New Page 1
Amsterdam
era veramente una città
strana, non c'era di che dire.
In realtà, tutti i Paesi Bassi erano
piuttosto strani.
Quando Katherine O'Donnel, 29 anni, irlandese
doc, direttrice del reparto relazioni estere al ministero della
Cultura e del Turismo irlandese aveva messo piede sul suolo olandese
le era sembrato di fare ingresso in un universo parallelo.
Niente a che vedere con l'aria
tranquilla che si respirava a Dublino ogni giorno, esclusi i week
end.
Si passò una mano tra i lunghi capelli rossi e si
fermò a
fissare la cartina dov'era segnato l'hotel dove avrebbe dovuto
alloggiare e dove si sarebbe tenuto il T20 Tourism Ministerial
Meeting organizzato dall'UN World Tourism Organization.
Ovviamente era stato scaricato tutto su
di lei ed era stata costretta a partire per la capitale olandese
quasi due settimane prima dell'evento.
Una bellezza.
Ed ora era lì, all'uscita della
Centraal Station di Amsterdam con quella mappetta mal organizzata che
gli aveva fornito il ministero.
“Prendere la linea 53 e scendere
a Verrijn Stuartweg. Poi prendere il tram numero 16 e scendere a
Emmastraat. Da lì sono 3 minuti di cammino”
recitava la piccola
annotazione sotto la mappa.
“Ma forse è meglio se prendo un
taxi.” si ripeté la ragazza, storcendo le labbra.
No, non era una
buona idea. Gli spostamenti erano pagati dal ministero e se sforava
il budget avrebbe dovuto scrivere una di quelle inutili lettere di
scuse che non leggeva mai nessuno.
Aveva troppo da fare per
mettersi a scrivere lettere di scuse!
Si passò nuovamente la
mano fra i fin troppo lunghi capelli rossi e sospirò,
prendendo la
sua valigia e andando verso la pensilina della metro 53 più
vicina.
Ovviamente doveva scegliere l'ora di punta per arrivare ad
Amsterdam. Pressata com'era nel piccolo vagoncino praticamente non
respirava più, complice anche la sua... ehm, non proprio
gigantesca
statura.
Katherine misurava 1,63 cm di altezza. Una misura di
tutto rispetto per una donna, certo, se non fosse che dove abitava
lei l'altezza media della donna superava il metro e settanta. Sin da
piccola era sempre stata presa in giro per la sua statura, per questo
motivo aveva cominciato a portare scarpe con il tacco già da
adolescente.
Non che avesse cambiato molto, dopotutto. Il suo
vizio di tenere i capelli spropositatamente lunghi l'aveva sempre
fatta sembrare una bambina.
“Oh?! Ah! La mia fermata!”
esclamò, cercando di farsi spazio tra la gente. Ok, era in
Olanda,
ma capire mezza parola di inglese, questi armadi olandesi, no, eh?!
Cominciò a spingere con le sue esili braccia e
uscì dal vagone
durante il bip sonoro. Per un pelo la sua valigia non rimase
incastrata tra le porte, ci sarebbe mancato solo quello! Era ad
Amsterdam da nemmeno un'ora e già la detestava.
Si aggiustò per
l'ennesima volta i capelli davanti al viso e sbuffò
infastidita.
Agli occhi di chiunque sarebbe sembrata tutto tranne che un ufficiale
del ministero della Cultura irlandese.
Ricontrollò la mappa
mentre era sulle scale mobili che la stavano portando fuori dalla
stazione della metropolitana. Adesso avrebbe dovuto prendere
l'autobus numero 16. Si guardò intorno, cercando un cartello
della
fermata e proprio in quel momento vide, dall'altra parte della
strada, il numero 16 che stava giusto partendo dalla pensilina.
