It's time to let you know. Time to
sit here and say.
I
know we are the lucky ones.
(Lucky, Bif
Naked)
Sesto Anno e la Rivelazione.
Violet
aveva smesso di pensare a Dominique Weasley.
Sul serio.
Durante il Quinto anno erano
successe le tipiche cose che accadevano durante
un anno scolastico. Prove, amiche, il proprio ragazzo.
Tutto era ruotato
attorno a quel piccolo, grande universo e nulla l’aveva
sconvolto. Violet aveva
smesso di cercare Dominique tra la folla. Gradualmente, aveva smesso di
chiedersi cosa stesse facendo e se gli amici di cui era circondata la
facessero
ridere come quando era con lei.
L’aveva
incontrata, certo. Avevano
avuto delle lezioni assieme. Si erano persino salutate qualche volta,
incrociandosi sole nei corridoi.
Dominique in quei momenti si
limitava ad un mezzo sorriso disimpegnato ed a chiamarla
‘Violet’. Come due
estranee: due studentesse di una scuola che si conoscevano, tutto
lì. Rapporti
civili.
Violet aveva smesso di
pensare
a Dominique Weasley, perché Dominique Weasley era chiaro non
pensasse più a
lei. Il suo sguardo le scivolava addosso come se fosse un volto tra la
folla.
Aveva intuito che il punto
di
rottura c’era stato al compleanno del Ministro, quando sua
madre si era
comportata… come sua madre.
Ma andava
bene così, anzi forse era stata la soluzione migliore, a
posteriori.
Violet, sedici anni, ad anno
iniziato e con una mole di compiti che la seguiva come un cucciolo
affamato,
aveva di meglio da fare che pensare al bacio scambiato nella radura
degli
unicorni con la ragazza dai capelli color argento.
Peraltro era stato il primo,
ma non l’ultimo con una ragazza; quell’estate,
l’estate dei suoi sedici anni,
aveva conosciuto Louise, quattro anni più grande di lei,
fidanzata con il
fratello maggiore di Mathieu. Louise aveva grandi occhi color ametista,
il
sorriso insinuante, le lentiggini e già il corpo di una
donna. Si erano baciate
sotto i portici della villa estiva degli Allard, sita in un delizioso
paesino
della Costa Azzurra abitato solo da maghi, ritrovo per eccellenza della
buona
società purosangue.
Louise le aveva spiegato
com’è
che andavano le cose, quando ti piacevano le ragazze ma avevi un
fidanzato.
“Nessuno
ti impedisce di avere un’amica un po’ speciale,
Violet.
Nessuno. Non siamo come quegli incivili dei babbani, non facciamo
caccia alle
streghe per chi ci portiamo a letto, vero? Le streghe siamo noi. Basta
tenerlo
segreto, basta non parlarne. È così per tutti
quelli come noi…”
Violet aveva compreso. Si
erano sorrise e poi c’erano stati altri baci. Avevano nuotato
nel lago a
mezzanotte, e fatto l’amore sotto le stelle. Era stato bello,
ma breve; Louise
era tornata a Parigi con il suo fidanzato, e lei era tornata a
Beaux-Batons.
Mathieu aveva visto le sue
lacrime al commiato, ma non aveva detto nulla. Non pensava neppure gli
importasse. Andava a letto con molte ragazze, alcune delle quali ogni
mattina,
a scuola, le auguravano amichevoli il buongiorno. Quando
l’aveva scoperto, Violet
non aveva provato nulla. Forse sollievo. Da quando il suo fidanzato la
tradiva
era meno insistente nel cercare un contatto con lei.
Le loro famiglie
già parlavano
di matrimonio, finita la scuola. Inizialmente per Mathieu, che si
sarebbe
diplomato quell’anno, poi sua madre aveva fatto pressioni
perché invece si
celebrasse dopo il suo, di diploma.
Violet aveva pensato che non
faceva poi molta differenza, ma che preferiva non avere un anello
d’oro al dito
quando ancora ascoltava parlare le amiche del perfetto principe azzurro.
Il perfetto principe azzurro
non esisteva; e se fosse esistito, a lei non interessava. Era solo uno
stupido
costrutto per chi non sapeva. Era
chiaro che la faccenda degli ‘amici speciali’ non
fosse solo in senso saffico…
Louise non l’aveva detto, ma Violet sapeva che i matrimoni
purosangue non erano
un esempio di luminosa fedeltà. Violet lo sapeva come sapeva
che sua madre si
vedeva con un uomo, un alto funzionario del Ministero: un giorno Pansy
Parkinson-Goyle avrebbe aggiunto un altro cognome alla lista,
presentandoglielo
come un dato di fatto.
Non
ha mai voluto che fossimo solo io e lei.
“Le
donne come noi, Violet, non possono permettersi di
sbattere semplicemente le ciglia come delle sciocche. Devono calcolare.
Come
in una partita a scacchi, come in una guerra. Le donne come noi, devono
far
politica mentre sono in camera da letto. Solo così avremo la
posizione che ci
spetta per nascita, solo così avremo un marito che ci
rispetta, che ci è utile.”
Violet era consapevole di
non
essere bella – che era ciò che le aveva fatto
intuire tra le righe sua madre con
quel discorsetto. Aveva quel detestabile naso a patata, le ginocchia
storte e
qualche chilo di troppo. Mathieu Le Beau
ci rimetteva più di lei, nel loro futuro matrimonio. Ma,
come si vociferava nei
salotti, sua madre sarebbe stata capace di vender draghi ai rumeni.
“…
anche quella ragazzina insignificante di sua figlia.
Priva di brio, priva di grazia… Gli Allard hanno proprio
fatto un pessimo
affare. Oh, ma Madame Pansy com’è
furba…”
Quando Violet sentiva quelle
vecchia dame ingioiellate parlare, aveva voglia di urlare. Aveva voglia
di
gridare, come aveva gridato contro Dominique. Ma era consapevole che
quelle
arpie non l’avrebbero guardata con la stessa calma
tranquillità della Weasley.
“Violét?”
La apostrofò Sophie dandole un colpetto sulla mano. Il
professore spiegava Incantesimi e la sua pergamena era bianca.
“Stai bene?”
Sophie andava a letto con Mathieu. Ne era abbastanza certa, e la
notizia più
che farla arrabbiare, l’aveva fatta ridere. Mathieu non era
certo un asso a
letto, date gli scarsi preamboli di cui la omaggiava. Però
era ricco, e faceva
bei regali.
Sophie,
la gazza ladra… tutto ciò che luccica. Oh, come
le piace tutto ciò che luccica.
“Sì,
sto bene. Ero distratta.”
Rispose, mentre la campana di fine lezione si annunciava prepotente.
Radunò le
sue cose mentre l’altra le parlava della partita che si
sarebbe tenuta quel
pomeriggio trai Bleu e le Rose, i
due
dormitori in cui era divisa la scuola: anche ad Hogwarts si teneva una
cosa
simile, rifletté distratta, anche se l’agonismo in
terra scozzese raggiungeva
livelli parossistici.
Qui
nessuno si fila il Quidditch, tranne i ragazzi,
qualche ragazze che ha la femminilità media di un Orco e
naturalmente…
“Domi, oggi li
stracciamo!”
Urlò uno dei suoi compagni all’attuale Capitano
dei Bleu.
Dominique si era fatta
crescere i capelli anche se cocciutamente li radunava in una coda
sommaria e da
cui sporgevano ciuffi asimmetrici. Comunque stava benissimo. Violet non
sapeva
se fosse stata una cosa voluta, ma aveva notato che ultimamente i
maschi che fino
all’anno prima le erano ronzati attorno camerateschi, avevano
ridotto le pacche
sulle spalle e moltiplicato le occhiate.
Dominique sembrava non
accorgersi di nulla e continuava a trattarli come una mandria di grossi
Crup
amichevoli.
Violet era convinta che
prima
o poi, uno di quei ragazzi, forse il più intraprendente,
forse il meno
orribile, sarebbe riuscito a catturare lo sguardo della Weasley.
Non può continuare a comportarsi
come un
ragazzino di dodici anni per sempre, no?
Dominique le
passò accanto,
accompagnata dalla solita mezza dozzina di amici e
dall’immancabile cugino.
Violet non poté
fare a meno di
guardarla e anche l’altra ricambiò. Era tutto
ciò che era rimasto del loro
strano rapporto durato quasi quattro anni: sguardi.
“Violet? Abbiamo
la prossima
lezione, vuoi arrivare in ritardo?” Era Jenny, che spesso
capiva. Non
abbastanza, per fortuna, da sapere.
La Weasley distolse lo
sguardo, e passò un braccio attorno alle spalle del compagno
rumoroso di prima,
sghignazzando con lui. Violet prese la borsa e seguì le
proprie amiche.
I loro universi si erano
soltanto sfiorati. Tutto lì. Dopo essersi sfiorate, le era
stato spiegato in
Aritmazia, due linee potevano anche separarsi per sempre.
