scritto per
il TVG festival
al prompt Caroline/Damon/Stefan
- "We are
all the same, human in all our ways and all of pain"
Il
corvo, l'uccellino e l'uomo in mare
Damon
oltrepassò il cancello in ferro battuto senza davvero
notarlo.
Lui
e Stefan avevano guidato per tre giorni consecutivi senza mai
fermarsi, e ora la gola gli bruciava e grattava anche al semplice
respiro per la sete, la stanchezza e il dolore.
Suo
fratello camminava di fianco a lui, ansimando sempre di
più a ogni nuovo passo. Se non fosse stato per lui, Damon
non si sarebbe nemmeno trovato in quel posto.
Sarebbe
stato ovunque, ovunque,
ma non lì.
Quando
Jeremy, dopo anni di silenzio, aveva chiamato i due fratelli con
voce arrochita e stanca, diametralmente opposta a quella morbida e
sommessa che aveva avuto da ragazzo, il primo istinto di Damon era
stato quello di prendere l’auto e abbandonare tutto, per
riempirsi le orecchie dei rumori nevrotici della città, e
cancellare la verità dalla testa.
Ma
Stefan era crollato. Si era piegato su se stesso, e di fronte
all’osceno tentativo che aveva fatto di trascinarsi in
Virginia sui propri piedi, Damon aveva sentito l’istinto di
protezione nei confronti di suo fratello prendere il sopravvento su
quello di auto preservazione.
Trentanove
anni prima Damon aveva raggiunto Stefan per mostrargli una
foto e parlargli del figlio di Elena. Gli aveva detto che sarebbe
rimasto per qualche giorno, e aveva finito per non andarsene
più.
Aveva
riprovato il divertimento infantile di infastidire Stefan per il
puro gusto di farlo. Avevano giocato a football, avevano fatto a botte,
una volta o due era persino riuscito a portarlo fuori a sbronzarsi.
Damon si era sentito addirittura fiero di se stesso nel vedere come
fosse riuscito a riportare la vita negli occhi di suo fratello, goccia
dopo goccia.
Ora
ogni suo sforzo sembrava essere stato vanificato,
l’impegno messo per ridare il sorriso a Stefan e guadagnarne
uno anche per sé era andato in malora insieme al senso
stesso della vita.
Guardò
suo fratello fare un passo più veloce,
affrettarsi verso un generoso gruppo di persone vestite di nero. Stava
per iniziare a correre quando Damon gli mise una mano sula spalla e lo
fermò.
Stefan
si voltò verso di lui, e il maggiore scosse la testa.
Lui si irrigidì, ma accettò il gesto e
continuò ad avvicinarsi lentamente, al passo con Damon.
Era
da quando erano partiti che non parlavano.
Elena
era morta. Non c’era più parola che valesse
la pena d’esser spesa.
A
Damon parve che il suo intero corpo trasmutasse in piombo, sempre
più pesante e venefico ad ogni passo. Sentiva già
il pastore recitare la commemorazione, odorava i profumi pesanti e
floreali del nugolo di donne e i dopobarba mentolati degli uomini. Il
viso di ogni individuo era contratto in una maschera di dolore.
Ovunque
fosse andata, Elena era sempre stata incredibilmente amata.
Stentò
a riconoscere il piccolo Chris nell’uomo
sulla cinquantina che riceveva le condoglianze dei presenti, ma
ciò che davvero lo scioccò fu vedere Jeremy.
Era
vecchio.
Le
spalle e la schiena incurvate dall’età,
l’amabile vecchio sorriso sfrontato corrugato tra due labbra
sottili e screpolate, contratte, strette tra loro mentre
l’aria entrava spezzata nei polmoni rovinati dalle sigarette.
Damon ricordava che Jeremy aveva ripreso a fumare dopo che Elena se
n’era andata da Mystic Falls, ma credeva avrebbe anche avuto
l’intelligenza di smettere di nuovo, ma quel vecchio teneva
tra le dita una sigaretta dal fumo dolciastro pure in quel momento.
Tossiva mentre aspirava fumo, ma non per questo smetteva. Tossiva e
singhiozzava, imprecando ogni volta che girava il volto per non farsi
notare mentre asciugava le lacrime.
Quello
non era Jeremy, decise Damon. Non poteva esserlo.
Pensare
che potesse davvero essere così faceva sentire
vecchio anche Damon, improvvisamente consapevole del tempo che era
trascorso. Del tempo in più. Tempo che lui non avrebbe
nemmeno dovuto vivere, così come Stefan.
Girò
pesantemente la testa di lato e lo vide.
Quello
sguardo vuoto e disperato, perso, sul volto di Stefan,
congestionato dal dolore della perdita. Capì che mentre una
parte del cervello di suo fratello riusciva a metabolizzare
solo Elena,
l’altra stava seguendo i suoi
stessi percorsi.
Troppo.
Avevano vissuto troppo.
«Siete
venuti.»
Una
voce tremula, acuta e leggera come quella di un uccellino.
Caroline
era di fronte a loro, e stringeva le braccia lungo i fianchi,
troppo cresciuta per pensare di buttarsi su di loro e piangere fino
allo stremo. Ma le lacrime scendevano ugualmente lungo le sue guance,
macchiandole di rivoli di mascara, nero come i suoi vestiti. Aveva
raccolto i capelli sopra la testa e truccato gli occhi pesantemente,
forse sperando di non venire riconosciuta da lontano.
Tirò
su con il naso e guardò Stefan, cercando un
appiglio in lui.
Il
vampiro annuì a fatica alla sua espressione smarrita, e
allargò le braccia.
«Caroline.»
la invitò.
Lei
gli si gettò addosso, singhiozzando.
«Avevo
paura che mi lasciaste da sola.» pianse
«Se mi avvicinassi Nick e Chris mi
riconoscerebbero, e non posso… non
sanno… dimmi che non è vero.»
Caroline
si lasciò abbracciare borbottando frasi sconnesse
tra le lacrime, mentre Stefan le accarezzava il capo e sussurrava a
voce così bassa che solo lei poteva sentirlo. Le lacrime
presero a scendere in rivoli veloci anche sul viso del vampiro, che
trovò in Caroline la forza di lasciarle scorrere.
Vedendoli
sorreggersi l’uno all’altro, Damon si
sentì improvvisamente solo e a disagio. Strinse i denti e
guardò da un’altra parte, arretrando lentamente.
Desiderò
andarsene, non essere mai stato là. Non
era il suo posto, quello.
Aveva
fatto anche troppo, decise. Aveva detto, fatto e visto troppo.
Stava
per voltarsi quando Caroline lo chiamò. Sciogliendosi
di poco dall’abbraccio di Stefan, la vampira alzò
il viso e sbatté gli occhi gonfi e arrossati.
«Damon,
per favore.» bisbigliò.
Qualcosa
in quel tono di bisogno lo arpionò al petto.
Chiuse
gli occhi, e quando li riaprì sentì
qualcosa di caldo e bagnato scorrergli lungo le guance.
«Va
bene.»
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