*mumble mumble* Dunque l'evocazione di un Eone è il
risultato
dell'unione fra il sogno dell'evocatore con quello della Fayth,
un'anima strappata al suo corpo vivente per venire eternamente legata
alla pietra. L'Evocazione Finale è la stessa cosa, ma
necessita di
un forte legame fra evocatore e la Fayth quand'era in vita. Nel gioco
si dice che l'evocazione finale uccida l'evocatore, ma l'Ultimania
specifica che non è l'atto stesso dell'evocazione a essere
mortale,
bensì Yu Yevon che trancia il legame psichico fra i due.
Difatti
Seymour evoca tranquillamente Anima, che è la sua evocazione
finale:
sua madre.
Ora, questa cosa che se sacrifichi un
tuo caro e lo evochi l'Eone diventa fortissimo dev'essere per forza
una conoscenza più antica dell'esistenza di Sin. Visto che
è una
cosa tremenda che nessuna persona sana di mente si metterebbe a
ricercare in tempo di pace, io m'immagino che sia stata la prima
soluzione drastica presa da Zanarkand in tempo di guerra, quando si
iniziò a vedere che le stavano prendendo e che le normali
evocazioni
non bastavano.
Ma nemmeno quello bastò e presero
botte comunque.
Si aggiunga a ciò una certa Fayth
bambina più antica di Sin... e chi è il frescone
che condanna un
bambino a
essere Fayth?
*mumble mumble*
Per la scienza e per la guerra
Non provava
interesse per il bambino. Era un mortale, come tutti: un essere
transitorio che chiedeva la sua forza, fisico e denso e incapace di
mutare e poi subito nulla più di un ricordo, inghiottito
dalle
pieghe della Storia. C'era una curiosità empirica, al
più,
nell'osservare le luci fatue radunarsi attorno ai suoi sensi Guado,
in sintonia con il mondo invisibile, e venir rozzamente modellate
dalla razionalità umana con cui era stato cresciuto. Ma
restava un
evocatore in pellegrinaggio come tutti gli altri: avrebbe fallito e
sarebbe svanito, o avrebbe interrotto Sin per un battito dei suoi
occhi eterni e sarebbe svanito. Nulla di cui curarsi.
Nulla che potesse
aspirare a competere con il richiamo gioioso e splendente della sua
Zanarkand, fino a che proprio a Zanarkand (quella buia, ferma,
noiosa, trattenuta dalla presa di una realtà greve, inutile)
il
mezzosangue non schiaffeggiò le sue memorie con
l'intensità di un
“No.”
“Non combatterò
Sin, mamma”, aveva detto. “Non m'importa di Spira.
Possono morire
tutti”, aveva ripetuto fra le lacrime. “Posso
morire anch'io, ma
non così. Io voglio tenerti sempre dentro di me.”
E Anima la
dolente, ultima fra le sue sorelle, aveva dovuto chinare il capo al
suo volere. La scelta è dell'evocatore. La scelta e la
veglia.
Si trovò a
invidiarlo, mentre sprazzi d'individualità si affacciavano
sulla
superficie del suo sogno che era immortale e condiviso.
Mille anni prima,
in quello stesso spiazzo, era stata una madre a piangere, una donna
dagli occhi stanchi e dalla pelle scura che si era inginocchiata ad
abbracciare il suo bambino mentre la folla sciamava fuori dai
cancelli dello stadio.
“Mamma, perché
piangi? I Duggles hanno vinto...”
“È la guerra.”
E lui che era
l'ometto della sua mamma sapeva tutto di La Guerra e non le chiese
altro mentre con le dita provava ad asciugarle le lacrime.
“Non devi
preoccuparti. Con gli amici della mamma vinciamo di sicuro”,
disse
reggendola per mano. La guidò verso casa con lunghi passi
sicuri.
Poteva appoggiarsi a lui.
“Già... hanno scoperto come chiamare quello
più forte di tutti”, fu tutta la risposta che
ottenne, interrotta da un sospiro strascicato, ma non aveva bisogno
d'altro perché
sapeva di avere ragione. Nemmeno i vecchi saggi del consiglio
potevano sperare di essere più bravi della sua mamma.
Quella sera il
mondo girava alla rovescia. Si fece mettere a letto e rimboccare le
coperte, ma lui era tranquillo e sveglio appoggiato al cuscino,
troppo intento a ripassare con l'immaginazione la partita per farsi
cogliere dal sonno, mentre lei sedeva sul bordo del materasso, con
gli occhi ancora rossi e le labbra incollate all'ingiù,
senza
decidersi a iniziare una delle storie di mostri e di eroi (e di eroi
che sognavano mostri, e di mostri che erano eroi: le storie dei suoi
amici) con cui era solita salutarlo prima di dormire.
“Se tu potessi
immaginare di essere qualcosa... qualunque cosa, cosa saresti, tesoro
mio?”
“Un grande drago
che protegga la mia mamma”, rispose senza pensarci.
“Ancora con i
tuoi draghi?” Era riuscito a strapparle un sorriso. Gli
augurò la
buona notte con un bacio in fronte.
Niente storia.
Quella sera il mondo girava alla rovescia.
E poi il mondo
smise di girare. Non seppe dire quando, come o perché, o il
ricordo
sbiadì fino a scomparire, indesiderato, sotto ad altri
più
gradevoli.