Lei e la Weasley erano
quelle
due linee.
****
Dominique amava fare due
cose
prima di una partita. La prima, non seguire le lezioni; la
deconcentravano dal
perfetto stato mentale in cui doveva trovarsi una volta scesa in campo.
La seconda, un sonnellino
pomeridiano, e se il tempo lo permetteva farlo sotto il grande albero
di tiglio
vicino ai cancelli della scuola.
Da quell’anno
anche il
fratellino Louis la accompagnava. In effetti, al momento, se la stava
dormendo
della grossa appoggiato al tronco secolare.
L’idillio fraterno
fu presto
rotto.
“Dom?”
Dominique aprì un occhio per controllare chi la chiamasse.
Naturalmente era
Mael, che si era inginocchiato con un sorriso divertito. “Non
avete paura che vi
mangino le formiche?” Le chiese.
“Non se sai dove
sdraiarti.
Che vuoi, ninfetto?” Guardò verso il fratellino.
“E fa’ piano, che dorme.”
Il ragazzo gonfiò le guance all’offesa, che poi
tale non era. “Intercessione.”
Si sedette accanto a lei, dando un’occhiata analitica al
terreno e una
distratta al bambino dormiente. “Nicolas, lo sai.”
Dominique alzò gli occhi al cielo: Nicolas era il secondo
cacciatore dei Bleu. Un buon amico,
un eccellente
sportivo e un leale vice-capitano. Secondo le ragazze, era anche un bel
tipo.
Aveva un bel naso, sempre secondo il parere femminile del gruppo.
Dominique si chiedeva spesso
come un naso potesse essere bello.
“Senti,
perché non me lo dice
di persona che vuole andare alla festa del dopopartita con
me?”
“Gli diresti di
sì?” chiese
speranzoso Mael, che del ragazzo era buon amico.
“No.”
Mael emise un lamento, prendendosi teatralmente la testa tra le mani.
“Qual è
il tuo problema, Domi? Mi hai detto neanche due settimane fa che ti
piaceva!
Gliel’hai anche detto, in faccia!”
“Mi piace, sì.” Confermò.
“Come amico.” Si frenò dal ridere
vedendo
l’espressione esasperata del cugino. “Che
c’è? Dico solo la verità… mi
dispiace, ma non riuscirei a vederlo come potenziale…
err.”
“Ragazzo.”
Sbottò truce l’altro.
“Santo cielo, sei una delle ragazze più belle,
anche se…” E qui lanciò
un’occhiata aspra ai suoi jeans. “Insomma, sei
bella! È universalmente risaputo!”
“Beh, grazie. Lo
so anch’io.”
“Allora perché non ti trovi un
ragazzo!?”
Dominique gli diede un calcetto, indicando Louis che fece un lieve
sospiro
soddisfatto, continuando a sonnecchiare ai tiepidi raggi del sole
autunnale.
“Perché
non me ne frega un tubo.”
Dichiarò solenne. I ragazzi le piacevano, ma come amici. Si
trovava più a suo
agio con loro che con, ad esempio, il prototipo delle amichette
fotocopia di
Piggie.
Ma
questo non significa che voglia farmi infilare la
lingua in bocca e tastare il sedere da uno di loro.
Cioè,
so che c’è dell’altro. Romanticherie,
tramonti e
promesse d’amore.
Non
mi interessa manco quello.
Se un ragazzo le faceva un
complimento le veniva solo da ridere.
Mael fece una smorfia
scornata, prendendo a strappare fili d’erba forse per evitare
di strappare i
capelli a lei. Da bambino aveva quel vizio durante le liti.
“Quando crescerai
Domi?” Esordì. “ Non è tutto
Quidditch, Arod e le tue vacanze in Romania.
Potresti avere tutti i ragazzi che vuoi… e non ti dico tu ti
debba innamorare,
ma che ne so, fare esperienza?”
“Perché?”
“Perché non è normale che tu ti
comporti così!” Sbottò di colpo.
Dominique
ammutolì. Sapeva che il cugino era un ansioso patologico, e
che vedeva problemi
quando spesso in realtà non c’erano.
Però
a ben pensarci… del mio gruppo son l’unica che non
si è ancora trovata nessuno con cui pomiciare tra una
lezione e l’altra.
Dava
da pensare, in effetti.
“I ragazzi non
sono amici con
cui giocare… capisci? Non puoi abbracciarli e trattarli
come… non so, cuccioli!
Ormoni, ne hai mai sentito parlare?” Aggiunse.
“Possibile che non ti piaccia
nessuno?”
Dominique avrebbe voluto tappare la bocca all’ansiogeno
cugino visto che quando
ci si metteva era davvero urtante.
Ma
non sapeva bene come: su quel lato le cose erano nebulose anche per
lei.
Sua sorella le dava
palesemente della tarda. In realtà era più una
questione di priorità:
per lei era più importante
godersi la vita, non avere problemi e cercare di passare più
giorni estivi
possibili in Romania.
“Non
è che ti piacciono le ragazze?” Quella
era la seconda domanda più quotata presso i più
ficcanaso dei suoi amici. E la
risposta era sempre la stessa.
“Non penso
proprio.”
Ed era vero. Le ragazze che conosceva, anche quelle del suo gruppo, le
trovava
noiose da morire. Non avevano gli stessi interessi, non sapeva mai di
cosa
parlarci e finiva sempre che la fissavano in modo strano. Le sue cugine
erano
le uniche che fossero abituate al suo modo di fare visto -
eufemisticamente
secondo Rose – come rude.
L’unica
persona che un po’, forse, m’è
piaciuta…
Accantonò quel
pensiero: si
era ripromessa che non ci avrebbe più pensato.
E Dominique Weasley mantiene sempre fede
ai suoi propositi.
“Se vado alla
festa con Nicolas,
chiudi il becco?” Chiese spazientita. Voleva farsi la sua
oretta di sonno
ristoratore e poi andare a mandare in rete la loro sicura vittoria.
Il cugino scrollò
le spalle.
“Non è che devi fare un favore a
me.
Se non vuoi andarci, è meglio che non lo illudi.
È pazzo di te.”
Già, ma non io di lui…
Sembrava che per tutto il
resto del mondo fosse shockante la sua mancanza di interesse per le
faccende
amorose. Che poi
non che fosse del tutto
vero: aveva baciato una ragazza e le era piaciuto. Ma dopo Violet, non
aveva
provato la stessa divorante curiosità per
nessun’altra.
E
Piggie è ormai in odor di fiori d’arancio con
Allard,
no?
Si alzò in piedi
di fronte
all’aria perplessa di Mael e si caricò sulle
spalle il fratellino senza che ci
fosse alcun cambiamento nel ritmo del sonno.
Beato
lui. Vorrei tornare anch’io ad avere undici anni.
Non avevo amici così rompipalle, allora.
“Dove
vai?” Le chiese Mael,
con aria confusa. “Pensavo dovessi fare il tuo
sonnellino.”
“No, sai…” Si aggiustò meglio
Louis sulle spalle e ghignò. “Qua è
pieno di
formiche.”
Le urla di suo cugino si
sentirono fino al palazzo.
****
Dominique non amava tutta la
sua squadra.
Sapeva che non era giusto,
che
dovevano essere tutti uniti.
Funzionava per un branco,
funzionava per gli esseri umani, che avessero sangue magico o meno.
Dominique adorava i suoi
ragazzi, ma detestava Mathieu Allard.
Non soltanto
perché era un
tronfio deficiente, che passava metà del tempo ad
accarezzarsi i muscoli e
l’altra metà, probabilmente, questo non poteva
saperlo, a misurarsi l’uccello e
pretendere di essere il vincitore assoluto.
Dominique lo detestava
proprio
per chi era. Detestava Mathieu Allard perché
sì.
Un
giorno quel boccino glielo ficco su per il…
“Nicky?”
La richiamò la
seconda battitrice, una basca dalla mira micidiale. “Sei
pronta?” Si assicurò
la mazza alla cintura con un movimento deciso. “Intanto
usciamo… lo sai che i
ragazzi ci mettono anni.”
“Pronta,
arrivo!” Replicò
stringendo i legacci dei gambali e mettendosi la scopa sulle spalle.
Lo spogliatoio delle ragazze
–
ovvero solo lei e Amaya, anche se nelle partite minori giocavano due
piccole ma
agguerrite riserve del Secondo anno
-
era l’ex-spogliatoio dei ragazzi, ceduto dai suddetti con la graziosa intercessione della Preside.
Poveracci.
Sono costretti a cambiarsi nello sgabuzzino
con un incantesimo di estensione irriconoscibile.
Amaya si avvicinò
alla porta.
“Che dici, andiamo ad infastidirli come l’ultima
volta?” Ghignò.
