Per la serie: a volte
ritornano... eccomi qua. Con una nuova storia.
Una
storia che richiede qualche premessa, mi sa.
Perché
è una specie di esperimento ed è un po'
complicata da "presentare".
Per svariati motivi...
-
Questa storia è
un Antefatto
della mia precedente long fiction "La
Chiave del
Tempo" (ed è dedicata a tutti coloro che,
sorprendendomi non poco,
hanno mostrato di gradire il mio precedente "delirio" e mi hanno
chiesto informazioni sull'oggetto
che gli ha dato il titolo) quindi, essendo un Antefatto,
può essere
tranquillamente letta anche da chi non conosce "La Chiave del Tempo".
- Questa storia è nata con il preciso scopo di spiegare come
una
Chiave del Tempo sia potuta arrivare tra le mani di Ted Remus Lupin. Si
conclude infatti nello stesso istante in cui comincia "La Chiave del Tempo".
- Questa storia è composta da dieci capitoli (compreso
questo)
che, pur essendo strettamente collegati l'uno all'altro, potrebbero, in
un certo modo, essere considerati "autosufficienti". Nel senso che ogni
capitolo si svolge in un anno ben preciso, raccontando un episodio
che aiuterà il Caso (o il Fato, o la Fortuna, o
quello che
preferite) a portare una delle Chiavi tra le mani di Ted Remus
Lupin.
- Questa storia non ha, per i motivi spiegati qui sopra, un
protagonista vero e proprio. Ne ha diversi, e
molto variegati, anche: i Custodi
delle Chiavi del Tempo, appunto.
Alcuni sono famosi (ma non troppo, tra i
protagonisti principali non troverete Harry, Ron o Hermione,
per intenderci) altri sono stati soltanto
nominati da J.K. Rowling (un esempio su tutti, il sorprendente zio
Alphard... che ha sorpreso me per prima: mai mi sarei aspettata di
coinvolgerlo in una delle mie storie e invece...) altri ancora
sono stati
totalmente inventati
da me (eh, dove J.K. è stata avara di informazioni ho
dovuto supplire in qualche modo).
-
Questa storia copre un arco di tempo lunghissimo (20 secoli, per
la precisione) e mi sembrava carino caratterizzare in qualche
modo le diverse epoche,
giusto per far percepire lo scorrere del Tempo. Io ci ho provato... se
ci sia riuscita o meno non sta a me dirlo.
-
Questa storia è strettamente legata al Tempo ma, a
differenza del suo "Seguito",
non racconta di un Viaggio nel Tempo: è un
Viaggio nel Tempo.
Quindi preparatevi a
girovagare tra i secoli, guidati da personaggi - a volte
amabili altre meno- che vi permetteranno, cortesi, di sbirciare nelle
loro vite.
Perché, tra le altre cose, questa storia è stata
anche la
scusa ideale per soddisfare la mia capricciosa curiosità e
tentare di ipotizzare quello che potrebbe essere successo (anche molto)
prima degli avvenimenti
raccontati da J. K. Rowling.
Quindi,
se anche voi siete afflitti dalla mia stessa capricciosa
curiosità, liberate la fantasia e godetevi la prima tappa di
questo (non
così) lungo viaggio sulle tracce de "I
Custodi delle Chiavi del Tempo".
Prologo
Il sogno di Cormiac
Britannia,
Ante diem sextum Nonas Maias 811 ab Urbe condita. *
Il ragazzo si
raggomitolò su se stesso, stringendo tra le mani il
medaglione caldo e pulsante che portava al collo.
Nel tentativo di riprendere fiato inalò a pieni polmoni
l'aria
fresca, profumata di resina e di erba, e serrò gli occhi,
desiderando ardentemente che il mondo smettesse di vorticare come una
delle trottole che, quando era piccolo, gli costruiva il nonno.
Un improvviso scalpitare di zoccoli lo riportò al presente.
