Le dodici fatiche di Blaine
Le
dodici fatiche di Blaine
Vi
era, un tempo, la credenza
che la natura, le stagioni, gli elementi naturali e tutto
ciò che accadesse nel
mondo, come anche l’amore e la guerra, fossero dettati dalle
azioni di alcuni
particolari esseri. Nessuno aveva mai avuto il privilegio di
incontrarli di
persona, almeno così si vociferava, eppure tanti erano i
templi a loro
dedicati, moltissimi i sacrifici per ottenere la loro benevolenza, e
ancor di
più erano le storie che si raccontavano di padre in figlio,
di famiglia in
famiglia, sulle incredibili gesta da loro compiute.
Si diceva che vivessero sulla cima del monte
più alto di tutto il territorio, la cui scalata nessuno
aveva mai tentato; la
loro casa doveva essere al di la delle nuvole, o forse ne faceva
addirittura
parte, perché pur alzando la testa ai limiti del possibile,
nessuno riusciva a
scorgere il minimo movimento o segno di vita. Nonostante fosse molta la
curiosità di vedere dal vivo questi esseri incredibili, che
gli uomini avevano
iniziato a chiamare Dei, nessuno si era mai avvicinato più
di tanto alle
pendici del monte, non volendo incorrere nelle loro ire e provocare
catastrofi
che avrebbero sconvolto la loro vita terrena, già difficile
di per sé.
- Erano uomini
semplici quelli che popolavano le terre di
quell’epoca, che vivevano dell’abilità
di cacciare con le
loro sole forze, e dei pochi mezzi che la
natura metteva loro a disposizione. Eppure non vi era popolo
più valoroso in
tutti gli angoli del mondo fino a quel momento conosciuti, nessun
popolo più
abile nell’arte della guerra, nella navigazione, perfino
nelle arti della magia
e della divinazione.
- Gli uomini erano
abili con la spada, forti e valorosi, le donne di
una bellezza e spirito d’animo impareggiabili.
- Benchè il sopravvivere
richiedesse notevoli sforzi giornalieri, chiunque poteva asserire che
nei loro
occhi vi era sempre la gioia.
- Era
un’epoca d’oro per il mondo stesso.
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A diversi metri di
altitudine, al di la delle nubi, circondate di
luce e armonia, vi erano veramente le
dimore degli Dei. Erano tanti edifici, alcuni più piccoli,
altri maestosi, il
più grande, al centro di tutto e sulla cima esatta
dell’Olimpo. Questo poteva
rassomigliare a uno dei grandi templi dei mortali, con le sue altissime
colonne
doriche, un tetto triangolare talmente massiccio che sembrava nessuno
potesse
scalfirlo, e una scalinata imponente, che portava
all’ingresso vero e proprio.
Non vi erano dei muri, la struttura era aperta e inondata dalla luce
che
proveniva direttamente dal cielo; il tempio si divideva in navate:
lungo
l’apertura principale si accedeva alla sala più
importante, dove vi erano,
posti in cerchio, dodici alti scranni, ognuno con un diverso simbolo
inciso nel
marmo in cui erano scolpiti. In mezzo, vi era un grosso cerchio in
quello che
sembrava oro, al cui interno vi era incastonata una grossa sfera
trasparente,
completamente vuota. La
navata sinistra
era destinata all’uso di pochi, poiché non tutti
avevano avuto il permesso di
potervi entrare; era protetta da uno scudo invisibile agli occhi, che
consentiva l’entrata soltanto a quelle persone designate. I
rimanenti non
soltanto non potevano attraversarlo, ma non potevano nemmeno vedere
cosa vi era
al di là; per
i non eletti, appariva
semplicemente come uno spazio vuoto.
Nella navata destra
si trovava un lungo tavolo, anch’esso
scolpito nel marmo e incastrato nel
pavimento, come
anche le panche che vi
stavano ai due lati. Una sola sedia, ben più piccola degli
scranni della sala
principale, ma comunque imponente, stava nel lato corto, ad indicare il
posto a
sedere per la figura più importante. Era il posto a sedere
del Padre degli Dei,
colui da cui quasi tutti gli altri erano stati generati, e che aveva
salvato i
suoi fratelli e sorelle da una morte dolorosa.
Egli era Finn, al
quale venivano rivolte le preghiere più solenni
e importanti.
Lo si dipingeva come
una personalità burbera e severa, l’indiscusso
sovrano dell’Olimpo, ma la verità era che aveva un
gran cuore, un
animo nobile e gentile, in grado di
prevedere ciò che sarebbe accaduto e spesso decidere in
anticipo quali
sarebbero state le conseguenze. A
volte,
però, egli riusciva anche a cambiare idea, se vi erano delle
motivazioni
adeguate.
