Nota:
Il personaggio originale che sta insieme a Ken in questa FF e
nella mia mente malata è Yasu(ko) Wakabayashi, sorella
gemella di Genzo che, al momento della storia, frequenta
l’istituto Toho dove ha (ri)conosciuto e stretto amicizia coi
Toho – boys.
Diciamo
che ai fini di questa shot non servono altre info sul PO. Se vi
interessa, tuttavia*SPAM*, trovate una *serie* di storie in cui compare
qui
[EFP] o qui
[ELF].
Siamo
durante le vacanze che seguono il primo anno di scuola insieme.
C’è
da dire che, in teoria, il primo anno al Toho sarebbero le
medie… mi si conceda la “licenza
poetica” che si tratti invece delle superiori e che i ragazzi
abbiano dunque 15-16 anni. Mi si conceda anche che Kojiro abbia
già inventato il Tiger shot…
Avete
adeguatamente sospeso la vostra incredulità? Bene! Buona
lettura!
Una
vacanza diversa
“… è solo che avevo voglia di una
vacanza diversa” spiegò Ken scrollando le spalle,
la bocca sempre piegata nel broncio che lo accompagnava da quando erano
partiti.
Kojiro, appoggiato accanto a lui al parapetto del traghetto,
studiò il profilo dell’amico, sbuffando.
“Una volta ti piaceva venire ad allenarsi da mister Kira,
d’estate”.
“Una volta” gli fece eco il portiere,
“avevo solo il pallone per la testa, al limite il
karate”. Si voltò, appoggiando la schiena al
parapetto. Rovesciò la testa all’indietro e i
lunghi capelli arrivarono quasi a toccare la ringhiera, mentre la
brezza marina li spargeva contro la schiena e qualche ciocca andava a
sfiorargli il viso.
“Uhhhh” lo canzonò Hyuga,
“dimenticavo che il nostro portiere adesso non è
più single…”
Ken lo guardò di traverso, scuotendo la testa, e volgendosi
sdegnosamente dall’altra parte.
“Ve ne siete stati appiccicati durante tutto l’anno
scolastico, puoi prenderti un po’ di riposo, adesso, no? E
poi se non sbaglio lei è dovuta andare con la sua
famiglia…”
“Sì, in quel resort esclusivo, non ricordo dove.
Alla fine è per questo che ho accettato di venire con te a
Okinawa… ma ciò non toglie che avrei voluto fare
le vacanze con lei… e sono sicuro che Yasu la pensa allo
stesso modo”.
Poggiò i gomiti sul parapetto e sospirò,
guardando il profilo della costa in lontananza. Era una giornata
bellissima, il mare e il cielo erano di un azzurro così
intenso che lo sguardo vi affondava e si perdeva, il sole splendeva,
caldo al punto giusto, reso piacevole dalla brezza marina e dal vento
provocato dal movimento del traghetto veloce.
Persi nelle profondità color zaffiro, gli occhi di Ken,
però, vedevano altro.
Una spiaggetta lontano
da tutto e da tutti, acqua tiepida e trasparente che lambisce la
sottile striscia di sabbia fine e bianca, incastrata fra
l’azzurro del mare e il verde della rigogliosa vegetazione
tropicale alle spalle. Una stuoia e i loro corpi avvinghiati, magari
nudi, a fare l’amore con la sabbia che entra dappertutto e
gli spruzzi d’acqua salata che ti rinfrescano.
Ma gli sarebbe bastato anche molto meno.
Qualche angolo nascosto del parco di Villa Wakabayashi – ogni
volta che ci andava non poteva fare a meno di pensare che, fra casa e
giardino, potevi farlo tranquillamente tutti i giorni, per mesi, in un
posto diverso.
O addirittura l’angolino ombroso sotto il pesco nel giardino,
dietro al dojo, a casa sua, vicino al laghetto, protetto da
un’alta siepe odorosa. Però, lì era
d’obbligo una bella spalmata preventiva di antizanzara.
