Nickname sul
forum: Karyon.
Nickname su Efp: Karyon.
Titolo
della fanfiction: It’s
going to be all right.
Titolo del contest: Come together to the Strawberry Fields forever.
Pairing: Leggero Paul
McCartney/Lucy.
Personaggi: Paul McCartney, Lucy.
Generi: Malinconico, Introspettivo, sentimentale guerra
(accennato).
Warnings: What if…?, One
shot, song fiction.
Credits: Ovviamente tutte le citazioni o
le canzone presenti sono ©Beatles;
Lucy e Jude sono personaggi dal film/musical ispirato ai fab four
“Across the
Universe” e come tali non mi appartengono.
Canzone scelta: Across the
Universe.
Note personali: Si sviluppa in
un ideale missing moment del film: quando Jude è con Jojo al
bar (cantando “while
my guitar gently weesp” e tornando a casa, Jude scopre che
Lucy è andava via e
non la vede fino alla rivolta che lo porta ad essere arrestato ed
espatriato.
Subito prima c’è proprio la canzone Across the
Universe, un po’ il centro
focale del film, visto che subito dopo c’è il
punto di rottura fondamentale.
Se la giudice
non ha mai visto il film, metto il link di un pezzo di youtube che
mostra
proprio questa parte del film (http://www.youtube.com/watch?v=PUgxVaZ_lPw&feature=related),
così magari è più facile entrare nella
scena.
L’anno
è il 1968 (precisamente Aprile, data in cui ricade la morte
di Martin Luther
King, di cui si parla all’inizio della scena). Il
“what if…?” sta ad indicare
il fatto che non si sa dove fosse Paul McCartney in quel periodo,
così come non
si sa cosa facesse Lucy dopo quella scena.
Oh,
ovviamente non ho tenuto conto della vera età di Paul,
né del suo vero aspetto
dell’epoca. Inoltre credo si essere molto OOC con lui,
soprattutto nel discorso
sul flusso, nonostante gli iteressi sulla meditazione trascendentale
dell’epoca. Licenza poetica. xD
Bon,
ho smesso di rompere. Buona lettura.
Ha
partecipato al Contest “Come together to strawberry fields
forever” di La
Dreamer, classificandosi seconda.
«Nothing’s gonna change my
World…»
Across
the Universe
It’s
going to be
all right
Il fumo si spandeva leggero e impalpabile nel locale
semivuoto, mentre la
voce sottile – quasi sussurrata –
continuava a cantare.
“Nothing’s
gonna change my
World”.
Lucy sorrise
amaramente a quella frase, buttata con tanta precisa esattezza nella
sua mente
sconvolta da troppi pensieri: lei voleva lottare per porre fine alla
guerra,
voleva riportare Max a casa, perché era così
difficile da capire?
La sola idea che
morisse anche lui in una terra straniera, tra le braccia di un ideale
al quale
non aveva mai creduto davvero, le faceva ribollire il sangue nelle vene.
E
Jude… lui non
capiva, eppure era amico di Max; lui non capiva, eppure era andato a
New York
per cambiare la sua vita e il suo mondo; lui non capiva,
eppure… troppe, troppe
cose che non capiva… o non capiva lei, semplicemente.
Scostandosi una
ciocca dei lunghi capelli biondi, Lucy lanciò
un’occhiata alla valigia gettata
in un angolo trascurato, come se avesse voluto dimenticarla per sempre.
Andarsene
sembrava
l’unica soluzione, allora perché non si sentiva
meglio?
Tutto si stava
sgretolando sotto di loro senza che se ne accorgessero, il loro
universo era
sfumato improvvisamente, risucchiato da una maledetta guerra che
nessuno
capiva.
Forse buttarsi
nell’attivismo, avere l’impressione di fare davvero
qualcosa, poteva aiutarla,
perché quella passività arrendevole non la
capiva; non poteva stare immobile
mentre tutto il mondo le scivolava attorno.
Eppure
Jude…
“Tutti
vogliono
cambiare il mondo”, così le aveva detto quando
aveva fatto irruzione nei loro
uffici, eppure non lo pensava veramente. La sua era solo una presa di
coscienza
per qualcosa che avrebbe voluto fare, ma non poteva – o,
semplicemente, non
voleva davvero.
Non riusciva a
capire se si trattava di debolezza, di paura, di menefreghismo o di
semplice
incapacità di adattarsi alla realtà; lei, invece,
cercava di lottare la
corrente risalendo il fiume al contrario, sfidando la piena furente e
implacabile.
E si sentiva
soffocare, soffocare dall’interno per troppe cose: quello che
voleva, che
avrebbe voluto, desideri e rimpianti che le strappavano
l’anima, voglia di
urlare fino a sgolarsi e piangere fino ad essiccarsi.
