Alis non dimostrava
affatto diciotto anni. Gli occhi blu, grandi e profondi, lasciavano
trasparire intatta tutta l’inquietudine della sua anima; lo smarrimento
disegnato su quel viso di porcellana attirava l’attenzione su di lui, sulla sua
fragilità, lo faceva sembrare un cucciolo che si fosse ritrovato all’improvviso
tra gli adulti del suo branco.
Alis era
troppo bello perché passasse inosservato. Troppo unico.
E così non passò inosservato.
La cella era
umida e fredda. O forse era la paura.
Alis si
rannicchiò contro il muro, osservando in silenzio il mondo buio che riempiva la
realtà intorno al lui. Era un’isola al centro di quella
prigione, dall’oscurità gli giungevano i rumori prodotti dai suoi
compagni. Un immenso alveare, le cui api ronzavano debolmente,
in lontananza. Voci, risa.
Qualcuno aveva
visto quel ragazzino biondo quando i secondini lo
avevano portato lì. Qualcuno anticipava agli altri la sorte che attendeva il
ragazzo.
Alis non li
udiva davvero. Sentiva le voci come sottofondo di un incubo di cui voleva
ignorare i contorni. E tremava, per il senso di
minaccia che incombeva su di lui nel tono di quei discorsi. Disperatamente
cercava di escludere dalla mente il rumore.
Finché, alla fine, il mondo tacque. I borbottii
sconclusionati dei dormienti ed i colpi di tosse soffocati rompevano ancora di
tanto in tanto il silenzio, come gocce d’acqua dal soffitto.
Lui sentiva le
lacrime salirgli agli occhi. Ricordava, come si ricorda
in un sogno, gli avvenimenti di quei giorni, la solitudine, il comportamento per
lui incomprensibile di quegli esseri umani intorno…Quello non era il suo mondo e
lui non vi era mai rimasto da solo tanto a lungo.
Le labbra di
perla tremarono formando quell’unica parola, in un soffio appena udibile.
Il nome si
perse tra le pieghe di quella notte irreale. Una preghiera lontana per chi
poteva udire la voce della sua anima.
“Shadya”
-Padre.
Il sacerdote
si voltò e per un attimo rimase senza parole.
Dal fondo
della cappella un angelo lo guardava.
Padre Charrys
si passò una mano sul volto in un gesto istintivo, massaggiandosi gli occhi
stanchi per le troppe ore nella penombra della cappella, e, quando ritornò a
voltarsi verso la figura che avanzava lentamente nella sua direzione si accorse
che si trattava di un ragazzino. Un ragazzino così giovane che non riusciva a
capire cosa ci facesse lì e così bello da non sembrare di questa terra.
…Era una cosa fragile e
bianca…
Il prete
avvertì il suo dolore ed ebbe la sensazione che una sola mano sarebbe bastata a
spezzare quella creatura inerme.
-Stai bene, figliolo?- domandò senza nemmeno averlo
voluto.
Alis si fermò, ancora distante, e annuì appena.
Padre Charrys
si guardò intorno senza sapere cosa fare, intimorito da quella presenza così
sottile eppure così vivida, come una luce improvvisa che fosse
giunta in quel luogo di peccato.
Sedette su una
panca e fece cenno al ragazzo di sederglisi accanto:
-Quanti anni
hai?- domandò dolcemente
Alis non lo
guardò, gli occhi blu erano fissi sull’altare davanti a loro, una croce di
metallo era sospesa al soffitto sopra di esso e lui ne
era come ipnotizzato.
-Diciotto.-
rispose meccanicamente.
Il parroco non
gli credette: Questo è quello
che dicono, io voglio sapere quanti anni hai davvero.- insistette.
Alis non si
voltò: Non lo so.– ammise in un sussurro.
L’uomo lo
fissò in silenzio per qualche istante: E almeno un nome lo hai?- domandò
nuovamente.
-Alis.
-Alis.- ripeté il prete- E’ un nome strano.
-Lui mi chiama così.- mormorò il ragazzo. Ma
forse l’uomo non lo udì, o forse non lo ritenne importante, perché non gli
chiese a chi si riferisse.
-Cos’hai fatto,
Alis?- sussurrò invece in tono gentile.
Lui lo
guardò. Per la prima volta da quando era entrato ed i suoi occhi si erano posati
sulla croce di metallo, quegli occhi di cobalto catturarono lo sguardo chiaro
del prete trattenendolo in un respiro:
- Ho ucciso.-
rispose recitando di nuovo parole non sue. Abbassò il
viso a guardarsi le mani intrecciate, il suo tono cambiò
mentre aggiungeva a fatica- Dicono che devo stare qui perché non possa
rifarlo di nuovo.- Aveva paura ed era stanco.
Il prete se
ne accorse guardandolo.
-Perché lo avresti fatto?
-Non lo
so.
-Chi è che hai
ucciso?
-Non lo
so.
Padre Charrys
sospirò e si voltò anche lui a fissare l’altare:
- Non lo hai
fatto davvero.- disse dopo un istante e la sua non era una domanda. Il silenzio
durò di nuovo tra loro, mentre l’uomo considerava quell’apparizione fragile al suo fianco e la quieta
immobilità della croce in un unico pensiero…- Cosa
posso fare per te?- domandò in un soffio.
Alis alzò il
volto, il suo sguardo s’illuminò di luce mentre si
posava sulla croce: Vorrei venire qui più spesso…- mormorò.
