Chiedo scusa ai lettori di
Purple Suits & Red Lips per i lunghi tempi di aggiornamento. Ho finito la
sessione d’esami ieri, quindi sono stata parecchio impegnata. Cercherò di
pubblicare un nuovo capitolo prima di partire a metà Agosto, spero di farcela.
Alla prossima storia,
Melany
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