Dominique fece un sorrisetto
di rimando. L’ultima volta erano tutti scappati strillando
come delle
ragazzine, nudi in più gradi di imbarazzo. Era stato
divertente.
Anche
se Amaya secondo me non l’ha fatto proprio per
farsi
due risate…
“Nah,
aspettiamoli. Se li
agitiamo prima della partita capace che neanche riescono a salire sulla
scopa.”
Replicò, ignorando l’espressione delusa
dell’altra.
La porta era però
di legno
sottile e da fuori si sentiva tutto. Dominique notò che la
voce di Mathieu
sovrastava le altre. Stavano ridendo.
“Insomma, stasera
è
obbligatorio darci dentro, segaioli!” Fuori dai contesti
formali, il pupillo
degli Allard non era esattamente una bocca di rosa. “Chi non
si trova una
femmina, è un pallemosce!”
“Grazie tante, Mat!” Replicò il
Portiere, famoso per l’acne da cui era
afflitto, talmente tenace che neanche la più potente delle
pozioni
Antiforuncoli ne aveva avuto ragione. “Tu ce l’hai
già la ragazza! Sei pure
fidanzato!”
“Sì,
anche se a volte si
confonde e imbocca la camera sbagliata!” Seguirono qualche
sghignazzo.
E nessuna smentita.
Dominique corrugò
le
sopracciglia. I sottointesi da spogliatoio non erano mai
sottointesi. “Allard mette le corna alla
Parkinson?” Chiese ad
Amaya.
La ragazza la
scrutò
perplessa. “Guarda che lo sanno tutti… si fa
metà dormitorio femminile delle
Rose. Ma dove vivi, Nicky?”
Intanto
l’esplosione di
virilità dietro la porta continuava.
“Okay che la
Parkinson non è
una bellezza, amico…” Soggiunse il Portiere.
“Ma davvero voi purosangue
aspettate il matrimonio per impalmarvi la fidanzata?”
“Magari non si
aspetta così
tanto… magari stasera le servo il piatto Allard al gran
completo. Vedrete
domani che bel sorriso.” Replicò e poi ci furono
nuovi sghignazzi.
Amaya fece una smorfia.
“Scimmioni.” Commentò poco turbata.
“Direi che mi dispiace per la Parkinson, ma
è talmente stronza che se li merita dei discorsi da
spogliatoio così.”
Dominique non disse nulla:
non
capiva bene perché sentisse l’urgenza di entrare
nello spogliatoio e
trasformare Allard in un gigantesco, bavoso lumacone.
Non
che io e Violet abbiamo più molto in comune… mai
avuto, a dirla tutta. E poi, se vuole stare con un bastardo del genere,
son
fatti suoi.
Sentirono poi la porta
aprirsi. Il primo ad uscire fu proprio Allard, che servì
loro un sorrisetto.
“Oggi vediamo di
spaccare il
culo a quelle mezze seghe delle Rose, eh Capitaine?”
Dominique replicò
il sorriso.
“Puoi contarci, Allard.”
Lavoro di squadra. Lavoro di squadra.
Dominique scoprì
alla
veneranda età di sedici anni che non era sempre possibile
convincersi delle
cose solo ripetendosele.
****
I Bleu
avevano vinto centocinquanta a centotrenta, e non per merito
della Weasley.
Violet non capiva molto di
Quidditch, aveva solo delle nozioni di base, apprese da Mathieu che
invece ne
era un patito… o ascoltando le chiacchiere rumorose della
Weasley e dei suoi
amici durante le lezioni o quando si sedevano vicino a lei in
refettorio,
durante i pasti.
Sapeva che il Cercatore
–
Mathieu – era un pezzo fondamentale della squadra. Quella che
solitamente la
portava alla vittoria: perlomeno così diceva lui.
La realtà che
aveva più o meno
intellegito dalle partite intra-scolastiche era un filino diversa: era
Dominique che teneva i punteggi della squadra alti, assieme
all’altro
Cacciatore, Simon. Mathieu prendeva il boccino solo a fine partita,
quando era
ovvio e comprovato che la squadra avrebbe vinto.
Mathieu era un ragazzo dalla
vittoria
facile: prendersi la gloria era molto più semplice se i
Cacciatori erano bravi.
Violet più o meno
aveva capito
questo, ma quel giorno la partita era andata in modo diverso.
Dominique aveva fatto pena:
non aveva intercettato un passaggio ed era stata quasi disarcionata da
un
bolide. Violet non aveva idea di cosa significasse ‘volare
come un giocatore dei Chudleys’ ma
l’aveva sentito dire ad un
addolorato Louis Weasley, mentre guardava la sorella quasi
l’avesse tradito.
Ad intuito, non le era
sembrato
un complimento.
Violet aveva visto tutta la
partita – faceva parte dei suoi doveri di fidanzata
– e in effetti aveva notato
come il gioco di Dominique quel giorno fosse stato scarso.
Per questo motivo, Mathieu
aveva dovuto muovere il culo per una volta, ed ingaggiare un testa a
testa
furioso con il Cercatore dell’altra squadra. Era riuscito a
strappargli il
boccino da sotto il naso e la partita era stata vinta per puro rotto
della
cuffia.
Che
diavolo le è preso? Quando gioca di solito si
trasforma in una persona seria.
Non aveva avuto molto tempo
per rifletterci, perché appena scesa dagli spalti era dovuta
andare incontro a
Mathieu e seguirlo nel suo codazzo di gloria, portato a braccia dalla
squadra
festante.
Beninteso:
tutta la squadra meno Weasley.
Adesso si trovava nella Sala
Principale, a festa iniziata. Come invitata speciale, come annoiata
particolare. Mal sopportava quel genere di chiassosa manifestazione di
virilità
da parte dei ragazzi e di compiaciuta civetteria da parte delle sue
amiche.
Chissà
se ad Hogwarts quando una delle loro Case vince
è così…
Già scorrevano
fiumi di Vino
Elfico importato dalle Ardenne, e il refettorio era pieno di musica: le
vittorie scolastiche erano l’unica manifestazione di natura
non-ufficiale che
la Preside permettesse.
Violet aveva indossato il
suo
vestito migliore e si era truccata. Un evento sociale in ogni caso era
un
evento sociale.
Prese un calice e lo
sorseggiò. Fece una smorfia: l’alcolico era
ovviamente allungato.
Dove
c’è sangue babbano, ci sono cocktail allungati.
È
una costante.
Rivolse qualche parola alle
amiche, accanto a lei, per quanto la musica lo permettesse. Mathieu era
in
mezzo alla sua squadra e …
Vide che Sophie era con lui,
piena di sorrisetti e tocchi leggeri, amichevoli ma con un sottotesto
esplicito
per chi sapeva.
E Violet sapeva.
Improvvisamente ebbe voglia
di
vedere Dominique: non si parlavano da quasi due anni, se non qualche
convenevole, ma non era quello il punto. Aveva voglia di vederla tra la
folla,
quella testa platinata, e sapere che c’era.
Sapere che per un momento, per qualcuno aveva significata qualcosa.
Sempre
che non si sia semplicemente divertita a sperimentare
con
te.
Louise
la pensava così. E tu quella volta le hai dato
ragione, no?
Jenny vedendo la sua
espressione e intercettando la sua occhiata in direzione di Mathieu e
Sophie,
fraintese. “Violet, dovresti davvero fare quattro chiacchiere
con Sophie.” Le
disse seria. “Non può permettersi di comportarsi
così con il tuo fidanzato. In
pubblico per giunta!”
Violet batté le
palpebre.
Sorrise di circostanza, mentre gli occhi continuavano a cercare una
persona del
tutto diversa. “Non è certo l’unica
amichetta di Mathieu. E poi…” Le venne un
improvviso desiderio di dire la verità. Di urlarla.
“… e poi non me ne importa nulla.”
“Scusa?” Ovviamente Jenny poteva capire, ma non
poteva sapere. Non poteva sapere
come per Mathieu non avesse un briciolo
di stima, o affetto. Non poteva sapere
che nessun ragazzo avrebbe mai rapito il suo cuore. Non
poteva sapere
che nonostante i giorni passassero e le stagioni si avvicendassero,
quella
stramaledetta testa matta continuava a danzarle nella visuale. Bastava
solo un
nuovo accenno, una scintilla, per riaccendere quella
cosa.
Qualunque cosa fosse, e
Violet
davvero, non voleva darle un nome.
“Io
…vado.” Disse brusca.
Dominique non era lì e lei non voleva restare. Non sarebbe
andata a cercarla
però, non avrebbe avuto senso: sarebbe andata a letto,
dopotutto era già tardi.
“Violet!”
La chiamò Jenny, ma
non si voltò indietro.
Non riuscì a
salire le scale
che portavano ai dormitori superiori che si sentì afferrare
per un braccio.
Dominique.
Ma non era lei,
perché la
stretta era forte, troppo. Era Mathieu.