-Puoi venire
tutte le volte che vuoi.- rispose il parroco. Le mani
si chiusero istintivamente sulla Bibbia nera che aveva accanto a sé sulla panca
e gliela porse in un gesto involontario- Tienila, ti sarà d’aiuto.- E mai aveva
creduto così tanto in quelle semplici parole.
Alis sorrise
con la sincerità che è propria dei bambini, accogliendo quel dono così prezioso:
-Grazie.-
disse solo, stringendo a sé il volume.
-Alis, stai attento.- aggiunse il prete in tono sottile- Non è un
posto per un bambino questo.
-Ha ucciso un
uomo.
-Si, ma non è
questo, è il modo in cui è morto! Nessuno sa come: il cuore spappolato come se
fosse stato stretto fino ad esplodere e nessun segno di ferite.
-Non è umano.
Nessun uomo può fare una cosa così. Guardatelo, è un
demonio.
Alis tirò
avanti senza dire nulla. La gente lo evitava, aveva
paura. Perfino i secondini parlavano di quello che aveva fatto: quel ragazzo che
nessuno conosceva, che sembrava spuntato dal nulla, quella morte
inspiegabile…Aveva ucciso un uomo ed era stato condannato all’ergastolo. A
diciotto anni. Sempre che davvero ne avesse tanti.
Tutti dicevano che non era normale, che lui non era come tutti
loro.
Lì non c’era nessuno.
Ad Alis
piaceva stare da solo dove le loro voci non potevano raggiungerlo. Per un attimo
gli sembrò di poter respirare di nuovo. Alzò il volto verso la finestra, chiusa
da quelle sbarre enormi, e si chiese quanto sarebbe passato.
Dunque valeva così poco per lui. Così poco
da averlo già scordato, da lasciarlo lì con il dolore e la paura.
“Ti prego”,
gridava la sua anima di bambino, ripetendo all’infinito quel nome. “Shadya”
-Ciao,
ragazzino.
Alis si voltò
di scatto. Un terrore irrazionale gli era scivolato nel cuore. Non si era
accorto che gli si erano avvicinati: un gruppo di
uomini. Ridevano fra loro. Ridevano sempre. Perché?
-Devi sentirti
solo visto il modo in cui ti trattano tutti- continuò
quello più vicino. Erano intorno a lui. Gli avevano tagliato
ogni via di fuga- Il temibile assassino!- canzonò l’uomo avvicinandosi
ancora di più. Con un gesto distratto afferrò una ciocca dei lunghi capelli
di Alis e se la portò al viso- Sai, io non credo che tu
lo abbia fatto davvero.- mormorò accondiscendente inspirando il profumo morbido
dei capelli del ragazzino, ma lui avvertì la pelle accapponarsi a quel contatto
e si ritrasse istintivamente, bruscamente provocando un leggero sogghigno sul
volto dell’uomo che lo fronteggiava.- E neanche loro lo credono.- aggiunse
quindi indicando i compagni, ostentando una benevolenza che i loro sguardi
smentivano. Gli uomini si affrettarono ad annuire concordi-
Visto?!- continuò il capobanda- Dovresti apprezzare la nostra fiducia,
magari potresti unirti a noi…Non saresti più solo.
-Io non sono
solo.- affermò seccamente Alis sostenendo lo sguardo
dell’altro- E non ho bisogno di voi.
-Ne sei
sicuro?- domandò ancora l’uomo, facendoglisi sempre più vicino e chiudendolo
così in un angolo contro il muro- Sai, possono succedere cose spiacevoli a
ragazzini graziosi come te in questo posto, soprattutto
quando vanno in giro senza protezione.
Alis se ne accorse appena in tempo, ma questo non bastò a
salvarlo.
L’uomo lo
spinse contro il muro, lasciandolo senza fiato, poi lui e i suoi amici gli
furono addosso.
Alis sistemava
i paramenti nell’armadio della sagrestia. Lentamente. Come se
per ogni singola striscia di stoffa esistesse un rituale lungo un’eternità da
rispettare.
Ritto alle sue
spalle, padre Charrys lo guardava in silenzio. In due settimane era
cambiato.
Lo spettro di
sé stesso. Parlava poco, mangiava ancora meno e stava
sempre in un angolo a leggere la
Bibbia nera che lui gli aveva regalato. E sempre più spesso la pelle candida era coperta di nuovi
lividi bluastri...
-Alis.- Il ragazzo si voltò appena, padre Charrys gli sorrise rassicurante- Quando hai finito, riposati un po’,
pulisco io qui.
Lui non disse
nulla, ripose gli ultimi paramenti e richiuse con delicatezza l’anta
dell’armadio, poi uscì dalla sagrestia e si lasciò cadere senza forze su una
delle panche di legno, fissando con sguardo vacuo l’altare davanti a sé.
Padre Charrys
non poteva saperlo, perché questo cambiamento non si vedeva all’esterno, ma Alis aveva anche smesso di pregare. Aveva smesso
da giorni. E aveva smesso anche di piangere. Qualcosa
dentro di lui si era rotta irrimediabilmente, ora non aveva più voce…Un sordo
mormorio, che ancora ostinatamente scivolava nelle pieghe del suo inconscio,
dimostrava che, nonostante tutto, lui era ancora vivo.
“Dio, io non
l’ho ucciso. Perché mi fai questo, cosa ho fatto per essere
punito?”
Nella sua
mente sconvolta quel nome affiorava ancora e lui lo invocava disperatamente, la
sera prima di addormentarsi, o quando i suoi compagni lo violentavano.
“Shadya”
-Alis.- Padre
Charrys gli sedette accanto, ma lui non lo guardò.- Alis, ti va di confessarti?- domandò gentilmente.