Letteralmente.
Per qualche astruso motivo la cosa lo fece sorridere: trovava molto
gradevole il concetto di presente, al momento. E molto rassicurante,
anche.
Chiedendosi un po' smarrito che fine avesse fatto il canto dolce e
misterioso che aveva riempito le sue orecchie fino a qualche istante
prima, il ragazzo tentò di aprire gli occhi.
Impresa difficilissima.
Non si era mai sentito tanto stanco in vita sua. Né tanto
confuso.
Stava cercando di ricordare perché una parte di
sé gli
stesse
suggerendo di essere contento di quello che aveva appena fatto - cosa
non semplice tenuto conto che, al momento, aveva qualche problema
persino a ricordarsi il proprio nome - quando
una mano lo afferrò per la tunica di lana grezza
sollevandolo di
peso da terra. E scuotendolo con un'energia quanto meno inopportuna, a
suo parere.
«Aulo, hai l'intelligenza di un Troll di Montagna!»
tuonò una voce roboante risolvendo, se non altro, la
questione
del nome.
Aulo riconobbe subito quella voce, caratterizzata dal buffo
accento tipico della gente che popolava quel desolante luogo privo di
palazzi di marmo e di Terme degne di questo nome.
Apparteneva al suo nuovo maestro, quella voce.
Un gigante strambo - si ostinava a portare i lunghi capelli color
paglia acconciati in trecce, come una donna - che si occupava
di
cose altrettanto strambe.
E parlava di cose strambe, anche.
Solo Minerva sapeva, ad esempio, cosa potesse essere un Troll di Montagna.
Aulo non ne aveva la più pallida idea, ma sospettava non
dovesse essere qualcosa di particolarmente intelligente.
Sospirando, il ragazzo si sforzò di aprire gli occhi,
chiedendosi per l'ennesima volta perché quel grosso
pazzo
si fosse tanto intestardito nel prenderlo con sé.
Forse perché anche a lui capitava di fare, di tanto in
tanto, cose strambe, dovette ammettere con un certo disagio.
Come saltare torrenti o abbattere suo fratello Tiberio semplicemente
desiderandolo. Comodo, certo... ma strambo.
Richiamando ogni oncia dell'energia che gli rimaneva il ragazzo
riuscì finalmente ad aprire gli occhi, pentendosene
all'istante.
Il volto barbuto del maestro era inquietante già di suo.
Aulo faceva davvero fatica ad abituarsi alle lunghe barbe, spesso
decorate da assurde treccine, che nascondevano i menti degli uomini di
quella terra triste e nebbiosa. Per non parlare dei disegni blu che
ornavano, a volte, i loro visi.
Il suo maestro non aveva disegni blu, ma aveva gli occhi di quel colore
e ad Aulo sembravano strani anche quelli. Sbagliati, in un certo senso.
Sbagliati come quella terra in cui suo padre lo aveva portato a forza
un paio di anni prima.
Occhi sbagliati e inquietanti. Se poi lampeggiavano anche di rabbia
come in quel momento...
Aulo non aveva mai visto nulla di più terrorizzante,
nei suoi quattordici anni di vita. Neppure Tiberio che sbaciucchiava
Lucilla poteva competere.
«Si può sapere cosa ti è venuto in
mente? Giocare
con una Chiave del Tempo!
Sciocco marmocchio! Si vede che il caldo sole
di Roma - che tanto rimpiangi - ti ha cotto quello che
dovresti avere, da qualche parte, in quella testa dura!»
Aulo sbatté le palpebre, cercando una motivazione
plausibile.
Era bravo a inventarsi motivazioni plausibili. Ma ci
ripensò, ricordando perché
aveva deciso di giocare
con quel grosso medaglione che il suo Maestro chiamava Chiave del Tempo.
