-Prologo.
Lethel
quella sera era inquieta. Come tutte le notti da due anni a quella parte, era
nella stanza di Mersel. Il loro era un rapporto fondamentalmente clandestino, e
finora erano riusciti a tenerlo nascosto.
Lui dormiva placidamente nel grande baldacchino; i
pesanti tendaggi in velluto blu e gli ornamenti d’oro la mettevano a
disagio. Odiava quella stanza, sebbene ogni sera non vedesse l’ora di
entrarci: Mersel era il figlio del re, il futuro erede al trono, mentre lei era
solo la figlia di un piccolo conte del regno. Il loro era un amore nato in modo
singolare, Lethel lo ricordava come se fosse accaduto solo il giorno prima.
Suo padre era stato
invitato ad un’elegante festa a palazzo, di quelle che la principessa
Keira, la sorella di Mersel, amava organizzare quando si annoiava. Lei
all’inizio non voleva andarci, aveva sempre trovato noiose ed inutili
quelle ridicole festicciole che reputava solo capricci della principessa; ma
alla fine aveva dovuto desistere. Contro ogni logica, aveva indossato il suo
peggior abito, di quelli che lei odiava, con le maniche irragionabilmente
larghe e la gonna pesante. Ma, appena messo piede nella scintillante sala
d’ingresso del palazzo reale, si era morsa la lingua per il rimorso:
donne avvolte in eleganti abiti rossi, blu, verdi e bianchi volteggiavano al
braccio di uomini vestiti in velluto, e le loro acconciature elaborate parevano
risplendere alle luci dei bracieri che illuminavano la stanza di un arancione
allegro; ai suoi occhi, erano tutte bellissime, e si vergognò dei suoi lunghi
capelli che aveva lasciato sciolti lungo le spalle. Al fianco del padre, era
arrivata al centro della sala; in fondo, su un massiccio trono rivestito
d’oro e di velluto, sedeva il re Dherse. Ai suoi lati, seduti su troni di
misura più ridotta ma altrettanto sfarzosi, sedevano i suoi due figli: Keira e
Mersel. Per un tempo che le parve infinito, non riuscì a staccargli gli occhi
di dosso, e i due rimasero a fissarsi fino a quando Dherse fece un cenno con la
testa in direzione del conte, che prese la figlia sotto braccio e
l’allontanò. Neanche un minuto dopo, Mersel le chiese di ballare. La
musica in sottofondo era piacevolmente allegra, e le coppie volteggiavano con
rinnovata energia al centro della sala. Solo in quel momento, lei si rese conto
che non sapeva ballare; non aveva mia partecipato a feste di quel tipo,
preferiva il caldo rassicurante della sua biblioteca. Eppure, inspiegabilmente,
si ritrovò a seguire una coreografia di cui non conosceva i passi, guidata dal
tocco rassicurante del braccio di lui adagiato sul suo fianco; mentre guardava
i movimenti dei suoi piedi per imitarli, ogni tanto lo spiava.
All’improvviso, la musica cambiò: le note dolci e lente di una lira
sembrarono abbracciare tutti i presenti, e perfino la fiamma vivace dei
bracieri parve scemare di un poco.
Sotto quell’atmosfera, lui le parve
bellissimo: di sottecchi, guardava i suoi fluenti capelli biondi, e in un
istante di stupore, vide che non li teneva raccolti all’indietro come la
gran parte degli uomini là dentro, ma erano sciolti e si avvolgevano in boccoli
dorati fino alla base del collo; i suoi spettacolari occhi di un colore
indefinito tra il viola e l’azzurro erano incorniciati da ciglia
sorprendentemente lunghe, e ogni volta che incrociava il suo sguardo provava un
brivido di piacere.
Quando la musica si
fece ancora più lenta, lui la avvicinò delicatamente a sé, e lei appoggiò la
testa nell’incavo del suo collo. Ma anche da quella prospettiva, riusciva
a scorgere tratti di lui: il suo naso finemente cesellato e dal profilo
perfetto, il suo mento piccolo ed elegante, gli zigomi alti e lievemente
spigolosi, le labbra disegnate. Non riusciva a trovargli un singolo difetto, e
per un attimo si chiese se non stesse sognando: le sembrava troppo irreale il
trovarsi lì, a ballare con il principe. In un istante di confusione, giunse
alla conclusione che un essere di simile bellezza dovesse essere il frutto
dell’unione insana di una donna con un dio. Doveva per forza essere così.