-Io non ho fatto niente.- rispose lui senza capire.
-Alis, magari
se ne parli ti sentirai meglio.- spiegò il parroco.
Alis guardava
la croce di metallo, ipnotizzato dalla sua immobilità e dalla sua sicurezza: Io
non sono più Suo figlio,- mormorò come se si rivolgesse
direttamente ad essa- ho fatto qualcosa per cui Lui non mi vuole più.
-Alis, non
esiste peccato per cui non esista perdono.- affermò il
prete.
-Forse per gli
uomini,- riconobbe il ragazzo abbassando lo sguardo- ma
non per me.
Quel posto non
gli piaceva. Non gli piaceva il suo odore, il sapore…
In un’altra
situazione l’odio, il risentimento, la rabbia ed il dolore che quelle creature
umane avevano accumulato in quell’unica, grande gabbia
lo avrebbero attratto lì. Lui avrebbe gioito al pensiero di un simile banchetto
imbanditogli, tante facili prede per la sua fame sempre viva…
Ma ora in mezzo a quelle creature c’era il suo Alis. Il suo
angelo splendente richiuso in quella gabbia gridava di paura e dolore; il suo
richiamo era così forte che aveva pensato di impazzire. Anche ora lui lo chiamava, lo invocava, lo implorava.
Accucciato
sull’alto palo telefonico, come un uccello da preda Shadya scrutava il cortile
affollato. Il sole dava noia ai suoi penetranti occhi bui,
avrebbe dovuto attendere la notte.
...Quella
notte avrebbe seguito il suo odore e avrebbe trovato Alis. Sentiva già il suo
odore in bocca…
Alis, il suo Alis! Nessuno poteva
separarlo da lui, nessuno!
I sentimenti
di quegli uomini nel cortile gli facevano venire fame; Shadya represse quella
sensazione e continuò ad attendere, immobile come un uccello da preda.
Il secondino
passò nel corridoio gridando quell’unico ordine secco: Volete fare silenzio?!
Le luci si
spensero di colpo ma non il vociare di sottofondo. Quando la cancellata a sbarre si fu richiusa fragorosamente
alle spalle delle guardie, i carcerati ripresero a parlare tra loro. Le voci
s’inseguivano nei corridoi, tra le celle.
Solo nella
propria, Alis sedeva immobile sulla brandina, la Bibbia aperta sulle
ginocchia, unica luce quella della piccola finestra in alto a sinistra.
Ma Alis non guardava nemmeno il
libro nero, lo sguardo perso sul muro di fronte, c’era il buio fuori e dentro di
lui.
Chiuse il
libro e lo posò sotto il cuscino. Si sentiva così vuoto
mentre chiudeva gli occhi al vuoto fuori di sé.
Shadya
sorrise.
Un sorriso
senza gioia, per sé e per coloro che avessero potuto
incrociare il suo sguardo nascosto tra le pieghe della realtà.
Davvero
credevano che mura e sbarre di ferro potessero
fermarlo? Potessero tenerlo lontano da Alis?
Sentiva il suo
odore. Così forte da farlo impazzire. Si sentiva eccitato come un segugio che
avesse fiutato la preda.
Passò tra le
sbarre della cancellata. Un dedalo di corridoi si apriva e da un punto
imprecisato gli giungeva l’eco della voce di Alis. La sua invocazione sempre più disperata, sempre più
flebile.
Shadya sentiva
l’odio inondargli la testa. Ogni giorno lontano da lui la sua rabbia ribolliva
sempre più fino a farlo esplodere.
Chiuse gli
occhi. L’odore lo avrebbe guidato.
Come uno
spettro silenzioso passò tra le celle ed il suo mantello si posava risvegliando
incubi di orrore e violenza nelle menti degli uomini,
ma Shadya non aveva tempo per giocare con quelle creature mortali. Quando la porta si frappose fra lui ed Alis, lui la passò
senza fermarsi, scivolando più a fondo nel mondo.
...Gli occhi
neri, inumani, si soffermarono stupiti indugiando sui due uomini
addormentati…
Non era lì.
Alis non c’era…
Ma c’era il suo odore.
Shadya
digrignò i denti in un ringhio feroce e silenzioso, con un movimento fluido
s’inginocchiò accanto ad una delle brande e il suo volto si abbassò lentamente a
sfiorare quello dell’uomo addormentato. La creatura mortale si divincolò
sussultando a quel tocco bruciante. Nella sua mente fiorirono ricordi ed angosce
sopite a cui tentò di sottrarsi agitandosi
convulsamente.
Sì, non si era
sbagliato. Quella creatura umana aveva addosso il suo
odore.
Una mano
spettrale si sollevò sul corpo disteso: artigli lunghi e sottili come aghi si
allungarono con uno scatto secco e trasformarono la mano in un mostruoso arto
deforme.
Nessuno.
Nessuno poteva avere addosso il suo odore!
Gli artigli
affondarono in un istante; l’uomo spalancò gli occhi e la bocca in un
inarticolato urlo senza voce. Dall’incubo mostruoso in cui era stato gettato,
cadde in una morte di orrore e dolore. Shadya lo osservò contorcersi sotto la sua stretta, con la
curiosità che un gatto avrebbe mostrato verso la propria preda. Infine ritirò
gli artigli e guardò il corpo senza vita rotolare ai propri piedi. Nella cella
il compagno dell’uomo si svegliò e si girò a cercarlo. Shadya rimase dov’era,
ombra per le stesse ombre, l’uomo guardò verso di lui e
tutto ciò che percepì fu un innaturale silenzio. E
paura. Paura senza spiegazione.