“Cazz--” trattenne, portandosi i capelli dietro le
orecchie e
afferrando la valigia, cominciando a correre sulle strisce pedonali
forsennatamente. “Aspetti! Aspetti un secondo!”
urlava, mentre il
semaforo verde lampeggiava pronto per diventare rosso.
“Un
moment--!” esclamò, prima di sentire un rumore
sordo e di vedersi
irrimediabilmente precipitare verso quelle candide strisce.
Sbam.
Si guardò il piede. Il tacco a spillo della sua scarpa aveva
deciso
di staccarsi proprio in quel momento. Ma Katherine non ebbe nemmeno
il tempo di lamentarsene visto che un bolide nero frenò
bruscamente
a pochi centimetri dal suo corpo.
Fissò il paraurti nuovo di
zecca di una Spyker C8 nera e lucida che sembrava volesse mangiarla.
Il cuore le era praticamente esploso in petto, non era ancora
riuscita a respirare.
Ma dico, era pazzo?! Totalmente
esaltato?! Cosa diavolo avevano gli olandesi al posto del
cervello?!
Dal posto di guida uscì un uomo spaventato, in giacca
e cravatta neri e dal sedile posteriore un altro uomo, vestito di
tutto punto.
“Ma chi vi ha dato la patente?! Razza di
sconsiderati! Siete pazzi! Ma a cosa diavolo pensate quando guidate,
alle vacche?! Dio cane!” esclamò, rivolgendosi ad
entrambi gli
uomini. Incavolata com'era aveva parlato in un inglese così
veloce... e poi non si aspettava di certo che qualche olandese
riccastro la capisse.
Schioccò la lingua tra i denti e li fulminò
entrambi con lo sguardo. L'uomo con il suit grigio e i capelli
ridicolmente alzati uscito dal sedile posteriore superò
l'altro e si
pose proprio davanti a lei.
“Con tutto il dovuto rispetto che si
merita.” cominciò, fissandola dalla sua
strabiliante altezza, con
due occhi freddi come il giaccio. “È stata lei a
fermarsi nel bel
mezzo delle strisce pedonali quando il semaforo era completamente
rosso da notevole tempo. Non le abbiamo chiesto noi di attraversare
in tutta fretta il viale nel momento in cui il semaforo lampeggiava.
Chiedo scusa per la brusca frenata, niente più.”
concluse,
chinando leggermente il capo e indietreggiando di qualche passo. Il
suo occhio cadde sul tacco rotto della ragazza e passò da
lì al suo
sguardo furente e scioccato allo stesso tempo.
Questo era davvero
il colmo. Non solo quella specie di idiota con un banano sulla testa
l'aveva quasi investita, aveva avuto pure il coraggio di rispondergli
a tono. Katherine non sapeva se essere arrabbiata, confusa o
inviperita.
Il giovane uomo si piegò all'improvviso verso di
lei, mentre le auto in fila cominciavano a suonare i propri clacson
per incitare la liberazione della corsia. Si guardò in giro
un
secondo, poi prese tra le mani la povera scarpa ormai inutilizzabile.
Roteò gli occhi al cielo e con un gesto repentino prese la
giovane in braccio, ordinando con un cenno al suo autista di
spostarne la valigia.
Katherine smise di nuovo di respirare.
Decisamente qualcosa non andava. Dove stava andando, trasportata come
una principessa nelle braccia di un perfetto sconosciuto in una
città
straniera di un paese a chilometri e chilometri dal suo?!
“Aspetti
un moment--! Mi metta giù” esclamò,
battendo la mano sulla spalla
dell'uomo. Cominciò a guardarsi intorno per chiedere aiuto
ma il
giovane la fece accomodare per terra prima ancora che potesse dire
qualsiasi cosa.
Katherine sbatté gli occhi, ritrovandosi
praticamente dall'altro lato della strada, sul marciapiede, accanto
alla pensilina del tram numero 16.
