Lily Evans quella mattina si svegliò con un
diavolo per capello. Possibile che non potesse starsene tranquillamente
a letto nemmeno in vacanza?
La sorella sbraitava come indemoniata, mentre la madre
rispondeva ai suoi strilli sbattendo qualcosa di non ben definito
-probabilmente un mestolo- sul tavolo.
Ma che diamine aveva Petunia al posto delle corde vocali, si poteva
sapere? Se avesse alzato un altro pò la voce l'avrebbero
sentita solo i cani, perchè avrebbe cominciato a esprimersi
a ultrasuoni.
E perchè quel dannato mestolo la madre non glielo sbatteva
in testa, cosa la finivano tutte e due? Fra il rimbombo dei colpi e gli
strilli pareva si essere finiti nel bel mezzo di un film horror. Non si
sarebbe stupita se improvvisamente avesse sentito il rumore di una sega
elettrica di sottofondo, mentre il padre sbraitava loro di smetterla di
urlare.
"VOLETE SMETTERE DI URLARE COSI'!!!!!!"
Eccolo lì. Detto fatto. Non c'era nessuna sega elettrica, ma
di certo il tono del padre, Daniel Evans, aveva una tonalità
piuttosto assassina.
Sconfitta dall'evidenza di avere una famiglia troppo rumorosa, Lily si
alzò dal letto.
Non aveva dormito molto quella notte e non solo quella, era quasi un
mese che era praticamente insonne. Sbadigliò mentre si
passava una mano fra i capelli, gettando un sguardo di sfuggita alla
propria immagine riflessa.
Era bella Lily Evans, peccato che lei non lo sapesse, troppo occupata a
girarsene per il mondo con l'autostima che guerreggiava con quella di
un ragno morto a chi fosse quella più accettabile, battaglia
che si concludeva ogni volta con la tempestiva e schiacciante vittoria
del ragno.
Questo non significava che passasse la vita a compiangersi o a frignare
di fronte allo specchio catalogando tutti i suoi difetti, mettendo su
adorabili complessi adolescenziali, tanto errati quanto difficili da
eliminare, anzi.
Aveva pacificamente preso atto della propria mediocrità ed
era andata avanti con la sua vita.
Non che fosse mediocre, intendiamoci. Era la persona meno mediocre che
esistesse sulla faccia della terra con i suoi capelli rossi come il
sangue, la pelle diafana come quella di una principessa d'altri tempi e
gli occhi di un meraviglioso verde smeraldo, che tante volte avevano
fatto tremare il cuore dei suoi compagni di scuola senza che lei
nemmeno se ne accorgesse.
Passava la vita a non accorgersi, Lily.
Inconsapevolezza era il suo secondo nome.
Non era per questo quindi, che quando vide il proprio riflesso, la
rossina distolse lo sguardo, quasi disgustata.
Quando si specchiava, ciò che vedeva, non era l'immagine di
una ragazza troppo magra o troppo
grassa, troppo bassa o troppo alta, troppo rossa o troppo poco...
L'apparenza non le era mai
interessata. Il problema era più profondo, la ferita
più difficile da eliminare.
Quando si guardava lei vedeva l'immagine della sconfitta.
Il suo sguardo, che comunicava più di quanto facessero le
sue parole, era quasi spento ormai. Era lo sguardo di è
stato tradito, lo sguardo di chi è rimasto solo, lo sguardo
di chi sa che fidarsi di nuovo non sarà per niente semplice.
Il proprio orgoglio ferito le diceva di non mollare, quello stesso
orgoglio che tante volte l'aveva allontanata dalle persone, ora era
l'unica cosa che le impediva di lasciarsi andare. Se avesse sentito
ancora una volta dire che l'orgoglio rovina la vita, avrebbe mangiato
la testa a qualcuno.
Intanto al piano di sotto la guerra degli Evans continuava.
"... ma mamma!!! Stasera ci sarà a cena Vernon! Io lo
conosco: lui è un uomo concreto. Lily lo mette a disagio con
tutte le sue scempiaggini! Non voglio che se ne vada!"