Scosse il capo e, stringendo convulsamente tra le mani l'oggetto in
questione,
sorrise: aveva salvato il padre! Lo aveva fatto davvero! Aveva impedito
a quei quattro barbari dipinti di blu di ucciderlo nell'imboscata
tesagli, in quella stessa radura, mentre tornava da un viaggio a
Lundinium**.
«Dovevo salvare mio padre. Missione compiuta»
proclamò quindi compiaciuto, fissando fiero gli occhi chiari
del
maestro.
«Dovevi...» l'uomo lo guardò allibito.
Una scintilla
di comprensione smorzò per un istante la rabbia che gli
deformava il viso. Poi proseguì, incerto. «Ma tuo
padre
sta benissimo. L'ho visto qualche istante fa. E' venuto a cercarti per
proporti di accompagnarlo a pescare».
Aulo sorrise radioso e si agitò nella stretta dell'uomo.
«Ora
sta benissimo. Te l'ho detto: missione compiuta! Non ho
permesso a quei quattro... er... Troll
di Montagna dipinti di blu di toccarlo!»
«Il puledro dice il vero, Cormiac».
Aulo sobbalzò al suono di quella voce profonda,
piacevolmente sorpreso dal
raffinato accento che ricordava molto quello di Asklipios - il suo
vecchio maestro greco - e un po' irritato dal termine che il
proprietario della voce in questione aveva usato per riferirsi a lui: puledro?
Afferrando i polsi del maestro, che ancora lo teneva per la tunica
impedendogli di toccare terra con i piedi, il ragazzo girò
il
capo, intenzionato a scoccare un'occhiata di dignitosa disapprovazione
allo sconosciuto, ma riuscendo solo a fissarlo con aria probabilmente
un po' ebete: bocca spalancata e occhi sgranati per l'assoluto
stupore non aiutavano a esprimere dignitosa disapprovazione,
purtroppo...
Usare una Chiave del
Tempo non doveva essere salutare.
No davvero. Dava le allucinazioni. Come il succo dei papaveri.
Non era proprio possibile che a parlare fosse stato un...
Aulo lasciò i polsi del maestro e si sfregò gli
occhi con energia.
Per tutti i fulmini di Giove Tonante, sembrava proprio una di quelle
creature di cui gli aveva parlato Asklipios.
Un... centauro, ecco! Era davvero identico a quello che, sempre secondo
Asklipios, aveva istruito il giovane Ercole,
ricordò Aulo - che era un grande estimatore di
Ercole - osservando incredulo il torace umano della creatura,
il
viso glabro e i lunghi capelli neri. Neri come il manto che ne
ricopriva il corpo equino e come la folta coda.
Ecco spiegato il rumore di zoccoli che aveva sentito prima.
Il suo maestro non aveva un cavallo, infatti. Non gli serviva. Aveva
l'irritante abitudine di scomparire e
ricomparire a suo piacimento. Arte della Smaterializzazione, la
chiamava.
Una volta aveva coinvolto anche Aulo in questa sua abitudine: un
istante prima erano nella capanna del maestro... e un istante dopo in
un'assurda bottega dove un assurdo vecchio di nome Olivander gli
aveva venduto una bacchetta magica che Aulo aveva reputato assurda,
all'epoca.
Non era stata un'esperienza particolarmente piacevole, ma Aulo sperava
di
imparare presto a Smaterializzarsi: si sarebbe fatto molte risate alle
spalle di Tiberio.
«Cormiac, lo stai strangolando, credo. Forse faresti meglio a
posarlo a terra» propose il centauro con olimpico distacco.
Cormiac ubbidì, trattenendo però Aulo per una
spalla. E,
guardando intensamente il centauro, chiese: «Dice il vero? Ha
salvato il padre? Ha... cambiato il corso della storia?»
Il centauro annuì solenne. Poi, indicando il medaglione che
il
ragazzo portava al collo, precisò: «La Chiave del
Tempo
è stata probabilmente usata, Cormiac. Sirio risplendeva in
modo
straordinario questa notte. Segno indiscutibile di una prossima
anomalia temporale. E se il puledro sostiene che ha salvato il padre...
noi non possiamo che fidarci della sua parola. Come ben sai».