Alla fine la musica cessò, e l’incanto svanì
in un secondo. Si chiese che cosa ci faceva lì, con quell’orrendo
vestito, con quei capelli, con quell’espressione impacciata. Eppure lui
la stava fissando con un’infinita tenerezza, e lei si chiese se non gli
stesse facendo pena. Una lacrima di rabbia le sfuggì, tracciandole un solco
nella cipria. Lui gliel’asciugò delicatamente, con il dorso della mano, e
le sorrise. Un sorriso così sconvolgente che per poco non si sentì svenire. In
quel momento, inspiegabilmente, capì di essersi innamorata. Le disse qualcosa
nell’orecchio, ed uscirono nel giardino.
I giardini reali erano
immensi, ed erano di una bellezza straordinaria. Ogni singolo albero, cespuglio
o fiore trasudava bellezza e lusso; inoltre, pullulava di viali e di aiuole.
Mersel la prese per mano e insieme passeggiarono per il viale più lungo del
giardino. Ai loro lati, piccoli alberi dai fiori rosa sembravano scortarli
lungo il cammino; i grilli cantavano la loro allegra melodia e la luna era
bellissima, piena ed enorme come mai l’aveva vista. Tutto sembrava sotto
l’effetto di un incantesimo meraviglioso.
Poi, cominciarono a parlare. Come se si
conoscessero da una vita, si dissero tutto quello che veniva loro in mente.
Parlarono per ore intere, e continuarono anche quando ormai tutti gli ospiti se
ne furono andati. Smisero solo quando non ebbero più voce per andare avanti.
Lui era fantastico: le aveva confessato che amava la lettura, e che poteva
anche recitare a memoria alcuni passi dei suoi libri preferiti; anche lei amava
leggere, anche se per una donna era un passatempo un po’ insolito.
Avevano in comune la passione per gli animali, e lui era dotato di una
curiosità fuori dal normale, la stessa che accendeva i suoi occhi verdi.
Quella notte fu l’inizio di una seria
infinita. Ormai sapevano tutto l’uno dell’altra. Non avevano
segreti, e dall’altra parte non avrebbero potuto averne: lui era di una
lealtà quasi paranormale e lei era incapace di mentire.
Eppure, quella sera aveva dovuto farlo. Nonostante
fossero ormai due anni che non passassero una notte divisi, era andato tutto
bene; fino a quel momento. Era da quasi un mese che non si sentiva bene, era
una strana sensazione diffusa in tutto il corpo, che la faceva sentire
un’altra. Alla fine, era andata dalla sua vecchia balia. La conosceva da
quando era nata, ed era stata lei a crescerla anche dopo la morte della madre:
non vi era persona al mondo della quale si fidasse di più. Fu con un misto di
gioia, curiosità e forse rimprovero, che la donna le disse che era incinta.
Nonostante il rapporto di totale sincerità che ci
fosse tra lei e Mersel, non aveva avuto il coraggio di dirglielo. Non sapeva se
temeva che si arrabbiasse o se semplicemente si vergognava, ma c’era
qualcosa a trattenerla.
Mentre lui dormiva tranquillo, si alzò dal letto,
cercando di fare il minor rumore possibile. Andò verso lo specchio dalla
pesante cornice d’oro che c’era in un angolo della stanza,
guardando la sua immagine riflessa. Non c’erano ancora segni della gravidanza,
ma la sua balia le aveva detto che al massimo tra ancora un mese e sarebbero
stati evidenti. Avvicinandosi allo specchio, fissò negli occhi la sua immagine
riflessa; non avevano un colore ben definito, ma variavano con la luce: a volte
erano verdi, altre volte azzurri, altre ancora color smeraldo. Ora erano di un
verde acqua intenso. I suoi lucidi capelli castani erano ancora cresciuti in
quei due anni, e ora le arrivavano ai fianchi e anche oltre. Si chiese cosa mai
in lei avesse potuto affascinare uno come Mersel.
Poco prima di addormentarsi, lui le aveva preso le
mani e le aveva sussurrato che l’avrebbe sposata. Lei aveva represso un
brivido a quelle parole. Se suo padre avesse saputo di quegli incontri, sarebbe
accaduto il finimondo; sapevano entrambi che lei correva guai molto seri, ma
non se ne curavano più di tanto. Il loro amore era più forte di quelle ridicole
formalità che vedevano obbligato Mersel a sposare una principessa. Sarebbe
stata un’unione vuota e senza amore, un’unione a fine politico,
niente di più.