«James,
un altro
per favore…» fece al barista del
“Huh?”, dove ormai avevano vissuto per mesi e
mesi.
James era un
barista dei vecchi tempi, impassibile e sorridente con le sue rughe,
nonostante
il mondo di colori, nuovi stili, pazzie, musiche, invenzioni e storie
che gli
passavano sotto al naso.
Le sorrise e
annuì
impercettibilmente, mentre il cantante di turno smetteva
d’intonare quella
canzone dal testo quasi banale, eppure così vero da fare
male.
Words
are flying out like
endless
rain into a paper cup
They
slither while they pass
They
slip away across the universe
Era
vero che le parole fluivano, volavano e sferzavano, leggere,
come un vento forte che non perdeva però la sua essenza.
Lei
era un po’ così: persa in un
mare di parole, ricordi passati, eccitanti
esperienze e paure presenti, eppure si sentiva fuori da qualsiasi cosa.
Fuori quadro,
fuori cornice, fuori da
quel Mondo che aveva invaso, aveva vissuto, ma forse non aveva mai
davvero
abbracciato.
Adesso, immagini
spezzate le
danzavano costantemente davanti agli occhi, e ci vedeva Max in quelle
immagini,
luci impressionanti di bombe, luci improvvise di notti fredde e
lontane, luci
di occhi spaventati e spalancati nel buio e respiri mozzati di terrore.
Ci vedeva la
guerra in quelle
immagini e Jude diceva che “tutto sarebbe andato
bene”; forse da quell’istante
aveva sentito che loro non si capivano, che il suo spirito era
definitivamente su
un piano diverso per lui irraggiungibile.
Lo scampanellio
delicato della porta
e un nuovo avventore salutò l’aria vibrante di
nuova musica e silenzio, mentre
il cantante di prima si serviva qualcosa da bere al bancone.
Lucy si
girò con un sorriso, che le
morì sulle labbra pochi istanti dopo: una pettinatura
conosciuta, tratti
imparati a memoria e fu già fuori, a respirare profondamente
nell’aria che
vibrava del fresco della sera.
Nonostante
tutto, il cuore batteva ancora – e forte – per quel
maledetto ragazzo
di Liverpool.
Lucy
mandò un’ultima occhiata alla
sua valigia abbandonata, poi corse lungo la strada e girò
l’angolo con la testa
che le mandava maledizioni e le mani che tremavano di non sapeva bene
cosa.
Con una certa
urgenza, riuscì a
notarlo tra i banchi colorati e i manifesti anti-Vietnam, mentre
raggiungeva la
piazzetta che si apriva dietro casa loro, cioè la sua
vecchia casa.
«Jude…
Jude…» sussurrò a se stessa,
poi ricominciò a correre. «Jude!»
Urlò poi, quando arrivò nello spiazzato
stranamente molto affollato, con i lunghi capelli biondi appiccicati al
viso.
Lui si
girò e le sorrise «Ciao».
Non era Jude, ma
sicuramente era un
altro di Liverpool: il taglio inconfondibile che lasciava scoperta la
fronte,
il maglioncino nero dalla bella linea, la camicia bianca…
tutto gli ricordava lui
e quella sua aria così particolare, quella sera al Bowling;
tutto gli ricordava
lui, compresi quegli occhi lucidi di vita e l’espressione
arguta – persino il
colore era lo stesso, di un marrone caldo come miele.
«M-mi
dispiace, credevo…»
«Che
fossi qualcun altro, non
preoccuparti. Però mi sembra strano che tu mi abbia
scambiata per uno del
posto!» Rise lo sconosciuto, con una risata così
spontanea che le venne
d’istinto imitarlo.
«La
persona che cercavo non è di New
York» spiegò solo, incrociando le braccia come se
sentisse improvvisamente
freddo.
L’altro
annuì «Capisco… anche tu non
sembri una newyorker comunque!» Provò a dire lui e
Lucy sorrise, senza riuscire
a trattenere un sospiro «Non proprio… sto
partendo, diciamo».
Forse fu
l’espressione, forse furono
i suoi occhi, ma il ragazzo non commentò oltre; le sorrise
brevemente a labbra
serrate e alzò lo sguardo al cielo «Il tempo
è bello, quindi ne approfittiamo.
Vuoi unirti a noi?» Le chiese, indicando il fondo della
piazza.
C’era
una piccola band – due ragazzi
del quartiere che conosceva e una ragazza alla batteria – e
qualche passante
curioso ad aspettare; gli strumenti non sembravano proprio nuovi di
zecca, così
come lo striscione improvvisato.
Lucy ci
pensò su, poi qualcosa le
fece rispondere affermativamente, nonostante sapesse bene che doveva
allontanarsi
da quel posto così pieno di ricordi, prima di cambiare
irrimediabilmente idea.
Eppure quel
ragazzo l’attirava, per
ragioni sconosciute.