Cormiac, ancora arrabbiato, costrinse Aulo a guardarlo: «Aulo
è pericoloso interagire con leggerezza con il corso del
Tempo!
Chissà che cambiamenti hanno provocato le tue azioni, o
provocheranno... hai ucciso gli aspiranti assassini di tuo
padre?»
Il ragazzo sgranò gli occhi, raccapricciato: «No!
Che idea, maestro».
Il mago annuì, un po' rinfrancato. «Hai usato la
magia contro di loro?»
Aulo scosse il capo, oltraggiato: possibile che il suo maestro lo
ritenesse davvero così stupido? «Ma certo che no!
Lo so
che è proibito! Me lo hai ripetuto fino alla nausea! Me lo
hai
perfino fatto scrivere su un'ottima pergamena. In caratteri runici! Un
grande spreco di tempo ed energia, se vuoi conoscere il mio
parere» concluse con patrizio sdegno. Poi, notando lo sguardo
non esattamente radioso del maestro, pensò bene di
precisare:
«Li ho solo anticipati. E ho versato del succo di papavero
nella
loro cervogia.***
Tanto è talmente orribile la cervogia che non se ne sono
neppure accorti».
«A parte il fatto che la cervogia è deliziosa, e
quando avrai la barba te ne accorgerai...»
«Neppure morto. A parte il fatto che non mi
lascerò mai
crescere la barba, la cervogia ha lo stesso aspetto della
pipì
di cavallo. Oh, senza offesa, signore» si affrettò
ad
aggiungere il ragazzo, occhieggiando il centauro che liquidò
la cosa con un leggero sbuffo e un vago cenno della mano. Rassicurato,
Aulo affermò convinto: «Il vino con il miele.
Quello sì che è delizioso».
Cormiac si massaggiò la fronte e sospirò.
«Riprenderemo questa fondamentale
discussione in un altro
momento, Aulo. Hai drogato gli aspiranti assassini di tuo padre,
quindi.
Non ti è venuto in mente che lo cercheranno
ancora?»
«Mica sono stupido. Certo che mi è venuto in
mente.
Infatti ho aspettato che si riprendessero, mi sono finto estasiato
dalla loro abilità in battaglia - ho decantato l'eroismo con
cui
hanno combattuto con versi degni di Orazio - e ho lasciato loro la toga
di papà in ricordo dell'impresa. Quella buona, non quella
che
indossa per viaggiare. Ma quei quattro pare non sapessero che non si
usa la toga buona per viaggiare. Certo, ora papà
dovrà
procurarsene una nuova, però quelli se ne sono tornati
soddisfatti da dove son venuti».
Il centauro ridacchiò con una piacevole risata profonda.
Cormiac
lo fulminò con lo sguardo e proseguì:
«Ma come hai
fatto a venire a conoscenza dell'esistenza delle Chiavi del Tempo e
dell'incantesimo per azionarle, Aulo».
Il ragazzo ebbe la buona grazia di arrossire, si grattò un
orecchio e, disegnando distratti semicerchi con la punta un po'
sbucciata del calzare, ammise: «Ti ho visto mentre le
mostravi a
Urien. Per caso!» si affrettò a precisare, notando
che il
maestro, dopo avere esalato un secco sbuffo, aveva alzato gli occhi al
cielo. «E ho sentito mentre gli hai rivelato
l'incantesimo».
«Sì. Urien non l'ha capito molto bene».
