CAPITOLO
1
La
corruzione del tempo
La
donna osservò la sua immagine riflessa nello specchio. I suoi
capelli, un tempo rossi e vaporosi, ora ricadevano flosci sulle sue
spalle, creando sinuose curve argentate. I suoi occhi verdi erano
offuscati da una patina dovuta alla vecchiaia e circondati da una
ragnatela di rughe che si espandevano su tutto il volto. Non c'era
più traccia della bellezza della gioventù. Il tempo l'aveva
corrotta, l'aveva ridotta ad un ammasso di pelle secca e ossa,
ricoperte da un lussuoso vestito di raso.
La
donna si raccolse i capelli in uno nodo dietro la testa con
rassegnazione. Non voleva accettare l'idea che l'immagine di quella
vecchia strega fosse proprio lei, ma la decadenza in cui era piombata
non era solo una decadenza fisica. Quella donna provata dall'età e
disillusa dalla vita era davvero il suo riflesso. Era proprio lei.
«Madre?»
la richiamò una voce che sembrava venire dal piano di sotto. La
donna si sistemò le pieghe dell'abito e il colletto di pizzo,
proprio quando un mago bussò alla porta e, senza aspettare risposta,
entrò nella stanza con passo deciso. «Madre»
disse nuovamente, ma la donna non si voltò. I suoi stanchi occhi
verdi si posarono sul riflesso di lui, sul grande specchio che aveva
di fronte. I lunghi capelli corvini, ormai striati da qualche ciocca
grigia, erano stati raccolti con un nastro di velluto nero. Anche la
sua pelle cominciava ad essere attraversata da qualche ruga, ma il
volto era ancora abbastanza giovanile per la sua età. L'unico vero
segno che lo faceva sembrare più vecchio di quanto non fosse, era lo
sguardo tagliente e intransigente.
«I
nostri ospiti stanno arrivando. È gradita la vostra presenza in
ingresso.» disse rivolto alla madre, con un tono che più che un
invito, faceva apparire la frase come un ordine. La vecchia si limitò
ad un cenno del capo.
Quando
il figlio fu uscito dalla stanza, la donna lanciò un ultimo sguardo
al suo riflesso sullo specchio, poi si affrettò a seguirlo. La
grande casa era buia e tetra, forse a causa delle spesse tende di
velluto nero che impedivano di penetrare all'interno a quei timidi
raggi di sole che fossero riusciti a bucare la spessa coltre di nubi.
La cupa tappezzeria delle pareti era intervallata da antichi arazzi e
dipinti di antenati illustri. La donna si sentì addosso gli occhi
degli occupanti dei ritratti, che la seguivano lungo il corridoio, ma
lei non abbassò il mento. Non temeva il loro giudizio, né aveva
paura che potesse esserle rinfacciata qualche colpa. Si era sempre
comportata da nobile Purosangue, per cui non aveva alcun motivo per
essere rimproverata. In fin dei conti, la stirpe continuava, gli
eredi erano validi e numerosi e lei avrebbe dovuto sentirsi
orgogliosa di essere la capostipite, eppure uno strano senso di
inquietudine l'aveva assillata in quegli ultimi anni. Era convinta
che ci fosse qualcosa di... sbagliato nella sua famiglia. Un conto
era essere nobili, un conto era essere degli assassini. Sembrava che
la massima aspirazione dei suoi discendenti fosse quella di epurare
il mondo magico dai sasanachfiul. Certo, anche per lei il sangue
inglese era qualcosa di ripugnante, ma mai e poi mai si sarebbe
abbassata a massacrare Nati Inglesi, come un bieco sicario, o un boia
prezzolato. Nobiltà significava anche decoro, onore e rispetto.
Possibile che fosse l'unica a ricordarselo?
Scese
le scale lentamente, sfiorando il corrimano con le dita. «Nonna»
la richiamò una voce. Un ragazzo moro le si fece incontro reggendo
tra le mani una coccarda rossa. «L'ho
appena ricevuta dal Trinity. Sono diventato dictator» disse
il nipote, mostrando orgoglioso il distintivo.