“Ehi, dove
vai?” La apostrofò
con un sorrisetto confuso. “Non è quella la
direzione per il tuo dormitorio.”
“I dormitori sono tutti al
piano di
sopra.” Replicò infastidita, sentendo una morsa
allo stomaco. Davvero, non stava
andando a cercare la Weasley anche se stava andando verso la parte
destra
dell’enorme scalinata di marmo.
Il suo fidanzato fece una
smorfia
divertita. Puzzava di Vino Elfico. Tanto Vino Elfico.
L’avranno
pure annacquato e speziato per farlo reggere
ai Ne-Moldu, ma di sicuro lui ne ha bevuto abbastanza da
ovviare al problema.
“Guarda che non
sono stupido…”
La mano era sempre lì, sul suo polso. “Tu vai a
cercare l’unica Bleu che
stasera non festeggia.”
Violet sentì il sangue gelarsi nelle vene: come aveva fatto
a capire,
quell’idiota del suo fidanzato, che …
No, decise, non era possibile che sapesse.
“Sto andando a
letto, Mathieu.
Cosa che dovresti fare anche tu, viste le tue condizioni. Sei
ubriaco.” Replicò
freddamente, cercando di liberarsi. Per tutta risposta,
l’altro serrò la presa
facendole ingoiare un gemito.
“Com’è
scopare con una
ragazza, quando sei una ragazza?” Ghignò,
ignorando il suo consiglio. “Sono
sicuro che t’è piaciuto stare tra le gambe di
Louise.”
“Non so di cosa stai parlando, e lasciami, mi stai facendo
male!” Louise aveva
parlato? Non poteva averlo fatto. Eppure non c’era altra
spiegazione.
“Non pensare che
Louise sia
meglio di me… o Morgana ce ne scampi, che lo sia quel
fenomeno da baraccone
della Weasley. Con la famiglia che ha, è un miracolo che non
ululi sul tetto
della scuola.”
Violet si sentì come la sera del compleanno del ministro:
umiliata e infuriata.
Ma non con Dominique. Quella sera aveva odiato sé stessa.
“Lasciala
fuori.” Sibilò.
“Lascia fuori la Weasley dalla nostra situazione. Situazione,
poi…” Le venne
quasi da ridere. Perché era
ridicolo.
“È una farsa. Noi siamo
una farsa. Se
tu vai a letto con le mie amiche, non vedo perché io dovrei darti una spiegazione su cosa
faccio!”
Mathieu non diede segno di
essere rimasto impressionato dalle parole. Era ubriaco, e quasi
certamente
capiva metà di ciò che gli aveva detto. In
compenso le afferrò l’altro polso,
spingendola di colpo contro il muro. “Tu sei la mia fidanzata.” Le
mormorò con il viso vicinissimo al suo. Gli
tremavano disgustose goccioline di saliva sulle labbra, labbra tanto
decantate
dall’universo femminile della scuola. “…
che ti piaccia o meno, prima o poi
dovrai farti toccare da me.”
Violet ebbe paura. Una realizzazione, intempestivamente stupida;
Mathieu era
più forte di lei, con o senza bacchetta ed erano in un
corridoio vuoto, mentre
la maggior parte delle persone era lontana, in mezzo al chiasso:
nessuno
l’avrebbe sentita chiedere aiuto.
“Mathieu…
non … non qui, per
favore.” Tentò.
“Perché no? Hai scopato la mia cognatina in riva
ad un lago, questo in
confronto è un lusso.” Replicò
velenoso. Allora sì, sapeva, Louise aveva
parlato. Forse aveva anche riso, di quella sua risata piena di malizia,
quando
l’aveva confessato al novello sposo, o chissà, ad
un intero consesso di
persone.
A Violet venne da piangere.
Mathieu le ficcò le mani sotto il vestito, infilandole una
gamba tra le sue,
forzandola ad aprirle.
Non
così. Non così, ti prego Morgana, non
così.
Sentendo la bocca umida di
Mathieu sul collo realizzò che la loro futura vita
matrimoniale sarebbe stata, così.
Perché Allard la detestava quanto
lei detestava lui, perché erano entrambi intrappolati in un
contratto che non
avevano scelto, ma che era stato loro imposto.
Tentò di
spingerlo via, lo
morse, lo graffiò. Doveva farlo, non si sarebbe mai arresa a quello, lei.
Sono
Violet Parkinson-Goyle, sono Violet
Parkinson-Goyle… sono…
Realizzò di stare
singhiozzando quando l’altro le sbatté con forza
una mano sulla bocca,
togliendole il fiato.
Non
voglio. Per favore, non voglio. Sono una persona
orribile, lo so, ma non voglio.
Non voglio, per favore…
E poi Mathieu
schizzò
all’indietro, strappandosi da lei come se fosse stato
afferrato da una mano
gigante.
…
cosa…
Violet ci mise qualche
secondo
a rendersi conto che era stato un incantesimo a far ruzzolare
l’altro dal lato
opposto del corridoio.
Individuò
immediatamente la
bacchetta che l’aveva lanciato. E di chi era.
La Weasley era letteralmente
sbucata dal nulla e stava a pochi passi da lei. Notò che
indossava ancora il
maglione e i pantaloni dell’uniforme da Quidditch.
“Dominique!”
Le uscì fuori
naturale come respirare. L’altra le lanciò
un’occhiata.
“Non stai
bene.” Non le chiese,
attestò. Dominique era assurda anche in quello. Poi si
voltò verso Mathieu, che
nel frattempo si era rialzato, stordito e furioso.
“Weasley!”
Ruggì, tentando di
riallacciarsi i pantaloni scordinatamente. “Weasley, fatti i
cazzi…”
“Non ce l’ho, ma tu sì, e lo stavi decisamente
usando nel modo sbagliato.” Lo interruppe. Violet fu quasi
intimorita dalla totale
mancanza d’espressione sul viso dell’altra che le
lanciò poi una seconda occhiata.
Notò i suoi polsi lividi e forse anche il taglio sul labbro.
Perlomeno
dall’espressione, sembrava. Certo, il corridoio era buio, ma
non si sarebbe
stupita nello scoprire che la Weasley aveva la vista notturna di un
gatto.
“Cos’è,
vuoi attaccare briga?”
Sbuffò Mathieu. I duelli erano mal tollerati dalla Preside:
per eufemizzare.
Se
vieni beccato c’è l’espulsione.
Dominique intuì
che l’altro sottintendeva
i duelli proibiti. Ma non gliene fregava nulla.
Di
solito
aveva un carattere che le impediva di arrabbiarsi con qualcuno.
Però c’erano
momenti che chiamava Bianco Assoluto.
Momenti in cui era talmente
incazzata che il cervello le andava in panne e non riusciva proprio
ricordarsi
che la sua indole avrebbe dovuto essere pacifica.
Violet era a pochi passi da
lei. Sempre dritta come un fuso, ma con il vestito strappato, e
graffi… e
lividi. E gli occhi enormi, sgranati, spaventati a morte.
Dominique non era riuscita a
far presenza alla festa, quella sera. Si era resa conto di aver fatto
schifo
alla partita –suo fratello gliel’aveva sottolineato
con indignazione più volte
– e le era sembrato poco serio festeggiare una vittoria a cui
non aveva
contribuito.
Se alla fine aveva fatto
un’improvvisata, era stato solo perché Mael
l’aveva trascinata fuori dalla
stanza.
Arrivata, aveva passato una
manciata di minuti in compagnia della squadra, prima di accorgersi che
qualcosa
non andava. Non aveva subito capito cosa, poi aveva notato
un’assenza. Piggie.
A quelle feste era sempre
circondata dalle sue amiche come un castellana con il suo fortino,
annoiata e altezzosa,
ma c’era sempre. Non quella sera: c’erano le sue
amiche, ma non lei.
Aveva chiesto in giro e le
era
stato risposto che aveva lasciato la festa seguita dal fidanzato.
A quel punto, qualcosa nella
sua testa aveva fatto una somma e dato un risultato.
Era andata a cercarla e
aveva
visto quello.
Con l’ultimo
barlume di calma
aveva stimato una cosa: non era stata mai così arrabbiata in
vita sua.
Mathieu intanto, vedendo che
non ribatteva alla sua domanda, si sentì rassicurato.
Afferrò di nuovo Violet
per un braccio. L’altra però doveva aspettarselo,
perché schizzò indietro con
rapidità, suggendo alla presa. Allard le lanciò
un’occhiata che prometteva
ritorsioni. Riuscì comunque a sfoderare un sorrisetto di
circostanza. “Se non
ti spiace, io e la mia fidanzata ce ne…”
“No.” Lo
interruppe di nuovo.
“Tu sulle tue gambe non te ne vai.”
Replicò con cortesia. Lanciò la bacchetta
alle spalle. E gli tirò un calcio esattamente dove doveva.
Un’ora
dopo circa.
