«Ma
a chi credete di far paura? Siete solo un mazzo di carte da gioco!»
Le
Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie
Guardati, o
Re. Tieni
gli occhi bassi, e fissi con stupore infantile le
macerie della tua vita precipitate al suolo con violenza esagerata.
Cosa sei diventato?
Il tuo
castello di carte è crollato sotto il peso della
verità, e il tuo cemento di ideali non ha retto
all’impatto. Forse non erano poi così resistenti
come credevi.
Ed io
ho paura. Paura che nemmeno la verità – o
quella che sembrava tale – sia così solida da
sostenere tutti questi scossoni. Sento che il bianco della mia
giustizia è stato macchiato dal nero dei tuoi sogni, e tutta
questa oscurità di sta dipanando come un virus dentro me,
distruggendomi dall’interno.
Percepisco
chiaro sulle spalle il peso delle mie colpe che si confonde
con quello delle mie menzogne. Non sono così forte da
reggere a tanto – ho
bisogno di te.
Ti
tendo la mano in un gesto spontaneo, ma la tua non mi afferra in
risposta. A cosa pensi? Se alzassi gli occhi potrei leggerlo nel tuo
sguardo. So che oltre quegli specchi limpidi sta andando in scena, come
un film, la tragicomica pantomima che ci ha visti protagonisti. Stai
forse analizzando i tuoi errori? I miei? Desidero guardare in quei due
abissi come non ho mai avuto il coraggio di fare prima. Ho il terrore
di rivedere i miei sbagli salutarmi irriverenti dalle tue iridi, ma
lascerei tranquillamente che l’abisso guardi dentro me, in
modo che si spaventi alla vista di tutto ciò che mi si agita
dentro.
Quanta
rabbia che sento, Re, non ne hai un’idea. Mi chiedo se
ti renda conto anche tu di quanto abilmente siamo stati maneggiati,
sfruttati;
mi chiedo se è per questo che fatichi tanto ad
alzare lo sguardo. Ti vergogni? O è il peso della
consapevolezza? Della coscienza di sé come giocattolo nelle
mani di un Fato capriccioso? Il Destino ha giocato con noi, Re. Ha
iniziato una partita ad ‘acchiapparello’ il giorno
in cui ci siamo incontrati, ha proseguito con un poker spietato quando
hai scoperto le tue carte a Sciroccopoli, e sta dando sfogo alle sue
ultime noie con gli scacchi. Spero che almeno si sia
divertito. Le nostre volontà, i nostri desideri, non hanno
mai contato niente per nessuno. Sono sempre stati immolati
all’altare di un bene superiore che né tu
né io siamo mai riusciti a intravedere. Tutti i nostri atti,
ogni nostra parola, era subordinata ad una rigida scala gerarchica, al
cui vertice il Fato si divertiva a lanciare a caso i dadi per decidere
a chi affidare la prossima mossa. E’ stata tutta una partita,
o Re. Ciò che reputavamo lo scopo ultimo della nostra
esistenza altro non era che una parata di giochi, di cui il Destino era
arbitro e sfidante.
A
Quattroventi è iniziata la sfiancante corsa del
‘prova a prendermi’. Non c’erano tane,
una volta partiti, non c’erano time out – non
c’è mai stato tempo per noi, e l’abbiamo
capito subito. Tu eri lì di fronte a me, con il tuo
cappellino grigio e il sorriso enigmatico di un esperto giocatore
d’azzardo – credevi di avere la vittoria in pugno,
allora, povero illuso!
“I
Pokèmon hanno bisogno di essere
liberi.” Avevi appena finito di dirmi.
“Ma non dire stronzate!” –
fu la mia fine
risposta.
Al che
tu avevi replicato, caustico e sferzante: “Attenta,
principessa,
ti è caduta la corona.”
Vorrei
proprio ritrovarla adesso, quella corona. Non l’ho
raccolta allora, e non l’ho fatto neanche in seguito,
limitandomi a calciarla via adirata. Adesso me ne pento. La vorrei
sollevare orgogliosamente, in modo da avere ancora un diritto da
reclamare, un ruolo da rivestire come Tua Regina, invece di questi
panni da misera pedina. Verrò
mangiata.
Anche
tu, o Re, non sei stato altro che una pedina, e adesso te ne
rendi conto. Pensavi di poterti muovere come volevi, oppure di poter
stare fermo ad attendere il tuo Destriero, e invece ti sei scoperto uno
strumento, una vittima facilmente sacrificabile in nome di qualcosa di
più grande. Ti sei fatto mangiare dai
desideri degli altri.
