The Legacy of the Darkness

di Vitriolic Sheol
(/viewuser.php?uid=139859)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Prologo.


Era passato del tempo…. molto tempo da allora. Eppure ancora non riusciva ad entrare
nell’ordine delle idee che i fatti fossero veramente andati così; sembrava tutto così strano, così surreale… il cimitero era vuoto ma, allo stesso tempo, incredibilmente affollato… si chiese se coloro che riposavano laggiù potessero percepire il suo arrivo, sentirne i passi, ascoltarne le parole… si chiese se lui potesse sentire tutto questo, se riuscisse a distinguere la sua voce da tutte quelle che ogni giorno affollavano il camposanto. Si chiese anche se desiderasse che lo raggiungesse, passando per la terra nera e fredda, oltrepassando la cortina lignea della bara per stringersi a lui ed addormentarsi profondamente per l’eternità. Provò ad immaginarlo, togliendo fittiziamente la terra,svellendo il coperchio di legno e la placca di zinco, sdraiato là sotto, addormentato, con i begli occhi chiusi e le guance pallide, contornate dai morbidi capelli.
Non c’era quando lo avevano sepolto, non c’era quando avevano coperto la sfolgorante luce della sua bellezza con un coperchio di zinco, per poi fermarlo con chiodi di metallo, invidiosi di tanta magnificenza.

Non c’era. Anche se, pensandoci, forse lui avrebbe voluto che assistesse, per accompagnarlo almeno fino ai neri cancelli d’entrata, verso quel luogo in cui non avrebbe potuto seguirlo.

Non c’era…. perché era altrove, lontano, immobile da un’altra parte.

Guardò un’ultima volta la lapide, lesse l’epitaffio dove vi erano incisi a lettere bronzee il suo nome e le sue date di nascita e di morte, e si chiese come si potesse morire così giovani, in nome di un’utopia, di un ideale…. di un sogno… baciò lievemente la pietra sepolcrale e si incamminò verso il lungo sentiero costeggiato dai cipressi che parevano diventare ogni giorno più neri, assorbendo il dolore e la disperazione dei vivi che visitavano quel posto.

“La vita è sogno”  scriveva Caldèron de la Barca…. e forse non aveva poi così torto.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=772689