«Ho notato. Invece di azionare la Chiave del Tempo ha
trasfigurato il tuo gatto in un calice. Grazioso, non fosse stato per i
baffi. Ma io non sono Urien!» affermò sdegnato
Aulo. Quindi estrasse una bacchetta magica di lucido legno scuro
ed eseguì un perfetto Incantesimo d'Appello. Immediatamente
una
tavoletta cerata, di quelle che Aulo si ostinava a usare per prendere i
suoi appunti, sfrecciò docile nelle mani del ragazzo che la
porse al maestro. «Ho scritto qui tutto quello che hai detto
a
Urien. E ho agito quando tu sei andato a portare alla figlia del fabbro
l'unguento che guarisce le verruche».
Cormiac prese la pergamena e aggrottò la fronte, Aulo rise
divertito. «E' stenografia. Me l'ha insegnata il mio vecchio
maestro - quello che tu definisci Babbano – se vuoi te la
insegno. E' molto più pratica delle tue rune,
sai?».
Cormiac grugnì, sibilando minaccioso: «Hai
rischiato
grosso, Aulo. Avresti potuto cambiare la linea del Tempo in modo
imprevedibile. Avresti potuto incontrare te stesso, e cose terribili
capitano a chi incontra se stesso.
Inoltre, senza contare che hai offeso la cervogia e le rune, hai
distrutto una Chiave del Tempo».
«Distrutto una Chiave del Tempo?»
mormorò il
ragazzo guardando sconcertato il medaglione che ricordava una
versione più grossa e decorata della sua Bulla.****
«Sì. Ogni Chiave del Tempo può essere
usata
un'unica volta. Ne sono state create sette, Aulo. Tre sono
già
andate distrutte. Quattro con questa. Ora dimmi: cosa dovrei fare con
te?» chiese con una punta di rassegnazione Cormiac.
Il ragazzo si rigirò il grosso medaglione tra le mani, poi
mormorò mortificato: «Mi dispiace. Davvero. Sono
molto
utili, queste. Pensavo di usarne una per impedire la proclamazione
dell'attuale Imperatore di Roma».
Cormiac lo interruppe, deciso: «Non ci pensare
neppure».
«A papà non piace questo Nerone. Dice che non
somiglia neppure un po' a
Claudio, ma gli ricorda Caligola. Asklipios mi ha raccontato tutto di
Caligola. Era terribile vivere ai tempi di Caligola».
Cormiac inarcò un sopracciglio. «Quello che ha
eletto senatore la sua capra?»
«No. Quello che ha eletto senatore il suo cavallo. Era un cavallo
non una capra.
Papà dice che era il senatore più
intelligente dell'epoca. Il cavallo, dico».
«Non mi stupisce» intervenne il centauro, scuotendo
compiaciuto la folta coda.
«Comunque, grazie a una di queste possiamo cambiare la
storia...» esclamò euforico Aulo.
«No, che non possiamo! Non hai ascoltato una sola parola di
quello che ho detto, vero? E' pericoloso interagire con il
Tempo».
«Ma...»
«Ma niente, Aulo. Non intendo discutere della cosa»
affermò con decisione Cormiac riappropriandosi della Chiave.
«Maestro, capisco che ne rimangono solo tre, ma possiamo
sempre crearne altre».
«No, Aulo. Il problema non è il numero delle
Chiavi
rimanenti. Sarei ben felice di distruggerle tutte, ad essere sincero. E
non ne saranno create altre, te lo assicuro. Il segreto delle Chiavi
del Tempo morirà con il loro creatore».
«Morirà! Quindi è ancora vivo, il loro
creatore. Lo cercherò e convincerò lui!»
«Puoi provarci, se vuoi. Ma non riuscirai a
trovarlo».
«E cosa me lo impedirebbe?»
«Il fatto che lui non vuole essere trovato»
concluse secco
Cormiac, guardando Aulo con una serietà inusuale per lui.
«E con questo considero concluso il discorso. Ora smettila di
tentare di distrarmi, perché so perfettamente che era questo
il
tuo scopo principale e che dell'attuale Imperatore di Roma non ti
interessa
proprio nulla...» sogghignò notando l'improvviso
rossore
del ragazzo. «E rispondi alla mia domanda: cosa dovrei fare
con
te?»
