Sono una twilighter di
vecchia data e, in quanto tale, non sopporto quasi tutto ciò
che ha seguito: film, merchandising, commercializzazioni, playlist,
guide ai mondi fatati e tutto il resto. Diciamo che sono una purista.
Quindi: non pensate
a niente in particolare. Non immaginate Robert Pattinson, ma immaginate
il vostro Edward, il vostro Edward personale; lo stesso per Bella e
tutti quanti.
E' la prima fanfic su Twilight che scrivo, quindi se fa schifo
sentitemi liberissimi di lasciarmelo scritto, in linguaggio educato o
meno (ovviamente l'invito è valido anche nel caso opposto).
Credo
che questo sia tutto quello che ho da dire, al momento, per lo meno.
Grazie in anticipo per leggere, grazie davvero; non sapete quanto io
apprezzi questo.
Baci
baci :)
Brittany si strinse nello
scialle, rabbrividendo nel tubino nero; i cimiteri le avevano sempre
fatto venire la pelle d'oca. Le lapidi marmoree e granitiche, quei nomi
incisi freddamente sopra. Non una parola sprecata, non una lacrima:
disumano.
Eleanor, sussurrava
quella più vicino a lei, sulla quale fissava lo sguardo da
più di mezz'ora. Nessun cognome, nessuna data; non era di
nessuna pietra particolare, ma di uno strano miscuglio di scarti. Le
scappò un risolino, pensando che sembrava un bizzarro
monumento ai Beatles,
edificato da una mente affilata e maliziosamente sarcastica.*
Sbuffò e si
sistemò dietro all'orecchio i capelli, scompigliati dalla
fredda brezza di inizio ottobre.
- Brit? - sentì
sua madre chiamare, pur non vedendo nessuno. Alzò la testa,
camminando velocemente verso il cancello arrugginito che delimitava il
camposanto.
Chiuso.
Non riusciva quasi a crederci: sembrava davvero di essere intrappolata
in un film dell'orrore di quart'ordine. Le nubi oscurarono il sole
pallido, facendole accapponare la pelle.
In caso di emergenza,
premere qui: il custode arriverà il prima possibile,
diceva un cartellino giallastro appena sopra un pulsante di un rosso
brillante.
Brittany lo schiacciò senza pensarci due volte: avrebbe
fatto qualunque cosa, pur di andarsene da quella prigione gotica e
spaventosa. La ragazza guardò il cielo, in attesa
dell'arrivo del resposabile, cercando disperatamente di trasportare la
mente in un altro luogo, in un qualsiasi altro posto.
- E' stata lei, a suonare? - chiese brusco l'omone con la voce roca,
camminando pesantemente avanti e indietro dall'altra parte della grata
e scrutandola attentamente, come se avesse paura di perdere il minimo
dettaglio.
- Veramente, sì. Credo di essere stata chiusa dentro, sa, e
ho una paura matta dei cimiteri, quindi... ho pensato di suonare. Sono
desolata per il disturbo. - rispose la ragazza con un filo di voce,
abbassando lo sguardo imbarazzata.
- Nessun disturbo. - sorrise l'uomo, aprendo la cancellata con uno
schiocco e un cigolio acuto. - Venga pure, deve essere infreddolita,
con quel vestitino. - disse maliziosamente, facendole strada
verso una casetta in legno poco distante.
- La ringrazio moltissimo, ma davvero non posso accettare. I miei
saranno preoccupati, non ho nemmeno il cellulare con me...
- Potrà usare il mio telefono. Su, venga, le preparo un the
caldo.
Con un sorrisino debole e imbarazzato, Brittany seguì
l'uomo, che chiuse la porticina alle sue spalle.
- Faccia come se fosse a casa sua. - sussurrò, lo sguardo
fisso sulle gambe della ragazza.
Lasciò che lo superasse e si guardasse intorno, stringendosi
nelle spalle. Con un solo movimento la prese per i fianchi e la
sollevò, costrindola contro il muro e bloccandole entrambe
le braccia con una sola mano.
- Bene bene bene, eccoci qui. - alitò, e un forte odore di
cognac riempì la stanzetta.
- Ma cosa sta facendo? - balbettò sottovoce lei. - Mi lasci
andare, subito! - cercava con tutte le sue forze di liberarsi, ma poco
poteva il suo corpicino gracile contro quell'uomo così
grande in confronto a lei.
- Su su, non fare storie, renderai tutto solo più brutto. -
ridacchiò, alzandole le braccia dalla pelle diafana e
abbassando la zip del vestito.
- Mi lasci, la prego, mi lasci - ripeteva Brittany mentre le lacrime
rigavano il suo volto, tracciando strisce nere di mascara sulle sue
guance.
- Smettila! - strillò, colpendola con uno schiaffo e
facendole sanguinare copiosamente labbro inferiore e naso. - Adesso io
ti lascerò, e tu farai la brava bambina, non è
vero?
Non appena le sue mani furono libere, la ragazza corse verso l'uscio,
ma il custode fu più veloce di lei, e sprangò la
porta giusto un istante prima che lei potesse sfiorarla.
- No no no, così non va bene. - schioccò l'uomo
con aria di disappunto. - Credevo che avresti fatto la brava, ora
dovrò punirti.- sussurrò, avvicinandosi con passi
lenti e scrocchiandosi le nocche.
Brittany strisciò più lontano che
potè, fermandosi contro la parete. Chiuse gli occhi con
tutte le sue forze, come se non vedere niente di ciò che
succedeva fosse sufficiente a limitare ed arginare il dolore che
sentiva stava per arrivare.
