Yogurt

di Kukiness
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4.

Alla fine era quell'altra cosa




«Stasera danno un film.»


Penny alza lo sguardo. Mi sorride. «Mh,» dice. E aspetta.


«Già.»


È andata così anche all’esame di storia contemporanea. “Call, quando è caduto il muro di Berlino?” E io “Aaaah... il muro di Berlino... si trovava a Berlino... eeee...” E anche lì, tic-toc-tic-toc, sentivo i secondi che mi crepitavano addosso. E adesso è uguale, ma peggio, perché il muro di Berlino è caduto nel 1989, ma che cazzo di film davano al cinema che l’ho letto ieri e adesso non me lo ricordo più?


«Già, sì, come dire... è un film che...»


Che film? Che film era? Il genere? Ommioddio!


«Quando... È uscito tipo... E comunque dicono che è bello.»


Penny si mette a ridere. Mi piace quando ride, da morire. Butta la testa all’indietro e fa proprio ‘ah ah ah’, ma non troppo forte. Quando Penny ride, ride sul serio. Non hai mai dubbi su questo.


«Okay. C’è questo film misterioso, alla gente piace, ma nessuno sa che film sia.» Frulla le dita in aria. «Ci conviene andare a vederlo, a questo punto. Non pensi?»


Il disagio si dirada nel mio stomaco all’improvviso. Sorrido.


«Io... sì, pensavo appunto di vederlo...» Aggrotto le sopracciglia. «Con te. Nel senso, insieme. La stessa sera. Non insieme nel senso ‘noi solito gruppo che esce a cazzeggiare’, noi nel senso di noi due.»


«Call, mi stai spaventando. Respira.»


«Se non ti va è okay,» mi affretto a dire, e di nuovo tic-toc-tic-toc, non mi ricordo quando è caduto il muro di Berlino. «Cioè, lo dicevo tanto per dire, non è che io ci tenga disperatamente a questo film in particolare. Nel senso...» Oddio. Oddio!


Penny mi fissa perplessa. «Okay, allora non vuoi andare a vederlo?»


«No! Sì! Io...» Mi passo le mani sulla faccia. «È colpa tua. Mi agiti. Non riesco a pensare.»


Mi guarda fisso. «È tipo un... complimento? O mi stai sfottendo? Non ho capito.»


Scuoto la testa. «Era un... Beh, era un complimento. Ora che ci penso, era anche un bel complimento. Dovresti ringraziarmi.» Abbozzo un sorriso sbilenco, quello delle grandi occasioni, Embry – Sono Molto Sicuro Di Me – Call. Qualcosa mi dice che assomiglio a un quadro cubista.


«Allora grazie.» Mi sorride. Un lampo di comprensione le illumina gli occhi. Aveva ragione Seth. Da quando ha cambiato la montatura degli occhiali, ha lo sguardo più bello. Il muro di Berlino si sgretola nella mia testa.




Epilogo


Penny non è bella. Ha le spalle larghe, le sopracciglia spesse, gli occhi piccoli. Non può indossare i colori pastello perché stanno male sul marrone della sua carnagione, non si trucca spesso perché è allergica a metà dei prodotti in commercio, non si acconcia i capelli perché le piace stare comoda quando fa sport.


Penny però mi fa ridere. Non perché è buffa o strana, ma perché è sveglia. Più sveglia di me – di gran lunga, fidatevi. Penny la sa lunga: quando le ho detto di me e di noi e della cosa della foresta e della magia, lei ha fatto una faccia da ‘lo sapevo che c’era qualcosa sotto’. Quando mi sono trasformato per la prima volta davanti a lei ha detto che sembro un grosso coniglio e mi ha baciato sul naso. Penny sa qual è il mio gusto di yogurt preferito. Non gioco con lei alla Playstation perché non sa perdere e mi dà i pugni sulle spalle. Non sa nemmeno vincere, mi picchia comunque.


Due anni fa, i miei amici hanno smesso di chiamarla “il femmino”. Adesso è ufficialmente “il moglio”.





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