Quell’estate avrebbe voluto fare l’amore con lei. A
scuola ci erano arrivati vicini tante volte, ma poi le voci di Kazuki e
Kojiro nella stanza accanto li distraevano, si mettevano a ridere e non
combinavano un bel niente. Sorrise al ricordo, poi scosse la testa, ben
deciso a pensare ad altro, che coi leggeri pantaloni di tela che
indossava, lasciarsi andare a troppe fantasie poteva essere…
imbarazzante. Infatti, qualcosa là sotto si stava muovendo,
costringendolo a rimanere ancora un attimo rivolto verso il mare.
“Che cazzo ridi?” chiese Kojiro, riportandolo alla
dura realtà e al viaggio verso un’ennesima
‘vacanza’ a base di allenamenti devastanti.
“Mi racconto barzellette che non conosco” rispose
lui, sperando che la battutona impedisse all’amico di sondare
i suoi pensieri. Ma Kojiro lo conosceva troppo bene: poggiò
a sua volta la schiena alla ringhiera, incrociò le braccia
al petto e abbassò la testa, chiudendo per un attimo gli
occhi, in una delle sue più tipiche posizioni da
sfottò.
“A cosa pensava il nostro Romeo?”
insinuò. “Mi è parso di vederti
spuntare dalla testa una nuvoletta con dentro il trailer di Laguna blu. O
sbaglio?”
Ken aggrottò le sopracciglia, incupito, ma poi gli
scappò inesorabilmente da ridere. Davvero Kojiro gli leggeva
nell’anima.
“Mi sono perso qualcosa di divertente?” intervenne
Takeshi Sawada, sopraggiungendo con un vassoio e tre bicchieri di succo
d’ananas gelato. Il tempismo del giovane centrocampista era
sempre perfetto.
“Stavo solo constatando quanto il nostro portiere sia
diventato romantico e rammollito…”
“Ma nooo” pigolò Sawada.
“È solo che gli manca Ya-chan, sono
così carini insieme…”
I due ragazzi più grandi inarcarono simultaneamente il
sopracciglio in modo molto coreografico, da far invidia alle gemelle
Kessler. Per un attimo crederono che il loro compagno si sarebbe messo
le mani sulle guance strillettando “Kawaiiii”,
come nei peggiori shojo manga.
Poi Ken ci ripensò.
“Rammollito a chi? A Okinawa vi farò un culo
così”. Sentenziò, sorseggiando con
stile il suo succo.
In realtà non ne aveva davvero nessuna voglia. Le gambe gli
dolevano già nell’affrontare la salita che portava
alla capanna dove Kira viveva e dove, per i giorni a seguire, avrebbero
alloggiato anche loro. I suoi muscoli ricordavano bene cosa
significasse fare quella salita trenta volte di seguito, o con due otri
d’acqua caricati sulle spalle o anche solo dopo otto ore
filate di allenamento sulla spiaggia.
“Proprio come quel poveretto lì”
pensò Ken quando, girata l’ultima curva, il tratto
finale della salita si aprì loro davanti, permettendo di
vedere una figura che arrancava piegata sotto il peso di un bastone
messo a mo’ di giogo sulle spalle e due otri che pendevano ai
lati.
“Tsk, mezza sega” commentò Kojiro.
“Quei cosi sono la metà di quelli che portiamo
noi”.
“Beh, considera che è piuttosto esile”
osservò Takeshi. “Mister Kira è severo,
i suoi allenamenti sono duri, ma non forza mai troppo i
limiti”.
Ken avrebbe avuto qualcosa da obiettare, ma il suo sguardo era attratto
dall’allievo. Aveva qualcosa di strano e maledettamente
familiare. Lo osservò raggiungere la casa, togliersi
faticosamente il giogo dalle spalle e massaggiarsele, facendo lenti
movimenti per sciogliere il collo. Quindi raccolse un cappellino rosso
da terra e se lo calcò sulla testa, poi si
appoggiò al muro e si lasciò scivolare fino al
suolo, esausto.
In un lampo capì cosa c’era di strano in quella
persona e cosa c’era di familiare.
Di strano, c’era che quello non era un ragazzo. Di familiare,
c’erano la maglia e il cappellino che indossava.