La rossina sospirò alzando gli occhi al cielo: Vernon
Dursley. Il ragazzo di Petunia.
Già a definirlo un uomo ci voleva del coraggio. Pareva di
più una specie di tricheco con i baffi.
Comunque non si giudica un libro solo dalla copertina, quindi, quando
si era presentato in casa la prima volta, circa 4 anni prima, Lily
aveva promesso a sè stessa che avrebbe cercato di farselo
andare a genio. I rapporti con Petunia erano già difficili
così.
Peccato che quando Tricheco-man aveva aperto bocca, aveva dimostrato
senza ombra di dubbio e senza lasciarle una minima speranza di cambiare
idea, che era un completo e odioso idiota.
Aveva parlato per ore intere del suo lavoro e della sua azienda di
famiglia, con il classico sguardo alla Blade Runner: io ho visto cose
che voi umani non potete nemmeno immaginare. Pareva che costruisse
navicelle spaziali perfettamente funzionanti con gli stuzzicadenti.
E invece produceva trapani.
Trapani. Cosa ci sarà mai da dire dei trapani? Bucano i muri
e arrivederci.
Tuttavia Vernon aveva tantissime cose interessanti da raccontare in
proposito: creazioni di nuove punte, nuovi motori che rendevano quegli
aggeggi più potenti... Poi, siccome non riusciva a fare
colpo sul signor Evans, che continuava a guardarlo con aria omicida
stringendo spasmodicamente un coltello, aveva iniziato a raccontare
poco credibili storie su trapani che avevano motori identici a quelli
degli elicotteri.
Era ovvio che la storiella raccontata sui motori era completamente
inventata, ma a peggiorare la situazione c'era il fatto, che Daniel
Evans fosse un ingegnere meccanico. Non solo sapeva come si costruivano
i trapani, ma sapeva pure progettare i motori degli elicotteri.
Il povero Vernon aveva quasi perso l'appetito quando l'aveva saputo,
realizzando che tutte le cavolate di meccanica che aveva sparato per
tutta la sera, erano state valutate con assoluta spietatezza dal signor
Evans.
Lily adorava suo padre.
Alla fine comunque si era arresa, odiava il SuperTrichecoBaffuto con
tutta sè stessa e se avesse avuto occasione un giorno
l'avrebbe ucciso con uno dei suoi maledetti trapani.
C'era di positivo che un uomo così tremendo era perfetto per
la sorella.
"Petunia, ti ho detto mille volte di finirla! Non posso buttare fuori
di casa mia figlia ogni volta che il tuo ragazzo viene a cena!"
sbraitò la madre, fuori di sè, sbattendo per
l'ennesima volta il mestolo sul tavolo.
Cara mammina. Ogni volta tentava di difenderla.
Peccato che non ne fosse per niente capace.
Quando si innervosiva troppo infatti, la donna diventava praticamente
violacea e cominciava a sparare frasi senza senso.
Hai la
sensibilità di un pollo arrosto. Se mi capiti fra le mani ti
strozzo con il sale. Mi fai diventare rossa come un coccodrillo...
erano solo alcuni dei suoi cavalli di battaglia che erano passati alla
storia come le frasi più insensate al mondo da utilizzare in
una discussione.
C'era da dire però che quell'insensatezza aveva segnato la
sconfitta del Signor Evans più di una volta, nel corso dei
loro litigi: come facevi a rimanere arrabbiato quando una di sbraitava
contro frasi del genere?
Quella mattina però era in forma. La storia di non poter
buttare fuori di casa la figlia era pertinente, ma Petunia non
demordeva e continuava a strillare come se la stessero sgozzando:
sembrava un allarme antincendio. Almeno se qualcuno avesse avuto la
malsana idea di tentare di rapirla, i soccorsi sarebbero arrivati in
meno di un secondo.
Consapevole che la madre non avrebbe vinto la sua battaglia con la
figlia, Lily iniziò a vestirsi.