La
donna gli rivolse un breve sorriso, poi commentò: «Tieni
alto l'onore della nostra famiglia. È così che si comporta un
Deamundi».
Eibhean
gonfiò il petto con evidente orgoglio e la nonna si concedette un
raro gesto di affetto, sfiorandogli la guancia con le dita. «Nonna.»
la chiamò un'altra voce dall'ingresso. Dalla porta fece capolino un
viso sottile, incorniciato da morbidi capelli rossi. Andalysia, la
penultima dei fratelli Deamundi, ma anche l'unica della famiglia che
avesse ereditato i tratti degli O'Brian, occhi verdi e capelli rossi.
Inoltre Evangeline aveva notato come la nipotina avesse la stessa
grinta che aveva caratterizzato lei da giovane.
«Nonna,
vi stiamo aspettando in ingresso» disse Andalysia, accennando con il
capo alla sala. Eibhean si affrettò a raggiungere gli altri, mentre
Evangeline vi si diresse con un passo lento, ma non abbassò lo
sguardo. Un nobile Purosangue non abbassa mai lo sguardo.
Suo
figlio e sei dei fratelli Deamundi erano schierati in ingresso,
pronti ad accoglierla. Alla sua sinistra Eibhean, e poi Tricolon con
quei suoi riccioli scuri, Liutpridus, il più energico dei fratelli e
infine Cassian, primogenito e erede del titolo di conte di Con
Cetchthach. Alla sua destra invece Andalysia e Luisdel, così diverse
come poche sorelle: la prima, rossa di capelli, aveva il carattere
forte degli O'Brian, la seconda, mora e con gli occhi scuri, era
pudica e aggraziata come si conveniva ad una nubile Purosangue.
L'altra sorella, Rosmerta, era già andata in sposa a Vladimir
Destesky, principe di Russia, sebbene avesse solo ventitré anni.
Tra
le due ali create dai suoi figli, stava Meccorin Daemundi, conte di
Con Cetchthach. Stava facendo girare un bicchiere di vino rosso,
roteando con un lieve colpo del polso il calice di cristallo. Il suo
sguardo era puntato sulla madre, ma non aveva nulla di benevolo nei
suoi confronti. Era uno sguardo di avvertimento. Non osare sfidarmi,
diceva.
Evangeline
restò impassibile. Era conscia di aver generato un assassino e non
aveva più l'illusione di poter influenzare in qualche modo le sue
scelte. Ormai era tardi. Tardi per lei, vecchia e stanca della vita,
ma tardi anche per lui, convinto di essere nel giusto. Ma questo non
significava che avrebbe mai abbassato gli occhi di fronte a suo
figlio.
Proprio
in quel momento qualcuno bussò alla porta. «Andalysia,
vai ad aprire» ordinò il conte, senza distogliere lo sguardo da sua
madre.
La
ragazza si affrettò ad eseguire gli ordini del padre. «Signor
O'Duibne, prego» sussurrò in un tono strano, troppo dolce per lei,
facendo entrare un giovane signore di bell'aspetto.
«Conte
Deamundi» salutò l'uomo, con un inchino, mentre Maccorin si limitò
ad un cenno del capo.
Dopo
di lui, arrivarono molti altri maghi e streghe, ma Evangeline non era
particolarmente interessata a seguire le presentazioni. Preferì
ascoltare i bisbigli dei suoi due nipoti più giovani. «Da
quando in qua fai gli occhi dolci a O'Duibne?» sibilò Eibhean,
rivolto alla sorella.
Andalysia
assunse un'aria di superiorità. «Non
sono affari tuoi».
«Lo
sai che nostro padre vorrebbe che sposassi Belisar MacGaril» rispose
il fratello, accennando con il capo ad un ragazzetto biondo dall'aria
non tanto sveglia che era appena arrivato al magione dei Daemundi.