Superò di scatto i due amici e coprì rapidamente
gli ultimi metri fino alla capanna.
L’allievo, anzi, l’allieva sussultò,
spalancando gli occhi.
“Ken?” mormorò stupita.
“Yasu” affermò il portiere con un
sospiro.
“Cosa ci fai qui?” si chiesero a vicenda.
Il sorriso sornione di Kira mentre serviva il tè, la diceva
lunga sulla pianificazione che stava dietro a quell’incontro
“fortuito”, ma si limitò a informarsi
sul viaggio dei suoi tre pupilli, senza accennare a motivare la
presenza della ragazza.
Yasu li raggiunse di lì a poco, doveva aver fatto la doccia,
perché i capelli erano ancora bagnati, indossava una
maglietta del Toho con le maniche arrotolate e un paio di calzoncini
corti. Si trascinò, evidentemente stanca e dolorante, al
tavolo e si lasciò cadere sull’unica sedia libera.
Ken la guardò: i muscoli erano più evidenti sotto
la pelle arrossata dal sole, era sicuramente dimagrita ma, soprattutto,
era piena di graffi, lividi e abrasioni. Non sapeva se sentirsi
più arrabbiato o preoccupato. Decise di pazientare e sentire
cosa la sua ragazza e il suo ex allenatore avessero da dire.
Ma Yasu sembrava chiusa in uno strano mutismo, forse troppo esausta
persino per parlare. Prese stancamente la sua tazza di tè,
lo zuccherò, ne bevve alcuni sorsi e sbocconcellò
un biscotto. Poi rimase rigidamente seduta, le mani in grembo, la testa
abbassata. Il tutto senza degnare di uno sguardo né il suo
ragazzo, né i suoi amici. Chissà cosa le passava
per la testa.
La prima pazienza a esaurirsi fu, manco a dirlo, quella di Kojiro. Un
po’ aveva resistito a braccia conserte, osservando a turno
ognuno degli altri commensali, quindi si era alzato d’impeto,
sbattendo le mani sul tavolo e facendo tremare il servito
già sbrecciato di mister Kira.
“Vogliamo finirla col gioco del silenzio? Mister,
Wakabayashi, non credete di doverci qualche spiegazione? E tu Ken, se
devi incazzarti, fallo!”ringhiò, recuperando la
posizione seduta e incrociando di nuovo le braccia sul petto.
Ci fu ancora un attimo di silenzio. Ken mantenne la sua espressione
imperturbabile, le mani in grembo e lo sguardo fisso sulla tazza che
ancora non aveva sfiorato. Takeshi sorseggiava il suo tè in
silenzio, lo sguardo basso. Mister Kira si era seduto e stava
zuccherando il proprio. Per un po’, l’unico rumore
fu il tintinnare del cucchiaino mentre l’allenatore mescolava
il tè. Quindi l’uomo si fermò,
portò la tazza alle labbra, bevve qualche sorso, infine
alzò gli occhi verso Yasu. La ragazza inspirò
profondamente e si schiarì la voce. “E’
giusto. Andiamo per ordine, quindi comincio io” disse. Poi si
voltò verso il suo ragazzo. “Ken, perdonami, ti ho
mentito, ma ho ricevuto una proposta su cui dovevo riflettere da
sola.”
“Una proposta?” chiese il portiere. Ok, adesso era
preoccupato. E se cambiava scuola? E se andava a vivere in Europa dai
suoi?
“Sì… ricordi quella chiamata che mi
aveva turbato molto… l’incontro a
Tokyo…”
Ken annuì. Sentì lo stomaco torcersi.
“Ecco i miei genitori… non c’entravano
niente” ammise.
“E chi era?” Ken era sempre più
preoccupato.
“Il signor Katagiri”. Pronunciò il nome
tanto in fretta che quasi non la capirono.
“Il signor Katagiri? Quello della Nazionale? E che voleva da
te?” chiese Kojiro.
“Diciamo che… anch’io ho ricevuto
una… convocazione.” Inspirò ed
espirò profondamente. “Mikami ha fatto il mio nome
per far parte dello staff della nazionale”.