Violet non riusciva a
credere
che fosse accaduto tutto ciò che era accaduto.
Tutto ciò che
coinvolgeva
Dominique Weasley aveva un quoziente di rilevante pazzia.
La Weasley aveva letteralmente preso a botte Mathieu
iniziando, peraltro, da un mirato calcio nei testicoli.
Avrei
dovuto pensarci io…
In realtà non era
stato
neanche una rissa, come già si vociferava. Non ce
n’era stato il tempo, visto
che dopo neanche due minuti era arrivata tutta la squadra dei Bleu al gran completo. Era stato
però Mael
a prendere di peso la cugina e staccarla dal cumulo di gemiti in cui si
era
trasformato Allard.
Non
pensavo avesse tutta quella forza. Sembra una
ragazzina…
Non era stata usata magia e
a
posteriori, chiunque avesse avuto l’idea primigenia di
tenersi la bacchetta in
tasca, aveva avuto una gran pensata. Quando la Preside era arrivata,
seguita da
una corte di professori, si era capito che la questione era seria.
Ci
mancava vedesse esplodere incantesimi ovunque…
Dopo aver visto lo stato in
cui era ridotto Mathieu –il naso sembrava essergli
esploso– Madame
l’aveva spedito in infermeria.
Poi aveva guardato la piccola folla di giocatori uno ad uno.
“Cos’è
successo?”
Non c’era stato
fiato: Violet
aveva intuito che nessuno, a conti fatti, ci aveva capito niente.
Dominique si era chiusa in
un
mutismo ostile. Era dunque rimasta solo lei.
“Professoressa,
io…” Aveva iniziato,
ma la Preside, notandola, aveva sgranato gli occhi. Non c’era
stato bisogno di
parole. Violet non era mai stata così sollevata in vita sua.
Comprensione istantanea o
meno, a Dominique era stato comunque ordinato di seguire il professore
di
Incantesimi nella cella delle punizioni: nome inquietante che in
realtà
designava una stanzetta in cui venivano fatti dormire i ragazzi che si
macchiavano di effrazioni notturne. Una misura precauzionale per
evitare che tornassero
in dormitorio a vantarsene.
Ma
Dom non ha fatto proprio nulla! Cioè…
sì, ma…
Violet era confusa, seduta
su uno
dei letti dell’infermeria, divisa in settore femminile e
maschile.
Il giorno dopo avrebbe
dovuto di
sicuro parlare, spiegare, forse confessare.
Ma
adesso… adesso vorrei solo… sapere.
L’infermiera, dopo
averla
medicata, era uscita raccomandandosi di chiamarla in caso di qualsiasi
bisogno.
L’aveva guardata con pena, con attenzione.
Sto
bene. No, davvero. Sto bene.
Sarebbe potuto andare
peggio.
Mathieu avrebbe potuto farcela. Invece era arrivata la Weasley e aveva
fermato
tutto.
Perché?
Alzarsi e incamminarsi verso
l’ala del castello dove c’era la cella di punizione
fu tutt’uno. Non c’era
un’anima in giro, era già tutto finito.
Quindi era sola, tranne che
per Dominique, dietro la vecchia porta che aveva davanti.
Si guardò attorno e poi vi si appoggiò.
“Weasley?” La chiamò. Sperò
che non
dormisse. Conoscendola, poteva essere
un’eventualità.
Ci fu un cigolio. Una
branda: Dominique
l’aveva salvata e dormiva su una branda.
“Piggie?”
Chiese la sua voce
dietro la porta. “Che ci fai qui?”
“Pensavi non sarei venuta?” La apostrofò
di rimando. Si sentiva le gambe
pesanti. La paura le stava passando e con essa l’adrenalina.
Trovò dunque
ragionevole sedersi a terra.
Ci fu un po’ di
silenzio
dall’altro lato. “Beh, mi sbaglierò, ma
ti hanno detto di restartene buona
buona in infermeria. Questa non
è
l’infermeria.”
“E
quindi?”
“Di solito non fai tutto quello che ti dicono?”
Colpita
e affondata.
“Stupida.”
La rimbeccò, perché
la palla in quella conversazione doveva rimanere a lei.
“Piuttosto, stai bene?”
Le venne in mente che Mathieu non era rimasto passivamente a farsi
picchiare,
ma aveva reciprocato con tutta la rabbia di cui era capace.
“Sono stata
attaccata dai draghi, Parkinson.
Pensi che mi possa
lamentare di due schiaffetti isterici? E poi tranquilla, la Preside si
è presa
cura di me.”
Violet non poté fare a meno di sorridere sollevata. Si
appoggiò con le spalle
alla porta: era davvero stanca. “Io…
grazie.” Esordì; quello era giusto, non la
brandina. “Se non fosse stato per te…”
Lasciò cadere la frase, sentendo un
brivido scuoterla. Non era freddo. Erano ricordi freschi.
“Non
c’è di che.” Ribatté
l’altra come se non fosse stato niente.
Di
nuovo.
Violet si infuriò
di fronte
all’ovvia ottusità dell’altra.
“Ti rendi conto che rischi l’espulsione?!”
Non la lasciò rispondere.
“Ti rendi conto che rischi di mandare ai Dissennatori la tua
carriera
scolastica? Non c’era bisogno che tu lo picchiassi! I suoi
genitori sono maghi
influenti, non permetteranno che la Preside ti dia una semplice
punizione!” Si
sentiva un fiume in piena, non voleva respirare. Avrebbe perso tempo.
“Sei una
cretina! Cos’hai nella testa? Boccini ronzanti?!”
Dominique non le rispose ma
la
sentì muoversi dentro la stanza. Poco dopo sentì
qualcosa colpire leggermente
la porta dall’altra parte. Realizzò che si era
seduta come lei, con la schiena
contro la porta.
“È una
domanda che mi fanno
spesso.” Fu la risposta. “Comunque non farmi la
predica. Tu l’hai morso.”
“Tu gli hai tirato
un calcio…
un calcio lì!”
“A gente del genere bisogna impedire di procreare.”
Violet batté le
palpebre
sbigottita, poi le venne da ridere, era inevitabile. Una risata
sollevata, che
liberò in silenzio, nascondendola dentro una mano.
“Perché?”
Chiese, perché era
il motivo per cui era lì. “Perché sei
venuta a cercarmi? Io e te…” Lasciò la
frase in sospeso. Non che si aspettasse che l’altra
l’avrebbe completata, ma…
“Io
e te.” Replicò invece a sorpresa.
“Non ne ho idea, non ce l’ho
mai avuta. Non ci parliamo per secoli,
però…” Violet non poteva credere che
quell’esitazione fosse imbarazzo. “…
però
se sei nei paraggi, so sempre che
ci
sei. Non ho bisogno di guardare.”
“Ma se mi guardi
sempre…”
“Beh, Piggie… questo è
perchè mi guardi anche tu.”
Violet sospirò.
Dominique aveva
modi da selvaggia, era socialmente imbarazzante e…
Tirò un lungo
sospiro.
… e le era sempre
piaciuta da
quando erano bambine. Il suo principe azzurro era una ragazza dai
capelli color
argento e le lentiggini.
Patetico,
ma inevitabile. Tanto vale ammetterlo.
“Adesso cosa pensi
succederà?”
Le chiese Dominique scuotendola dalle sue riflessioni.
“Non lo
so… te l’ho detto, gli
Allard sono…” Si passò un dito sulle
labbra. Erano state guarite da pozioni ad hoc,
ma se le sentiva ancora
tumefatte, rigide. “…sono dei bastardi. Faranno di
tutto per farti espellere
dopo che hai umiliato il loro ultimogenito.”
“Non intendevo questo. Intendevo, tu
che farai?”
Doveva essere l’adrenalina in circolo, o era la misura ad
essere colma. Traboccante. “Romperò
il fidanzamento.” Disse
e la voce le uscì ferma come avrebbe voluto. “Non
ho intenzione di respirare la
sua stessa aria, a meno che non sia strettamente necessario.”
Dominique
ridacchiò. “Brava Piggie!
Ci hai messo tre anni, ma alla fine hai capito che avevi scelto uno
stronzo per
fidanzato.”
“L’ho
sempre saputo.” Ribatté.
“Ma non era un problema, perché non sono io che ho
scelto. E neanche Mathieu. Hanno
scelto i nostri genitori per noi.” Deglutì.
Pronunciare il nome del ragazzo… avrebbe
voluto che quella porta non ci fosse. Dominique l’aveva messa
a disagio le
poche volte che erano state vicine, ma in quel momento aveva davvero bisogno che la toccasse.
“Non
posso andare contro…”
“Il volere di tua
madre?”
Indovinò. “Fanculo tua madre!” Aggiunse
con forza. “Se ti ha dato la vita, non significa
debba per forza controllartela.”
“Tu non capisci.” Banale ma vero.