Andalysia
lo incenerì con lo sguardo. «MacGaril
è un idiota» sibilò con astio. Evangeline non poté darle torto:
Belisar non sembrava un tipo tanto arrivato. Forse era il risultato
di qualche strano incrocio tra parenti, visto che le famiglie nobili
erano tutte imparentate tra loro. Anzi, se non ricordava male, la
madre di Belisar doveva essere Grainne O'Brian, una sua cugina di
secondo grado.
«Almeno
MacGaril è un nobile» rispose Eibhean, con un'occhiata d'intesa.
Ma
a quelle parole Andalysia gli rivolse un sorriso provocatorio.
«Nemmeno la tua
Ailionora è nobile, a quel che mi risulta» insinuò.
Eibhean
le lanciò un'occhiataccia e fece per rispondere qualcosa, ma
Evangeline non riuscì ad ascoltarlo, perché suo figlio la chiamò.
«Madre, è gradita
anche la vostra presenza, alla riunione».
Evangeline
si diresse con passo da funerale verso il salotto, dove gli ospiti
stavano cominciando a prendere posto intorno ad un lungo tavolo di
legno scuro. Il conte Deamundi, seduto a capotavola, fece segno alla
madre di occupare la sedia alla sua sinistra. Proprio di fronte ad
Evangeline, alla destra di Meccorin, stava Giustinianus MacGaril,
quell'idiota borioso che aveva sposato sua cugina Grainne O'Brian, e
il cui figlio ritardato Belisar era il miglior partito per Andalysia.
Oltre a suo figlio Meccorin, anche i tre nipoti più grandi, Cassian,
Liutpridus e Tricolon, erano stati ammessi alla riunione.
Quando
tutti ebbero preso posto, il conte Deamundi sollevò la bacchetta
verso il soffitto e recitò: «Glan
na fuil...»
«...tri
bas na sasanachfuil!» risposero gli ospiti in coro, imitando il
gesto del capotavola. Evangeline si meritò un'occhiataccia del
figlio per non aver preso parte a quel rito, ma non aveva intenzione
di unirsi a quel gruppo di fanatici assassini. Se evitare di gridare
il motto “Purezza di sangue attraverso la morte dei sasanachfuil”
era l'unico modo per sottolineare la sua indipendenza, era disposta
anche a sopportare le occhiate di rimprovero da parte del figlio. Lui
doveva sapere che lei disapprovava completamente quelle riunioni e
tutto ciò che ne conseguiva.
«Fratelli,
possa un giorno la nostra amata patria essere liberata da coloro che
hanno il sangue impuro» esclamò il conte Deamundi, appoggiando le
mani con le dita incrociate sul tavolo.
«Dio
lo voglia!» risposero gli altri membri del gruppo.
Dopo
un attimo di silenzio, il conte espose il problema per cui aveva
indetto quella riunione: «Fratelli,
un grave attentato al nostro orgoglio di celti ci è stato mosso
contro» annunciò in tono drammatico, osservando uno ad uno i suoi
ospiti. «Fratello Scipio, vuoi esporre tu il problema».
Scipio
Diablaiocht annuì con serietà. «Come
Capo del Dipartimento Affari Esteri, ho saputo che la finale di Coppa
del Mondo di Quidditch, alla quale partecipa la nostra nazionale, si
terrà in Inghilterra, nonostante le proteste irlandesi».
Un
cupo silenzio seguì quelle parole. «Come
si permettono?» esclamò indignata una donna mora, seduta poco
lontano da Evangeline.
«Sorella
Daireen ha ragione, è un vero oltraggio. Noi, costretti a disputare
una gara sul suolo dei nostri oppressori!» protestò Giustinianus
MacGaril, riscuotendo il consenso generale.
«Fratelli,
vi prego» disse mollemente il conte Deamundi, per tranquillizzare
gli animi. Il lungo tavolo piombò nuovamente nel silenzio. «L'unica
cosa che possiamo fare, per evitare di esporsi troppo, è boicottare
in toto l'evento» spiegò ai suoi ospiti.
«Boicottare?»
protestò la donna mora di nome Daireen. «Io
chiedo che cadano delle teste per questo affronto!»