Indossò un piao di pantaloncini di jeans, una maglietta
azzurra e scese le scale scalza, cercando di non farsi sentire dalla
due che ancora stavano litigando in cucina. Afferrò le
infradito e scrisse un bigliettino per la madre:
"Stasera non rimango a
cena, di a Petunia di non preoccuparsi"
Non aveva certo intenzione di discutere per rimanere a cena con il
SuperEroe dei Trapani. Evitare quella cena non le dispiaceva affatto,
anche se la feriva che la sorella volesse escluderla così
dalla sua vita.
Aveva appena raggiunto la porta, quando una voce la chiamò,
costringendola a voltarsi.
"Lily" disse l'uomo seduto su una poltrona vicina all'atrio.
"Papà..."
Daniel Evans, conosceva la figlia più di quanto si
conoscesse lei stessa. Sapeva sempre quando c'era qualcosa che la
turbava, sebbene lei non parlasse mai con i genitori, sapeva che non
poteva capirla in pieno, visto che il mondo di lei era così
diverso dal suo, e sapeva anche che questa cosa la faceva sentire
tremendamente sola, ma non avrebbe permesso che lei si lasciasse andare
senza aiutarla.
"Dove stai andando?"
"Esco." si limitò a dire lei, non sapendo bene cosa
rispondere.
Non sapeva dove stava andando. Voleva solo andare via, lontana da loro,
lontana da tutti, ma non voleva dire queste cose al padre, consapevole
che l'uomo le avrebbe impedito di uscire, intenzionato a non lasciarla
da sola.
"Questo lo vedo" rispose lui con voce bassa e profonda, ripose gli
occhiali da lettura e il giornale, poi le sorrise "Vieni qui un
momento, voglio parlarti."
Lily rimase ferma sulla porta, indecisa, lanciando uno sguardo fugace
alla porta della cucina. Non aveva nessuna voglia di vedere Petunia.
"Si tratta solo di un secondo" insistte il padre, cosi la ragazza si
avvicinò, lentamente e andò a sedersi di fronte a
lui. "Allora bambina mia... che ti succede?"
"Niente, papà. Voglio solo evitare discussioni con Petunia."
"Non sto parlando di Petunia, cara... Sono arrivate diverse lettere di
Allyson, ma ti ho visto gettarle nell'immondizia senza nemmeno
leggerle, credevo che foste amiche..."
"Lo credevo anche io" rispose seccamente la ragazza, senza che la sua
espressione mutasse, all'apparenza. Un osservatore più
attento, però, che la conosceva bene come la conosceva lui,
non poteva non notare l'ombra che era passata in fondo al suo sguardo,
non poteva non notare il tono innaturalmente privo di sentimento.
Era chiaro che aveva toccato un tasto dolente, ma l'uomo
continuò a parlare.
Voleva sapere che cosa le stesse succedendo.
"E il tuo ragazzo? Anche lui ti ha scritto spesso e..."
"Io e Russel ci siamo lasciati prima della fine della scuola,
papà. Non mi importa se mi sta scrivendo, io non ho
più niente da dirgli."
E cosi erano loro il problema: Allyson e Russel. La migliore amica e il
fidanzato.
Suonava pericolosamente come l'inizio di una drammatica soap-opera.
Il padre tacque un secondo di troppo, così Lily ne
approfittò per darsi alla fuga.
"Bene" disse alzandosi "se non hai altro da dirmi io andrei, ho
già lasciato detto a mamma che non tornerò per
cena. Ciao."
Uscì di corsa, appena prima che la madre e la sorella
irrompessero nella stanza, senza che l'uomo riuscisse a rispondere al
saluto.
Erano anni ormai che James Potter non passava una vacanza senza i suoi
amici.
Quando era giunto ad Hogwarts sei anni prima, infatti, aveva conosciuto
le tre persone che avrebbero segnato profondamente tutta la sua vita,
da cui non voleva separarsi nemmeno in vacanza: i Malandrini.
