Middle-heart
Il vento
freddo fischia attorno alla collina, ma accanto al fuoco si
sta bene.
La cucina è affollata dai bambini di mia sorella
Rosie, che schiamazzano rincorrendosi per evitare di cadere vittime del
sonno.
È l'ultimo
giorno dell'anno e come di consueto sono stata
invitata a casa loro per cena. Mia sorella sa che passerei questa
serata da sola, come sempre, così ha preso l'abitudine di
invitarmi a casa sua, un posto in cui può esserci tutto
tranne che silenzio e solitudine.
Sam è
seduto vicino al fuoco e tiene d'occhio i giochi dei
suoi bambini con occhi pieni d'orgoglio e amore.
Ad un certo punto
Daisy, la più piccola, sale sulle sue ginocchia e si
aggrappa alla sua camicia.
- Raccontaci una
storia, papà! - Esclama.
Io, seduta dall'altro
lato del caminetto, sorrido tra me e me. So
benissimo che storia sta per essere raccontata: forse perché
è quella che Sam racconta meglio, forse perché
è una storia vera... ma tutte le volte qualcuno gli chiede
di raccontare proprio quella.
Questa sera
è il piccolo Meriadoc a dare voce al desiderio
di tutti:
- Sentiamo di Frodo e
dell'Anello! - Esclama sedendosi sul pavimento di
legno e preparandosi ad ascoltare la sua storia preferita.
Sam si sistema Daisy
in grembo, sorride a sua moglie e attende che
tutti e otto i suoi bambini si siano accomodati davanti a lui, poi
inizia a raccontare.
La storia la conosco a
memoria, come tutti in quella cucina, tanto che
quando Sam modifica o salta qualcosa uno dei bambini si precipita a
correggerlo.
Quando Sam finisce di
raccontare, sono come sempre in un mare di
lacrime.
- Zia, questa storia
ti fa sempre piangere così tanto, forse
dovremmo evitare di raccontarla di continuo! - Esclama Elanor
preoccupata.
- Non è
niente tesoro. Non è niente. - Rispondo
io alla disperata ricerca di qualcosa con cui asciugarmi gli occhi.
Rosie mi passa un
fazzoletto e Sam mi lancia lo sguardo di chi sa cosa
mi sta passando per la mente. Mi asciugo il viso in fretta e sorrido
nonostante sappia perfettamente di avere ancora gli occhi colmi di
tristezza.
- Forza, bambini.
Adesso è ora di andare a dormire. Date un
bacio alla zia e filate a letto. - Dice Rosie.
Uno ad uno tutti i
bambini passano a salutarmi e quando sono tutti
spariti nelle loro camere Rosie e Sam mi abbracciano affettuosamente.
- Se vuoi restare
c'è posto anche per te. - Dice mia sorella.
Scuoto la testa.
- Hai una famiglia
intera a cui badare, non hai certo bisogno di una
sorella zitella a cui fare da dama di compagnia. Grazie di tutto,
sorellina. - Rispondo.
- Torna quando vuoi,
sai che sei sempre la benvenuta qui. - Dice Sam.
- Lo so, non
preoccupatevi. Buonanotte. - Rispondo.
Esco dalla loro
casetta e percorro il breve tragitto che porta a casa
mia, sul versante opposto della collina. Il vento gelido ha spazzato
via le nuvole dell'inverno e nel cielo limpidissimo splendono migliaia
di stelle brillanti come cristalli di ghiaccio.
Sosto per un solo
istante sulla porta per godermi quello spettacolo ma
il freddo intenso mi costringe a rientrare. Come sempre il profumo dei
miei tè e delle mie tisane mi avvolge come un abbraccio:
malva e achillea, rododendro e pino. Ho una tisana per ogni momento, e
tutta Hobbiville viene da me a cercare quella giusta: un infuso di
melograno per ritrovare l'energia, platano e caprifoglio per un regalo
ad un amico, mughetto e margherita per far addormentare un bimbo appena
nato.
Non ho affatto sonno e
sento ancora negli occhi il calore delle
lacrime, così decido di consolarmi con il mio tè
segreto, quello per i momenti importanti, quello di cui nessun altro
– o quasi – sa l'esistenza.