Sebbene lei avesse ormai vent’anni e lui
ventuno, né il padre di lei né quello di lui avevano ancora accennato al
matrimonio dei propri figli; per il momento potevano stare tranquilli, ma di
certo la gravidanza di Lethel avrebbe rovinato tutto. Si sentì tremendamente in
colpa.
Si voltò a guardarlo. Le faceva una tenerezza
infinita guardarlo dormire così tranquillamente, come un bambino. Sorrise,
provando ad immaginare un futuro con lui.
I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da
un violento schiocco e poi dall’esplosione del vetro della finestra. I
cocci di vetro schizzarono da tutte le parti, ferendola. Per un istante, una
luce rossa illuminò la stanza. Poi, l’inferno.
Il fuoco cominciò a divampare lentamente: prese a
lambire prima le tende, consumandone il prezioso velluto, poi arrivò ai
tendaggi del baldacchino. Lei urlò, vedendo le fiamme pericolosamente vicine al
corpo di Mersel. Lui si svegliò di soprassalto, ma era troppo tardi: ormai il
fuoco aveva circondato completamente il baldacchino e lui era al centro, in
piedi. Saltare sarebbe stato impossibile: la pesante intelaiatura del letto gli
sfiorava la testa, e non avrebbe potuto prendere lo slancio necessario; sarebbe
dovuto passare in mezzo alle fiamme. Lei gli urlò di scendere, di buttarsi.
Mersel capì di essere spacciato. Il fuoco lo aveva
ormai raggiunto, e le fiamme erano troppo alte, inspiegabilmente alte. Il fumo
aveva ormai invaso la stanza, e l’aria era irrespirabile. Si sentì
svenire.
Alla fine, decise. Si buttò tra le fiamme. Per un
attimo, non avvertì il calore; poi, cominciò ad urlare di dolore.
Ma riuscì comunque a raggiungere un angolo non
ancora in fiamme della stanza, l’angolo dove si trovava Lethel.
Nonostante i capelli in fiamme, si sentì in salvo.
Lei gli rivolse un sorriso terrorizzato.
Poi, quella luce rossa inondò di nuovo la stanza.
Fu questione di un attimo, ma all’improvviso Mersel cominciò a
contorcersi dal dolore, e i suoi lineamenti sembrarono liquefarsi. Lethel vide
i suoi capelli bruciare del tutto e la sua pelle dissolversi come sotto
l’effetto di un acido. Sotto i suoi occhi, Mersel stava bruciando vivo.
Lei urlò, urlò come mai aveva fatto in vita sua, e scoppiò in lacrime nel
guardare i meravigliosi occhi del suo amato che venivano come risucchiati dalle
orbite.
Quando tutto finì, lui aveva ormai smesso di
gridare. Il suo volto era ridotto a brandelli di carne bruciata attaccati
ancora per miracolo alle ossa del cranio, e le grottesche cavità delle orbite
la fissavano senza pietà. Qualche ricciolo biondo solitario era rimasto
miracolosamente attaccato alla testa. I vestiti erano ridotti ad un ammasso di
cenere e brandelli e la carne sottostante emanava un disgustoso odore di
bruciato.
Lethel si buttò a terra, battendo i pugni e
urlando, strappandosi i capelli e maledicendo il cielo, incurante del fuoco
intorno a lei che continuava a divorare pezzi di quella stanza che per due anni
interi era stata loro.
All’improvviso la porta si aprì, e la figura
affusolata di una ragazza si stagliò nel fumo. La somiglianza col fratello la
colpì al cuore: era Keira.
Rimase per qualche secondo immobile sulla porta, a
guardare il fuoco, incredula. Poi guardò lei e le lanciò uno sguardo carico
d’odio. Infine, vide il cadavere carbonizzato di Mersel, e urlò.
Nel giro di pochi minuti, la stanza fu invasa
dalle guardie. Lethel aveva ormai perso i sensi sotto l’effetto del fumo
e nessuno badò a lei.
Nella confusione generale, spensero il fuoco e
portarono via il corpo di lui. Poi presero la ragazza e la buttarono in una
cella.