Con loro aveva combinato talmente tanti guai che la metà dei
loro compagni e praticamente tutto il corpo docenti erano afflitti da
continui attacchi di panico, terrorizzati dall'idea che quel malefico
quartetto avesse organizzato qualche cosa di nuovo. La McGrannit aveva
minacciato più volte che li avrebbe uccisi,
perchè pur di liberarsi di loro, avrebbe affrontato Azkaban
con il sorriso sulle labbra.
Povera donna, quei ragazzi erano la sua croce e il suo orgoglio.
Passavano dal fare incantesimi di trasfigurazione talmente perfetti da
farle venire quasi le lacrime agli occhi, a scherzi infantili e
imbecilli ai danni dei compagni, scherzi in cui -del tutto casualmente-
rimaneva sempre coinvolta anche lei: per quattro volte consecutive si
era trovata con i capelli pitturati di colori tanto orribili quanto
sgargianti, che variavano dal rosa acceso al giallo limone. Alla fine
visto che la sua credibilità di insegnante aveva cominciato
a vacillare ed era veramente stufa dei loro comportamenti, aveva punito
la mente di ogni loro operazione -Potter, ovviamente- togliendogli a
tempo indeterminato la cosa a cui più teneva dopo
i suoi amici: il Quidditch.
Inutile dire che Potter aveva rischiato l'infarto. Dopo un mese intero
senza Quidditch, quattro partite perse e parecchi tentativi di
corruzione, i Malandrini si erano calmati, consapevoli che se non fosse
tornato a giocare, James avrebbe tentato il suicidio.
I due mesi di tregua che seguirono, furono i più belli della
vita della vicepreside, ma proprio quando si era convinta di aver
finalmente calmato quegli animi inquieti, ecco che i Serpeverde ebbero
la brillante idea di fare uno scherzo di cattivo gusto alla Grifondoro
meno indicata, se non volevano subire più che spiacevoli
ritorzioni.
Era, infatti, una cosa universalmente riconosciuta che James Potter
avesse un debole per Lily
Evans e anche se lei non lo degnava della benchè minima
attenzione, lui la considerava sotto la sua personale protezione. Fu
per questo che quando i Serpeverde decisero di farle un incantesimo che
l'avrebbe resa completamente calva, privandola dei suoi meravigliosi
capelli rossi, la McGrannit seppe, come lo seppe tutta la scuola, che
la tregua dei Malandrini era finita per sempre.
Poco importava che madama Chips le avesse fatto ricrescere i capelli
nel giro di due minuti con un incantesimo, poco importava che la
McGrannitt avesse punito i fautori dello scherzo con una durezza mai
usata prima, poco importava che la stessa Lily Evans si fosse difesa
più che egregiamente, schiantando i suddetti Serpeverde,
dopo averli appesi al soffitto come salami: James voleva la sua
vendetta. E i Malandrini lo avrebbero seguito, come lo seguivano sempre.
Gli scherzi fatti in quei mesi di fuoco furono tramandati di padre in
figlio per anni, libri interi furono scritti a memoria di quella guerra
che era esplosa senza lasciare scampo a nessuno... ma questa
è un'altra storia.
Data la loro profonda amicizia, era chiaro che i quattro cercassero di
passare meno tempo possibile lontano l'uno dall'altro.
Per farla breve i quattro ragazzi erano inseparabili. E lo erano per
ottime ragioni.
Peter Minus non aveva mai avuto un amico prima di conoscere loro e
sotto la loro protezione gli scherzi e le prese in giro che aveva
dovuto sopportare per tutta l'infanzia erano finalmente finite.
Remus Lupin era un Lupo Mannaro. Convinto che loro non l'avrebbero
accettato una volta venuti a conoscenza della sua vera natura, aveva
mentito loro per due anni, prima che James scoprisse cosa nascondeva. I
tre amici non solo non lo abbandonarono, ma anzi diventarono Animagi
per lui, rimanendogli vicini anche durante la trasformazione.