Aulo lo guardò in tralice e, non scorgendo più
rabbia negli occhi del maestro, sorrise furbo e propose:
«Lasciarmi andare a pescare con papà,
naturalmente, visto
che è venuto a cercarmi. Non si può dire di no a
Publio
Valerio Corvino».
«Forse a Roma. Ma qui si può. Io, per lo meno,
posso, te lo assicuro».
Aulo abbassò il capo, abbacchiato, poi sbadigliò
vistosamente: viaggiare nel Tempo non era uno scherzo.
Era faticoso. E sconcertante. Una parte di lui ricordava la tristezza e
il dolore provato per la morte del padre, ma un'altra no.
Perché
non aveva mai provato quella tristezza. Era strano avere ricordi
diversi che si accavallavano.
Cormiac ridiede al discepolo la tavoletta cerata: «Credo che,
per punizione,
sia equo che tu ricopi questa, in bella grafia, su di una pergamena.
Aggiungendo le notizie che ti ho appena dato sulle Chiavi del Tempo.
Oh, usando i caratteri runici, naturalmente».
Il ragazzo sbuffò oltraggiato.
Non vedeva il padre da più di un anno - una parte di lui
ne era convinta, per lo meno. L'altra non era d'accordo, certa com'era
di averlo visto qualche ora prima, a pranzo – voleva solo
godersi
la sua compagnia e quel gran rompinoci
del suo maestro lo affliggeva con un simile, noioso, lavoro.
Cormiac nascose un sorriso intenerito sotto la folta barba e aggiunse
burbero: «Dopo che avrai procurato qualche bel pesce per
cena,
naturalmente. Ora fila, tuo padre ti aspetta al torrente».
Aulo alzò gli occhi, scrutando incredulo il maestro - che
non era poi così male, bisognava ammetterlo -
si sistemò rapido un calzare e, dopo un'ultima occhiata
ammirata al centauro, se ne
andò saltellando allegro alla ricerca del padre.
Cormiac scosse il capo, divertito suo malgrado, guardò la
Chiave e sussultò.
Era diversa da come se l'aspettava: il serpente che ne decorava il
bordo non aveva cambiato
posizione e il centro era occupato da sfolgoranti fiamme d'argento tra
cui si stava formando una minuscola figura alata.
L'uomo guardò il centauro, allibito, e gli mostrò
la Chiave.
«Non capisco. Non si è danneggiata. Sembra quasi
che si stia rigenerando, Kyros».
Il centauro annuì. «E' così. La fenice
sta
risorgendo dalle proprie ceneri, Cormiac. Il puledro ha usato la Chiave
con molta saggezza. Con molta più saggezza di quella che
usasti tu,
temo».
L'uomo sospirò, amareggiato. «Pensavo di non avere
scelta,
Kyros» mormorò cupo abbassando lo sguardo.
«Perché mi aiutasti a creare le Chiavi del Tempo?
Perché, invece di assecondare questo mio folle Sogno
donandomi il tuo sapere, non mi
hai fermato?»
Il centauro scrutò l'uomo per qualche istante, poi rispose:
«Perché il Destino ha voluto così,
Cormiac. Era
scritto nelle stelle. Perché avrei dovuto ribellarmi a
ciò che era scritto nelle stelle? Voi umani lo fate
continuamente, lo so, ma noi centauri troviamo stupido sfidare il
Destino».
«Il Destino?»
«Il Destino. La forza più potente in
assoluto».
«Uhmf... parli proprio come un centauro».
«Ma pensa...»
«Non diventare impertinente, Kyros. Basta Aulo per
questo».
Il centauro annuì. «Ha
carattere, il puledro».
«Sì. E talento. E' strabiliante come la magia
scorra
potente in un ragazzo nato da Babbani. E scarseggi in Urien, figlio di
maghi Purosangue, che studia con me da molto più tempo di
Aulo e non sa
azionare una Chiave del Tempo senza trasfigurare un gatto in un calice.