Riattizzo il fuoco e
appendo al gancio il bollitore pieno d'acqua, poi
prendo dallo scaffale gli ingredienti e mi metto a pestarli, mentre il
loro dolcissimo profumo si spande nell'aria, riportandomi indietro nel
tempo.
Avevo lasciato
Hobbiville assieme a mia nonna quando ero solo una
bambina. Ci eravamo trasferiti non molto lontano, in un villaggio
Hobbit nei pressi di Vesproscuro dove mia nonna sapeva di poter trovare
le erbe e i fiori per i suoi infusi. Io ero una bambina fin troppo
allegra, vivace e spericolata, così quando mia nonna aveva
proposto ai miei di portarmi con sé loro non ci avevano
pensato due volte. Io stessa non ero poi così dispiaciuta:
non ho mai avuto paura di cambiare, di spostarmi e ricominciare
daccapo. Mia madre dice sempre che non sono una Hobbit al cento per
cento.
Quando mia nonna
morì continuai la mia vita nel villaggio
senza troppi rimpianti ma lentamente la voglia di cambiare vita aveva
iniziato a farsi sentire. Di punto in bianco avevo preso le mie cose,
avevo venduto la casa ed ero tornata a Hobbiville.
Di tempo ne era
passato tanto, la mia sorellina Rosie non era
più una bimba in fasce ma una donna adulta, bella come il
sole, intelligente e sensibile. Grazie al suo aiuto avevo comprato una
casetta minuscola con la porticina rosa incastonata nel fianco della
collina come una rosa in una siepe: in men che non si dica mi ero
trasferita lì.
La grande casa accanto
alla mia era disabitata e vivevo tranquilla tra
i miei tè e le mie tisane, guadagnandomi da vivere
vendendole agli Hobbit dei dintorni.
Un giorno,
all'improvviso, la casa accanto alla mia si era animata: la
gente andava e veniva, c'erano sempre un paio di giovani Hobbit nel
giardino e a volte anche il padrone di casa usciva a prendere una
boccata d'aria.
Dopo molti
ripensamenti un giorno mi presentai a casa dei miei vicini:
il tempo non mi aveva cambiata molto ed ero rimasta allegra e
spensierata, però avevo imparato se non altro le buone
maniere: presentarsi ai vicini era come minimo una questione di
educazione.
Avevo indossato il mio
vestito preferito, verde menta, sotto il
grembiule ricamato di tutti i giorni e avevo preparato un grazioso
sacchettino di lino chiaro colmandolo di trifoglio e fiori di pesco: un
profumato tè di benvenuto per il mio nuovo vicino di casa.
Era un pomeriggio
stupendo: l'aria tiepida portava il sapore del pane e
dei fiori, il cielo turchese era limpido e chiaro e sembrava
così vicino da poterlo afferrare.
Bussai alla porta
rotonda della grande casa sulla collina e attesi per
un momento.
- Sì, chi
è? - Domandò una voce
all'interno.
- Sono Viola Cotton,
abito qui accanto. - Risposi io mentre la porta si
apriva.
Il giovane Hobbit che
stava al di là della porta mi sorrise
e per un momento dimenticai anche come si respirava: gli Hobbit erano
un po' tutti simili, di una loro bellezza particolare che li
distingueva da tutte le altre razze ma che li faceva sembrare tutti
parenti: gli stessi riccioli dorati, gli stessi grandi occhi nocciola.
L'Hobbit che mi stava
sorridendo aveva cancellato in un istante tutti i
canoni Hobbit che avevo in mente: aveva lucenti riccioli neri come la
notte e gli occhi dello stesso colore del cielo di quel pomeriggio.
- Viola Cotton?
Conosci Rosie Cotton, immagino. - Disse il giovane.
- Sono... sono sua
sorella. - Dissi io. - Ecco, ho portato un regalo di
benvenuto. -
Il ragazzo prese il
sacchetto che gli tendevo e lo odorò con
gli occhi chiusi.
- È un
tè di trifoglio e fiori di pesco...
è una delle mie specialità. - Dissi.
