Sofia
sedeva sull’uscio del suo antro, persa nella contemplazione delle innevate vette
alpine stagliate contro il cielo azzurrissimo. Avvolta nel suo pesante mantello
nero, che la proteggeva dall’aria gelida, stava pazientemente attendendo
l’arrivo del suo ospite: il profumo scaturito dai boccioli di rosa e dalle
piante aromatiche che ardevano nel braciere lo avrebbe certamente guidato alla
sua caverna.
La
donna si lasciò sfuggire un rapido sospiro, mentre la sua mano nodosa si posava
sull’elsa di Rosacrucix, lo stiletto dall’elsa a forma di rosa rampicante che
l’era stato donato quando gli dèi l’avevano scelta per divenire la guardiana
della Fonte dell’Eterna Giovinezza e della Sorgente dell’Oblio.
Sofia
non aveva mai desiderato quell’incarico, ma era conscia di non potersi
sottrarre al suo fato: sin dalla più tenera età, infatti, era stata in grado di
leggere nel cuore delle persone, distinguendo all’istante le anime virtuose da
quelle corrotte. Poteva, inoltre, apparire in sogno ai dormienti, manipolando i
loro pensieri e le loro fantasie. Non v’era da stupirsi che fosse l’unica al
mondo in grado di capire chi davvero meritasse d’immergersi nelle acque sacre e
di guidare chi meritava un simile privilegio all’agognata meta.
Purtroppo
le straordinarie capacità della fanciulla sarebbero svanite se ella avesse
perso la sua virtù, così gli dèi decisero di deturparne la figura, in modo che
nessun uomo potesse mai desiderarla.
In
cambio della perduta bellezza, Sofia ricevette l’eterna giovinezza ma, con
l’avanzare degli anni, la donna capì d’essere stata tratta in inganno: la sua
intera esistenza doveva essere trascorsa nell’isolamento di una grotta alpina,
così lontana dalle coste dell’Egeo dove Sofia aveva sempre vissuto, per
sorvegliare l’ingresso alle sorgenti sacre.
Come
se non bastasse, il suo aspetto era divenuto tanto orrendo che ella doveva
chiudere gli occhi quando si lavava o si dissetava, tanta era la paura
d’intravedersi riflessa nell’acqua.
Eraclito
si sedette a terra per qualche istante, esausto. Erano settimane che l’ateniese
si lasciava guidare dalla fragranza delle rose e delle piante aromatiche che
avvertiva nell’aria e finalmente sentiva di essere vicino alla meta.
La
visione della donna vestita di nero china su un braciere, che gli era apparsa
in sogno circa un mese prima, riaffiorò nella mente dell’errabondo: non sapeva
come la misteriosa figura fosse in grado di porre fine alla maledizione che
Efesto aveva scagliato su di lui, ma era sicuro che ci sarebbe riuscita.
Eraclito
vagava per l’Europa dal maledetto giorno in cui aveva assassinato un fabbro per
impossessarsi di Apeiron, una spada destinata a non scalfirsi mai e il cui
aspetto mutava a seconda delle necessità. Era stato lo stesso Efesto a forgiare
Apeiron, per poi affidarla ad uno dei suoi adepti più fedeli: l’uomo che
Eraclito aveva ucciso. L’omicidio provocò l’ira del fabbro divino, il quale
condannò Eraclito a vagabondare per il mondo in eterno.
Erano
ormai trascorsi mille anni da quando Efesto aveva scagliato la sua maledizione
e il giovane ateniese non desiderava altro che l’eterno riposo: la sua unica
speranza per ottenerlo era quello zefiro profumato che lo stava guidando dal
giorno in cui la donna vestita di nero era comparsa nei suoi sogni. Benché la
donna non gli avesse fatto alcuna promessa, Eraclito sentiva che ella poteva
rompere il maleficio della vendicativa divinità, anche se non avrebbe saputo
spiegare perché.
Ripresosi
dalla fatica, l’ateniese si alzò, pronto a continuare il suo cammino.
Sofia
si scosse, interrompendo la sua contemplazione: il suo ospite stava arrivando!
La
donna rientrò velocemente nella grotta dove viveva, cercando dei guanti con cui
nascondere le sue mani disgustose. Quando li ebbe trovati ed indossati calò il
cappuccio sul volto, celandone la deformità.
Eraclito
era euforico: il profumo si faceva sempre più intenso e poteva intravedere una
grotta in fondo al ripido sentiero alpino che stava percorrendo.
L’ateniese
accelerò il passo, raggiungendo rapidamente l’antro. Il soave profumo che lo
aveva guidato era ora più intenso e l’uomo riconobbe il braciere che gli era
apparso in sogno.
“Benvenuto,
Eraclito!” Lo accolse una voce femminile.
Eraclito
si voltò e riconobbe la donna del sogno: poco si poteva scorgere di lei, dato
che era completamente ammantata in una largo e pesante mantello nero e che
persino le sue mani erano celate alla vista da dei guanti, neri anch’essi.
