capitolo 1
CAPITOLO 1
Oscar aprì gli occhi, nel vano
tentativo di interrompere quel continuo flusso di pensieri che non
l'abbandonava dalla sera precedente. La luce che filtrava dai
tendaggi alle finestre le confermò che era ormai giorno, un
giorno piovoso. Nel silenzio della sua stanza percepiva con
chiarezza l'incessante picchiettio della pioggia battente sulle
vetrate.
Richiuse gli occhi e sospirò.
Inutile cercare di riposare, con tutti i dolori che sentiva in ogni
parte del corpo. Inutile cercare di evitare i ricordi di quegli
attimi che incessantemente, dalla sera prima, la torturavano. Ma
diversamente da quanto si potesse credere non era la furia della
folla ad averla scossa, e neanche aver rivisto il Conte di Fersen
dopo tanto tempo. No. Era stato il pensiero di perdere Andrè
ad averla fatta sentire disperata, come non le era mai capitato.
E anche questo non era vero.
Il suo cuore riportò alla luce
un altro ricordo, di almeno quindici anni prima, la voce di
Girodelle nei corridoi antistanti gli appartamenti reali che le
comunicava l'imminente condanna di Andrè per l'incidente
occorso alla Delfina, quando aveva insistito per cavalcare,
nell'intento di imitare la sua rivale, la Contessa Du Burry. Anche
allora aveva ignorato tutto, le parole del suo secondo, il dolore
lancinante alla spalla, la debolezza che aumentava man mano che
perdeva sangue, perchè il pensiero di Andrè sul
patibolo era per lei inaccettabile.
Ma non aveva riconosciuto le reali
motivazioni del suo sentire. Era per il suo innato senso di
giustizia, per la generosità verso un servo cresciuto comunque
accanto a lei da sempre, come un fratello. Così si era
convinta e così il mondo aveva accettato la sua spropositata
reazione, che si era spinta fino a sfidare apertamente il Re. E per
lo stesso motivo la sera prima aveva cercato di attirare su di sé
la folla inferocita, per un puro senso di giustizia e verità,
perchè Andrè non poteva morire per qualcosa che non
era...
Si mise seduta sul letto, appoggiò
i piedi a terra e fissò lo sguardo sconsolato sulle mani
mollemente abbandonate sulle gambe. Quelle mani sottili, che
Nanny aveva amorevolmente avvolto in bende qualche ora prima, su
indicazione del dottore, quelle mani inutili, che non le erano
servite, perchè questa volta non era riuscita a salvare lei
Andrè. L'aveva fatto il suo cuore, gridando in faccia a lei
stessa e a Fersen la sua verità. Una verità negata e
custodita per tanti anni, lo sentiva chiaramente. Perchè anche
quando si diceva che Fersen fosse l'unico uomo che avrebbe mai
potuto amare, era Andrè il sole che riscaldava i suoi giorni.
Si prese la testa tra le mani. Lei lo
aveva respinto! Dopo una vita insieme l'aveva trattato come un
inutile servo! Dopo esserle stato accanto, sempre, coerente con se
stesso ma accettando le sue decisioni, dopo averle salvato la vita
innumerevoli volte, senza gloria, come se fosse la cosa più
naturale del mondo, come se le fosse dovuto, dopo averle sacrificato
un occhio, senza recriminazioni, anzi, mitigando i suoi sensi di
colpa e il suo desiderio di vendetta! E adesso che il suo sentimento
aveva un nome, e anche un volto, adesso che la verità era lì,
tra le sue mani vuote, fasciate, adesso non sapeva cosa farsene. Si
sentiva imbambolata, incapace di decidere, incapace di muoversi.
Un sommesso colpo alla porta della sua
camera la riportò alla realtà. Con la coda dell'occhio
vide una cameriera posare timidamente un vassoio nel salottino
accanto alla sua camera e allontanarsi rapidamente. In un attimo la
raggiunse l'inconfondibile e familiare profumo della cioccolata di
Nanny. Quindi si alzò, si vestì e si accomodò
per gustare la bevanda che la vecchia governante le aveva preparato,
forse con l'intento di addolcire il suo risveglio. La giornata era
davvero buia e piovosa, come aveva intuito a letto. Chissà
come stava Andrè, se era riuscito a riposare, se era già
sveglio... Chissà come avrebbe occupato quella lunga giornata
piovosa lontano dalla caserma.