- Se vuoi entrare
potremmo assaggiarlo insieme. - Disse lui. - Io sono
Frodo Baggins, il padrone di casa. -
Si scostò
dalla porta e mi fece cenno di entrare. Un minuto
dopo eravamo seduti al tavolo di ciliegio nella cucina di casa Baggins,
mentre il bollitore fischiava già nel caminetto acceso
nonostante la giornata tiepida.
Era così
che era iniziato tutto, con una innocente tisana e
quattro chiacchiere nella luminosa cucina. Fin da quel primo incontro
avevo capito che c'era qualcosa che pesava sul suo cuore, qualcosa che
faceva sempre sembrare che non stesse sorridendo con tutto il cuore e
tutta l'anima. Mi chiedevo che cosa potesse essere: aveva perso
qualcuno di caro? O forse aveva fatto del male a qualcuno?
Sulle prime quel
pensiero mi aveva spaventato, ma le circostanze della
vita mi avevano fatto ricredere. Ci incontravamo spesso per le vie di
Hobbiville e ancor più spesso ci fermavamo a parlare nel
cortile che divideva le nostre case. Lentamente mi ero resa conto che
qualunque cosa pesasse sulla sua coscienza doveva essere del male
ricevuto e non del male fatto: non avevo mai conosciuto Hobbit
più intelligente, gentile e generoso del mio vicino di
casa... e credo di poter dire che non mi accadrà di
conoscerlo nemmeno in futuro.
Il fischio del
bollitore mi richiama completamente alla
realtà e mi alzo dalla sedia per riempire di acqua fumante
la teiera, dove l'infuso attende già. Riempio una tazza e mi
avvicino alla finestra della cucina. Il torrente che scivola allegro
fino a gettarsi nel Brandivino ha poca acqua e attende la piena che
segue il disgelo. Quante passeggiate avevamo fatto sulle sue sponde, e
quante volte ci eravamo fermati a leggere all'ombra dei suoi alberi...
Più il
tempo passava e più gli incontri
occasionali e le visite di cortesia avevano lasciato il posto a veri e
propri pomeriggi assieme. Condividevamo i quieti pomeriggi d'estate e
le tiepide sere d'autunno a casa dell'una o dell'altro, ridendo e
parlando, talvolta piangendo per qualcosa che era accaduto, ma sempre
insieme.
Lentamente ci eravamo
fatti prendere da qualcosa di nuovo mai provato
prima, qualcosa che ci legava e ci separava dagli altri, qualcosa di
veramente speciale.
Un pomeriggio di
primavera stavamo camminando lungo le sponde del
torrente, e all'improvviso sentii la sua mano attorno alla mia. Come
mio solito non pensai prima di agire e una frazione di secondo dopo
avevo già ricambiato la sua stretta.
Era strano tenere la
sua mano destra nella mia: all'anulare mancavano
due falangi. I ragazzi del paese lo prendevano in giro, lo chiamavano
“Frodo dalle nove dita”, ma lui non si arrabbiava
mai. Quando io gli avevo chiesto che cosa era successo, lui si era
stretto nelle spalle e aveva detto solo “un
incidente”, cambiando subito discorso.
Quel giorno
però, vicino al fiume, la sua mano si era
stretta attorno alla mia e io gli avevo sorriso con tutta l'emozione
che provavo. Un attimo dopo Frodo aveva abbassato gli occhi sulle
nostre mani intrecciate e poi aveva distolto lo sguardo con ribrezzo.
- Che succede? - Gli
chiesi.
- Non avevo mai notato
quanto la mia mano fosse brutta. -
Sussurrò lui.
- Oh, ma smettila. Ti
manca solo qualche falange, non farla
così lunga! - Risposi io, sdrammatizzando come mio solito.
- La verità
è che
è una storia lunga.
- Disse lui.
- Lunga? - Domandai
io, scettica. Era stato solo un'incidente, no?
Probabilmente si era ferito con un coltello, forse con l'ascia
spaccando la legna, qualcosa del genere!
- Ma credo che sia
venuto il momento di raccontarla... almeno a te. -
Disse Frodo.
Ci sedemmo sotto un
gigantesco noce dalle foglie appena spuntate e lui
mi guardò con i suoi occhi chiari per un lungo momento prima
di iniziare a raccontare.