Sirius Black viveva come un reietto. Non era mai andato daccordo con la
famiglia, la madre era addirittura arrivata ad odiarlo e a sedici anni
era fuggito di casa andando a rifugiarsi dai Potter, che lo avevano
accolto a braccia aperte.
E infine James. Lui non aveva particolari problemi familiari, ma
credeva fermamente dell'amicizia e avrebbe fatto di tutto per quei tre
fratelli che aveva trovato in quella che lui considerava la sua seconda
casa.
Tuttavia se erano tanto inseparabili, perchè James Potter
vagava solitario e annoiato in un paesino dimenticato da Dio in Italia?
Per comprendere il perchè di ciò dobbiamo tornare
indietro, a circa tre mesi prima, quando al ragazzo giunse una lettera
piuttosto insolita scritta dalla madre, seguita immediatamente da un
ancora più insolito bigliettino da parte del padre che lo
pregava di non fare domande.
La lettera di Dorea Potter così recitava:
Caro James
come ormai avrai capito
leggendo i giornali, la guerra è alle porte. Non so quanto
passerà prima che esploda definitiviamente, gettandoci tutti
nel caos più completo.
Tuo padre è
un Auror, sarà in prima linea e so che nemmeno tu ti tirerai
indietro quando sarà il momento di combattere.
Ho deciso quindi, che
fino a che ne abbiamo la possibilità, è il caso
di andare in vacanza insieme in un posto lontano da casa nostra,
cambiare aria, passare i nostri ultimi giorni dorati di pace come
famiglia felice.
So che è una
scocciatura per te venire in vacanza con i tuoi vecchi genitori, ma si
tratta solo di un paio di settimane.
Ci terrei veramente
tanto.
Per favore.
Con affetto
Mamma.
Per una persona che non conoscesse Dorea bene come la conosceva James
la lettera poteva non apparire così insolita: una madre che
vuole passare gli ultimi giorni che precedevano una guerra insieme al
marito e al figlio. Compensibile.
La signora Potter, però, non era il genere di donna che
fugge dalle situazioni scappando in luoghi reconditi dell'Europa,
fingendo che i problemi nel suo paese non esistano.
Se la guerra era alle porte, lei avrebbe combattuto. E lo avrebbe fatto
fino all'ultimo respiro.
Tuttavia bisogna ammettere che la paura a volte fa brutti scherzi e che
anche il più coraggioso di fronte a una minaccia come quella
che rappresentava Lord Voldemort, si sarebbe potuto sentire un attimino
vacillare.
Infatti, non era tanto ciò che diceva la lettera che aveva
allarmato James, quanto il tono con cui era stata scritta, semraba
quasi supplichevole. E questo era strano. Tremendamente strano.
Sua madre non pregava. Sua madre ordinava.
Se nella lettera ci fosse stato scritto: dannazione Potter, sei uguale a
tuo padre!! Ho detto in vacanza! Subito!! il ragazzo non
si sarebbe stupito per niente, ma quel per favore, scritto con
l'inchiostro un pò sbavato, quasi vi fosse caduta su una
lacrima, gli faceva sospettare che la donna nascondesse qualcos'altro.
Dorea Potter aveva un segreto.
E James l'avrebbe scoperto.
Peccato che quando erano arrivati in Italia la madre si era comportata
esattamente come faceva sempre, senza particolari comportamenti
sospetti.
Più volte il ragazzo aveva tentato di prenderla di sorpresa
quando spariva. Irrompeva nelle stanze senza bussare, si calava dalle
finestre... ma la sola cosa che aveva ottenuto era cogliere i genitori
nel bel mezzo di atteggiamenti non proprio casti.
Alla fine si era arreso. Probabilmente si era sbagliato, Dorea era
veramente solo spaventata.
Pareva che il Fato l'avesse attirato lì con l'inganno, quasi
avesse qualcosa in serbo per lui.
Così a Potter non era rimasto altro che vagare per la
città, aspettando che il suo destino si decidesse a
compiersi, lasciando che i suoi pensieri vagassero con una frequenza
allarmante su una certa rossina di sua conoscenza.