Lethel si svegliò di
soprassalto. Intorno a lei percepiva solo buio e umidità. Capì di trovarsi in
una delle tante celle che riempivano i sotterranei del palazzo.
In un istante ricordò tutto. Il bel volto di
Mersel che bruciava sotto i suoi occhi le fece girare la testa, e per un attimo
temette di svenire. Scoppiò in lacrime senza ritegno. La desolazione di quella
cella non faceva altro che aumentare la sensazione di abbandono che provava.
Lei amava Mersel. Portava in grembo il suo bambino. Dovevano sposarsi, così
aveva detto lui appena un’ora prima di morire, no? Che ne era di tutte
quelle promesse?
Pianse per ore intere, fino a quando qualcuno non
aprì la pesante porta e due uomini la presero malamente per le braccia; la
trascinarono in lacrime fino a una sala buia, illuminata solamente da due
bracieri appesi ai lati del trono. Era la stessa sala in cui si erano
conosciuti, ma quella sera di due anni fa era illuminata a festa e lei stava
ballando con il suo amato Mersel.
Il re sembrava un omino spaventato, con le
occhiaie e gli occhi arrossati. Alla sua sinistra, Keira era pallidissima e
tremava visibilmente; alla destra del re, il piccolo trono vuoto la colpì al
cuore come un pugnale. Scoppiò in un nuovo pianto dirotto.
Con un evidente sforzo, il re si alzò e posò lo
sguardo su di lei.. Poi, lo distolse di colpo, come se ne fosse rimasto
disgustato.
<< Sei stata tu? >> disse alla fine,
con la voce tremante. Lei sollevò gli occhi colmi di lacrime, incredula. Dunque
pensavano che fosse stata lei?
Scosse la testa, e i singhiozzi le squassarono il
petto, facendola sobbalzare. Le due guardie la lasciarono andare e lei si buttò
sul pavimento. Il re continuò, ignorandola. << Rispondi >> sibilò.
Lehtel quasi urlò. << No! Non avrei mai
potuto! >> poi i singhiozzi tornarono a tormentarla.
Questa volta fu Keira ad alzarsi. Ora che la
guardava meglio, si accorgeva che non stava tremando, ma fremeva di rabbia. Le
rivolse lo stesso sguardo carico d’odio di poche ore prima.
<< Tu eri la sgualdrina di mio fratello. Ora
mi dirai cosa gli hai fatto, o ti giuro sulle pene dell’inferno che farai
la sua stessa fine! >> le urlò, e la sua voce carica di minaccia e
disprezzo colpì Lethel come un pugno.
<< Vi giuro… Non ho fatto niente
>> ma i singhiozzi le impedirono di continuare, e riprese a piangere.
Il re perse la calma: << Diccelo, o verrai
accusata di stregoneria e di omicidio del tuo principe! >>
Lei alzò gli occhi, incredula. <<
Stregoneria? >>
L’uomo ridusse gli occhi a due fessure.
<< Non c’era niente nella stanza che avrebbe potuto prendere fuoco.
Abbiamo controllato. È stata avvertita una strana energia in quella stanza.
Senz’altro è magia. >>
Lei sgranò gli occhi, ma non disse niente. Era
talmente sconvolta che non aveva avuto nemmeno il tempo di chiedersi cosa
avesse potuto causare l’incendio.
Prendendo il suo silenzio come una confessione, il
re fece un cenno e le due guardie la ripresero per le braccia e la
trascinarono, urlante e scalciante, nella cella.
Si svegliò
ancora prima dell’alba; si era addormentata dopo ore e ore di pianto
ininterrotto, ma la vista di Mersel che moriva davanti ai suoi occhi
l’aveva tormentata anche nel sonno.
Sentiva, bruciante, il dolore della perdita. Come
guidata da una mano invisibile, si sollevò la veste e posò la mano sulla
pancia. Lì dentro, c’era la vita. Le pareva quasi impossibile che dopo
aver assistito alla morte del padre di quella creatura, quella invece stava
iniziando a vivere. Era come avere una parte di lui ancora con sé, e per un
momento quel pensiero la rassicurò.
La porta della cella si aprì di scatto, e comparve
la principessa. L’espressione minacciosa non era ancora svanita dal suo
volto. La somiglianza col fratello la colpì come un pugno. Sentì le lacrime,
urgenti, pungerle gli occhi.