Fu la prima volta che
sentii il racconto di Frodo e dell'Anello, la
prima volta che tremai e sorrisi a quelle parole che avrei ascoltato
tante volte ancora. Fu la prima volta che una lacrima mi
sfuggì quando mi resi conto che dopo tutte quelle terribili
vicende tutto era andato bene. Alla fine della storia mi resi conto che
l'ombra che occupava i suoi occhi sembrava essersi dissolta: i suoi
occhi azzurri erano ancora più limpidi e splendenti di
prima, e pareva che ora non ci fossero segreti che occupassero il suo
cuore.
Niente malefatte o
orribili misteri, allora.
Il suo era solo il peso di
un animo che ha dovuto subire troppe disavventure e che ha dovuto
prendere parte a un disegno troppo grande per lui.
Quel pensiero non solo
mi rassicurò, ma aumentò
ancora di più quello che provavo per lui.
Lasciandomi andare
come al solito alle emozioni senza pensarci su un
momento, gli gettai le braccia al collo e lo strinsi più
forte che potevo. Sapevo di sembrare una bambina, una sciocca ragazzina
Hobbit, ma non volevo ascoltare la mia ragione, in quel momento meno
che mai.
Lo sciolsi
dall'abbraccio e Frodo mi sorrise, con gli occhi lucidi.
- Nessuno mi aveva mai
abbracciato così. - Disse.
- Forse
perché nessuno ti ha mai amato quanto ti amo io. -
Risposi con leggerezza.
Per tutta risposta
Frodo mi abbracciò di nuovo nascondendo
il viso nei miei riccioli disordinati.
- Vale lo stesso per
me. - Sussurrò.
Presa com'ero dai miei
ricordi ho lasciato raffreddare il tè
senza nemmeno finirlo. Sospirando, lo getto via e riempio un'altra
tazza. L'infuso rimasto nella teiera è più caldo
e molto più forte di quello che ho gettato via e mi basta un
sorso per sentire le lacrime premere ancora di più contro i
miei occhi.
Erano passati due
anni. Due splendidi anni in cui quello che era nato
tra di noi non aveva potuto che crescere, mettere radici e sbocciare
come i fiori a primavera.
Di tanto in tanto,
Frodo mi portava un mazzo di fiori colti nel suo
giardino. Spesso erano rose e gelsomini: diceva che il profumo
dolcissimo di quei fiori gli ricordava me.
- Non sono fiori
regali e nemmeno troppo rari. Forse sono semplici
fiori da giardino... ma ogni volta che ne respiro il dolce profumo
torno di buonumore e mi sento più allegro e speranzoso che
mai. - Mi aveva detto la prima volta che me li aveva portati.
Dopo quelle parole
avevo preso l'occorrente e avevo tritato i petali
dei fiori che mi aveva regalato, mettendoli a seccare nei sacchetti di
lino.
Non molto tempo dopo
eravamo seduti in cucina a parlare e a sorseggiare
la più buona delle mie tisane: dolce come il gelsomino e
delicata come la rosa, perfetta per noi. Era una di quelle bevande che
tranquillizzava e rasserenava, e ovviamente mi ricordava lui.
Dopo che mi aveva
raccontato la storia del suo passato, l'avevo
convinto a metterla per iscritto. Per molto tempo mi aveva risposto che
lui non era un narratore bravo quanto suo zio Bilbo, ma non aveva fatto
i conti con la Viola bambina che mi portavo ancora dentro: ero rimasta
ostinata e insistente e a furia di farmela raccontare l'avevo tanto
annoiato che si era deciso a metterla nero su bianco.
L'aroma della tisana
rosa e gelsomino riempiva i pomeriggi passati
nella mia cucina, mentre lui scriveva le sue avventure e io preparavo
nuovi tè. Era la vita semplice e perfetta della Contea,
quella che avrei voluto vivere per il resto dei miei giorni.
Certe volte tentavo di
parlare del futuro con lui, ma i suoi occhi mi
supplicavano di evitare il discorso e di non chiedergli di
più.