Ricordava la
mamma, splendida e scura e luminosa sotto le volute di stoffa bianca
ricamata di simboli, che si avvicinò e gli disse:
“Facciamo un
gioco.” Era sicuro che si trovassero nella sua cameretta, ma
le
pareti sfumavano ai margini del suo sguardo rivelando ora un'onda
sugli scogli, ora il cielo luminoso da cui spuntavano le stelle
più
brillanti, ora lo stadio vuoto, ora la tomba dove riposava
papà. Ma
non era solo e non aveva paura.
“Che gioco,
mamma?”
“Giochiamo al
drago che protegge la sua principessa.”
“Un drago!”
Lo abbracciò e
gli chiuse gli occhi stringendo forte la mano sulla sua fronte.
Sentì
che tremava e la abbracciò a sua volta, raccontandole di
squame
viola lucente e ali che si aprivano come lunghe penne lucide, dei
cuori dorati che erano spuntati perché voleva bene alla
principessa
che proteggeva, di artigli dell'oricalco più puro e di un
soffio di
energia che spazzava tutti i nemici. Proprio tutti.
Così. Wham!
“E sulla schiena
risplenderà la ruota dell'equilibrio”,
completò lei. “Perché
di noi due, piccolo mio, il più saggio da sempre sei tu...
cerca di
perdonare questa guerra e, se è chiedere troppo, almeno la
tua
mamma.”
Le immagini che si
erano formate dietro ai suoi occhi chiusi si animarono, vivide come
nei suoi sogni, guidate dalla voce calma che ogni sera lo faceva
addormentare. Tutto era possibile in quello stato sospeso: se si
pensava drago, diventava drago, sentendo i quattro elementi
bruciargli nelle vene e donare forza a muscoli nuovi, metallici,
scattanti. Immaginava una coda e sentiva una coda. Dispiegò
le ali.
Sentì l'aria accarezzargli le squame mentre a terra, sotto
di lui,
un reggimento attaccava gli amici della mamma. Vide il grande
serpente d'acqua accasciarsi sotto i proiettili incessanti e la magia
curativa della guerriera dai tre volti giungere un istante troppo
tardi per salvarlo. Il vecchio dei fulmini scagliava stancamente i
suoi ultimi strali, chinando il capo di fronte alla sconfitta.
Non poteva
permetterlo.
Atterrò al fianco
della sua mamma. “Aiutaci”, sussurrò e
lui la vide così fiera
del suo bambino. Si accucciò per farsi dare una carezza in
fronte e
pensò a come i buoni avrebbero potuto vincere. Non aveva
dubbio che
avrebbero vinto: in ogni buona storia i protagonisti arrivano a un
passo dalla sconfitta prima di ribaltare la situazione e non avrebbe
permesso che la principessa cadesse nelle mani del regno nemico.
Avrebbe annientato i nemici con un unico colpo, come un eroe.
“Mi raccontavi
di un soffio”, disse lei.
Soffiò una
vampata brillante come il sole.
Quando si riprese,
l'altopiano era deserto.
“Sei stato un
drago fortissimo. La tua principessa ti ringrazia per aver respinto i
nemici...” Si fece triste. “Ma torneranno domani.
Sarai pronto a
proteggerla?”
Annuì. Sempre. Era un bel gioco.
“Ora riposa.
Veglierò sui tuoi sogni, tesoro, saremo sempre insieme. Se
un
frammento di bene è uscito da tutto questo è che
saremo sempre
insieme. Sempre, piccolo mio.”
Un giorno la mamma
non lo salutò. Stava infuriando una battaglia campale: erano
rimasti
soli contro mille e mille soldati che sparavano con i loro fucili e
nell'arco di un respiro, con una fitta che lo piegò fino a
farlo
urlare e gli riempì la vista di tutti i colori delle luci
fatue, si
trovò fuori da quella fantasia. Era tornato nella sua
cameretta che
dava sul cielo, sul mare e sul blitzball senza finestre né
porte.
Non poteva piangere, anche se era rimasto da solo, perché
doveva
dare il buon esempio alla sua mamma quando fosse tornata per
immaginare insieme un'altra storia. Si addormentò, in attesa.
“Mio Lord
Bahamut, disturbo il vostro riposo nell'ora più buia. Potete
concedere a quest'umile servitore una frazione del sogno eterno, per
la salvezza della nostra amata patria?”
“Chi sei tu?
Voglio la mamma.”
Si rese conto di
avere gli occhi ancora chiusi. Provò a svegliarsi, ma
intorno a sé
trovò solo pietra.
Altra noticina
finale: per la caratterizzazione di lui mi sono basata sul contrasto
fra l'età che mostra e la sua statua. La statua pare essere
una via
di mezzo fra Fayth ed Eone – la parte mostruosa riprende
fedelmente
quello che sarà l'Eone, mentre la parte umana mi sembra il
modo in
cui la Fayth si vede (principalmente perché sono sempre
più fighe e
palestrate del loro aspetto umano XP Quindi quello umano
sarà quello
vero e quello della statua quello immaginato, non il contrario). E
Bahamut che in realtà è un bambino si vede come
un omaccione forte,
ma non armato o aggressivo come Ifrit o Ixion. Mi ha dato l'idea di
un sostegno, di un protettore, di un bambino che si vede come
più
grande dei suoi anni, perché gli è stato detto da
una madre fragile
e perché lo è, anche se è ancora
troppo piccolo per capire certe
cose.
S-se ci sono passaggi che non si capiscono provo a espanderli in
qualche modo...
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