<< Lo sai che il boia sta preparando i
ceppi? >> le chiese, senza tanti preamboli. Voleva vederla soffrire, di
questo Lethel era certa. Non reagì subito: la morte ormai non la spaventava
più, la sua vita non aveva senso ora che lui non c’era più; ma poi si
ricordò del loro bambino, della creatura che portava in grembo, e un brivido di
orrore le percorse lentamente la schiena.
<< No… >> mormorò con voce
rauca, incapace di dire altro. Le urla le avevano ormai tolto la voce.
Keira le lanciò uno sguardo di puro disprezzo.
<< È quello che ti meriti, puttana. >> le sputò con cattiveria;
vedendo che l’altra non replicava, continuò: << Era mio fratello.
Lo amavo come si può amare un fratello. E tu gli hai fatto questo. Perché? >>
l’ultima frase gliela urlò praticamente in faccia. Lethel sentì le
lacrime rotolarle bollenti sulle guance. << Non sono stata io… Te
lo giuro. >>
La principessa rimase impassibile. Tremava ancora
dalla rabbia.
<< Morirai esattamente come lui! >> le
urlò allora. << Come ha bruciato lui, brucerai tu! >>
Lethel questa volta urlò. Si buttò ai suoi piedi,
aggrappandosi alla sua veste.
<< Aspetto un suo bambino! >> gridò,
scossa dai singhiozzi. Keira rimase per un momento spiazzata. Sembrava
improvvisamente incapace di proferire parola.
<< Ti prego >> mormorò la ragazza,
senza più forze. << Non ucciderlo >>
Per un attimo l’ombra di un dubbio
attraversò il volto della principessa. Poi, così com’era venuta,
scomparve. Le voltò le spalle, e se ne andò.
Ma lasciò la porta aperta dietro di sé.
Lethel uscì
dalla cella in punta di piedi. Non aveva capito se la principessa le avesse
lasciato la porta aperta di proposito o si fosse semplicemente dimenticata. Ma
le era comunque grata, nonostante l’odio palese che lei provava nei suoi
confronti.
Là sotto era un labirinto: c’erano almeno un
centinaio di corridoio all’apparenza tutti identici, e nessuno sembrava
portare in una qualche direzione precisa. Il buio era penetrante e feriva quasi
gli occhi.
Alla fine, ne prese uno a caso. Si mise a correre,
sperando di trovare in fretta una via d’uscita.
Ma il rumore dei suoi passi dovette attirare
l’attenzione delle guardie, perché nel giro di pochi minuti le furono
addosso. Lethel non se ne accorse neanche; sentì solo la sensazione di freddo
delle lance puntate contro la sua schiena e l’odore di birra del loro
alito.
Prese a scalciare e a urlare, ma loro la
ignorarono e, pungolandola con le lance, la condussero fuori, nella piazza.
Keira aveva detto la verità: il boia stava
preparando i ceppi. Il terrore la gelò; smise di dibattersi e rimase immobile,
paralizzata dalla paura. Provò a immaginare al suo bambino che veniva divorato
dalle fiamme, proprio com’era accaduto al padre, e provò
l’irrefrenabile impulso di uccidere tutte quelle insulse guardie e di scappare
da lì, per sparire per sempre. Ma le forze sembrarono averla abbandonata, e in
breve si ritrovò sul palco di legno dove stava adoperando il boia.
Quell’uomo la inquietò nel profondo: la sua maschera nera gli copriva
completamente il volto, e la noncuranza con cui la stava per uccidere la ferì.
Smise di opporre resistenza quando gli uomini la
legarono ad un ceppo di legno piantato nel palco. Intorno a lei, una catasta di
legna.
Pian piano, sotto al palco cominciò a raggrupparsi
una piccola folla di persone. Tra le poche, Lethel distinse il re, Keira, suo
padre e la sua vecchia balia. Quest’ultima la fissava con
un’infinita tristezza, ma il suo sguardo era ancora carico d’amore.
Lei era l’unica, oltre a Keira, a sapere del bambino; suo padre invece la
fissava con una malcelata delusione. Si chiese se provasse compassione per lei,
o solo disprezzo.
Non seppe dire per quanto tempo rimase lì,
immobile, nell’attesa che accadesse qualcosa.
Quando il sole cominciò a fare capolino da dietro
l’orizzonte, il re fece un cenno.
Il boia si fece consegnare un ceppo infuocato. Per
un attimo, la fissò dritta negli occhi. Poi, con noncuranza, lo lanciò tra gli
altri, che presero rapidamente fuoco.