Una forza enorme la sollevò dal terreno, lanciandola
dall'altra parte della stanza: la sua vista iniziava ad annebbiarsi,
riusciva a distinguere solo vagamente le forme ed una grande macchia
scarlatta che si allargava sulla sua anca destra.
La porta si aprì sbattendo contro il muro, e una figura
slanciata comparve sulla soglia.
Con un movimento fluido ed incredibilmente rapido, colpì
l'omone sul capo e lo scaraventò a terra, accanendosi su di
lui fino a che non perse i sensi, sdraiato a terra perdendo sangue
dalla giugulare.
Tutto ciò che la circondava parve bloccarsi per qualche
secondo, come se qualcuno avesse messo in pausa la scena di un film.
- Non avere paura. - sussurrò dolcemente una voce che sapeva
di miele e di campi fioriti in estate, avvicinandosi a Brit porgendole
una mano.
- No. - pianse la ragazza. - Voglio solo andare a casa. Lasciami, ti
prego, lasciami.
- Vieni con me. Non avere paura. - ripeté quel giovane
così aggraziato e bello, con un tono incredibilmente
gentile, troppo gentile perchè non ci fosse qualcosa sotto.
- Non ti farò del male, vieni.
La ragazza cercò di premersi il più possibile
contro la parete, ma lui continuava ad avanzare.
- Brittany, so che hai paura. Ne hai tutte le ragioni. - riprese lui
con lo sguardo penetrante di chi sa di sapere. - Vieni con me. Non ti
succederà niente di male, te lo posso garantire. Io e la mia
famiglia ci prenderemo cura di te.
- Lasciami. - supplicava la ragazza, abbassando lo sguardo e facendo
del suo meglio per alzarsi, ma rendendosi conto sempre più
chiaramente di non esserne in grado.
- Brit, hai una gamba ed il menisco rotti, le arterie gravemente
danneggiate e perdi molto sangue dal viso. Hai bisogno di
cure. Vieni con me, e non appena starai bene, hai la mia parola che
potrai andare dove più ti piacerà. Te lo giuro
sul mio onore.
La ragazza annuì debolmente, ed un sorriso
illuminò il volto del giovane, facendolo sembrare un angelo.
Si avvicinò sempre più a lei e la prese in
braccio.
- Mi chiamo Edward.
- Pensavo che Bella
fosse l'ultima. - sibilò Rosalie quando Edward
varcò la soglia di casa Cullen, pur senza muovere lo sguardo
dal delicato abito che stava esaminando.
- Rose, non essere così aggressiva. - ridacchiò
Emmett, abbracciando la bionda da dietro e schioccandole un bacio sul
collo.
Carlisle scese velocemente le scale, mentre Jasper e Alice liberavano
in fretta il tavolo, posando tutto ciò che sosteneva sul
pavimento. Esme teneva per mano Bella.
- Cosa è successo? - chiese quest'ultima, con la voce
impregnata di ansia e preoccupazione.
Carlisle e Edward posarono con delicatezza la ragazza sul tavolo,
strappando ciò che rimaneva del suo vestito con movimenti
precisi e studiati.
- Ero a caccia. Sono passato davanti alla capanna del custode di un
cimitero a qualche chilometro da qui, e ho sentito. Ho sentito le sue
urla, ho sentito i suoi pensieri; non potevo stare lì senza
fare niente o ignorare tutto. - rispose, lanciando una frecciatina alla
sorella.
- Come si è ferita in questo modo, figliolo? -
sussurrò Carlisle preoccupato, tastando le sue ferite mentre
Jasper si irrigidiva e si rannichiava in un angolo.
- Ce la puoi fare, Jazz. Sei migliorato, lo sai. - bisbigliò
piano Alice.
- Quell'uomo, quella creatura orribile... è stato lui, lei
stava cercando di liberarsi, ma non ce la poteva fare da sola.
- E' grave, Ed, molto più di quanto non sembri. Non
c'è quasi più sangue nella gamba destra, l'aorta
è recisa, qualche costola rotta. Morirà
dissanguata in venti minuti al massimo. - disse il medico con un tono
tecnico ma non senza il dolore nella voce; quel dolore che è
impossibile evitare sapendo che un paziente non ha
possibilità di vita.
- La portiamo all'ospedale. - disse Emmett, sbrigativo.
- Non ce la farebbe. - sussurrò Carlisle
- C'è una sola possibilità, dico bene? - chiese
Edward, posando il suo sguardo sul padre.
- Oh, ma che strano. - brontolò Rosalie, sarcastica.
- Dovresti sentirti più vicina a lei di tutti quanti noi,
Rose. - disse Esme, che non aveva aperto bocca fino a quel momento.
- Se lei sapesse a cosa sta andando incontro, si lascerebbe morire. -
sibilò la bionda, voltando le spalle ed uscendo dalla stanza.
- Ci parlo io. - rassicurò Emmett, seguendola.
Il corpo di Brittany ebbe uno spasmo, e i suoi occhi si girarono: il
sangue sgorgava sempre più rapidamente.
- Jasper, prendi bella e portala da qualche parte. Un posto sicuro. -
disse Edward, guardando il padre. - Lo faccio io o lo fai tu?
- Lo facciamo insieme. - rispose lui con un mezzo sorriso, tuffando il
volto sul collo e sulle braccia della ragazza.
* Eleanor Rigby,
canzone dei Beatles,
parla di una donna perennemente sola, della cui morte nessuno si cura:
di qui la mancanza di cognome e date.
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