“Congratulazioni!” trillò Takeshi, che
fino ad allora si era limitato a osservare la scena con la calma che lo
contraddistingue.
Kojiro annuì, accennando un sorriso.
Ken era un guazzabuglio di emozioni. Era sollevato, perché
Yasu restava, anzi, sarebbero stati ancora di più insieme.
Certo, lui sarebbe stato, con ogni probabilità, il portiere
titolare e lei un membro dello staff… non sarebbe stato come
a scuola, ma almeno sarebbero stati vicini… Ed era
orgoglioso e contento per lei. Tuttavia continuava a non capire cosa
tutto ciò avesse a che fare con l’allenamento
massacrante cui la sua ragazza si era evidentemente sottoposta.
Cercò di riassumere il tutto, tentando però di
trattenere l’entusiasmo: “Bene,
congratulazioni… ma allora perché sei
qui?”
Bella domanda, pensò Yasu. Quando aveva ricevuto quella
proposta, era stata al settimo cielo. Avrebbe avuto la
possibilità di stare coi suoi nuovi amici e col suo ragazzo,
di ritrovare vecchi compagni e forse perfino suo fratello. Quando
Katagiri glielo aveva detto, era stata sul punto di rispondere subito
di sì. Ma appena ci aveva riflettuto un attimo, si era
sentita profondamente insicura.
“Il fatto è” spiegò,
guardando finalmente Ken negli occhi. “Che, nonostante la
fiducia riposta in me da Mikami e anche dal signor Katagiri, che
è venuto apposta a Tokyo per convincermi… non mi
sento all’altezza… insomma sono giovane, sono una
ragazza e non ho la preparazione tecnica adeguata…”
Takeshi la guardò con i suoi occhioni e sbatté le
palpebre. “Ma Mikami-san e Katagiri-san questo lo sanno,
Ya-chan… però ti vogliono lo stesso…
proprio perché tu non hai la preparazione, fidati di chi ce
l’ha” disse placido.
Kira scoppiò in una risata grassa e quasi si
soffocò col tè. “Visto, Yasuko? Bastava
che chiedessi al piccolo Buddha, qua”.
Yasu sorrise a Takeshi che le sedeva di fronte, e allungò la
mano attraverso il tavolo, per stringere la sua.
“Non vi ho detto nulla perché temevo che il vostro
giudizio fosse viziato dall’affetto… o
dall’amore” soggiunse, stringendo la mano di Ken,
che le sedeva a fianco, “ che provate per me…
però, in effetti, ho fatto quello che Takeshi suggerisce. Ho
chiesto un… consulto tecnico. Quando voi avete qualche
problema, vi rivolgete sempre a mister Kira, no? Beh, ho pensato che
potevo farlo anch’io… Sapevo di poter contare su
di lui per un giudizio schietto e circostanziato…
così ho preso il numero dal telefono di Ken e l’ho
chiamato. E lui si ricordava di me, da quella volta che era venuto a
trovarci a scuola.” Aggiunse con una punta di orgoglio.
“Come scordarsi una ragazzina che mi ha dato dritte
interessanti per l’allenamento dei portieri?” Kira
rise di nuovo, con quella sua risata roca. Poi proseguì.
“Io naturalmente, memore di quell’incontro e dei
vostri racconti, ero d’accordo coi colleghi e non avevo dubbi
sul loro giudizio. Ma la signorina qui è un filino capatosta
e, in ultimo, per sfinimento, le ho detto di venire qui che glielo
avrei dimostrato”.
“Ed eccomi qua” disse Yasu con una scrollata di
spalle. “Solo che non sapevo che sareste arrivati anche
voi…”
“Beh, se vuoi che ti dimostri che sai assistere un
allenatore, c’è bisogno di un minimo di
squadra” continuò l’allenatore.