Il pensiero di loro due di nuovo
insieme in quella casa per quella convalescenza forzata la fece
sorridere felice, involontariamente. Le era sempre piaciuto poter
stare a casa con Andrè, quando fuori il tempo imperversava e
non c'erano impegni di lavoro a costringerli sotto le intemperie.
Spesso ascoltava i suoi discorsi, da sempre più loquace di
lei, oppure leggevano insieme qualcosa, a lungo stavano semplicemente
vicini, in silenzio, ed il piacere di quella intimità ormai
persa la rattristò nuovamente.
Persa per colpa sua, ormai non
provava neanche più a negarlo. Persa perchè non aveva
capito che non era scontata, che non era facile da provare ancora,
con qualcun altro. Quanto le mancava il vecchio Andrè, quel
sorriso dolce e rassicurante, il modo garbato che aveva di prenderla
in giro, la saggezza con cui frenava i suoi impulsi, la capacità
di aiutarla nelle difficoltà senza che neanche se ne
accorgesse, senza intaccare minimamente il suo orgoglio. E tutto
questo a senso unico. Lei non si era mai chiesta se lui avesse dei
problemi, o dei progetti o delle idee. Anche quando aveva condiviso
con lei l'esperienza delle riunioni clandestine in cui si discuteva
del futuro della Francia, aveva liquidato le sue osservazioni
ricordandogli che non era un nobile, che non se ne doveva
preoccupare. Che meschina egoista!
Nanny la raggiunse per sincerarsi
delle sue condizioni e lei cercò subito di sdrammatizzare e
chiese di Andrè. Era svenuto mentre in carrozza lo portava in
salvo verso Palazzo Jarjayes, giusto prima di chiederle se stava
bene, se le avevano fatto qualcosa. Poi, giunti a destinazione, era
stata immediatamente portata nelle sue stanze da Nanny, che
capeggiava uno stuolo di cameriere agitate e lo aveva letteralmente
perso di vista. Avrebbe voluto che il medico, dopo averlo visitato,
l'avesse raggiunta per aggiornarla sulle sue condizioni, ma Nanny
era stata irremovibile sul fatto di lasciarla tranquilla a riposare.
“E' pieno di lividi e fasciature, ma
ha detto che tre giorni gli basteranno per tornare in caserma”
rispose Nanny liquidando in fretta le sue domande. Fu quasi delusa di
saperlo a casa con lei per così poco tempo, però non
sarebbe andata a trovarlo nella sua camera per tutto l'oro del mondo!
Nanny si accomiatò con i soliti modi ossequiosi e
rimasta sola Oscar continuò a bere la cioccolata, cercando di
mettere ordine nei suoi pensieri un po' contraddittori.
Non lo sentì entrare e quasi
sobbalzò quando lo vide a pochi metri da lei. Le sembrò
formale, distaccato. Aveva un braccio appeso al collo e fasciature
ovunque,dalla testa ai piedi. Il suo sguardo era imperturbabile. Le
comunicò in modo asciutto di essersi sincerato del rientro
del Conte di Fersen nei suoi alloggi, sano e salvo.
“Mi fa piacere” rispose in maniera
altrettanto formale e non potè evitare di domandarsi, mentre
lo fissava, se pensava che nel suo cuore albergasse ancora un tenero
sentimento per il nobile svedese. Certo Andrè non le diede
modo di scoprirlo e dopo aver rifiutato una tazza di cioccolata si
congedò da lei. Impeccabile come il più esemplare dei
domestici. “Perchè non ti ho chiesto di farmi compagnia
comunque? Perchè tutta la mia prontezza di decisione e la mia
capacità di azione svaniscono se devo svelarti un po' dei miei
sentimenti?”
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