“Invece sì.” La Weasley era cocciuta,
era testarda come una ventina di cavalli
bizzosi. Eppure, se solo avesse avuto ragione…
“Credimi, capisco. Quindi dimmelo.
Cosa vorresti fare se potessi?”
“Se non dovessi
rendere conto
a mia madre e… tutto il resto?”
“Esatto.”
“Vorrei
baciarti.” Lo disse di
getto, perché nessuno la vedeva, Dominique per prima.
Altrimenti non avrebbe
aperto bocca come l’insignificante ragazzina che tutti gli
adulti dicevano
fosse.
Con Dominique non si sentiva
mai in quel modo però. Sentiva un sacco di cose –
molte delle quali poco carine
– ma tutte intense. Per questo gliel’aveva detta:
la verità.
Dominique intanto non
rispondeva.
Violet sentì la solita morsa allo stomaco, ma non si
tirò indietro, non quella
volta. “Sì, vorrei baciarti.”
Ripeté.
“Ci sarebbe una
porta di
mezzo.” Fece una pausa. “Mi sembra un buon inizio,
anche se infattibile.”
La morsa sparì
come neve al
sole di Agosto. “Per questo ho usato il condizionale, zucca
vuota.” Sbuffò. E
sorrise. Non avrebbe mai pensato di poterlo fare quella sera. E invece.
“Okay.”
Replicò l’altra.
“Condizionale sia. Cos’altro vorresti
fare?”
Violet rimase presa in
contropiede. C’erano tante cose che avrebbe voluto fare con
lei, o senza.
Troppe, forse. “Non… non lo so.”
Incespicò. “Non ne ho idea!”
“Andiamo.” Fu incitata con tono spiccio. “Parla.
Di solito ti dicono di fare tutto il contrario, no? La rivoluzione
comincia
dalle piccole cose. Tipo, aprire bocca e dire la tua.”
Violet appoggiò
la fronte
contro il legno fresco. E parlò. Tutta la notte.
La mattina dopo fu la
Preside
stessa a svegliarla. Se la trovò di fronte e considerando
che era alta due
metri e mezzo, Violet si sentì mostruosamente sovrastata.
“Signorina
Parkinson-Goyle,
buongiorno.” Esordì quasi gentilmente, notando la
sua espressione atterrita.
“Non dovrebbe trovarsi qui…” Non fece in
tempo a formulare delle scuse, che la
interruppe “… ma visto che
c’è, la informo che sua madre è
arrivata. Vada a
rendersi presentabile. Tra venti minuti la voglio nel mio
ufficio.”
Non le restò che
annuire,
alzandosi. Si stiracchiò, dolorante: dormire contro una
porta di legno non era
il massimo della comodità.
“Posso…” Ricordò il fiume di
parole che Dominique le
aveva chiesto di pronunciare la sera prima. “…
posso aspettare Weasley, Madame?”
Le fu ovviamente negato.
“Io posso uscire invece?” Fece una voce
dall’altro lato della porta. “O devo
essere scortata da auror?”
“Non faccia la buffona, Weasley.” La
rimbeccò la strega, aprendole però la
porta. Dominique uscì con la faccia più fresca e
riposata della storia.
“Hai dormito sulla
brandina
mentre io ho dormito sul pavimento!”
L’accusò, ignorando il batticuore che
l’aveva assalita a vederla. In fondo era
un vecchio e conosciuto amico.
“Certo che ci ho
dormito.
C’era.” Fece spallucce. Violet ebbe
l’impulso di affatturarla, ma si contenne;
la Preside era proprio lì dopotutto.
“Andate nei vostri
rispettivi
dormitori, non fatemelo ripetere.” Disse infatti.
“Fra venti minuti vi voglio
nel mio ufficio.”
Violet fece appena in tempo a sfiorare le dita di Dominique, prima che
le
separassero.
****
Le fronde filtravano lame di
luce che baluginavano sul volto, facendoti strizzare gli occhi
abbacinati. Poco
distanti, gli unicorni pascolavano tranquilli, sorvegliando con occhi
attento e
argentato i puledri che si abbeveravano al ruscello.
“Ehi, Weasley.”
Dominique reclinò la testa all’indietro e nella
visuale le entrarono le gambe
di Violet, fasciate dalle calze dell’uniforme. Lei prima di
Dicembre si
rifiutava di portarle.
“Ehi
Piggie.”
L’interpellata sbuffò, ma lasciò
perdere. Si sedette accanto a lei, sebbene ci
mise ben mezzo minuto per scandagliare la zona alla ricerca del metro
quadrato
perfetto.
Beh,
l’importante è il pensiero, dai.
“Ti sporcherai
l’uniforme.” La
prese in giro allungando soddisfatta le gambe fasciate di jeans. I
babbani
erano dei geni: perché solo dei geni avrebbero potuto
inventare una stoffa così
geniale.
“Va’
agli inferi.” Fu la
replica, guardando con un mezzo sorriso distratto gli unicorni
rivolgerle
occhiate incuriosite.
“Se vuoi puoi
andare a dir
loro ciao.”
“Per ora preferisco rimanere qui.” Violet si
toccò i capelli stretti nello
chignon che andava di moda quell’anno, sistemandosi ad arte
una forcina.
“Stai meglio con i
capelli
sciolti.”
“Quando mai mi hai visto coi capelli sciolti?”
“Staresti
meglio?”
Violet esitò, poi
con un lieve
sospiro spazientito si liberò dalla gabbia di fermagli e
forcine per sciogliere
i capelli in una lunga cascata color inchiostro.
A Dominique venne
inspiegabilmente
da sorridere. Come aveva previsto, quei poveri capelli si trovavano
molto
meglio liberi.
Come
la loro padrona…
“Sei
tornata.” Attestò. Violet
era stata a casa ben due settimane dopo quello che era successo. Si era
vociferato persino il suo ritiro da Beaux-Batons in vista di un
trasferimento.
Dominique non ci aveva
creduto
neppure per mezzo secondo: non aveva proprio potuto.
“Certo che sono
tornata…
pensavi anche tu che mia madre mi facessa trasferire?”
“No.” Scosse la testa. “È solo
che si diceva in giro.”
Violet si passò le dita trai capelli, sciogliendone un nodo.
“Mia madre detesta
Hogwarts, e Durmstrang è una specie di consesso di primitivi
che si veste di
pelle e beve sangue da teschi.” Sorrise dello sghignazzetto
dell’altra. “E le
altre scuole non sono così rinomate. Impossibile
trasferirsi. E poi le ho detto
che non l’avrei mai fatto.”
“Oh-oh!”
Esclamò sentendosi
inspiegabilmente più leggera. Sul serio, inspiegabilmente.
“Stiamo tirando
fuori la voce!”
Violet ovviamente
replicò con
una smorfietta disimpegnata. “Ringraziami Weasley. Se non
fosse stato per la
mia voce a quest’ora non saresti qui.”
“Mh.” Le
concesse, prima di
buttarsi all’indietro e posare la nuca sulla sua zolla
d’erba preferita di
tutta la radura. Notò con la coda dell’occhio che
l’altra era rimasta immobile,
fissando con estrema concentrazione un puledro che sgambettava di
fronte
all’occhio vigile della madre.
Dominique capì. E
le tese la
mano. “Grazie.” Disse, perché le parole
avevano un potere, aveva ragione suo
padre a dirlo. Le parole potevano attivare gli incantesimi. Le parole
potevano
ferire.
Violet le lanciò
un’occhiata
poi la prese e gliela strinse forte
Le parole erano cose
importanti, pensò Dominique. Le parole potevano renderti
libera.
Dominique
non aveva mai visto tanti genitori riuniti
insieme, sebbene l’ufficio che li ospitava fosse spazioso. I
suoi genitori, sua
madre nelle sontuosi vesti con cui lavorava e suo padre con ancora la
Metropolvere sul giubbotto di pelle. La vedova Parkinson-Goyle, che
sembrava un
grosso ragno pasciuto seduto rigidamente e infine i coniugi Allard, che
le
sembravano due stronzi con una grave paresi ai muscoli del collo, da
quanto
tenevano il mento sollevato.
Violet
era già accanto alla madre. Si era rimessa
l’uniforme e teneva le mani in grembo, così
strette da essere pallide come
quelle di un morto.
“Weasley,
eccola qui. Venga avanti, e chiuda la porta.”
Dominique aveva obbedito alla Preside, lanciando un’occhiata
ai genitori. Suo
padre aveva un’espressione seria in viso, ma soprattutto
stanca. Chissà in che
parte del mondo stava lavorando quando l’avevano chiamato.
Sua madre invece
aveva un’aria anodina. Ma quando le si sedette accanto, le
lanciò una lunga
occhiata indagatrice.
“Ora
che siamo tutti qui, possiamo iniziare.” Aveva
esordito Madame, glissando elegantemente sull’assenza di
Allard-figlio. “La questione
è piuttosto grave.”