-Jack, sei tu?- domandò in tono appena udibile.
Richiamato
dalle sue parole, Shadya mosse verso di lui. Un unico elegante
movimento con cui attraversò la distanza della cella e gli si accucciò
vicino. Il volto a pochi centimetri da quello dell’altro. L’uomo avvertì
un vento gelido sfiorargli la pelle e il senso spiacevole di una presenza
inquietante nella stanza. Tremando girò lo sguardo intorno: Jack.- ripeté alzando il tono di voce e concentrandosi sulla
sagoma scura ai piedi della brandina del suo compagno
di cella.
No, lui non
aveva il suo odore…
-Jack, piantala!- gridò istericamente l’uomo. Shadya allontanò il
viso inclinando il capo mentre osservava quella buffa
creatura umana ed il suo terrore- Guardia! Jack si
sente male, presto!
Passi nel
corridoio.
Shadya si
voltò di scatto, incuriosito, e si rialzò silenziosamente.
-Cosa diavolo
succede qui?!- La porta si aprì.
Shadya uscì
passando accanto ai secondini
Avrebbe
cercato ancora. I trucchi degli umani non sarebbero serviti a portarglielo
via.
Alis sentì il
fiato mozzarglisi in corpo mentre il capo dei suoi
aguzzini lo scaraventava con forza contro il muro di pietra, afferrandolo per il
bavero della camicia e trattenendolo contro la parete. Con uno sforzo che non
credeva di poter compiere riuscì a rimanere cosciente ed a sollevare sull’altro
il suo sguardo blu.
-Non sono stato io, Matt!- giurò disperatamente.
Per tutta
risposta l’altro gli sferrò un pugno nello stomaco, lasciando contemporaneamente
la presa. Alis cadde al suolo, dove rimase accasciato su sé stesso.
-Fa silenzio,
bastardo!- gridò rabbiosamente l’uomo- Io non so come
tu faccia, ma se credi di avermi spaventato ti sbagli di grosso, moccioso! Non
mi ammazzi come hai fatto con Jack!
-Matt…- provò
di nuovo Alis in tono supplichevole.
Ma l’uomo lo
fece tacere sferrandogli un calcio nelle reni: Non ho
finito!- continuò nello stesso tono- Te lo dico io chi di noi due deve avere
paura dell’altro! E te lo insegno in modo che tu non
possa più scordarlo!
Padre Charrys trovò Alis due ore più tardi. Rannicchiato e
tremante dietro l’altare nella cappella del carcere, il corpo coperto di lividi
e ferite che il ragazzo non aveva ancora medicato ed il
volto gonfio e pallido.
-Alis!- Il
sacerdote gli corse accanto inginocchiandosi- Dio Benedetto, ma cosa ti è
successo?!- domandò sconvolto.
-Sono
scappato, padre.- ammise in un soffio il ragazzo- Matt pensa che io abbia ucciso
Jack, lui e i suoi mi hanno picchiato.
-Picchiato?!- ripeté ironicamente il parroco- Hanno cercato di
ammazzarti, Alis! Aspetta qui, vado a prendere qualcosa
per togliere il sangue.- aggiunse prima di alzarsi e sparire in sagrestia.
Qualche minuto dopo fu di ritorno con una bacinella d’acqua e un panno pulito.-
Alis, se le guardie ti trovano qui dopo che hai saltato l’appello…- cominciò mentre puliva le ferite.
-Lo so, padre.
Ma avevo paura.- mormorò appena- Io non l’ho ucciso!-
aggiunse con forza, aggrappandosi al parroco come se fosse l’unica salvezza.
Padre Charrys
lo guardò tristemente prima di stringerlo a sé, tentando invano di calmare i
suoi tremiti: Ti credo, Alis, ti credo.- mormorò tranquillizzante- Dirò che ti avevo chiesto io di venire qui e ho dimenticato
di avvisare.
Alis lo lasciò
andare, respingendo indietro le lacrime, abbassò lo sguardo: Grazie, padre.-
sussurrò con riconoscenza.
Il parroco
mise via la bacinella e lo fissò in silenzio per qualche istante: Di cosa hai
tanta paura?- domandò infine.
-Di morire.-
rispose appena Alis- La mia anima si dissolverebbe di
sicuro. Shadya me lo ha detto: “non devi morire, quando
sono deboli come te non li fanno tornare, spariscono e basta”
-Shadya?-
ripeté padre Charrys- Chi è? Alis, lui ti ha detto che la tua anima verrà dissolta se morirai? Ma sai che non è vero.
-Lo è invece.-
ribatté Alis voltandosi- Io sono solo un Custode e non
ho nemmeno un’anima da custodire, non servo a nulla.
-Alis, ma cosa
dici?- mormorò il prete addolorato- Non c’è anima di Dio a cui non sia concessa la vita eterna, per quanto piccola o inutile
appaia agli occhi degli uomini.
Il suo odore,
il suo sapore…
Shadya si
sentiva frastornato, confuso, e questo aumentava la sua rabbia
mentre vagava nei corridoi silenziosi.
Lo avvertiva
dappertutto.
Udiva il suo
richiamo e non poteva raggiungerlo!
Si sentiva una
fiera in gabbia.
Quando trovò
le macchie di sangue si fermò. Il sangue gli dava alla
testa, lo faceva star male, aveva bisogno di fermarsi. Si piegò sulle ginocchia,
pronto al balzo, e le dita, lunghe come gli artigli che celavano, sfiorarono il
rosso sul pavimento, lo accarezzarono e lo portarono alle labbra.