“E c’è anche bisogno di ridursi
così?” Ken si rivolse a Yasu, ma avrebbe voluto
dirne quattro al mister, se il rispetto che gli avevano inculcato fin
da bambino non glielo avesse impedito. “Hai fatto da
assistente a Mikami da quando sei nata, sei di sicuro la sua allieva
prediletta… poi quest’anno hai fatto esperienza
col mister Kitazume, c’è bisogno di farsi male per
dimostrare qualcosa?” chiese, alzando leggermente la voce,
sempre in bilico fra rabbia e preoccupazione.
“Va bene solo quando lo fate voi, vero?”
ringhiò Yasu, alzandosi in piedi e avvicinando il volto a
quello di Ken. “Adesso se mi volete scusare, sono molto
stanca, vado a letto”.
E così dicendo, lasciò rapidamente la stanza.
Non sapeva cosa pensare. Quei giorni con mister Kira erano stati
davvero duri. Quello se ne era infischiato che lei era una ragazzina,
l’aveva sottoposta a esercizi sfiancanti, ma Yasu aveva
resistito, convinta che, alla fine di tutto, avrebbe visto in se stessa
quello che vedeva Mikami. Quel giorno, tuttavia, era stata sul punto di
cedere. Quando quello stesso pomeriggio aveva tolto dalle spalle il
peso degli otri, aveva giurato che se ne sarebbe andata. Dimostrando
così che si sbagliavano tutti e aveva ragione lei.
Poi, era apparso Ken. Per un attimo aveva creduto che la fatica le
avesse dato anche le allucinazioni. Aveva pensato a lui continuamente,
in quei giorni, quando sotto il sole cocente sentiva di essere allo
stremo, pensava a lui e alla sua tenacia. Di notte, quando il caldo e i
dolori che sentiva ovunque le impedivano di trovare la posizione per
dormire, sognava le sue carezze. E pensava che gli aveva mentito e non
l’aveva seguito in quella vacanza che lui progettava per loro
due, da soli, dove finalmente forse avrebbero…
E ora Ken era nella stanza di là, dove l’aveva
lasciato dopo una delle sue solite piazzate…
Dopo il rumore della porta che scorreva, i quattro uomini rimasero per
un attimo in silenzio.
“Vi chiedo scusa per non avervi detto che lei era qui, ma
immaginavo che l’avreste aiutata
volentieri…”
“Certo” annuì Kojiro. “Solo
lei crede di non essere all’altezza… immagino
siamo tutti d’accordo che è indicatissima per quel
ruolo”.
“Ovviamente” confermò Takeshi con un
sorriso.
Tutti gli occhi si spostarono su Ken, che era rimasto in silenzio.
Sentendosi osservato, smise di rimuginare e rispose: “Va da
sé che credo sia nata per farlo. E sarei felicissimo di
averla vicino al ritiro… solo… non condivido i
suoi metodi, Kira-san” sentenziò. Un brivido lo
percorse, forse aveva parlato troppo… Allora si
alzò di scatto e si dileguò alla ricerca di Yasu.
L’allenatore lo guardò allontanarsi.
“Allora è te che bisogna
convincere”disse fra sé.
Ovvio che si trovasse lì. La capanna non era certo il Grand
Hotel e c’era una sola camera per gli allievi, con due letti
a castello per un totale di quattro posti. E tanti erano loro. Yasu
dormiva in uno dei letti di sopra. Circa all’altezza del viso
di Ken. Vederla dormire gli faceva sempre tanta tenerezza. Le
carezzò la testa e lei gemette appena.
“Non devi farlo” le sussurrò.
“Non sopporto di vederti così”.
Yasu aprì appena gli occhi e si tirò su a fatica.
“Così capisci quello che proviamo noi, quando vi
vediamo soffrire, in campo. E io, adesso, so come ci si sente a
rialzarsi. Forti. Invincibili”.
“Io lo sapevo che eri forte”.
“Io no. Sembrerà stupido, ma mi serve”.
Il portiere sorrise e sospirò. “Ti capisco, oh, se
ti capisco… speravo solo che almeno tu fossi superiore.
Dormi adesso, se hai bisogno di qualcosa, sono qui sotto”.