“Dietro quell'isolato c'è
un negozio di scarpe, se le può interessare”
commentò l'uomo,
ridandole la scarpa rotta tra le mani. “Cerchi di guardare a
destra
e sinistra e di non attraversare con il rosso, non mi pare lei abbia
cinque anni” la congedò, con un veloce inchino
della testa,
facendo dietro front immediatamente e richiudendosi nell'auto senza
troppi indugi. L'autista posò la valigia accanto a lei e si
allontanò altrettanto velocemente, riprendendo la guida
dell'auto e
sparendo a velocità lungo il viale.
Tutti gli occhi erano
puntati su Katherine, con una scarpa rotta in mano, un piede nudo e
praticamente in ritardo. Ma non poteva di certo presentarsi in quel
modo! Storse le labbra in un verso contrariato e scorse il negozio di
scarpe che il maleducato le aveva indicato prima. Meglio che
presentarsi con una scarpa rotta. Saltellò coprendosi il
viso,
sperando che nessuno avesse fatto foto o video.
E già cominciava
a spendere soldi inutilmente. Per lo meno le scarpe del negozio erano
carine.
Sospirò pesantemente, ritornando indietro con un paio di
scarpe nuove ai piedi e mettendosi pazientemente ad aspettare il
maledetto tram numero 16.
La giornata era cominciata
decisamente male, sotto ogni punto di vista. Detestava quelle mattine
in cui andava tutto storto, a cominciare dai pedoni che gli
tagliavano la strada con il semaforo rosso quando era già
abbastanza
in ritardo per conto suo. E come se non bastasse le persone di cui
aveva bisogno non erano mai a lavoro quando serviva. Sì,
Jan Willem Verkuilen, 28 anni e direttore esecutivo del Blauwe Lucht
Hotel di Amsterdam detestava i ritardatari più di ogni altra
cosa.
“Ancora nessuna notizia dell'ufficiale del ministero
irlandese?” sbottò innervosito, scuotendo la testa
e rivolgendosi
al suo assistente Leen, che non sapeva proprio che fare. "Sarebbe
dovuta arrivare un'ora fa ma non si è ancora presentata.
Forse si è
persa...?” provò ad ipotizzare il giovane
segretario.
Il
giovane uomo si fermò un secondo, fissando dritto davanti a
sé. Poi
aprì la bocca, alzando un sopracciglio. “Dubito
fortemente che
un'ufficiale al quinto livello del ministero del turismo e della
cultura si possa perdere in una città. Convieni con me che
non
stiamo parlando di una bambina di cinque anni.” rispose,
tagliente
come un coltello, continuando a tirare dritto per il
corridoio.
“Ah... sì.” si limitò a
biascicare Leen,
guardandosi intorno spaesato.
Jan
era diventato direttore esecutivo dell'hotel un anno prima, prendendo
il posto di sua sorella maggiore che si era sposata con il presidente
di una filiale belga dell'albergo e l'aveva seguito per gestire
lì
il business.
Nonostante la giovane età, era uno dei più
stimati
uomini d'affari della nazione e l'hotel da lui gestito era rinomato
in tutto il paese per essere il migliore.
Certo, questo quando
tutti si presentavano in orario.
Katherine
picchiettò con nervosismo la mano sulla sua valigia, mentre
il
pullman numero sedici la stava conducendo verso l'hotel. La giornata
non poteva andare peggio di così. L'Olanda era veramente un
paese
del cavolo, piena di gente maleducata e soprattutto piena di
sfortuna.
Il conducente dell'autobus le indicò gentilmente la
fermata, ma non ce n'era affatto bisogno. Il Blauwe Lucht Hotel si
stagliava in tutta la sua magnificenza ed era visibile già
dalla
strada. Affacciava sul fiume Amstel, circondato da un piccolo parco e
con attraccati dei traghetti di proprietà dell'hotel stesso.
Katherine
rimase per un attimo senza parole. In foto non rendeva assolutamente
l'idea i ciò che era in realtà. Semplicemente da
mozzare il
fiato.