Non credeva
all’amore a prima vista,
però credeva nel karma e nel destino che – in
qualche modo – ti raggiungeva; un
flusso di energia che era lì, a lasciare che le cose che
devono raggiungerti,
ti raggiungano, alla fine.
«Bene!»
Esclamò entusiasta lui, prima
di offrirle una mano. «Mi chiamo Paul».
«Io
sono Lucy».
Guardò
un po’ i loro preparativi, poi
Paul le sorrise da quel piccolo parco estemporaneo e
cominciò a suonare. Poi
cantò.
La sua voce era
bella, era profonda,
ti toccava intimamente.
Tuttavia non fu
quello a colpirla.
Images
of broken light which
dance
before me like a million eyes
That
call me on and on across the universe
Thoughts
meander like a
restless
wind inside a letter box
they
tumble blindly as
they
make their way across the universe
Potevano
non crederci, Max stesso le dava della povera romantica,
eppure era lì: quella canzone, che l’aveva
accompagnata nelle strade
ingarbugliate dei suoi pensieri e nelle sue considerazioni sulla
guerra, che le
apriva nuove realtà e la trascinava verso qualcosa che
ancora non riusciva a
percepire.
La
ascoltò per tutto il tempo necessario, bevendo parole su
parole, come il flusso continuo di cui parlava il testo, come un
insieme di
cose, sentimenti, sensazioni e percezioni, pensieri – tutto,
tutto – lì,
attraverso e dentro l’Universo, un tutt’uno con lei
e la sua natura.
Una
stessa sostanza.
La
gettava in un baratro di assoluto che la spaventava e si
sentiva tanto piccola, persino nei confronti delle sue emozioni per la
guerra o
per Jude o per Max.
Alla
fine Paul la raggiunse e sorrise con quegli occhi luccicanti
«Allora, ti piace?»
Lucy
annuì, quasi incapace di parlare «Mm-mh, ma questa
canzone…?»
Paul
sembrò intuire tutte le domande che avrebbe mai potuto
rivolgergli e prese un’espressione quasi misteriosa
«E’ l’Universo, sai. Decide
tutto lui, in un modo o nell’altro. Nulla può
cambiare questo, la sostanza che accomuna noi a qualsiasi cosa o
persona
esista, di qualsiasi natura essa sia. Questo
non cambia. Ma le cose così
“piccole”, le guerre e tutto il resto…
scivolano via, semplicemente, in un flusso inarrestabile e continuo,
eppure
sempre magnifico» spiegò, come perso nei suoi
pensieri.
Lucy
annuì, inquieta «Ma non c’è
niente di male a provare…
modificare o fermare il flusso, dico, se non ti
piace…»
Paul
la guardò, accarezzandole una mano «Noi facciamo
parte di quel
flusso e avviene continuamente che tutti lottino, cambino, si fermino e
si
dibattano per cambiarsi o cambiarlo. E va bene così,
l’importante è capire che spesso
le cose sono destinate a scorrere e avvenire, nonostante tutto e, beh,
nonostante noi».
La
ragazza annuì, ma era già andata, la mente che
vagava verso
nuove rivelazioni.
Le
sembrava di capire con più serenità il punto di
vista di Jude,
anche se non era proprio sicura fosse dovuto alle idee del
“flusso continuo” di
Paul; magari aveva solo bisogno di parlarne a freddo con qualcuno che
non sembrava
invischiato in tutto quello.
«Grazie
Paul».
Il
ragazzo la guardò «Per cosa?»
«Per
avermi fatto capire delle cose… ora devo andare».
Lucy
si alzò dalla panchina dove erano seduti e
inspirò «Continuerò
a dibattermi per ora, ma posso comprendere meglio».
Paul
annuì «Non farti prendere. Andrà tutto
bene» replicò lui e
Lucy sgranò gli occhi, perché forse aveva capito
di cosa parlava e – ancora un
altro forse – lui aveva intuito molto di più di
quello che sembrava.
«Buona
fortuna, Lucy».
«Anche
a te, Paul».
Si
sorrisero e si scambiarono una stretta di mano che era più
di
quello, nonostante si conoscessero da meno di dieci minuti. Lei sarebbe
stata
sempre convinta che lì era successo
qualcosa’altro, qualcosa di inspiegabile,
che viaggiava nel flusso constante della sua vita.
E
che, probabilmente, l’aveva aiutata a percepire
qualcosa che era scomparso, che si era sgretolato in lei
quando la guerra si era impossessata di Max e della sua anima.
Ora
doveva andare avanti e proseguire per quella strada che aveva
scelto, a dispetto di tutto.
Sperò
ardentemente che anche Jude, nel suo flusso, capisse e
andasse avanti, scorresse con esso, per poi raggiungerla –
più in là, in avanti
– attraverso l’Universo.
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