Chissà cosa stava facendo il quel momento.
Lily camminava senza meta per le strade della sua cittadina, senza
avere la minima idea di dove andare.
Non era mai felice di lasciare Hogwarts. Era da quando aveva scoperto
di essere una strega, infatti, che si sentiva un'estranea a casa sua.
All'inizio credeva che fosse solo questione di abitudine: presto la
sorella avrebbe accettato la sua diversa natura e i genitori avrebbero
cominciato a conoscere il nuovo mondo di cui lei faceva parte, ma si
sbagliava.
Con il passare degli anni la situazione non faceva che peggiorare.
Le discussioni con Petunia erano diventate sempre più aspre
e Lily aveva perso le speranze e soprattutto il desiderio di recuperare
i rapporti con quella sorella che si ostinava a definirla un mostro. I
genitori per quanto si sforzassero non riuscivano a capirla, non
potevano.
Cercavano di essere partecipi della sua vita, chiedendole come
andassero le cose a scuola e sforzandosi di imparare quanto
più possibile sulla magia, ma allo stesso tempo Lily
percepiva distintamente che tutte quelle cose a loro sconosciute, che
sfuggivano a volte alla loro comprensione, lasciavano loro un senso di
paura e inquetudine che non riuscivano a nascondere del tutto.
Non che avessero paura che la loro Lily potesse far loro del male o
cose del genere, semplicemente al fianco della loro Strega prodigio, si
sentivano fuori posto.
Lily faceva parte di un altro mondo.
Un mondo dove la sua diversità era la sua forza.
Un mondo che tuttavia la disprezzatava e la rifiutava. Esattamente come
faceva la sorella.
Fra i Babbani era un Mostro.
Fra i Maghi una sudicia Mezzosangue.
Non avevano un solo amico al mondo. Tutti alla fine l'avevano
abbandonata.
Prima c'era stata la rottura dell'amicizia con Severus. Ora Allyson.
Quando aveva incontrato Allyson, Lily si era davvero convinta di aver
trovato un'amica. Le era sempre stata vicina nei momenti di
difficoltà, anche se spesso di dimostrava un pò
immatura.
Era la classica adolescente che utilizza tutti i luogi comuni che ha in
repertorio per giustificare le proprie pazzie. Si vive una volta sola! Vivi la
tua vita! I migliori agiscono. I perdenti parlano!! e
cavolate varie, che Lily ascoltava pazientemente, con il sorriso sulle
labbra.
Parlava d'amore come se fossero caramelle, parlava di vita come se
ubriacarsi una sera significasse vivere, parlava degli attimi che
dovevano essere colti, che ti sfuggivano fra le dita, ma soprattutto
parlava di amicizia. Quella rara, magnifica amicizia di cui si parla
nei libri e che pareva indistruttibile e incorruttibile, un'amicizia a
cui Allyson diceva di credere con tutte le sue forze.
Che stupida che era stata, Lily. Solo una stupida. Così
convinta di essere una delle poche disilluse che erano rimaste al
mondo, una ragazza concreta, forse un pò cinica, ma di certo
protetta da qualsiasi tipo di delusione e colpo basso. Nessuno
può deluderti se non ti aspetti niente dalla gente e ormai
credeva di aver imparato che anche il migliore degli amici poteva
ferirti in modo indelebile. Ormai si credeva invincibile.
E invece la sua superbia l'aveva punita.
L'ultima di cui si era fidata l'aveva tradita come nessuno aveva mai
fatto prima. Non si aspettava molto da Allyson. Certo era sua amica, ma
sapeva che non era quel genere di amico che ti risolveva i problemi,
che capiva quando stavi male anche se tu non dicevi niente, che
riusciva a leggerti dentro con un solo sguardo, era solo una persona a
volte un pò immatura a cui Lily voleva un bene dell'anima.
L'aveva sempre ascoltata quando lei aveva le sue assurde crisi, l'aveva
aiutata quando credeva di aver trovato il principe azzurro e lui non
l'aveva ricambiata, l'aveva protetta da chiunque l'avesse offesa, e lei
cosa faceva?