Eppure
io, che ho avuto la possibilità di diventar Regina,
come pedina ho buttato giù la tua Torre di inconsapevoli
inganni. Siamo stati puniti, Re. Veniamo dolorosamente flagellati per
aver infranto tutte le regole dei giochi – e nel mio caso
anche del bon ton. Fin troppo spesso abbiamo valicato i confini
squadrati delle nostre caselle. Ci siamo rincorsi sulla scacchiera,
saltellando come ci pareva tra quelle bicromie, calpestando senza
pietà il bianco della giustizia per affondare sempre di
più nel nero veleno degli ideali. Carte taglienti ci
piovevano sulle teste senza sosta, gettati da qualche confuso
– crudele? - avversario. Ci sono stati Assi avidi che hanno
tentato di prenderci tutto, di toglierci anche il respiro; di spremere
via da noi ogni goccia di fiducia che ancora scorreva nelle nostre
vene. Io non mi sono mai fidata di te.
“Sarai
pure un Asso di Cuori, ma non ti bastano i
Fiori o i Denari, per impedirmi rifilarti un gran bel Due di
Picche!”
Credevo
di averti messo all’angolo, Re. Ero fermamente
convinta di avere nella manica l’Asso giusto per metterti in
scacco. Sapevo di non aver barato, di aver giocato onestamente, con
sfiducia, diffidenza e disincanto, e per questo credevo di aver
resistito alla tua tentazione. Mi hai offerto in più di
un’occasione la possibilità di diventare la tua
Principessa, di unire il mio Bianco al tuo Nero, per diventare insieme
un neutro Grigio. Avremmo potuto elevarci al di sopra di qualsiasi
sfumatura, e regnare sopra colori, carte e pedine. Eri un Principe,
allora, e avevi tutto – avevi
sogni; ma io da te non volevo
nulla. Ed è invece adesso, che sei diventato Re del Niente,
che io desidero più di ogni altra cosa essere la tua Regina,
o anche solo la Principessa del tuo Tutto. Ma non trovo la mia corona,
e non so come fare. Come posso, senza quella, essere una buona Dama?
Non ho
più carte da scoprire, non ne ho mai avute, forse
è questa la mia verità. Ecco perché mi
hanno scelto come sua paladina: sono fatta per essere Fante, non Regina.
Ma ti
vedo, stai pensando; stai aspettando la mia prossima mossa per
poi sferrare la tua controffensiva. Che cosa si fa in questi casi? Ah
sì: ci si gioca il tutto per tutto. Non ho più
niente da perdere – solo
te.
Rabbrividisco,
presa all’improvviso in contropiede
dall’idea che tu te ne vada. Sento una paura tangibile
attanagliarmi le viscere, mescolarsi al sangue e inondarmi il cervello.
Ha il sapore del presagio. Non abbandonarmi, Re. Non lasciare che
questa partita si trasformi in un solitario.
Sento
impellente il bisogno di avere una qualche rassicurazione.
Perché non sollevi quel viso?
“Ti
ho preso.” – sussurro, sperando di
liberarti dall’impasse che ti avviluppa.
Finalmente
alzi lo sguardo, e nei tuoi occhi leggo la mia sconfitta.
“No.”
– bisbigli di rimando.
“Cazzo,
no.” – sussurro
anch’io, mentre vedo le ali di Zekrom spalancarsi e oscurare
lo squarcio del cielo al tramonto. Bella mossa,
questa - penso sorridendo, mentre la tua astuzia si
infiltra nelle crepe del mio castello in aria, costruito mattone dopo
mattone da solide verità; nelle fessure del mio muro di
giustizia, negli spifferi del mio orgoglio già incrinato, e
li abbatte tutti e tre rumorosamente, crudelmente al suolo.
Ti
avvicini, sulle labbra il solito sorriso enigmatico del giocatore di
poker. Solo che adesso non serve più: hai vinto.
Ti
vedo chinarti a pochi passi da me, ad afferrare qualcosa che non ho
voglia di guardare. Quando ti rialzi, nel mio campo visivo sfreccia un
lampo rosa e bianco: sei tu che tieni stretto tra le dita il mio
cappellino.
“Touko-chan”
– sussurri, avvicinandoti
ancora – “ti è caduta la
corona.”