Quando Kozo Kira si mette in testa una cosa, la porta in fondo. Dopo
cinque giorni impegnati a svolgere esercizi improbabili, sempre
insieme, Ken si stupì della determinazione della sua
ragazza, che non pensava sarebbe mai arrivata a tanto. E, a dirla
tutta, nemmeno lei stessa ci credeva. La sera, quando prima di crollare
sfiniti sul letto, si dedicavano pazientemente a medicarsi a vicenda le
escoriazioni quotidiane, a Ken veniva da ridere. È proprio
vero che bisogna stare attenti a cosa si desidera, perché
potresti ottenerlo: era su un’isola stupenda, con la sua
ragazza, erano mezzi nudi, si toccavano l’un
l’altra… ma erano entrambi talmente stanchi e
malconci da non avere la minima intenzione di fare altro che dormire.
Eppure il fato o chi per lui poteva essere ancora più
beffardo, specie se il mister ci metteva lo zampino.
La mattina dell’ultimo giorno, Kozo Kira li portò
in cima a una collina con un lato a picco sul mare. Là
sopra, aveva costruito una rudimentale porta, priva però
della rete di protezione. L’esercizio –
l’ultimo in assoluto, aveva garantito Kira, poi avrebbero
avuto il pomeriggio libero – consisteva nel parare i tiri di
Takeshi e Kojiro evitando così che il pallone precipitasse
nella spiaggetta sottostante. Anche perché non valeva la
regola aurea dei giardinetti “chi la butta ci va”
bensì vigeva l’innovativo principio “chi
non la para ci va”. Come dire, o parar questo pallone o scalar
questo costone, ecco.
Yasu e Ken si alternavano fra i pali improvvisati e per un
po’ le cose andarono strabene, ma era evidente che i due
attaccanti erano in vena di cortesie. E Kira, aiutandosi col fedele
bastone, li invitò “caldamente” a non
avere pietà, almeno per gli ultimi sei tiri.
Yasu imprecò fra i denti: quell’incoraggiamento
era arrivato proprio quando lei doveva fronteggiare Kojiro. E infatti
il tiro, vagamente effettato e mediamente potente (per gli standard di
Hyuga) andò in rete, anzi, andò in spiaggia.
Per Ken, Kojiro sfoderò un ottimo Tiger Shot, ma il
portiere, ormai scafato, lo respinse senza troppi problemi,
così come senza problemi bloccò il successivo
tiro di Sawada.
Yasu, da parte sua, continuò la serie negativa, permettendo
anche al piccolo centrocampista di segnare e fu quindi con poca
convinzione che si dispose a fermare l’ultimo tiro di Hyuga.
“Vogliamo finire in bellezza, signori?” intervenne
Kira. “Voglio un Tiger shot. E una parata”.
“No!” gridarono all’unisono Ken e Kojiro.
“Le farà male!” aggiunse il portiere.
“Con tutto il rispetto Yasu, non credo…”
“Per me va bene” disse la ragazza.
“E ti pareva…” sbuffò Ken.
Seppur riluttante, Hyuga non volle mancare alla parola data e
sferrò all’indirizzo di Yasu un vero Tiger Shot.
La ragazza ebbe la giusta intuizione e, col pugno, sfiorò il
pallone deviandolo ma, sfortunatamente, non abbastanza per spedirlo
fuori dallo specchio: la palla, infatti, colpì
l’angolo interno e superò l’immaginaria
linea di porta. La forza del tiro era tuttavia molto smorzata e Yasu,
rialzandosi con un colpo di reni, la inseguì, fermandola
prima che cadesse dal dirupo.
Si alzò, esibendo il pallone su una mano e spolverandosi con
l’altra. “Peccato!” esclamò
scrollando le spalle, ma evidentemente soddisfatta della sua
prestazione e del sorriso di approvazione che i ragazzi e il mister le
rivolsero.
Restava l’ultimo tiro di Kojiro per Ken: il capitano del Toho
tirò una bordata pazzesca che Wakashimazu non
riuscì a trattenere. Fu inutile anche la rincorsa e un terzo
pallone precipitò nel vuoto.