«La
sicurezza sarà altissima» intervenne O'Duibne, in tono serio. «Il
mio superiore Claiomh, Capo del Dipartimento della Difesa, è già
stato interpellato dal suo corrispettivo britannico per accordarsi
sugli Auror che saranno presenti allo stadio. È praticamente
impossibile penetrare».
«Ma
soprattutto è rischioso» aggiunse il conte Deamundi, con serietà.
«Ricordate che la
nostra copertura non deve saltare. O vogliamo fare la fine di Xavier
O'Costal?» domandò ai suoi compagni, in tono provocatorio. Tutti
rabbrividirono di fronte a quell'agghiacciante prospettiva: O'Costal,
il traditore che, per smania di potere, aveva finito per farsi
beccare insieme ai suoi compagni e ora si ritrovava a marcire in
prigione.
«Questo
è quanto, fratelli» concluse il conte Deamundi, dopo aver appurato
che tutti i compagni erano ancora fedeli all'ideale per il quale
combattevano. «Se
qualcuno di voi, come fratello Scipio, dovesse essere obbligato a
presentarsi alla partita, finga un malore improvviso, qualsiasi cosa:
nessuno di noi deve mettere piede sul suolo britannico» commentò
il mago, scandendo per bene le ultime parole.
«Preferirei
morire» sentenziò con astio sorella Daireen.
Il
conte Deamundi annuì soddisfatto. «Per
il secondo punto in programma, lascio la parola a fratello Sigfrid».
Un
uomo pelato, con i tratti del volto taglienti, si schiarì la gola,
poi cominciò a parlare: «Sono
venuto a sapere, tramite dei miei informatori, che presto in
Parlaimint ci verrà presentata la proposta di legge di
Aletheia O'Gara, il Capo del Dipartimento dell'Istruzione Magica».
A
quell'informazione, le persone sedute attorno al tavolo si lanciarono
occhiate preoccupate: per quanto la O'Gara fosse membro del Partito
della Tradizione, sembrava particolarmente incline a fare favoritismi
per i sasanachfuil. «Cosa
dice il testo della legge?» domandò Cassian Deamundi, seduto a
fianco di Evangeline.
L'uomo
pelato scosse la testa. «Non
lo conosco nei dettagli, ma pare che l'idea fondamentale sia quella
di istituire dei corsi di cultura irlandese per favorire
l'integrazione dei sasanachfuil attraverso la conoscenza delle nostre
tradizioni».
«È
uno scandalo! Come se, per essere irlandesi, fosse sufficiente la
cultura!» protestò Giustinianus MacGaril, battendo il pugno sul
tavolo. Alcuni mormorii d'assenso accolsero quell'esclamazione.
«Credo
che la cosa migliore da fare sia convincere gentilmente miss O'Gara
che non è una buona idea presentare in Parlaimint quella
legge» propose sorella Daireen, con un tono falsamente gentile che
fece rabbrividire Evangeline.
Il
conte Deamundi annuì con serietà. «Volontari?»
«Possiamo
farlo noi, padre» intervenne Liutpridus, accennando a sé e ai suoi
fratelli. Evangeline si voltò verso i suoi nipoti con il cuore
infranto: aveva tanto sperato che almeno loro si salvassero da quella
trappola infernale, ma, evidentemente, l'ascendente del padre su di
loro aveva provocato effetti devastanti.
Il
conte Deamundi fece un segno d'assenso con il capo. «Agite
con discrezione: minacciatela quanto necessario, ma non fatevi
scoprire» ordinò loro, con tutta la naturalezza del mondo.
Liutpridus sorrise e gonfiò il petto con orgoglio, scambiando
occhiate fugaci con i fratelli Cassian e Tricolon.
Il
conte Deamundi osservò per un attimo i suoi ospiti, scrutandoli con
i suoi occhi blu come un cielo stellato. «Molto bene, la riunione è
finita» annunciò poco dopo, alzandosi dal tavolo. «Glan
na fuil...»