Sangue.
Il suo
odore…
Il suo
sapore…
Il suo
sangue!
Gli occhi neri
si socchiusero, due pugnali su un volto di marmo, i denti da
gatto si scoprirono in un ringhio silenzioso.
Il suo sangue!
Shadya scattò
in avanti, come un animale feroce, e fece di corsa quei metri seguendo il suo
odore.
La croce di
metallo gli si parò davanti a bloccargli il passo. Stupito, Shadya si fermò.
Una
cappella.
L’altare, le
panche rovinate, le candele consumate.
Ed un prete.
Shadya gli si
avvicinò piano. Lui non poteva vederlo nè sentirlo, Shadya
era solo un’ombra, un soffio d’aria gelida. Si fermò al suo fianco.
…Alis?
Sporgendosi
verso il prete, Shadya ne respirò l’odore.
Alis.
Padre Charrys
non ebbe paura come Jack la notte precedente, non sentì
nel gelo della sera un’anticipazione degli orrori dell’Inferno. Morì in pace,
come in pace aveva vissuto.
Shadya lo
guardò cadere al suolo, la mano trasformata nella sua crudele arma di morte
sporca della vita dell’umano. Dov’era Alis? Dov’era il suo angelo?
Nessuno di
loro poteva avere addosso il suo odore.
O il suo sangue.
-Perché? Perché devo cambiare cella?
Perché non posso portare con me le mie cose?
Le sue domande
disperate non ottennero risposta. La porta di metallo si
richiuse dietro le due guardie, isolandolo all’interno di quel nuovo mondo senza
luce.
Piangendo Alis
si lasciò scivolare a terra lungo il muro gelido.
Glielo avevano
detto quel mattino, prima che arrivassero le guardie per portarlo via, padre
Charrys era morto.
Apparentemente
un infarto, come quello di Jack. Ci sarebbero state due
autopsie. Tutti erano convinti che fosse stato lui.
Alis pianse.
Per padre Charrys e perché non aveva più la sua Bibbia nera sotto il
cuscino.
“Ormai non
m’importa più, se la mia anima verrà dissolta o cadrà
all’Inferno, io non ce la faccio più.”, sussurrò angosciato al soffitto buio
sopra di lui.
-Continua a
non voler mangiare? Mah, se quel demonio dovesse morire sarebbe un bene per
tutti.
Le due guardie
gli passarono accanto senza vederlo. Una spiacevole sensazione che ricordò loro
violenze e abusi commessi in quei lunghi anni di lavoro.
Shadya girò
l’angolo e uscì nel corridoio, voltandosi leggermente per guardarli
allontanarsi. Per un attimo ebbe fame, ma escluse quel pensiero dalla sua
mente.
Alis.
Non era più
solo il suo odore.
La sua voce.
Non era mai
stata così debole. Da quanto tempo non lo udiva cantare?
Seguì quel
richiamo lungo il corridoio. In fondo c’era una sola cella ed una guardia che
dormiva appoggiata al muro.
Shadya
s’inginocchiò posando le mani contro il freddo del metallo.
Il suo pianto. I suoi singhiozzi soffocati.
Appoggiò il
volto alla porta.
Lo chiamava ancora.
-Alis.-
mormorò soltanto.
La porta parve
liquefarsi sotto le sue dita e lui si lasciò semplicemente scivolare nella
cella.
L’odore, il
suo odore permeava l’aria come un balsamo.
Shadya respirò a fondo, sentendosi di nuovo calmo dopo giorni di rabbia e
confusione. Nell’oscurità della cella vide i capelli d’oro pallido risplendere
sommessamente incorniciando quel volto di porcellana.
Shadya si
avvicinò alla figura distesa sul pavimento e raccolse tra le braccia il corpo
fragile, sollevandolo come se fosse stato un giocattolo costoso. Alis si abbandonò senza forze contro il suo petto, mentre
gli occhi blu si aprivano appena per sincerarsi di ciò che già sapeva in modo
istintivo. -Shadya,- mormorò
a fatica- sei venuto a prendermi.
-Tu se mio,
Alis.- rispose il demone come se fosse evidente.
Alis sentiva
il calore morbido dei cuscini e delle coperte, che lo avvolgevano dolcemente.
Nel cono di luce disegnato dalla grande finestra
rotonda davanti a sé, vide Shadya muoversi con il passo misurato e silenzioso di
un grosso felino che aspetti la preda. Il demone si voltò incrociando i suoi
occhi e tornò subito al suo fianco, sedendogli accanto
tra i cuscini.
-Dicevano che ero stato io ad uccidere l’angelo,- cominciò a
raccontare Alis, mentre liberava le mani dalle coperte per sollevarle a
stringere il braccio di Shadya, come per assicurarsi che non sparisse
all’improvviso.-per questo mi hanno portato in quel posto. Poi hanno creduto che
avessi ucciso anche padre Charrys e Jack. Sei stato tu,
vero?- domandò dopo un istante.
Shadya non
rispose, non ne aveva bisogno. Gli occhi neri
brillavano nella penombra della luna piena mentre
scrutavano in lungo e largo il viso della sua bambola: Perché avevano addosso il
tuo odore?- chiese il demone ed Alis si accorse che
era arrabbiato.
-Padre Charrys
mi aveva abbracciato. Per consolarmi.- spiegò.
-Ti hanno fatto del male?- insistette Shadya. La sua rabbia non
mutava.