“Come
conosci il mio nome?”Domandò il guerriero.
“Conosco
molte cose di te, nobile ateniese: la superbia che albergava nel tuo cuore e
che ti ha spinto a sfidare gli dèi ma anche il dolore tremendo che hai dovuto
patire. Hai scontato la tua pena e meriti di poterti ristorare dalle fatiche
del tuo lunghissimo pellegrinaggio.” Rispose Sofia.
Eraclito
non poté trattenere le calde lacrime che sgorgavano dai suoi occhi scuri: era
davvero giunto alla fine del suo viaggio? Avrebbe finalmente potuto
abbandonarsi all’abbraccio della morte?
“Seguimi,
ti condurrò alla Fonte dell’Oblio, dove finalmente potrai esaudire il tuo
desiderio.” Lo invitò la custode, dirigendosi verso il fondo della caverna e
levando dinanzi a sé Rosacrucix.
L’ateniese
restò sbalordito, notando come le solide e fredde pareti rocciose si
trasformassero man mano in soffici siepi di rose profumate. Davanti a lui e a
Sofia ora era comparso un assolato giardino, dove si trovavano due sorgenti:
sulla destra si ergeva un’imponente fontana in marmo bianco impreziosito da
gemme, mentre sulla sinistra si trovava una più sobria fonte, simile ad un
laghetto termale.
“Quella
che vedi sulla destra è la celebre Fonte dell’Eterna Giovinezza: chi si bagna
nelle sue acque verrà guarito da qualsiasi male, ringiovanirà e diverrà
immortale.
Alla
tua sinistra, invece, si trova la Sorgente dell’Oblio, che viene spesso
dimenticata: chi si bagna nelle sue acque potrà dimenticare ogni sua pena,
scivolando tra le braccia della morte.” Spiegò la custode, riponendo Rosacrucix
nel fodero.
Eraclito
si avvicinò tremante alla Sorgente dell’Oblio: pareva una fonte termale
qualsiasi, ma al contempo trasmetteva una calma innaturale. Il borbottio
dell’acqua che sgorgava, il calore percepibile perfino dall’esterno e il
rassicurante profumo di rose che aleggiava nell’aria donavano all’errabondo una
pace che da tempo agognava.
Erano
soli, la sorgente e lui. O quasi.
Sofia
osservava la scena, in silenzio.
Eraclito
era senza dubbio la creatura più dissimile da lei che avesse mai incontrato: se
lei era condannata all’eterna immobilità, lui non conosceva riposo da ormai
mille anni.
Lui
era bello quasi come un dio: alto, muscoloso ed abbronzato, con occhi neri come
la notte e capelli biondi come il grano che ondeggia al sole. Lei era
orrendamente deturpata, leggermente ingobbita e ricoperta da piaghe immonde. I
suoi lunghissimi capelli neri e gli occhi verde smeraldo non erano in grado di
compensare il tremendo aspetto del suo corpo.
Mentre
l’uomo si spogliava, pronto ad immergersi nelle acque della sorgente, la
custode non poté evitare di spiarlo con la coda dell’occhio: non aveva mai
visto un uomo nudo ma era incuriosita ed attratta da Eraclito.
Sofia
si domandò che cosa avrebbe provato se fosse stata stretta da quelle forti
braccia.
Se
lui l’avesse baciata e toccata, senza provare ribrezzo per il suo corpo
deforme.
La
donna si abbandonò per un istante al folle sogno di venire amata, anche per una
volta soltanto.
Eraclito,
ormai nudo, si ricordò improvvisamente di Apeiron.
Ormai
da qualche secolo l’arma si era tramutata in un bastone che lo sosteneva nel
suo eterno pellegrinaggio e ritornava ai suoi fasti di spada divina, simile ad
un fioretto, soltanto quando Eraclito era costretto a difendersi dagli assalti
di qualche belva feroce o dall’avidità degli esseri umani.
L’uomo
non riuscì a trattenere un sorriso amareggiato: per impossessarsi di quella
spada aveva rinunciato alla sua intera esistenza e alla possibilità di
costruire un futuro sereno. La sua unica consolazione consisteva nella
consapevolezza che presto tutto sarebbe finito, anche se restava un ultimo
compito da assolvere.
Cercò
con lo sguardo la custode e, quando la vide, la chiamò. Sofia si avvicinò,
tenendo il capo chino per non incontrare con lo sguardo la nudità di lui.
“Non
so ancora il tuo nome, mia salvatrice!” Osservò l’ateniese.
“Il
mio nome è Sofia, Eraclito.” rispose la donna.
Eraclito
sorrise con dolcezza. “Lo stesso nome di mia madre. Devi essere una donna
splendida quanto lei, nonostante tu sia tanto misteriosa!”
A
quelle parole gli occhi di Sofia si riempirono di lacrime: se solo fosse stata
veramente bella!
“Sento
di potermi fidare di te, Sofia, ed è per questo che vorrei consegnarti Apeiron.