L’altra
mano nasconde per un momento il tuo sguardo, mentre
afferri la tua visiera grigia e ti sfili il cappellino dalla testa. Il
suo posto è subito preso dal mio; e mentre ancora fisso ad
occhi sgranati questa scena, avverto un piacevole calore sulla testa.
Non ho bisogno di alzare gli occhi per capire che adesso, sui miei
capelli castani, spicca il grigio della tua corona.
Probabilmente
sono arrossita, probabilmente ho imprecato; non lo
saprò mai. Ogni pensiero coerente si è annullato
nella visione di te che ripercorri all’indietro la distanza
che ti separa da Zekrom, senza mai voltarmi le spalle, né
abbandonare il mio sguardo.
Il
drago nero prende a sbattere ritmicamente le ali, vincendo a poco a
poco la forza di gravità. Il frastuono diventa quasi
assordante, mentre refoli di corrente mi smuovono i capelli ormai
sciolti. Trasportate da tutto quel vento, sento due parole infiltrarsi
in me da ogni poro della mia pelle e permeare con veemenza il vuoto
della mia mente.
“Addio,
Toucchan~ ”
Scacco matto.
Quando
l'ispirazione ti
sorprende, sorprendila con Imodium. Così eviti di far uscire
certe cag~ Basta.
Très charmànt anche l'autrice,
trovate? E qui si spiega la Touko mezza camionista. Era da un po' che
volevo scrivere un'altra Ferriswheel, ma non trovavo mai un tema che mi
piacesse. Poi, così, sotto la doccia... ZAC! Ecco
perchè lavarsi fa bene. Sentite, sono le 0.24 e ho fatto
overdose di caffeina, che pretendete? Diciamo che il risultato finale
è uscito un filo meno bellino di come me l'ero prospettato
[è che ci ho impiegato qualcosa tipo due giorni a buttare
giù il tutto]. E poi diciamo che l'ambiente attualmente non
è proprio conciliante. Ma tant'è. Mi piace
l'atmosfera un po' nero-cremisi [?] del tutto, a me personalmente ha da
subito fatto pensare ad "Alice in Wonderland", ma forse non si
è capito.
Ho
mescolato tanti riferimenti a vari giochi, da tavolo e non, in
questa shot, più la storia dell'opposizione tra Bianco e
Nero, e il ruolo di Re di N nel videogioco, sui quali mi sarebbe
piaciuto soffermarmi di più. Non necessariamente
nell'ordine, ho sparso riferimenti a: poker, solitario, semi delle
carte da gioco vari [sorvolate sulla battuta dell'Asso di Cuori
vipregoviprego], "acchiapparello" o come diamine lo chiamavate voi,
scacchi e dama. E se qualcuno c'ha visto pure Trivial Pursuit...
bè, gli consiglierei di andare da uno bravo xD La
rispostaccia sulla corona è una che mi hanno fatto spesso
[miss Oxford, veh?] e che mi piace un sacco, nonostante tutto, mi fa
sempre morire °-° Non so, magari la usate anche voi...
Tecnicamente
parlando, le frasi interamente in corsivo sono cose che ha
ipoteticamente detto Touko ad N in passato, e il soprannome "Toucchan"
credo sia una cosa mia [leggi: viaggio mentale].
-
Il riferimento all'abisso viene da una celebre citazione erroneamente?
attribuita a Nietzche, ovvero «Quando guardi a
lungo
nell'abisso, l'abisso ti guarda dentro.»
-
Disconosco qualsiasi riferimento a Lady Gaga con il titolo.
-
La frase «[...] non ho più niente da
perdere - solo te» è anche un verso
della canzone "Vamos a bailar" di
Paola&Chiara.
Magari
si è notato, ma non ho la più pallida idea
di come si giochi a scacchi xD E son lietissima di dire che la scena
finale mi è stata ispirata dal mio nuovo avatar
[*ç*], che
ovviamente non mi appartiene essendo io ignorante per quanto riguarda
la grafica al pc.
Tanto
per spammare un po', vi lascio qui
il link di una traduzione
che sto facendo, sempre a tema Ferriswheel. Personalmente ho adorato
questa storia in inglese, e all'autrice piacerebbe molto conoscere i
pareri degli eventuali lettori italiani.
Detto
ciò vi saluto e vi auguro una buona estate, essendo
che dopodomani me ne parto a Wien[na] e sarò assente per una
settimana circa. Recensioni come sempre graditissime, along
with
personali interpretazioni della storia et
lamentele varie.
Auf
wiedersehen! ♥
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