Era in quei momenti
che vedevo quell'ombra scura che era scomparsa dai
suoi occhi ripresentarsi e infittirsi sul suo cuore. Non sapevo
perché, ma il futuro lo preoccupava. Così decisi
che la mia vita era perfetta così com'era. Il tempo avrebbe
cambiato le cose, se quello era ciò che doveva succedere.
Poi, una mattina,
Frodo era arrivato a casa mia con gli occhi lucidi,
il viso serio e le mani che tremavano.
- Devo dirti una cosa.
- Aveva detto solamente.
Si era seduto al
tavolo e mentre io preparavo il nostro tè
mi aveva detto l'unica cosa che mi aveva taciuto nel suo racconto.
- Questo non lo
metterò nel libro, Viola. Questo
resterà un segreto. Pensavo che l'avrei tenuto nascosto nel
mio cuore ma forse dirlo a te lo renderà meno terribile. -
Mi aveva preso le mani
e mi aveva detto la verità: non
poteva rimanere.
Se ne sarebbe andato
presto, una delle successive mattine d'autunno, in
un'alba dorata e fredda. Una nave l'aspettava al porto per portarlo
nelle terre immortali
Il perchè
è sempre rimasto un segreto tra me e
lui. Sono l'unica a sapere cosa aveva capito nel suo cuore, pensieri,
timori e sogni infranti che aveva visto appannarsi e svanire con il
tempo. Quelle parole non le aveva udite nessuno, nemmeno Sam, e le
conservo come il più prezioso dei segreti nel mio cuore.
All'inizio non ci
avevo voluto credere, poi l'avevo supplicato di
rimanere, mi ero arrabbiata, avevo pianto... ma qualunque cosa io
facessi lui rimaneva serio, con gli occhi appena velati di lacrime, e
continuava a tenermi abbracciata accarezzandomi i capelli.
Quando infine tutte le
mie emozioni si erano ridotte alla sola
rassegnazione, mi aveva preso il viso tra le mani e mi aveva baciato
con dolcezza sulle labbra.
- Non possiamo
evitarlo, ma possiamo decidere cosa fare con il tempo
che ci resta. - Mi disse lui con uno dei rari sorrisi che gli
illuminavano anche gli occhi.
Il fuoco nel camino si
è quasi spento, il tè si
è raffreddato del tutto e la notte è scesa ancor
più gelida e buia di quanto non fosse già prima.
Mi stringo nello
scialle che mi sono gettata sulle spalle quando ho
iniziato a tremare e appoggio la fronte al vetro gelido della finestra.
Ho di nuovo voglia di
piangere.
Ogni volta che Sam
racconta la storia di Frodo e dell'Anello torno a
vivere tutte le emozioni che pensavo di aver sepolto dentro di me. Da
quando lui se n'è andato sono diventata più
silenziosa e tranquilla, e sono diventata estramamente solitaria. Gli
anni per me sono passati e non ho mai trovato nessuno a cui
interessarmi di nuovo.
Viola la silenziosa,
Viola la solitaria, ora mi chiamano.
Nessuno, credo, si
ricorda di quello che ho vissuto, della Viola che
ero prima, dell'amore che ha incrociato la mia vita e a cui ho dovuto
dire addio che ha portato con sè la spensieratezza e
l'impulsività che mi caratterizzavano.
Era una mattina di
ottobre, fredda però già come
una mattina d'inverno. L'alba era grigia e oro ed ero ferma sull'uscio
della mia casa.
Sapevo che sarebbe
successo quel giorno, Frodo mi aveva avvertito. Non
appena la luce aveva baciato il mio viso mi ero precipitata nel
giardino, temendo che se ne sarebbe andato senza salutarmi. Davanti a
casa Baggins stava un calesse coperto con un anziano uomo dall'abito
bianco alla guida. Nel cortile stava Sam, mio cognato da qualche tempo,
e i cugini di Frodo, due Hobbit di altezza decisamente sopra la media.
Frodo uscì
di casa avvolto in un mantello verde bosco, con i
riccioli bruni scomposti e gli occhi più seri che io avessi
mai visto. Immediatamente si voltò verso il mio cortile e i
suoi occhi incrociarono i miei.
Con un cenno del capo
invitò i suoi amici ad andare avanti e
mi raggiunse sulla porta.