Quest’arma non deve cadere nelle mani sbagliate.” Proseguì Eraclito, senza
rendersi conto del turbamento della donna., che si limitò ad annuire e a
prendere Apeiron.
Finalmente
libero dal fardello della spada divina, Eraclito si diresse verso la Sorgente
dell’Oblio.
L’uomo
s’immerse nelle calde acque della fonte fino alla vita, venendo immediatamente
pervaso da un piacevolissimo torpore.
Sofia
si avvicinò alla sorgente, posando a terra Apeiron e Rosacrucix. Sarebbe
nuovamente rimasta sola a custodire ciò che le era stato affidato, ma il
pensiero che Eraclito avrebbe finalmente trovato ristoro la rasserenava.
“Mi
piacerebbe vedere almeno il tuo viso.” Disse l’uomo, rivolto alla custode.
“No
Eraclito, questo non ti è concesso. Serberai un ricordo più piacevole di me, se
non mi vedrai!” Rispose Sofia, concedendosi un sorriso: forse la fantasia
dell’ateniese lo avrebbe spinto ad immaginarla come una donna meravigliosa e
non come il mostro che era in realtà.
Eraclito
annuì, sempre più preso dalla sonnolenza.
L’ultima
cosa che riuscì ad intravedere furono il dolce sorriso di Sofia e i suoi
splendidi occhi verdi, a malapena visibili nell’ombra gettata dal cappuccio.
Poi restarono soli, la sorgente e…lui.
Sofia
fece ritorno al suo antro combattuta tra la tristezza e una strana sensazione
di serenità che si era fatta largo nel suo cuore.
Nonostante
tutto, Eraclito aveva visto del buono in lei. Le si era affidato più di
chiunque altro e Sofia era felice di averlo aiutato a liberarsi di ogni peso,
anche se si era dovuta assumere la responsabilità della custodia di Apeiron.
La
donna si coricò sul suo povero giaciglio di paglia, abbandonandosi rapidamente
al sonno, con la certezza che mai avrebbe dimenticato quella giornata.
Mentre
dormiva, Sofia si sentì chiamare da una voce virile e profonda. La donna fece
per sollevarsi, ma non vi riuscì.
“Sofia,
il tuo compito di custode delle Sorgenti Sacre è giunto al termine. Una
missione più importante ti attende: dovrai trovare un guerriero dal cuore
nobile a cui affidare Apeiron. Quando avrai svolto questo compito, sarai libera
di vivere la tua vita come meglio crederai.” Disse la voce, senza curarsi
dell’immobilità di Sofia, la quale non poté comunque rispondere, dato che venne
nuovamente invasa dal torpore, sprofondando in un sonno sereno.
Sofia
si risvegliò l’indomani, stranamente euforica. Si rese conto di essere distesa
su qualcosa di morbido ed umidiccio, ben diverso dalla paglia del suo
giaciglio: era muschio.
La
donna si alzò rapidamente a sedere per poi guardarsi intorno, smarrita: si
trovava in un rigoglioso bosco di conifere, vicino ad una sorgente. Com’era
possibile?
Confusa,
Sofia si avvicinò alla fonte e, mentre si chinava sulle limpide acque per
dissetarsi, si rese conto di ciò che era accaduto. Le parole che Efesto aveva
pronunciato nel suo sogno erano vere: la donna era tornata alla bellezza di un
tempo, come le rivelò il suo riflesso.
La
donna si voltò verso il suo giaciglio: sul soffice muschio color smeraldo
giacevano Rosacrucix ed Apeiron. Quest’ultima aveva assunto la forma di uno
stiletto, facilmente occultabile sotto le vesti della custode.
Sofia
sorrise: le restava un’ultima missione da compiere, poi sarebbe finalmente
stata libera per la prima volta nella sua vita. Lacrime silenziose, cariche di
gioia, scesero dagli occhi verdi della donna.
Mentre
raccoglieva Apeiron, Sofia si ritrovò a pensare ad Eraclito: se l’uomo non le
avesse affidato la spada divina, gli dèi non le avrebbero mai dato
l’opportunità di emanciparsi.
Trovare
un nuovo custode per Apeiron era non solo fondamentale per riacquisire la
libertà, pensò Sofia, ma era un gesto che doveva al nobile uomo che aveva
brandito quell’arma.
Sorridendo,
Sofia si preparò ad affrontare il suo nuovo viaggio e si incamminò nella
foresta di conifere, diretta verso la libertà.
L'angolo dell'autrice
Eccomi
di nuovo tra voi! La mia saga sulle 7 spade di Efesto sta lentamente
proseguendo, spero abbiate la pazienza di continuare a seguirla
nonostante io aggiorni ogni milione di anni circa!
Come al solito, qualche noticina: il nome Sofia, oltre ad essere un
richiamo alla parola greca che significa "saggezza", si rifà ad
una varietà di rosa antica.
Eraclito, invece, era il nome del filosofo che veniva generalmente associato all'idea di mutamento.
Detto ciò vi saluto, a presto!
Carmilla Lilith