Con tanto di baffi, per di più».
Il Centauro scrutò assorto il mago per qualche istante, poi
chiese con la sua voce distaccata: «Perché
strabiliante?
Non sottovalutare quelli che tu chiami Babbani, Cormiac. Hanno immense
potenzialità. Anche questo è scritto nelle
stelle».
Cormiac si strinse nelle spalle, osservando pensoso la Chiave, quindi
chiese: «Perché Aulo è riuscito nel
tentativo di
cambiare la storia, Kyros? Perché lui è tornato,
la
Chiave non è danneggiata e suo padre non cammina
più fra
le ombre? Il mio tentativo è stato fallimentare e ancora non
me
ne spiego il motivo: eravamo riusciti a cambiare le sorti della
battaglia, senza ricorrere alla magia; Plauzio era stato fermato da
Carataco, i romani erano stati respinti. Ma al mio ritorno nel presente
le Chiave era danneggiata. E Plauzio trionfante. Senza contare Rhys e
Caalum dispersi nel Tempo... come le Chiavi usate da loro».
Il centauro si avvicinò all'uomo. «Cormiac... tu
non hai
responsabilità per quello che è successo a Rhys e
Caalum,
lo sai, vero? Non è colpa tua se hanno lasciato chiudere il
Portale».
Cormiac scosse le spalle e, puntando sul centauro i suoi brillanti
occhi blu ridomandò: «Perché il mio
tentativo non è
riuscito, Kyros?»
«Perché, come hai detto ad Aulo, è
pericoloso
interagire con il corso del Tempo. Tu hai cercato di cambiare troppe
cose, Cormiac. Hai salvato chi sarebbe morto, come ha fatto Aulo, ma
così facendo hai ucciso chi sarebbe sopravvissuto. Hai
spezzato
l'Equilibrio. Aulo non l'ha fatto. Gli ha solo dato un colpetto di
trascurabile importanza. Ma nel tuo caso... credo che l'Equilibrio si
sia semplicemente ricostituito».
Cormiac ci pensò un istante e annuì.
«Potrebbe
essere una spiegazione. Quindi Aulo Plauzio ha trionfato ugualmente.
Come Aulo Valerio Corvino, del resto».
«Non ci avevo fatto caso. Il tuo allievo si chiama Aulo come
il generale».
Cormiac sogghignò. «Il mio allievo si chiama Aulo in onore del
generale. Suo padre, Publio Valerio Corvino, è un grande
estimatore di Plauzio. Così io mi ritrovo a insegnare al
secondogenito di un Babbano che ha un'immensa stima del
generale a cui ho tentato, in tutti i modi permessimi dalle leggi
magiche, di impedire di conquistare la mia Terra. E suo figlio mi
ripaga riuscendo dove io, il suo maestro, ho fallito»
affermò Cormiac con amara ironia, sventolando con noncuranza
la
Chiave del Tempo sotto il naso del centauro.
«I discepoli a volte lo fanno. Aulo ha ingannato il
fato con la stessa sapienza con cui ha ingannato gli assassini del
padre».
«Sapienza, Kyros? Io direi astuzia, più che
altro».
«No, sapienza. Il puledro ha fatto scelte sagge.
Più sagge delle tue, pare».
«Sì, lo hai già detto. Non è
necessario che
tu ribadisca ancora il concetto, sai? Aulo ha agito spinto dall'amore
per suo padre. Io spinto dall'odio. Forse, semplicemente, l'Amore
è un consigliere migliore dell'Odio».
«L'Amore?»
«L'Amore. La forza più potente in
assoluto».
«Uhmf... parli proprio come un umano».
«Ma pensa...»
«Non diventare impertinente, Cormiac. Basta Aulo per
questo».
«Già, Aulo che ha l'impertinenza di non
distruggere le Chiavi del Tempo che usa».