«...tri
bas na sasanachfuil!» completarono gli altri, alzandosi a loro
volta. Gli ospiti lasciarono lentamente la sala, seguendo il gentile
invito di Cassian Deamundi, che indicava loro un altro salotto dove
gli elfi domestici avevano preparato calici di vino e piccole
prelibatezze.
«Sorella
Daireen» chiamò il conte Deamundi. La giovane donna si voltò verso
il mago con sguardo interrogativo. Meccorin aspettò che tutti gli
altri avessero lasciato la sala, poi chiuse il portone per non essere
udito da orecchie indiscrete. Fece segno alla donna di sedersi
nuovamente, poi si accomodò a capotavola. «Ho
un compito per te, Daireen» annunciò in tono serio. «Ma
è una cosa che deve restare tra noi».
«Avete
la mia parola, conte» annuì la donna, immaginando che la faccenda
si sarebbe rilevata interessante.
Meccorin
Deamundi sembrava piuttosto a disagio, come se dovesse ammettere
qualcosa di terribile. «La
presenza della figlia di mio cugino si sta rivelando decisamente
ingombrante» disse alla fine, con lo stesso risentimento che avrebbe
usato un peccatore penitente davanti al suo confessore. «Prima
rovinò il piano per recuperare la lancia di Lugh, poi interferì con
quello della setta degli Eletti, portando alla cattura di O'Costal».
Daireen
si fece più attenta: aveva come l'impressione di sapere dove sarebbe
andato a finire quel discorso. Il conte Deamundi fece una piccola
pausa, poi riprese: «All'inizio,
considerato che era solo una bambina, potevo anche essere magnanimo e
ignorare la sua presenza, ma ora sta cominciando ad essere davvero
intollerabile».
«Mi
state chiedendo di ucciderla?» sussurrò Daireen, mentre uno strano
brillio le illuminò per un attimo gli occhi scuri. La ragazzina era
una lurida sasanachfuil, ma era sempre stata intoccabile, almeno fin
quando non l'avesse deciso il conte Deamundi. In pochi sapevano il
reale motivo di quella assurda tutela e probabilmente il conte stesso
non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, ma la stretta parentela tra di
loro faceva sì che avessero parte del patrimonio genetico in comune
e non una singola goccia di sangue dei Deamundi di Con Cetchthach,
per quanto impuro e contaminato da quello inglese, doveva andare
sprecato. Ma ora... be', la ragazzina si era dimostrata davvero
inopportuna e Meccorin era disposto a sacrificarla. Se si fosse
comportata in modo più discreto, avrebbe anche potuto sopportare la
puzza del suo sangue impuro che sporcava il suo prezioso casato, ma
non era disposto a tollerare una presenza così molesta. Dopotutto,
se una mano ti è motivo di scandalo, tagliata.
Ora
come ora, gli erano completamente indifferenti le sorti della piccola
sasanachfuil: gli bastava che la smettesse di intralciare i piani
dell'EIF. «Fa' quello
che credi» rispose a Daireen, scuotendo leggermente la testa con
disinteresse. «Dopotutto,
non fosti sempre tu ad occuparti della madre?»
Un
sorriso di vittoria si allargò sulla bocca della donna. Sì, fu lei
ad occuparsi della madre. Quella sgualdrina inglese che le
aveva rubato il suo uomo. Non si meritava altro, per aver osato
portare l'odioso puzzo dei dominatori inglesi nell'Isola Smeralda,
per aver infangato l'onore di un mago irlandese rispettabile,
seducendolo con i suoi trucchi. Con quanto piacere le aveva strappato
la vita dal petto! In fin dei conti, era solo per vendetta contro di
lei che Daireen Cumhacht era entrata a far parte dell'EIF.
E
ora, finalmente, il conte Deamundi aveva allentato le reti di
protezione intorno a quella lurida sasanachfuil della figlia.
Oh,
la vendetta non sarebbe potuta essere più dolce.