Alis respirò a
fondo e si accoccolò tra i cuscini, stringendosi al demone come un cucciolo in
cerca di protezione: Mi hanno fatto molto male.- ammise in un soffio doloroso-
Gli uomini si fanno l’un l’altro cose orribili.
-E’
l’influenza del mio signore Lucifero.
Le dita di
Shadya si sollevarono a scostare i capelli morbidi dal volto di porcellana. Poi
il demone tracciò un segno leggero nell’aria e sul suo palmo apparve una sottile
catenina d’argento brunito con un piccolissimo crocefisso ad un’estremità.
Shadya chiuse dolcemente l’orecchino intorno al lobo dell’orecchio di Alis, lasciandone ricadere il
pendente sulla guancia di velluto.
-Non potevo
sopportare che avessero il tuo odore addosso.- continuò
in tono più mite, anche se la sua voce continuava ad avere un sapore metallico-
Tu sei mio, Alis.- ripeté. Le lunghe dita ripresero a giocare con i capelli di
seta fragile, pascendosi della loro incredibile bellezza- Non ti lascerò andar
via, farai quello che io ti dirò.
-Farò quello
che mi dirai, Shadya.- promise Alis chiudendo gli occhi
ed abbandonandosi alla dolce tranquillità di quella carezza.
Shadya si
stese al suo fianco. Il volto a pochi centimetri da quello del ragazzino, il suo
respiro regolare che gli sfiorava la pelle.
Ora si sentiva
bene.
Ora.
-Shadya,
guarda!
Il demone uscì
sul cornicione di pietra fuori della finestra rotonda.
Alis rideva
come un bambino, gli occhi blu che brillavano nel sole. Una coppia di passerotti
si era lasciata convincere ed ora zampettava senza paura sul palmo aperto della
sua mano.
Shadya
sorrise: Sono belli.- ammise, avvicinandosi. I due
uccellini volarono via spaventati, ma il demone non se ne curò, si piegò a
sfiorare i capelli del ragazzino con il volto- Ma non
belli come te.- aggiunse respirando il suo profumo. Afferrò una ciocca color
dell’oro e ci giocò divertito, come abbagliato dai riflessi che avevano nella
luce chiara- Mi piacciono i tuoi capelli, sono morbidi
tra le dita.
Alis non se lo
fece ripetere, raccolse i capelli in una coda tra le mani e la tagliò con
decisione con un piccolo coltello che apparve tra le sua
dita. Un caschetto irregolare si aprì a ventaglio intorno al volto di
porcellana, ma Alis non vi badò, legò la ciocca di
capelli con un laccetto sottile e la porse a Shadya.
-Tieni, sono tuoi. Almeno posso regalarti qualcosa che
desideri.
Il demone
nascose la ciocca dentro la giacca. Poi tornò a guardare il ragazzino,
prendendogli il mento per girargli il viso verso di sé: Così mi piaci di più.-
disse solo.
-Come vuoi, Shadya- assentì Alis obbediente.
La stretta di
Shadya si trasformò in una carezza e Alis sorrise,
felice di poter esaudire i suoi desideri.
Poi qualcosa cambiò
bruscamente.
Shadya
dimenticò in un attimo il ragazzino, raddrizzandosi di scatto e guardandosi
intorno, un predatore che ha annusato la preda. Le dita
si strinsero istintivamente intorno al collo di Alis,
fino a fargli male, ma lui non disse nulla e non si mosse, sapeva ciò che stava
accadendo e quale fosse il proprio ruolo in quel frangente.
Shadya si
piegò verso di lui fino a sfiorargli l’orecchio con le labbra: Resta qui.-
ordinò senza nessuna intonazione, soffiandolo nella
morbida conchiglia dell’orecchio di Alis.
Con un unico
movimento fu in piedi ed oltre i vetri della grande
finestra tonda, all’intero del loro rifugio.
Alis rimase
dov’era. Il cuore che gli martellava nel petto.
I pensieri che
si inseguivano nella sua mente.
Poi
decise.
Si alzò in
piedi a sua volta ed entrò nel palazzo.
Gli edifici
incombevano da ogni parte. Lo sporco. Il grigio. La ruggine rossa…
Alis respirava
a fatica. Si sentiva un bambino in un gioco più grande di lui, l’eccitazione e
la paura lo stordivano.
Trasse un
respiro profondo.
Facendosi coraggio posò le mani sul parapetto di cemento e si
sollevò, sporgendosi a guardare la strada venti metri più sotto.
Il vento
gelido gli feriva le mani e gli mozzava il fiato in gola. Il senso di vertigine
lo assalì, una sensazione ad un tempo di gioia e nostalgia che lo riempiva di un
sottile e piacevole terrore.
Ricacciò
indietro quei sentimenti.
Tra i sacchi d’immondizia, sotto la scala di sicurezza di ferro,
scorse i corpi bianchi. Immobili in pose innaturali, fissavano il Cielo
con sguardo vuoto. Occhi vitrei, ogni alito di vita era fuggito dall’orrore di
quella
esecuzione.
Alis provò una
fitta di dolore.
Una mano
fragile si tese in un gesto istintivo, a voler sfiorare quei volti così simili
al suo.
Poi quel
richiamo.
-Alis.
Era stato solo
un lungo sussurro al suo orecchio…
Un corpo
snello e muscolo si strinse a lui, una mano artigliata e gelida si posò sulla
sua gola inerme mentre l’altra lo cingeva posandosi sul
petto per fermarne ogni via di fuga. Per un istante ebbe paura, ma le mani che
lo trattenevano non erano ostili e lo sfioravano con
gentilezza, nascondendo la propria capacità mortale dietro un carezza soffice e
attenta.