«Aulo che scriverà un'informazione non corretta
sulla sua
pergamena. Forse dovresti mostrargli la Chiave del
Tempo e spiegargli che a volte, per motivi imperscrutabili ai
più, non si esaurisce con l'uso».
«O forse no, almeno per il momento. Meno Aulo sa
sull'argomento
più sicuro mi sentirò. Anzi,
nasconderò le Chiavi
superstiti. Le metterò in qualche luogo lontano dai suoi
occhi.
Non sia mai che gli venga voglia di cercare di cambiare il destino di
Roma».
«Il Destino è scritto, Cormiac».
«Il Destino si può cambiare».
«Solo se decide di permetterlo».
Cormiac ci pensò un istante, poi annuì
sorridendo:
«Sì. Questo te lo posso concedere, Kyros. Questo
te lo
posso concedere».
* Mi sono azzardata –
per ovvi motivi – a nominare giorno e anno alla maniera degli
antichi romani:
ab Urbe condita significa, letteralmente, dalla fondazione della
Città, dove per
Città si intende Roma. "Ante diem sextum Nonas Maias,
811 ab Urbe condita" corrisponde al 2 maggio del 58 D.C.
Almeno spero... in caso
contrario chiedo umilmente perdono a tutti gli antichi romani di
passaggio.
** Lundinium è l'antico nome di quella meravigliosa
città che noi conosciamo come Londra.
***
La cervogia, come ben sa chi ha avuto l'indubbio piacere di leggere
qualche avventura di Asterix, è una specie di antenata
dell'odierna birra, molto diffusa tra le popolazioni che vivevano
nell'Europa del Nord di quei tempi.
**** La Bulla - o Bulla Praetexta - era un medaglione contenente un
amuleto protettivo che, ai tempi del giovane
Aulo, tutti i cittadini romani nati liberi portavano fino al
raggiungimento della maggiore età.
E rieccoci qui, oh Temerari che siete sopravvissuti alla prima tappa di
questo periglioso - o solo noioso, magari - viaggio.
Prima di tutto vi ringrazio per la vostra encomiabile pazienza.
Mi rendo conto, infatti, che questo capitolo non ha molto di
"potteriano" ed è praticamente un originale, ma abbiate
fiducia, già dal prossimo le cose cambieranno: le
atmosfere cominceranno pian pianino a "potterizzarsi" e i personaggi
acquisteranno
un barlume di familiarità...
Per quanto riguarda questo capitolo, purtroppo, non ho potuto che
inventarmi di sana pianta tutti i personaggi, visto che J.K. Rowling
non ci ha raccontato nulla di periodi tanto remoti... se non che il
negozio di Olivander esisteva già. E infatti la
bacchetta magica del giovane Aulo viene acquistata proprio
lì.
Quindi non vi preoccupate se nessuno dei personaggi da me citati vi
risulta familiare: Aulo (e famiglia), Cormiac (e sfortunati compagni) e
Kyros sono una mia invenzione, come le Chiavi del Tempo.
J.K. Rowling non ha colpe per la loro deprecabile esistenza.
Il generale Aulo Plauzio, Carataco, Nerone e Caligola con il suo
Onorevole Cavallo sono invece persone (o bestiole) realmente esistite
e, di
conseguenza, appartengono solo a se stesse. Con buona pace di Cormiac.
Per finire un'ultima precisazione: sono una vera frana a trovare i
titoli per le mie
storie ma
adoro i capitoli dotati di titolo.
Così ho adottato il
trucchetto di "ricavare" i miei titoli da quelli di libri
più o
meno famosi, se quindi vi risulteranno familiari non
stupitevi troppo!
Per questo capitolo in particolare, ad esempio, mi sono ispirata a "Il sogno di Merlino",
uno dei volumi - il quarto, se non erro - delle "Cronache di Camelot"
di Jack Whyte.
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