Uau,
ragazzi, io mi sento quasi emozionata! Mi mancava troppo questa saga
e sono felicissima di aver cominciato il nuovo racconto. In questo
capitolo, ho pensato di dare un po' di spazio all'EIF (così come
all'inizio del quarto la Rowling aveva inserito quell'agghiacciante
capitolo intitolato “casa Riddle”). Il trio ricomparirà dal
prossimo lunedì, promesso!
Ora
vi lascio un po' di cosette da sbirciare e leggiucchiare:
La
legge proposta dalla O'Gara potrebbe apparire favorevole per i Nati
Inglesi (e così certamente la interpreta l'EIF), ma in realtà è
comunque discriminatoria: comporta l'idea di mettere tutti coloro
che hanno sangue inglese (fosse anche per un nonno) in classi
separate per un corso intensivo di cultura irlandese; questo certo
non è il modo migliore per favorire l'integrazione!
Per
facilitarvi la comprensione delle intricate parentele
magiche, QUI l'albero
genealogico degli O'Brian e QUI quello
dei MacGaril. Siete riusciti a scoprire chi è la mano motivo di
scandalo che Meccorin Deamundi vuole tagliare? E avete riconosciuto
qualcuno dei vecchi personaggi negli alberi genealogici? =)
QUI,
invece, l'immagine del capitolo: si tratta di una rappresentazione
della famiglia Deamundi.
Questo
è l'approfondimento sulla nobiltà irlandese che avevo promesso
tempo fa:
In
origine le schiatte non avevano nulla di nobile, erano semplicemente
clan: gruppi di famiglie magiche unite dall'appartenenza tribale.
Ogni clan era in lotta con gli altri, ma le famiglie che
appartenevano ad uno stesso clan non erano necessariamente
imparentate.
Col
passare del tempo, alcuni clan divennero più importanti di altri e
in particolare tra il V-VI secolo d.C. spiccò il clan dei Con
Cetchthach.
Con
l'avvento del dominio normanno prima e inglese poi (a partire dal
XII secolo d.C.), le famiglie magiche irlandesi più importanti si
chiusero in un orgoglioso isolamento, facendo crollare l'antico
sistema tribale. Alcune famiglie si estinsero, altre si mescolarono
con i babbani o, peggio ancora, con gli inglesi.
All'inizio
del XV secolo, furono i Deamundi, dell'antico clan di Con
Cetchthach, a riportare in auge le vecchie tribù, dandogli il nome
di schiatte e richiamando le famiglie di origine a farne parte. Ma
ben poche erano sopravvissute immuni all'invasione britannica,
ancora pure nel loro orgoglio di celti. Così i Deamundi salvarono
dalla rovina solo otto schiatte, ciascuna composta da quattro o
cinque famiglie; ad ogni famiglia venne inoltre assegnata ad una
delle quattro contee in cui era stato formalmente diviso il
territorio irlandese, solitamente quella in cui si trovava la dimora
di famiglia (Maillen, Gulbain, Luachra e Temair). Per i maghi
irlandesi era un modo per sostenersi a vicenda, per opporsi al
dominio britannico e alle sue strutture governative attraverso la
rievocazione dell'antico legame tribale.
Con
il tempo, alcune schiatte si svuotarono per l'estinzione in linea
maschile delle famiglie che la componevano. Fu così istituito
ilUasal
Comhairle Uachtarach (Nobile
Consiglio Supremo) composto dai capifamiglia, che dovevano giudicare
se una famiglia fosse idonea ad entrare nella nobiltà, per
rimpolpare le schiatte. L'ultima famiglia a meritare tale onore fu
quella dei Saiminiu, che entrò a far parte della schiatta di Mes
Gergra nel 1694. Dopodiché il sistema del Nobile Consiglio Supremo
cadde in disuso.
Con
la liberazione dell'Irlanda Magica nel 1897 e la stesura della Carta
Costituzionale, le schiatte nobili furono formalmente abolite, ma
continuano tuttora ad esistere agli occhi di tutta la società
magica irlandese.
Perdonate
le note chilometriche! A lunedì prossimo (o a domani per quelli che
seguono anche il corollario “Vita da Fuorilegge”).
Grazie
a tutti,
Beatrix
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