Si scopava il suo ragazzo.
Nel suo
letto.
Cosa c'era che non andava in lei? Perchè attirava persone
che le facevano cosi deliberatamente del male?
Ricordava la scena di quando li aveva sorpresi insieme con una dolorosa
chiarezza. Sapeva che non svrebbe mai dimenticato quel tradimento. Mai.
Stava cercando Russel in tutto il castello quel giorno. La sera
precedente avevano litigato. Lui le aveva detto di essere innamorato di
lei e Lily non aveva saputo rispondere.
Ti amo. Due parole. Cinque lettere.
Le cinque lettere che la terrorizzavano più di ogni altra
cosa al mondo.
Pronunciarle significava esporsi. Pronunciarle significava gettarsi nel
vuoto.
Aveva taciuto un secondo di troppo, così Russel se n'era
andato, offeso e arrabbiato, lasciandola sola con i suoi dubbi.
Lily aveva poi passato l'intera notta insonne, a riflettere e alla fine
era arrivata alla conclusione che non era una Grifondoro per niente.
Lei ci teneva a Russel, gli voleva bene, anche se non era del tutto
sicura di amarlo. Ma cos'era l'amore? Come avrebbe potuto riconoscerlo?
Forse il segreto era buttarsi, senza pensare. Forse il segreto era
vivere il proprio rapporto cun una persona senza timore.
La ricerca era andata avanti a lungo, tanto che alla fine la ragazza si
era arresa ed era salita in dormitorio, sperando di trovarvi l'amica,
Allyson e poterle svelare tutti i suoi problemi.
Peccato che quando aveva aperto la porta della stanza aveva trovato sia
Allyson, sia Russel un tantino troppo impegnati per presarle attenzione.
Il dolore era stato talmente acuto, che non versò nemmeno
una lacrima.
Era rimasta ferma, in silenzio, fissandoli come se nemmeno esistessero.
Li guardò cercare di vestirsi in fretta, mentre
cercavano di accampare qualche scusa, ma lei non poteva sentirli.
Si sentiva come se fosse appena caduta in acqua, i rumori ovattati, i
gesti rallentati, i polmoni in fiamme, le forze che alla fine ti
mancano a furia di lottare e il terribile desiderio di lasciarsi e
finirla con una volta per tutte.
Aveta tentato di uscire dalla stanza, ma Russel l'aveva afferata per un
braccio per un braccio, impedendole di muoversi.
"Lily, ti prego Lily ascoltami...." aveva detto lui senza trattenere le
lacrime, stringendole ancora il braccio con una mano e con l'altra
tentava di tener sù i pantaloni che non aveva ancora finito
di riallacciare.
Era un bel ragazzo Russel, alto e atletico, a volte sapeva persino
essere affascinante, ma adesso agli occhi di Lily era solo ripugnante.
Come osava piangere? Con quale coraggio piangeva di fronte a lei in
quel modo dopo quello che aveva fatto?
Come? Come? Come?
Quelle lacrime false come lo erano state le sue parole, le avevano
fatto perdere il lume della ragione. Aveva iniziato a scalciare e
gridare, colpendo ogni parte del corpo del ragazzo che riusciva a
raggiungere.
"Lily! Smettila!" aveva gridato Allyson.
La furia di Lily si era scatentata allora sull'amica, la vera
traditrice in tutto quel frangente. Di lei si fidava dannazione! Si
fidava ciecamente!
Ancora una volta aveva permesso a quelli che credeva suoi amici di
ferirla.
Era solo una stupida.
Ma non sarebbe più successo.
Questa era una certezza.
Alzò lo sguardo proseguì il suo cammino a testa
alta, ben decisa a non crollare nemmeno stavolta.
Lily Evans non crolla. Non crolla mai.
Era troppo immersa nei suoi pensieri per accorgersi che aveva appena
imboccato la strada per Spinner's End.
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