“Tsubame-chan vai a
mangiare qualcosa, resto io con loro.”
“Megumi-san! Non hai
altri pazienti?”
“No, in questo momento
sono libera, e comunque c’è il dottor Gensai, ti
sostituisco io per un po’.”
Così dicendo Megumi
sorrise alla ragazzina che sembrava titubante a lasciare il capezzale
di Yahiko. Da quando era stato curato e le sue ferite medicate,
quest’ultimo era rimasto nel letto in stato
d’inconscienza e Tsubame gli era stata accanto sin dal primo
momento senza spostarsi mai, tenendogli la mano e prendendosi cura di
lui. Ma ormai erano trascorse tante ore e la ragazzina doveva essere
stanca e affamata: dopo un attimo di esitazione infatti, cedette ai
rimbrotti del suo stomaco e andò via dalla stanza,
rincuorata dalla presenza della dottoressa che avrebbe vegliato sul
giovane paziente in sua assenza. Quest’ultima, come richiesto
dal suo ruolo, controllò la temperatura di Yahiko, si
accertò che non ci fossero anomalie, e in seguito, con tutta
la gravità di cui era capace, si voltò su se
stessa per rivolgere le sue attenzioni all’altro paziente
della stanza.
“Ken-san.”
Non era stato facile per lei curare
le ferite di Kenshin, del resto non lo era mai: cercare di essere
freddi e concentrati è difficile quando la persona a cui
tieni di più al mondo è gravemente ferita, e
nell’ultimo caso c’erano state anche complicazioni
psicologiche e un digiuno prolungato, che non aiutavano la guarigione.
Per qualche evento a lei sconosciuto, Kenshin si era ripreso dalla
profonda depressione in cui era sprofondato negli ultimi giorni, aveva
combattuto contro quel gigante che stava riducendo in fin di vita
Yahiko, ma le ferite che non aveva curato dallo scontro con Enishi, e
il digiuno a cui si era sottoposto, lo avevano debilitato;
così al termine dello scontro, dopo essere stato curato, era
caduto in uno stato d’incoscienza che sarebbe durato
sicuramente qualche giorno.
“Ken-san riposati e
rilassati ora, presto tornerai a stare bene.”
Megumi era preoccupata della
reazione che avrebbe potuto avere Kenshin sapendo che Kaoru era viva,
ma allo stesso tempo, era desiderosa di rivedere il sorriso sul volto
del samurai. Poco importava se non era lei la persona a cui lui teneva
di più, sapeva di non poter rivaleggiare con Kaoru nel suo
cuore. Ciononostante alcune volte era difficile dire a se stessa che il
suo era un sentimento senza speranza.
Era seduta accanto al letto di
Kenshin, una versione speculare di Tsubame al capezzale di Yahiko, ma
al contrario della ragazza, Megumi non permetteva a se stessa di
mostrare così apertamente i suoi sentimenti. Aveva giocato
con Kaoru stuzzicandola varie volte sul suo essere un alternativa per
Kenshin, ma da quell'addio non ricevuto da parte del samurai, che si
era precipitato solo a salutare la ragazza, Megumi aveva chiuso con
quegli scherzetti maliziosi che contenevano una speranza ormai persa.
In quel momento però dimenticò le proprie
imposizioni e la sua figura di medico, per essere solo una donna che
veglia la persona che ama. Come aveva fatto precedentemente con Yahiko,
portò la mano sulla fronte di Kenshin per sentirne la
temperatura, ma anziché ritirarla, continuò a
farla indugiare sul viso del rurouni addormentato. Accarezzò
con delicatezza il suo volto, e tenne i rossi capelli tra le sue dita
per un po’, mentre il cuore iniziava a reagire alla
preoccupazione che non si era concessa di esternare mentre lo medicava.
Due rivoli scesero dagli occhi di Megumi, mentre la sua mano stringeva
convulsamente il lenzuolo del letto di Kenshin: piangeva per lui, per
lo stato in cui aveva versato negli ultimi giorni, per il senso
d’impotenza che l’aveva attanagliata vedendolo
privo di vitalità. Piangeva le lacrime che lui non aveva
versato per togliere via il dolore, e piangeva perché era
felice che quello stato delle cose sarebbe cambiato, perché
Kaoru era viva e Kenshin avrebbe ritrovato il sorriso. Ma un
po’ di quel pianto era anche per se stessa, per la donna
dentro di lei che sapeva di non essere altrettanto importante per lui.
“Se fossi morta io,
Ken-san, non avresti reagito così, vero?”
Era un pensiero egoista e
infantile, lo sapeva, ma l’amore rende tutti un po’
bambini e voleva, per una volta, far emergere il suo dolore. Entro
breve tempo avrebbe fatto la sua entrata Tsubame e lei sarebbe tornata
ad essere solo la dottoressa preoccupata per i suoi pazienti; poteva
concedersi quindi qualche minuto di egoismo.
“Non voglio
più vederti in quello stato! Quando ti sveglierai, dovrai
tornare ad essere il Ken-san che conosco, quello che mi ha detto:
‘Vivi se vuoi cambiare le cose’, perciò
svegliati presto, torna a sorridere e cambia questa
situazione!”
La mano che prima stringeva
convulsa, si rilassò e cercò tramite il lenzuolo,
il contatto con quella inerte di Kenshin cercando inconsciamente,
d’infondere la sua energia nel samurai incosciente.
Dal corridoio iniziarono a sentirsi
in lontananza i passi di Tsubame, di ritorno anche prima del previsto:
Megumi sorrise tra se e se pensando alla dedizione che quella ragazzina
stava dimostrando verso Yahiko, portò la mano alle sue
labbra per poi poggiarla con delicatezza sul viso di Kenshin, si
asciugò le lacrime e preparò il suo volto
più sereno e tranquillo.
NDA
Il termine Onna - sensei è usato nell'anime nei riguardi di
Megumi, ad indicare il suo ruolo di donna-medico. Nel mio caso, ho
utilizzato questo binomio per indicare i due diversi ruoli/stati
d'animo con cui Megumi convive nella fiction: quello di donna e quello
di medico.
Grazie come sempre alla mia lettrice affezionata nonché
anima otaku affine, Iloveworld, perchè
continua a infondermi il desiderio di scrivere. Grazie mille mia cara :*
E mille grazie anche a tutti coloro che si fermeranno a leggere. ^ ^
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