L’odore del fumo la stordì ancora prima del calore.
Cominciò a tossire piano, poi sempre più forte, fino a quando non riuscì più a
respirare.
In un istante di lucidità, si rese conto che non
era stata neanche letta la sua condanna. Semplicemente l’avevano mandata
a morire, come si fa con i cani. Un attimo prima che gli occhi le si
riempissero di lacrime, impedendole la vista, vide Keira che si allontanava.
Poi, le fiamme presero a lambirle le gambe. Provò
un dolore lancinante, come mai ne aveva provato, e sentì l’odore della
carne bruciata. Riprese a piangere le sue ultime lacrime, quando sentì il fuoco
che le mangiava la carne e uccideva suo figlio. Il loro figlio.
Urlò di rabbia e di dolore, e un attimo prima di
morire, pensò che lei e suo figlio stavano raggiungendo Mersel.
Keira non
aveva mai sperimentato il disgusto per sé stessa.
Ora, quella era l’unica sensazione che
riusciva a provare.
Dopo che Lethel era morta, neanche un’ora
dopo, era arrivato un messaggero. Non era insolito che arrivassero lettere e
messaggi dai contatti di suo padre, ma era da quasi un mese che non arrivava
più niente.
Il messaggero era un ragazzo
dall’espressione non troppo sveglia; non appena scese da cavallo, corse
incontro ad una delle guardie e le consegnò una pergamena. Sembrava
terrorizzato, e non appena si liberò del foglio rimontò a cavallo e sparì.
La guardia stava per portare diligentemente la
pergamena al bibliotecario, quando aveva incontrato la principessa in un
corridoio e lei lo aveva fermato bruscamente. Gli aveva chiesto cosa ci faceva
lì e quando lui le aveva mostrato la lettera, lei gliel’aveva strappata
di mano.
<< La porterò personalmente al re. Puoi
andare. >> lo congedò frettolosamente, poi si diresse verso la sala del
trono. Sapeva che l’avrebbe trovato lì: da quando era morto Mersel, era
come se anche lui fosse morto insieme al figlio; Keira capiva che la sua non
era solo una perdita affettiva: Mersel era il legittimo erede al trono, ed era
anche l’unico figlio maschio.
Lo trovò, come aveva previsto, abbandonato nel suo
trono. Sembrava sprofondare in quell’enorme poltrona dorata. Sembrava
fosse invecchiato di vent’anni.
<< Padre. >> lo chiamò lei.
L’uomo sussultò, poi le fece un cenno. La ragazza si avvicinò al trono e
gli porse la pergamena. Era chiusa da un sigillo rosso e nero, due colori insoliti,
dato che non appartenevano a nessun casato conosciuto della Terra Caduta. Si
chiese chi fosse il mittente, e una fitta di curiosità l’assalì.
Dherse l’aprì senza troppe cerimonie, e
mentre la lesse corrugò la fronte. Alla fine, la gettò per terra.
Keira rimase a bocca aperta: non aveva mai visto
il padre reagire in quel modo. Ancora più incuriosita, raccolse la lettera e la
lesse avidamente..
Le cadde dalle mani. Tremava. Scappò via correndo,
uscì dal palazzo, tornò alla piazza dove appena poche ore prima aveva bruciato
Lethel. C’era ancora puzza di bruciato, e il suo cadavere semi
carbonizzato giaceva ancora lì, in mezzo alle ceneri. Sapeva che già
l’indomani avrebbe sprigionato l’olezzo tipico della morte, e
l’odore dolciastro della putrefazione avrebbe invaso la piazza.
Si avvicinò al corpo. Una fitta di paura
l’assalì quando vide le carni dilaniate dalle fiamme e annerite.
L’orrore ebbe il sopravvento quando si rese conto che era una vittima
innocente. Pensò che aveva ucciso una ragazza della sua età. Aveva ucciso un
bambino che non era ancora nato.
Aveva ucciso il figlio di suo fratello.
Dherse
raccolse la lettera dal pavimento. Non aveva il coraggio di guardarla. Alla
fine si fece forza e tornò a rileggere quelle parole velenose.
Quelle ultime frasi, vergate col sangue, lo
ferirono come pugnalate
Questo è
solo l’inizio. Il principe non sarà l’unico a morire. Cadrete
tutti, uno ad uno, uno dopo l’altro.