“L’hai fatto apposta” sorrise Takeshi, la
voce dell’innocenza. “Perchè Ya-chan non
dovesse andare giù da sola”.
“E chi lo sa” rispose Ken con aria furbetta.
“Bene” intervenne allora il mister. “I
due attaccanti si sono guadagnati il pomeriggio libero. I due
‘portieri’ hanno un’ultima
missione”.
Sotto lo sguardo stupito di tutti, dette a Yasu e Ken due imbracature,
che assicurò a un albero lì vicino, a cui
legò anche una corda, lungo la quale i due si sarebbero
calati.
“Cosa sono quelle facce?” chiese Kira, aggiustando
l’imbracatura attorno alla vita di Yasu, “Sono
severo ma non pazzo… C’è da uccidersi a
cadere da questo dirupo… e comunque conviene mantenere la
presa, perché anche andare a sbatter nella viva roccia non
è gradevole”.
Ken si mise in spalla il sacco in cui avrebbero riposto i palloni e
scese per primo. Yasu aspettò che avesse fatto qualche metro
e si calò a sua volta, borbottando per le ulteriori vesciche
che le sarebbero venute sulle mani.
Quando anche Yasu toccò il suolo, i due scalatori trassero
un profondo respiro. Raccolsero i tre palloni e li misero nella sacca,
l’assicurarono alla corda, e urlarono a Kira di tirarla su.
Poi aspettarono che il mister buttasse di nuovo giù la corda.
Ma niente.
Dopo qualche minuto iniziarono a chiamarlo.
Niente.
Chiamarono anche Takeshi e Kojiro.
Niente.
“Possiamo salire usando la corda
dell’imbracatura” suggerì Yasu,
indicando il moschettone che penzolava poco più su. Salendo
sulle spalle di Ken e allungandosi, afferrò il gancio ma la
corda venne giù, rivelandosi non più assicurata
all’albero. Inutile dire che lo stesso valeva per
l’altra corda. Solo che in fondo alla seconda era attaccato
uno zaino, che per poco non arrivò loro in testa.
Quando lo aprirono, vi trovarono dei panini, della frutta, alcune
bibite e un biglietto con su scritto: “Verremo a prendervi
dal mare, non appena cambia la marea”.
“Cioè domattina” chiosò la
ragazza ridacchiando. “Che bastardi…”
Ken scoppiò a ridere e si gettò
all’indietro sulla sabbia. Era calda e finissima.
Alzò gli occhi verso il cielo azzurro e dovette
socchiuderli, feriti dal sole quasi allo zenit. Minuscoli schizzi
d’acqua portati dalla brezza lo raggiunsero, quando
un’onda si infranse su uno scoglio a poca distanza.
Si mise di nuovo seduto e guardò il mare. L’acqua
era trasparente vicino alla riva e si faceva blu qualche metro
più in là. Si alzò in piedi, si tolse
scarpe e calzini e la saggiò. Era fresca.
Girò le spalle al mare e contemplò
l’immagine: la sottile striscia di spiaggia bianca, la parete
di roccia punteggiata di cespugli e Yasu che lo guardava divertita,
mentre si toglieva a sua volta le scarpe e i calzini, quindi la
maglietta e i calzoncini, rimanendo con indosso solo la biancheria.
La vide avvicinarsi. Che che ne dicessero gli altri, lei stessa
compresa, le era sempre sembrata estremamente carina. E adesso, con la
pelle brunita dal sole e i muscoli torniti gli sembrò ancora
più sexy, nonostante i lividi e le escoriazioni.
Risalì con lo sguardo le gambe lunghe e muscolose, e
indugiò sul ventre in cui adesso si intravedevano le linee
dei muscoli addominali, quindi il petto, costretto dentro il reggiseno
sportivo. E poi lei, che sorrideva come sempre.
Il corpo di Ken le era sempre sembrato una specie di miracolo. Con la
maglietta strappata e la sabbia tra i capelli era davvero stupendo.
