Two is better than One
Si coprì il volto con il colletto del cappotto rosso più che poté. Faceva
freddo. Troppo, per essere solo inizio Novembre. Si riscaldò le mani con il proprio
fiato, ma anche quello divenne di ghiaccio, non appena entrò a contatto con la
pelle. Rimaneva raggomitolata intorno a se stessa da ore, o forse addirittura
giorni, lì, ferma, in attesa. La neve cadeva, tutt’intorno a lei, modificando il
paesaggio che la circondava. Dall’angolo del tetro vicolo dove aveva tentato
invano di trovare riparo, la ragazza osservava la vita scorrere. Quella degli
altri, s’intende. La sua aveva smesso di essere una vita molto tempo fa. Prima
che lei vedesse la neve per la prima volta. Prima che i sorrisi di quei bambini
che giocavano si erano fatti troppo lontani. Prima che tutti quei fiocchi
natalizi che iniziavano a popolare le vetrine già da allora, si trasformassero
in un ricordo flebile e appannato.
Dall’altra parte della piazza su cui dava il vicolo, un uomo uscì dal
portone massiccio di un palazzo dall’aria ottocentesca. Era alto, più della
norma, con un fisico statuario. La ragazza, che a confronto si sentì
improvvisamente piccola, strizzò impercettibilmente gli occhi, mettendo a fuoco
la figura che le si stava avvicinando. L’uomo era completamente vestito di nero,
tranne che per la sciarpa, di un rosso scarlatto, come il suo
cappotto.
- Vieni a prenderti una cioccolata calda – le disse, rivolgendole un
sorriso che subito riscaldò la ragazza.
Sarebbe potuto essere suo padre, pensò. In una realtà diversa, forse lo
sarebbe stato.
Annuì, alzandosi lentamente. Sentì il suo corpo urlare di gioia e di
dolore allo stesso tempo. Era stato troppo tempo fermo nella stessa, identica
posizione.
La ragazza seguì l’uomo dentro il bar accanto al vicolo. Lui le fece
cenno di accomodarsi dove preferisse. La scelta non sarebbe stata ardua, c’era
un unico tavolo libero, proprio al centro del locale.
L’uomo ordinò due cioccolate calde, e sembrò tener particolarmente alla
presenza di ‘una montagna di panna’, come precisò lui.
- Dicono che non ti fidi molto spesso delle persone – cominciò lui, non
appena ebbe assaporato la bevanda.
La ragazza si pulì la bocca, sporca di panna, con la manica.
- Tu sei diverso – spiegò semplicemente.
Aveva vissuto ovunque negli ultimi tre anni. Sotto i ponti, dentro case
abbandonate. Ultimamente era stata sfrattata malamente, e aveva trovato quel
vicolo dove poter trovare un minimo di riparo. Da subito, chiunque si
avvicinasse a quella piazza, l’aveva guardata con diffidenza. Forse erano i
capelli inevitabilmente unti e malconci, o forse le scarpe malandate che
indossava. Non sapeva perché, ma aveva iniziato a guardare in cagnesco anche
lei. Aveva imparato a non fidarsi. Non ti potevi fidare, se abitavi per la
strada.
Eppure, quell’uomo aveva fatto breccia dentro di lei, a poco a poco. Al
contrario di tutti gli altri, le aveva sorriso dal primo giorno, e aveva
iniziato ad offrirgli oggetti. Una coperta, un cuscino, vestiti. E poi libri.
L’aveva riempita di libri, dicendole che per scappare dalla realtà non c’era
niente di meglio. Ogni settimana, la ragazza divorava un libro diverso, e poi lo
restituiva all’uomo. Non sapeva ancora come si chiamava, né lui conosceva il suo
nome. Non parlavano molto. Anzi, lei non parlava per niente. Lo guardava,
chiedendosi se fosse così avere un padre.
- Stasera vieni a casa con me, non voglio sentire storie. Non puoi stare
in quel vicolo con questo tempaccio, e mia moglie è ben contenta di sperimentare
i suoi manicaretti per qualcun altro al di fuori della sua famiglia
–
La ragazza lo guardò, senza dire una parola. Poi guardò la sua cioccolata
fumante e annuì.
- Harriet – disse poi in un sussurro. Alzò nuovamente lo sguardo – La
prima cosa che mi hai chiesto quando mi hai vista. Mi chiamo Harriet –
- Bill – disse l’uomo con un sorriso paterno. – Appena hai finito, puoi
andare a raccogliere le tue cose nel vicolo. Ti aspetto in macchina
–
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