Sbatté un attimo gli occhi e si risvegliò dalla
trance,
attraversando la strada e facendo ingresso nel vialetto contornato
dal parco che portava all'imponente ingresso.
Due garzoni ben
vestiti le aprirono le porte di vetro finemente decorate con le
iniziali BLH stampate e Katherine si ritrovò davanti la hall
più
spettacolare che avesse mai visto. Non che si fosse spostata poi
così
spesso dall'Irlanda, il massimo a cui era potuta arrivare era un
minuscolo viaggio di lavoro a Parigi di due giorni qualche anno prima
e i vari spostamenti verso Londra che non mancavano mai.
Ma
questo... questo era veramente qualcosa che quando era entrata
nell'aula per il concorso nel ministero non si sarebbe immaginata
neanche con un telescopio interstellare.
Non ebbe nemmeno il
tempo di sussurrare qualche parolaccia di sorpresa che il suo
cellulare cominciò a vibrarle nella tasca. Si
risvegliò per la
seconda volta dalla trance e rispose prendendo un respiro, quasi come
a volersi riprendere da uno spettacolo del genere.
“Sì,
pronto?” mormorò, senza staccare gli occhi dallo
scenario, dal
bancone della reception alla saletta per gli ospiti gremita di
poltrone che solo a guardarle sembravano morbidissime, all'entrata
che portava ad uno dei bar del pian terreno, con le pareti nere
decorate a fiori rossi, chiamato 'Bloemgracht',
al pavimento di marmo lucido e al soffitto altissimo, puntinato da
lampadari probabilmente di cristallo. Qualcosa di veramente
inabbordabile!
“Signorina O'Donnel?” domandò una voce
con
uno spiccato accento dall'altra parte “Sono Leen Eberhard dal
Blauwe Lucht Hotel. È più di un'ora che
l'attendiamo, eravamo in
attesa di ricevere sue notizie...”
Ma porc... era davvero
passato così tanto tempo?! Si maledì,
maledì le sue scarpe e
l'idiota che l'aveva quasi investita.
“Chiedo enormemente
perdono, sono appena arrivata in hotel. Ho avuto alcuni problemi
durante il viaggio... a... arrivo subito”
biascicò, quasi
tremante. Rabbia, ansia, nervosismo. Tea, aveva bisogno di tea o non
si sarebbe calmata! Ma non aveva di certo il tempo di sedersi al bar
ed indugiare fissando i muri floreali. Corse poco finemente verso la
reception che prese in custodia il suo bagaglio e la
indirizzò verso
il trentaquattresimo piano, dove il direttore esecutivo già
la
attendeva... da un'ora probabilmente.
Katherine si colpì la
testa più volte, aspettando l'ascensore in corridoio. Primo
giorno,
e già era andato tutto storto. Sperava che le due settimane
passassero il più in fretta possibile. Salì
sull'ascensore e si rannicchiò in un angolo, a testa bassa,
continuando ad inveire contro se stessa come una bambina.
Sì, doveva
calmarsi o non sarebbe riuscita a spiccicare parola.
Fissò il
suo riflesso nella porta dell'ascensore e ripensò a quanto
aveva
lavorato per tutto l'anno precedente per fare in modo che l'Irlanda
non facesse magre figure e non poteva di certo arrendersi adesso.
Raggiunse il trentaquattresimo piano e cominciò a guardarsi
intorno, chiedendosi dove andare. La raggiunse un giovane uomo con
gli occhiali e i capelli rossicci, salutandola con un leggero
inchino.
“Signorina O'Donnel, ben arrivata, io sono il
segretario Leen Eberhard. Il direttore si è allontanato un
attimo,
la accompagno in ufficio dove potrà attenderlo”
sorrise lui,
mentendo spudoratamente visto che il suo caro direttore era sparito
di nuovo, come ogni volta quando si innervosiva troppo.