“Naturalmente lo è!” Madame Allard
sembrava aver aspettato solo quell’attacco,
per dar fuoco alle polveri. “Questa ragazza ha aggredito mio
figlio e la sua
fidanzata mandandoli in infermeria!” Il doppio mento le
tremava furibondo e Dominique
si era incantata a fissarlo.
Budino.
“È
vero Domi?” Aveva chiesto suo padre, riscuotendola.
Dominique
di fronte a suo padre si era sentita
improvvisamente molto meno baldanzosa. L’atteggiamento dei
genitori di Mathieu
le faceva solo venir voglia di calcare la mano. Il viso di suo padre,
no.
“Più
o meno.” Aveva risposto senza distogliere lo
sguardo.
Mathieu
s’è inventato una
storiella in tempo record. I miei omaggi…
“Sta mentendo!” Aveva
sbraitato la donna.
“È inaudito che venga permesso a certe creature
evidentemente squilibrate di
frequentare una scuola di ma…”
“Mi scusi.” Era intervenuta lentamente sua madre.
“Ha appena paragonato mia
figlia ad un elfo domestico o ad un
folletto, per caso?”
L’altra strega doveva aver capito di essere stata trasportata
dall’emozione,
perché aveva richiuso subito la bocca.
Sua
madre non aveva bisogno di presentazioni per far
sapere chi era e quanto contava. Dominique fino a quel momento
l’aveva
considerata una scocciatura. Fino a quel momento, appunto.
“Sua
figlia ha aggredito Mathieu e Violet, Madame Weasley.”
Aveva risposto per la moglie Monsieur Allard, che sembrava altrettanto
spocchioso, ma più controllato. “Apparentemente
senza nessuna ragione.”
La
Preside aveva aspettato quel momento per
intervenire. “È questo che stiamo cercando di
capire. Dominique… vuoi dirci
perché l’hai fatto? Mathieu dice che non ha idea
del perché.”
Dominique
voleva dirlo. Smascherare quel figlio di puttana e
possibilmente non trovarselo più davanti. Non per
me. Per lui. Se me lo
trovo a meno due metri, giuro che lo rendo una ragazza.
Poi
aveva lanciato un’occhiata a Violet. Aveva le
labbra così livide che sembrava stesse per svenire da un
momento all’altro.
Dominique
aveva capito che non doveva essere lei a
dirlo. Violet invece, con la mano della madre sul ginocchio, aveva
bisogno di
una bella terapia shock.
“Non
ho aggredito Violet.” Ripeté. “E per
quanto
riguarda Allard, c’è un motivo, ma non lo
dico.”
“Dominique,
questo non è uno scherzo.” L’aveva
incalzata
sua madre. “È una cosa seria, rischi
l’espulsione.” E non potrò proteggerti,
se non mi aiuterai – era sembrato
aggiungere la sua
espressione.
Dominique aveva sentito una fitta di senso di colpa, ma era rimasta
sulle sue
posizioni davanti agli sguardi increduli e preoccupati dei suoi
genitori.
La
Vedova Parkinson Goyle invece non aveva ancora detto
una parola. Ma aveva un piccolo sorriso che le contraeva le labbra di
un rosso
violento.
Vaffanculo.
L’unica cosa bella
che ha prodotto il tuo sangue puro del cazzo ce l’hai accanto
e neanche te ne
rendi conto.
“Non
lo dico.” Aveva ripetuto, fissando Violet che
l’aveva guardata di rimando. Le tremavano le mani, anche se
cercava di tenerle
ferme stringendole le une alle altre. Non
farlo, non obbligarmi, non ce la faccio
–
questo urlavano i suoi occhi.
Dominique
sapeva di rischiare, che Violet era
terrorizzata, umiliata e che avrebbe preferito seppellire quel segreto
nel suo
subconscio e lasciarlo lì a marcire per il resto della sua
vita.
Non posso permettertelo.
Scusa
tanto, ma mi hai trascinato dentro e quindi faccio la mia mossa.
“Non
c’è altro da aggiungerei direi.” Aveva
esordito Allard-Senior.
“Olympe, è ben chiaro che la ragazza, come ha
detto mio figlio, ha avuto un
raptus di invidia nei suoi confronti e l’ha aggredito mentre
era indifeso, in
compagnia della sua fidanzata. Sono venuto a sapere che Mathieu ha
assicurato
la vittoria alla sua squadra. Forse questo non è andato
giù a Madamoiselle
Dominique, che a quanto ne so, è solitamente colei a cui
sono imputate le loro
vittorie.”
Ma per favore …
Cioè, ci
credete davvero?
“Dominique…
sei sicura di non voler aggiungere qualcosa
in tua difesa? È la tua parola contro quella di Mathieu.
Capisci, vero, che se
non dici nulla sarò costretta ad espellerti?” Si
era rivolta a lei, la Preside.
Dominique aveva capito che l’altra sapeva com’erano
andate le cose. Ma nella
sua posizione non poteva far molto. Non c’erano testimoni e
per quanto si sapeva,
Mathieu non era considerato un bruto.
Le
uniche a sapere erano lei e Violet. Violet doveva parlare,
ma non lo stava facendo.
Non
era l’unica ad averlo notato, perché sua madre
lanciò un’occhiata gelida verso le due streghe
inglesi. “La Signorina
Parkinson-Goyle non ha ancora detto una parola. Eppure era presente,
no?”
“Mia figlia è sotto-shock, Madame
Weasley…” Il cognome era stato pronunciato
con un insulto. Per un folle momento, a Dominique sembrò che
suonasse come ‘donnola’.
“Sarebbe una crudeltà forzarla a
ricordare.”
Dominique
aveva di nuovo guardato Violet, che le aveva
lanciato un’occhiata prima di abbassare lo sguardo. Aveva
sentito una morsa
artigliarle le viscere.
Ho puntato ed ho perso?
“Razza di
… bionda demente.”
Era
stata Violet, naturalmente. La stava guardando come
se volesse come minimo lanciarle una maledizione senza perdono.
Ottimo. Qui ti volevo
Piggie.
Se sei furiosa, ti scordi che brava bambolina obbedienti dovresti
essere.
“Violet?”
Aveva detto la donna-ragno. Violet aveva
deglutito con la stessa faccia di qualcuno che aveva appena mandato
giù una
pozione orrenda, ma aveva poi ignorato il richiamo.
“La
Weasley ha tanti difetti, ma non è una violenta.”
Era poco più di un sussurro, ma c’era.
“Non è stata lei ad aggredirmi. È stato
Mathieu. Voleva…” Le era mancata la voce e a tutti
era stato immediatamente
chiaro cosa volesse fare.
“Non
è possibile!” Era esplosa Madame Allard.
“Siete
fidanzati ufficialmente!”
Violet
doveva aver preso la cosa per un insulto, perché
l’aveva guardata malissimo. “Questo non gli ha
impedito di tentare di
violentarmi, Madame.”
L’aveva detto ed era calato un silenzio gelido come un
inverno siberiano.
La
prima a scongelarsi era stata incredibilmente la
vedova. “Violet… è ciò che
è successo?” Aveva chiesto con leggerezza, quasi
parlasse del tempo. Ma in inglese.
Qualcuno si è
appena
dimenticato le imprescindibili buone maniere?
Rimasta di sasso, eh Vedova nera?
Violet
aveva guardato dappertutto fuorché in direzione
di sua madre. Ma aveva risposto. “Sì. I lividi che
avevo ieri sera me li ha
fatti Mathieu mentre mi teneva ferma.”
“E ci è…” La voce della
strega era sempre più bassa. Dominique aveva visto con
una certa soddisfazione i coniugi Allard farsi sempre più
piccoli. I loro menti
altezzosi non svettavano più granché.
“No,
non c’è riuscito.” Violet si era morsa
un labbro.
“Perché Weasley è arrivata in tempo per
fermarlo.”
“Ma… ma…” A Dominique aveva
fatto quasi pena, la mammina apprensiva Allard.
Sembrava totalmente sconvolta, incredula. “… ma
questa pazza l’ha comunque
ridotto in fin di vita!”
Quasi,
appunto.
“Ridotti
in fin di vita mi sembra una definizione inadeguata.”
Si era inserita sua madre, la cui espressione avrebbe fatto concorrenza
ad una
Veela tutta completa. “Ho saputo che stamattina è
stato dimesso. Oltretutto,
mia figlia non ha neppure usato la magia.”
“Questo lo dice lei!”
“Lo dicono i fatti.” Lo aveva bloccato.
“Ho incrociato prima Mael Delacour, che
mi ha ridato questa.” Suo padre aveva tirato fuori dal
giubbotto
la sua bacchetta. Dominique era rimasta a bocca aperta: un asso nella
manica? Dall’espressione
di sua madre, neanche lei ne era a conoscenza.
La
Preside si era sporta a guardare, aggrottando le
sottili sopracciglia. “Dove l’ha trovata?”