*******
Gli
dei non scendevano spesso sulla Terra, se
non era strettamente necessario, perché rischiavano di
essere visti, e quando
accadeva le conseguenze erano quasi sempre spiacevoli.
Gli unici umani che avevano il permesso di
vederli e parlare con loro erano gli Oracoli; erano, comunque, momenti
che
accadevano in determinati giorni dell’anno, o in alcuni
particolari periodi, ad
esempio quando vi era in corso una guerra, o la carestia.
- Blaine era un
ragazzo che difficilmente
credeva alle storie che gli anziani raccontavano sulle loro
divinità: certo,
sacrificava gli animali quando lo si riteneva necessario –
benché non sempre
riuscisse a guardare quelle povere bestie morenti – e se
arrivava un periodo di
carestia allora pregava affinchè Brittany ridonasse la
fertilità alle terre, ma
lo faceva più per tradizione che per vero credo.
Ma un giorno dovette
ricredersi.
- La foresta era
brulicante di animali, e lui
cercava solo un capriolo da portare a casa per placare la fame della
madre e
della sorellina. Appostato tra gli alberi, le orecchie tese a captare
il minimo
movimento, si spostava con passi fluidi e leggeri, addentrandosi sempre
più
nella vegetazione fitta. La
caccia non
era soltanto un modo per procacciare il cibo, ma una vera e propria
arte, che
richiedeva una certa abilità, come destrezza,
velocità e soprattutto una certa
dose di furbizia, perché gli animali spesso erano anche
più scaltri degli
uomini, e non sempre era facile prenderli. Molti preferivano la pesca,
ma il
suo villaggio non era così vicino al mare come potevano
esserlo altri, ed era
più veloce e facile andare a caccia nella foresta li vicino.
I
suoi occhi scrutavano intorno a se con
attenzione, le mani stringevano l’arco con decisione, pronte
a scoccare una
freccia non appena avesse avvertito la presenza della sua preda.
Più si
addentrava tra gli alberi, più un forte rumore gli riempiva
le orecchie, come
una valanga di rocce in piena caduta, o un tumulto di zoccoli che
spezzavano
rami secchi.
- Dopo un
po’ si rese conto che non era nulla
di ciò che aveva potuto pensare lui, ma semplicemente si era
avvicinato, senza
neanche accorgersene, ad una piccola cascata, che andava a racchiudersi
in un
piccolo laghetto; lì, placidamente seduto tra un branco di
cuccioli di
capriolo, vi stava un uomo, un bellissimo uomo dalla pelle diafana.
- Blaine lo osservava
da dietro una roccia, la
freccia pronta a scoccare in direzione di un’esemplare un
po’ più distaccato
dal branco, quando l’uomo alzò appena lo sguardo,
incrociandolo per un momento
con il suo.
- Gli mancò un battito,
tanto che fece cadere l’arco
dalle mani, ormai dimentico dell’obiettivo per il quale si
era addentrato così
a fondo: mai aveva visto un viso tanto bello, dei tratti
così fini e delicati,
incorniciati da folti capelli castani; il corpo era al tempo stesso
esile e ben
definito, i muscoli tonici, il busto coperto da una tunica bianca, che
proseguiva fin quasi al ginocchio.
Ma
ciò che veramente lo lasciò basito, erano gli
occhi: di un azzurro intenso,
ancor più che del colore dell’acqua della cascata,
luminosi e, al tempo stesso,
impauriti.
- Aveva già
visto quel viso, benché mai di
persona, in una statua che di sicuro non rendeva giustizia a quella
bellezza
così perfetta: ne ebbe certezza quando l’uomo,
dopo avergli lanciato un ultimo
sguardo, sparì, illuminando per pochi istanti
quell’oasi di pace di una luce
intensa, facendo scappare il branco, che era stato completamente
ignorato dal
giovane.
- Blaine, ancora con
gli occhi spalancati, si
lasciò cadere sulla terra umida, una mano a stringere la
roccia dietro cui si
era appostato, come se cercasse un appiglio. Era abbastanza sicuro di
aver
appena visto il Dio Kurt.
Spazio
dell’autrice:
- Salve,
carissimi.
- Questa
è un’idea che mi è balenata per la
mente qualche giorno fa, in piena notte. No,
non avevo neanche bevuto tanto.
- E’
la prima fan fiction che scrivo dopo anni, ed è la
primissima in assoluto che
pubblico qui su Efp, nonché su Glee.
- Vi
sarei grati se, non so, commentaste per farmi sapere cosa ne pensate.
Le
critiche, in particolare, sono ben accette, so di averne bisogno.
- Si,
questo è solo il prologo, gli altri capitoli ( se ce ne
saranno, perché ho la
sensazione che non mi leggerà nessuno ) saranno SICURAMENTE
più lunghi.
- Beh
si, è tutto. *-*
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