Lanciò
un grosso sospiro che lasciò Kath un po' perplessa e la
condusse
nell'ufficio, che da solo era grande quando tre vani della sua casa a
Dublino. Stupidi
ricconi.
Fu il primo pensiero, mentre storceva il naso.
Il
segretario scomparì dietro la porta e Katherine rimase in
piedi ad
attendere. Dieci minuti. Quindici minuti. Venti minuti. Venticinque
minuti. Trenta minuti.
Ok, lei aveva un'ora di ritardo ma non era
carino far attendere una donna!
Aprì la porta in modo furtivo,
per sbirciare; ma nel corridoio non c'era anima viva. Oh, ma allora
era una presa in giro.
Si guardò intorno e lasciò l'ufficio,
avventurandosi per il piano. Non sapeva se essere ammirata o
disgustata, quei corridoi erano quasi più grandi della sua
camera da
letto.
Dietro l'angolo si apriva un'enorme vetrata con una vista
mozzafiato sul fiume. C'erano delle poltroncine e un tavolino e
poggiati al muro una macchinetta per il caffè e...
praticamente
qualsiasi altra bevanda calda esistente in circolazione e un
contenitore per l'acqua.
Oh,
qualcosa uguale ad un ufficio normale...
pensò Katherine, avvicinandosi alla macchinetta e prendendo
un tea.
Mentre premeva il tasto corrispondente notò che su una
poltroncina
ben nascosta, all'angolo del piccolo punto ristoro, c'era seduto
qualcuno.
Prese il suo tea e aggrottò le sopracciglia. Ad occhio
e croce... ma sì, quel suit grigio e la ridicola pettinatura
a
banana... il pazzo che aveva tentato di farla diventare tutt'una con
le strisce pedonali olandesi!
Il giovane uomo si girò verso di
lei, con una tazzina di caffè tra le mani. Alzò
un sopracciglio
sorpreso quando la vide nel suo maglioncino e i suoi pantaloni
stretti mentre stringeva una tazza di tea tra le mani.
Non poté
fare a meno di buttare un occhio alle scarpe, notando che
effettivamente erano diverse.
Alzò entrambe le sopracciglia e
accavallò le gambe, girando lo sguardo. “Devo
averla
sottovalutata, visto che la ritrovo cliente di questo
albergo”
disse, lanciandole un'altra veloce occhiata. Sembrava tutto, tranne
che una persona tale da spendere i seicento euro a notte che erano la
tariffa base dell'hotel.
Katherine storse il naso e bevve un
sorso di tea, fissando il panorama. “Oh, e immagino invece
che per
i ricconi maleducati come lei sostare qui sia come andare al bar la
mattina” rispose, schioccando la lingua tra i denti.
Ricconi
maled...? Jan spalancò gli occhi, non sapeva nemmeno se
ridere o
adirarsi. “O come accomodarsi sulle strisce pedonali mentre
il
semaforo è rosso”, puntualizzò,
rigirando la tazzina del caffè
con un gesto della mano.
Cosa...?! Katherine si voltò verso di
lui con uno sguardo furioso e Dio solo sa cosa la trattenne dal
mandarlo violentemente a quel paese.
Calmati,
Kath. Non accogliere la provocazione, sii matura. Sii seria.
“Que...
quello è stato un incidente. Ma fossi in lei cambierei
autista,
visto che quello che ha è sicuramente cieco. Non vorrei che
la
prossima volta una bambina di cinque anni la faccia finire in
tribunale.” borbottò, storcendo nuovamente il naso.
Che... ma
davvero, questa ragazzina. Jan aggrottò le sopracciglia
sorpreso,
poi si lasciò sfuggire una risata per niente divertita.