“Dietro
un’armatura, almeno ad una decina di metri dal
luogo dello scontro. Quindi, mi riesce difficile credere che mia figlia
abbia
lanciato incantesimi, se era chiaro che non l’aveva con
sé. Possiamo fare un Prior Incantatem,
se avete bisogno di altre prove.” Aveva concluso suo padre
con una gentilezza
che strideva con le espressioni bellicose degli altri. Se non fosse che
era troppo gentile. Il che
significava, Dom lo sapeva
bene, che era più incazzato di tutti gli altri messi
assieme.
Sangue Weasley über
alles.
“Mio
figlio…” Aveva tentato Allard Senior per poi
chiudere la bocca, senza parole. “È comunque
inammissibile che sua figlia…” E
la voce si era spenta debolmente.
Lei
e Violet si erano guardate nello stesso momento.
“Weasley
non ha usato la bacchetta.” Aveva confermato Piggie.
“L’ha usata solo per allontanare Mathieu da me, non
per aggredirlo.” Si era
morsa con forza le labbra, ma poi aveva continuato.
“… non so cosa sarebbe
successo, se non fosse venuta a cercarmi.”
“È
così? La Weasley ti ha…” La voce di
Pansy
Parkinson-Goyle non era riuscita a trattenere lo smarrimento. Dopo,
probabilmente sarebbe arrivato lo sdegno, appena ripresa dallo shock di
sentire
sua figlia esprimere un’opinione propria.
Dominique
aveva trovato quel momento perfetto per dire
la sua. Aveva rivolto un sorriso a trentadue denti alla donna-ragno.
“…
salvato, Madame. Rode, eh?”
Aveva
visto l’ombra di un sorriso dietro la barba di
suo padre.
La
Preside aveva fatto un lungo, estenuato sospiro.
Dominique sapeva quanto odiasse ospitare più di un genitore
per volta nel suo
ufficio. Ora capiva il perché.
“Alla
luce della testimonianza della signorina
Parkinson-Goyle, mi vedo costretta a rifiutare la vostra richiesta di
espulsione per la signorina Weasley.” La Preside, Dom non se
lo stava
immaginando, stava sogghignando.
O quasi. Più o meno. Perché si era poi subito
accigliata. “Temo invece Mathieu dovrà rispondere
a parecchie domande…”
“I tuoi genitori
come l’hanno
presa?”
Dominique si grattò la nuca, ritornando al tempo reale: due
settimane dopo, due
settimane di punizione spacca-reni.
Pulire
le docce degli spogliatoi di Quidditch senza
magia. Urgh. Sarà stata anche dalla mia parte, ma la Madame sa
come
farti passar la voglia di fare l’eroina.
Fece spallucce.
“Mia ma’
voleva farmi il terzo grado, ma grazie a Morgana la carrozza sua e di
papà
partiva tipo subito. Mi sono arrivate un paio di Strillettere
però.”
“Un
paio?” La guardò
inorridita. “Non ne basta una?”
“Sicuro. Una da
mia madre, una
da mia sorella.” Specificò.
Violet appoggiò
il mento sulle
ginocchia, tirandosele al petto. Le fronde frusciavano gentili sopra le
loro
teste. “Mia madre non mi ha parlato. Se
n’è andata subito anche lei.”
Mormorò.
“Credo che non sapesse che pesci prendere. Era furiosa,
però.”
“Con te?”
“No.” Scosse la testa. “Con gli Allard.
Se ne sono andati a gambe levate… non
ho mai visto qualcuno correre così veloce verso la propria
carrozza.”
Dominique sorrise, dandole
un
colpetto sulla caviglia. “Allora è andata
bene!”
“Un po’.” Convenne
strappando un
ciuffetto d’erba secca con aria distratta.
“… ma mia madre non si arrenderà
facilmente. Non passerà molto tempo prima che tenti di
presentarmi qualcun
altro.”
“Non ha imparato niente da ‘sta storia?”
“Lei…” Violet scrollò le
spalle, ma non erano più curve, passive. Questo lo
notò anche Dominique. “… lei
è fatta così. Ci vorrà del tempo,
penso. Ma
perlomeno non sarà Mathieu. Non sarà mai più
Mathieu.” Soffiò l’erba via
dalla mano e soffiò sollievo.
“E chi
sarà? Dico, il
prossimo? Idee?” Le venne spontaneo chiederlo. Le venne anche
spontaneo tirarsi
a sedere per essere alla sua stessa altezza. C’era tanta
differenza tra lei e
Piggie: la mora era raggomitolata su sé stessa, sebbene
elegantemente. Lei
aveva le gambe incrociate e la posa rilassata.
Dominique non pensava avesse
comunque
molta importanza ai fini della storia.
Ce
l’hai mai avuta?
Nah.
Violet guardò gli
occhi
azzurri della Weasley fissarla interrogativi.
Era matta come un cavallo,
dato
ultra-comprovato; solo per farla parlare aveva rischiato
l’espulsione, solo per
spingere lei a salire sul
palcoscenico per improvvisare la sua parte si era giocata, a ribasso,
la sua
intera carriera scolastica.
Violet non si era mai
ritenuta
stupida. Anzi.
“Io ti piaccio,
vero Nicky?”
chiese e usò con intenzione il diminutivo con cui, anni
prima, l’altra si era
presentata. Le uscì piuttosto naturale, anche se si sentiva
il cuore in gola;
ma quello si supponeva facesse parte del gioco.
L’altra la
fissò battendo le
palpebre in fretta. Lo faceva sempre quando qualcosa la prendeva di
sorpresa,
che fosse la domanda di un professore o un Bolide in traiettoria.
Dominique non era timida.
Non
era neanche riservata. Era solo noncurante dei sentimenti altrui e
soprattutto,
incredibilmente, dei suoi.
“…
forse.” Le concesse
lentamente. Fece una pausa. “Me lo chiedi perché
adesso vuoi baciarmi?”
Violet aveva imparato da quell’orribile esperienza che
starsene zitti non era
sempre un’ottima idea.
“Quanti mesi
abbiamo ancora
alla fine dell’anno?” Chiese allora.
“Non si risponde
ad una
domanda con un’al…”
“Weasley,
concentrati!” Doveva
definitivamente soffrire di qualche disturbo dell’attenzione.
“Quanti?”
“Otto mesi, perché?” Doveva segnarsi la
voce: sono stata la prima persona sulla
faccia dei Due Mondi a farmi guardare
come una bestia rara da Dominique Weasley.
Violet trovò
molto più
proficuo rispondere prendendole il viso tra le mani e baciandola.
Louise poteva essere stata
una
carogna delatrice – e avrebbe trovato il modo di fargliela
pagare prima o poi –
ma aveva avuto un merito: le aveva insegnato come baciare una donna. Il
baci
che si erano scambiati lei e Dominique a quattordici anni in confronto
erano
stati goffi e confusi.
Ma
comunque dieci volte meglio.
Si staccò e
dovette infatti
appuntarsi mentalmente il secondo merito: aver lasciato senza parole la
Weasley.
“Io…”
Esordì. Poi tacque.
Violet poteva aver timore
del
mondo sin da bambina. Ma si cresceva, prima o poi. Non si smetteva di
aver
paura, ma ci si abituava ad essa come alla presenza di una vecchia
amica. E
alla fine, un giorno, si scopriva che il mostro non era così
brutto come lo si
dipingeva.
“Otto mesi di questo, Weasley. Interessata?”
Dominique corrugò
le
sopracciglia, con ancora le sue dita sulle guance. Non sembrava
infastidita, e
Violet ricordò che di solito l’altra non amava
essere toccata sul viso.
Ma lei lo stava facendo, e sembrava andarle bene, perché le
sorrise.
“Sì,
Piggie.” Disse. “Sono
interessata. ”
In Aritmazia era stato loro
spiegato che due le linee parallele non si incontravano mai. In seguito
Violet
aveva però scoperto che non era possibile tracciare due
linee perfettamente
parallele.
Non esiste la perfezione e quindi qui,
nel mondo reale, si incontrano prima o poi. Si allontanano. E si
incontrano di
nuovo.
Nemmeno la
luna è perfetta. E' piena di crateri. E il mare? Nemmeno
lui! Troppo salato.
Insomma, le
cose più belle non sono
perfette. Sono speciali.
(B. Marley)
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Note:
Avevo promesso che avrei sbrigato il Sesto e il Settimo in un capitolo.
Lo so. T_T
(Devo davvero far qualcosa
per
questa grafomania).
A questo punto aspettatevi
il
folle Settimo come bonus track. Intanto, per
ora, la storia è conclusa.
AUL mi chiama come un vampiro affamato.
Qui e qui
le due canzoni ispiratrici.
Beaux-Batons me la sono
immaginata come il castello di Chambord, nella Loira. Qui.
Butto lì due
volti che mi
hanno ispirato per
Victoire e
Louis .
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