- Sei sveglia. -
- Temevo che non
saresti passato. -
- Credi davvero che me
ne sarei andato senza dirti addio? - Disse lui
abbracciandomi.
Non volevo rovinare
quel momento con le lacrime, anche
perché già buona parte della mia allegria se ne
stava andando assieme a lui.
- Porta questo con te.
- Dissi io tenendo in mano un sacchettino di
lino ricamato. - Dove stai andando potrà ricordarti di me. -
Frodo chiuse la mia
mano attorno alla bustina di stoffa.
- Dove sto andando non
posso portare niente. Solo i ricordi. -
Ci abbracciammo ancora
per un tempo che sembrò davvero
troppo breve, poi mi sciolse dall'abbraccio e mi sfiorò le
labbra con un bacio.
- Non preoccuparti,
non è la fine. Io e te ci incontreremo
ancora. - Disse poi.
L'ultimo ricordo che
ho di lui è il suo sorriso e i suoi
occhi limpidi e chiari, colmi di speranza, mentre sale sulla carrozza.
Ci incontreremo ancora.
La notte è
fredda su Hobbiville. Il nuovo anno è
arrivato, ma non sarà poi tanto diverso da quello
precedente, almeno per me.
Esco di nuovo nel
cortile, la casa colma dell'odore della tisana che ho
bevuto mi riporta ancora troppi ricordi, e non sono sicura di essere
abbastanza forte da poterne vivere altri. Nel cortile della casa
accanto c'è una figura nascosta nell'ombra.
- Sam? - Sussurro.
- Anche tu non riesci
a dormire? - Mi risponde.
Scuoto la testa.
Probabilmente anche lui prova qualcosa simile a quello
che provo io ogni volta che racconta quella storia.
- Mi manca
così tanto. - Mormoro - Tu hai almeno una
famiglia tra le cui braccia trovare conforto. Io non sono mai stata in
grado di costruirmi neanche quella. -
- Hai noi. -
L'anno che
è finito mi ha visto più triste e
silenziosa che mai, e avevo rivisto con nostalgia il mio modo di essere
solare e spensierato di tanti anni prima nei bambini di Sam,
soprattutto in Daisy, che amavo come una figlia.
Che cosa era successo
alla solare Viola, quella che non perdeva mai il
sorriso?
- Ormai non mi
riconosco più, Sam. Dov'è finita
la mia allegria? Ormai vivo ogni giorno in quieta disperazione. Non lo
rivedrò mai più e ancora non lo riesco ad
accettare. -
- Sai che cosa aveva
imparato Frodo dalla nostra avventura? - Dice Sam.
La risposta si fa
attendere un momento, e quando Sam la pronuncia mi
sembra di sentirla echeggiare nel mondo che mi circonda, mentre un
lieve profumo di gelsomini e rose mi avvolge per un momento.
- C'è
sempre speranza. -
...
- Gandalf, tu pensi
davvero qui potremo rincontrare chi abbiamo
lasciato? -
- Certamente, amico
mio, anche se dovrà passare del tempo e
giungeranno per una via diversa dalla tua. Perché me lo
chiedi ora? -
- Perché ho
tanta voglia di una tazza di tè rosa
e gelsomino. -
Don't
say "We have come to the end"
White shores are calling, you and I will
meet again.
Accidenti,
è una vita e mezza che non scrivevo niente.
Mi correggo: che
non finivo una storia.
Questa mi
è scivolata dal cuore alle
dita in un'ora e mezza oggi pomeriggio.
Mi sono svegliata con
questa
storia in testa dopo essermi rivista Il signore degli Anelli - Il
ritorno del re ieri sera.
Per Frodo provo un
po' quello che provo per Peter e Cedric: perchè accidenti
non gli hanno messo una fanciulla accanto
in cui potermi immedesimare?
La risposta
è semplice: così me la posso creare
da sola.
E quindi, dopo Elizabeth
e Leah, vi
presento Viola:
il mio modo per dire al mondo ciò che provo per un
personaggio veramente grande.
Grazie ha chi ha
letto fin qui, a chi ha apprezzato questa storia
e
a chi, come me, sente di avere lasciato un pezzo di cuore nella Terra
di
Mezzo!
Flora
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