“Non mi
permetterei di dare un consiglio spassionato, ma d'ora in poi io
bloccherei gli acquisti di calzature di dubbia provenienza orientale
e, visto che a quanto pare si può permettere di posare piede
in
questo hotel, punterei a delle scarpe un po' più resistenti,
magari
realizzate da qualche calzolaio italiano a mano, qualche pezzo unico
che non voli via alla prima occasione, magari su delle strisce
pedonali” sorrise beffardo lui, alzando la tazzina di
caffè come a
volerle augurare una allegra bevuta.
Katherine spalancò la bocca
e la tazza quasi le cadde dalle mani.
“Vuoi morire...?!”
farfugliò, aggrottando le sopracciglia e pronta ad
esplodere. Gli
avrebbe staccato quel ciuffo a banana un capello alla volta e gli
avrebbe legato quel completo di lusso intorno al collo fino a fargli
maledire il giorno in cui l'aveva comprato.
“Direttore!” la
voce del giovane assistente ruppe il silenzio nella saletta e
probabilmente evitò un omicidio premeditato.
Il riccastro
maleducato si alzò e lasciò la tazzina sul
bracciolo, passando
Katherine e avvicinandosi al poverino che ancora ansimava.
“L'ho
cercata dappertutto, l'ufficiale del ministero irlandese è
già...”
si bloccò, lanciando l'occhiata a Katherine.
“...dietro di lei”
Jan
si girò verso di lei, spalancando gli occhi, per ritrovare
la stessa
identica espressione negli occhi della ragazza.
Ufficiale del
ministero?
Direttore?!
Quel maleducato riccone con il ciuffo a
banana che aveva appena insultato era il direttore dell'albergo?!
Katherine sentiva di stare per svenire. Oh, certo. Certo, una
cosa del tutto normale, no? Un tizio quasi ti investe ed è
il
direttore dell'albergo per il quale devi lavorare. Ironia della
sorte!
“Vi siete già conosciuti? Lei è il
direttore del
reparto relazioni estere al ministero della Cultura e del Turismo
irlandese. Il suo nome è Katherine O'Donnel.”
Dio, che figura
di merda! Neanche nei suoi incubi peggiori era mai capitata una cosa
del genere!
Jan rimase in silenzio un secondo, il tempo di
assimilare. Quella ragazzina isterica di nemmeno quindici anni era
direttore e ufficiale del ministero?! Qualcosa non tornava.
Allungò
la mano con fare riluttante e quando sentì quella della
ragazza tra
le sue dita ne ebbe la conferma: era troppo piccola come mano, non
poteva essere altro che quella di una ragazzina!
“... Ja... Jan
Willem Verkuilen.” mormorò, scettico, e di certo
lei non gli
rivolse uno sguardo migliore, anche se più imbarazzato.
“Non
sapevo assumessero i quindicenni al ministero irlandese”,
stupida
boccaccia.
Katherine lo fulminò con lo sguardo e saldò la
stretta, affondando le sue unghie nella pelle chiara dell'olandese.
“Ho ventinove anni, direttore, non uno di meno. Ho passato un
regolare concorso e sono stata assegnata al mio incarico dal ministro
stesso. Se gradisce posso farle inviare i documenti via fax”
rispose, tirando un sorriso e usando un tono beffardo, sibilando a
denti stretti ogni singola parola.
Ventinove...?
Quella sottospecie di vaporoso nano da giardino con quelle deliz--...
infantili lentiggini sul naso e quegli enormi occhioni verdi aveva
ventinove anni? Ovvero un anno in più di lui?!
Nemmeno se gli
avesse mostrato il certificato di nascita.
“È un piacere fare
la vostra conoscenza, signorina O'Donnel. Spero potremmo collaborare
ottimamente per l'evento che ci attende” rispose lui,
sfoderando la
sua migliore espressione da uomo d'affari, liberandosi dalla tenaglia
che gli ancorava la mano.
“Sarà un vero piacere, direttore.”
sibilò lei, tirando un sorriso ancora più falso
del suo.
“Me
ne compiaccio. Dus
welkom bij Hotel Blauwe Lucht en veel geluk.”
|