Yasu si avvicinò, e subito andò a cercare la sua
pelle sotto la t- shirt, che lui si tolse impaziente e lo stesso fece
coi calzoncini. Portava quei suoi boxer corti, neri e aderenti che non
facevano mistero di quello che gli passava per la testa.
Con le caviglie lambite dalle onde e il sole che bruciava, si baciarono
a lungo in quella spiaggetta, lontano dal mondo.
Tenendosi per mano, fecero alcuni passi verso il largo.
L’acqua tiepida arrivava ora al petto di Ken e alle spalle di
Yasu. Entrambi si tuffarono e poi si abbracciarono di nuovo. Il ragazzo
la sollevò facilmente e si baciarono.
L’acqua e il sole rendevano più lucenti gli occhi
e i capelli di Ken e Yasu si beò ancora una volta della
bellezza del suo amore. Staccandosi dall’ennesimo bacio,
poggiò la fronte alla sua e lo guardò negli occhi.
Tornarono sulla spiaggia e si distesero sul bagnasciuga, il mare che
accarezzava le gambe, lo sguardo sulla striscia lucente lasciata dal
sole che cominciava ad abbassarsi all’orizzonte.
“Credo di aver finalmente capito cosa intendesse il
mister” disse infine Yasu.
“Beh, immagino abbia voluto premiare il nostro impegno
regalandoci qualche momento di
intimità…” sussurrò Ken,
chinandosi su di lei.
La ragazza lo guardò inarcando un sopracciglio.
“Sì, beh, certo, ho capito anche
questo”, fece ritraendosi leggermente. “Intendevo,
che ho capito il significato globale di questa…
mmm… vacanza. Kira mi ha dimostrato quanto posso sopportare
da sola, che riesco a concentrarmi e impegnarmi come voi, con voi e
nonostante voi… Soprattutto…”
esitò rivolgendogli un sorriso ammiccante.
“Nonostante te…”
Ken arrossì appena, e le si fece più vicino.
“…e che sono capace di prendermi cura di voi e di
me stessa, e di capire fin dove si può arrivare. Che posso
condividere la stanza con voi senza farmi
problemi…” continuò, mentre con la mano
carezzava distrattamente il ventre di Ken.
“Quindi?” chiese lui con una certa impazienza, la
voce leggermente arrochita.
“Accetto l’incarico” dichiarò.
“È fantastico” rispose, sinceramente,
stringendole la mano. “Sono così felice che verrai
al ritiro con noi… anche se… immagino non
sarà facile intrufolarsi nottetempo nella stanza del
mister…” aggiunse guardandola di sottecchi.
“Che vuoi dire?” lo canzonò lei,
“Che è meglio approfittare
dell’opportunità offertaci da Kira?”
“Ma no…” arrossì,
“anche se devo ammettere… che era esattamente
questo che volevo…”
“Che io accettassi l’incarico?”
“No… sì, beh, anche…
dicevo… mmm… questa
situazione…”
“Essere mollato su una spiaggia deserta?”
“Non deserta, con te”
Yasu arrossì a sua volta ma continuò a scherzare,
nonostante il formicolio che sentiva al bassoventre. “Che si
fa? Non ci siamo tenuti nemmeno un pallone…”
“Un bel problema” l’assecondò
lui, mentre le mani andavano a carezzare il corpo della compagna,
facendola fremere. “Dovremo concentrarci sui
fondamentali… o giocare a qualcos’altro”.
“Tipo?” chiese lei, fingendo di non capire.
“Hai mai visto Laguna blu?”
il tempo va, passano le ore
e
finalmente faremo l'amore
solo
una volta o tutta la vita
speriamo
prima che l'estate sia finita
“Solo una volta” di Alex
Britti.
Laguna Blu…
un film “so 80s” che credo abbia plasmato le
fantasie erotiche di tutte (almeno di chi c’era XD)
Vorrei
ringraziare EFP e il concorso estivo per avermi aiutato a tirare fuori
una storiellina che avevo in mente da un po’.
Grazie
a rel per il doppio betaggio e a tutti i
lettori\recensori\preferenti\ricordanti etc etc.
In
bocca al lupo a tutti i partecipanti al concorso!
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