Alis si
abbandonò contro il corpo di Shadya chiudendo gli
occhi.
-Mi hai
disubbidito.- Le labbra rosse sfioravano appena la pelle del ragazzino mentre mormoravano quelle parole- Non devi mai
disubbidirmi, Alis.
Shadya sentiva
sotto la mano il calore della sua carne, il pulsare del suo sangue nelle vene del collo. Avrebbe potuto squarciargli
la gola in un istante e vederlo morire dissanguato tra le proprie braccia.
Era una cosa
molto eccitante.
Ma non desiderava ucciderlo.
Gli piaceva
molto di più tenerlo così. Stretto a sé, senza possibilità che volasse via, le
ali prigioniere dei suoi artigli assassini.
-Lo hai fatto
anche l’altra volta e hai visto cosa è successo.- continuò il demone nello stesso tono, affondando il volto nei
capelli biondi.
-Volevo vederli.- ammise Alis riaprendo gli occhi sui corpi
abbandonati in strada.
-Perché?
-Sono i miei
fratelli.
-Sono solo angeli!- ribatté con un ringhio di disprezzo
Shadya.
Alis si voltò,
gli artigli del demone continuavano a rimanere posati sulla sua gola indifesa,
ma lui non aveva paura; gli occhi blu sostennero quelli bui e profondi
dell’altro: Anch’io sono un angelo.- mormorò soltanto.
Gli artigli si
strinsero di più, affondando leggermente nelle carni bianche: Tu sei mio!-
sibilò rabbiosamente Shadya.
Lo sguardo
di Alis si fece dolce: Si, Shadya, io sono tuo.- ammise
con semplicità.
Il demone
parve calmarsi, i muscoli si rilassarono e lasciò andare la gola dell’altro per
accarezzargli con delicatezza i capelli di seta: Non devi farlo, non devi chiederti di loro; io non ti lascerò andar via.-
mormorava lentamente.
-Non voglio
andar via, Shadya.
Gli artigli si
ritirarono di scatto, così come erano apparsi ed Alis
si ritrovò stretto nell’abbraccio del demone: Allora non cercarli più.-
concluse.
-Io…- Alis
esitò, poi si fece coraggio e riprese con voce
strozzata- Io mi chiedevo solo se tu li risparmieresti se fossi io a
chiedertelo.
-Tu non devi chiedermi mai una cosa come questa, Alisiel.- sibilò con
cattiveria Shadya.
Quel nome da
solo bastò a far rabbrividire Alis, che si strinse contro di lui nascondendo il
volto contro il suo petto: Non chiamarmi così!- lo implorò- Io sono Alis! Tu mi
hai chiamato Alis quando sono nato ed io mi chiamo
così! Non m’importa degli angeli,- continuò
singhiozzando- uccidili se vuoi, ma non lasciarmi di nuovo!
-E’ davvero un
bel cucciolo di angelo.
Shadya si
voltò con uno scatto, ringhiando come un cane che difenda il proprio territorio,
e l’altro demone si ritrasse ridendo.
Nel locale non
c’erano che creature infernali.
Un limbo
d’Abisso ai confini del mondo umano, loro non si accorgevano nemmeno della sua
esistenza quando passavano troppo indaffarati accanto a
quello squallido bar di periferia. Ma ai demoni
divertiva imitare gli umani e quello era un buon posto per incontrarsi.
Shadya ed
Alis sedevano ad un vecchio e sudicio tavolo
nell’angolo più nascosto del locale. Alis se ne stava posando il capo sulle
braccia, incrociate sul piano di legno scheggiato; era una macchia di luce in
quell’oscurità di tenebra e questo faceva di lui una candela per gli esseri che
si aggiravano nella penombra carica di odori. Shadya
però era al suo fianco, accarezzando distrattamente i capelli di seta ed
aspettando che i suoi singhiozzi soffocati si spegnessero. Chiunque osasse incrociare i suoi occhi riceveva uno sguardo di sfida
che avrebbe fatto gelare il sangue nelle vene a qualunque essere, di qualunque
genia.
Ma erano pochi a provarci.
Del resto lui
era l’Ammazzangeli. Shadya, il “Cacciatore”. Una creatura che Lucifero in persona aveva plasmato, il suo cane da
caccia personale. Era spietato, lo muovevano la fame e l’istinto di
uccidere, nient’altro trovava posto nella sua mente. Cacciava
angeli, un assassino perfetto, seguiva le sue vittime, aspettando,
colpendo con rapidità e ferocia dal buio. Era l’incubo di un momento che si
fissava nell’eternità della fine.
E tutti
sapevano di Alis.
Shadya aveva
trovato e massacrato un’intera squadra di Custodi, da solo. Ma non si era accorto dell’uovo se non una volta che tutto
era finito.
Un uovo.
Il demone
ricordava con una precisione disarmante quel giorno.
Il globo morbido, trasparente, sospeso tra i filamenti di vetro di
quella strana pianta che gli angeli usavano per poter riprodurre la propria
specie. Nel liquido amniotico dormiva una creatura piccola e bianca, con
le ali candide che la avvolgevano protettive in una nuvola di piume fragili. Lui
si era avvicinato, leccando via dagli artigli il sangue ancora fresco
dell’ultima vittima.
Quella
creatura.
Un cucciolo
di angelo.
Si era avvicinato con precauzione, qualcosa lo disorientava.
Poi aveva
avvertito l’amore che circondava quel globo di limpido, l’amore di coloro che avevano custodito ed atteso quella creatura fino a
quel momento, parlandogli della meraviglia del mondo, di quanto sarebbe stato
stupendo scoprirlo con i propri occhi.
Shadya aveva
desiderato uccidere il cucciolo.
Sbranarlo,
mostrargli l’orrore del mondo.
Poi aveva
udito la canzone e si era fermato.
Era il
cucciolo.
Cantava la
gioia di venire al mondo, rispondeva all’amore di chi lo aveva protetto con il
proprio amore, chiamava i nomi di coloro che lo avevano accudito.
Una gioia che
Shadya non conosceva, un amore che non poteva provare…
Sedette
davanti all’uovo.
Attese per quasi sei giorni prima che si schiudesse. Poi il
cucciolo d’angelo scivolò tra le sue braccia tese, le piume delle ali
schiacciate ed arruffate dal liquido amniotico.
Per sei giorni
aveva cantato.
Il potere di
Shadya lo toccò nello stesso istante in cui lo fecero i suoi artigli pronti ad
ucciderlo. Ma Alis continuò a cantare e nel suo canto
lo chiamò.
Anche se non conosceva il suo nome.
Allora Shadya aveva preso con sé il cucciolo d’angelo e ne aveva fatto il proprio cucciolo.
Non c’era
demone all’Inferno che non conoscesse questa storia e,
quindi, si tenesse ben alla larga da Shadya il Cacciatore e dal suo cucciolo di
Custode.
-Alis.- Shadya
si piegò in avanti, a sussurrargli all’orecchio sfiorando la sua pelle come
faceva sempre. Alis aprì gli occhi
ma non si mosse- Non devi avere paura, Alis, io non ti lascio da solo,
anche se mi hai disobbedito e mi hai fatto arrabbiare.- mormorò piano il
demone.
-Non lo farò
più.- promise meccanicamente l’angelo.
-E non cercherai più i tuoi simili.- aggiunse il demone.
-No, Shadya,
non lo farò più.- ripeté Alis nello stesso tono
incolore.
Shadya sorrise
raddrizzandosi e poggiando la schiena alla sedia: Allora va bene.- sussurrò rassicurante.
-Sei tu
l’ammazzangeli?
Shadya si
voltò; non aveva mai visto quel demone prima, ma aveva
ancora negli occhi la furia della battaglia e gli abiti erano macchiati di
sangue. E questo bastava a risvegliare la sua
curiosità.
-Ho una
notizia che credo t’interesserà.- continuò la creatura
appena arrivata.
-Aspetterai qui.- ordinò incolore Shadya.
Alis si limitò
ad annuire. Stavolta non aveva nessuna intenzione di
disubbidire e tutti e due lo sapevano. Guardò il demone
allontanarsi in direzione della fabbrica abbandonata e ad ogni passo lo
osservava scomparire sempre più tra le pieghe della realtà. Finché non
rimase nulla se non una sorda sensazione di orrore.
Alis
sedette.
Quello era un
covo di angeli. O almeno così
aveva detto quel demone nel bar. Lui sentiva solo un freddo brivido corrergli
lungo la schiena. L’unico movimento intorno era il grattare delle unghie dei
ratti in mezzo alle macerie e ai rifiuti. Il buio cieco delle finestre e delle
porte senza infissi gli sembrava lo sguardo vuoto di un teschio abbandonato.
Shadya era un
ammazzangeli. Non era facile esserlo: gli angeli non giravano mai da soli, a
differenza dei demoni, e questo li rendeva prede difficili. I pochi cacciatori
di angeli, che riuscivano a sopravvivere, nel confronto
erano però assassini infallibili. E Shadya era uno di
loro. Era stato creato solo per quello e solo quello desiderava fare: uccidere.
In modo istintivo e brutale, come i grandi felini.
-E’ solo un
cucciolo.
Alis sussultò
raggelato da quella voce e si voltò di scatto. La freddezza di quei due occhi
azzurri lo fulminò inchiodandolo al suo posto.
Il primo
angelo lo studiava attentamente, accovacciato su una catasta
di rifiuti, le ali candide si spalancavano sulla sua schiena contribuendo
ad un’idea di sospensione eterea. Il secondo angelo, però, era così vicino che
Alis si chiese come avesse fatto a non accorgersi del loro arrivo: in piedi alle
sue spalle, le braccia incrociate sul petto, lo guardava come se si fosse
trattato di qualcosa di disgustoso.
-Un piccolo
fratello corrotto.- commentò il secondo angelo- Lui è stato chiaro, però: “portatemi il traditore”
-Come vuoi.- concluse brevemente quello ad ali spiegate.
Alis non fece
in tempo a realizzare quello che stava accadendo. Il
primo dei due angeli piombò su di lui dall’alto e lo scaraventò parecchi metri
più in là, contro i resti di un muro di cemento. Stordito e confuso, il
ragazzino alzò di nuovo lo sguardo su quelle creature. Quello che lo aveva
colpito veniva verso di lui lentamente, tra le mani
stringeva una piccola spada dall’elsa d’oro, ma non sembrava troppo preoccupato
che lui potesse tentare di fuggire. L’altro rimaneva immobile dove si trovava e
si limitava a fissare la scena con sguardo vacuo.
-Pensi che
possa essere pericoloso?- domandò l’angelo con la
spada.
-Fai in modo
che non ci dia problemi.- rispose l’altro come se si
fosse trattato di un’autorizzazione.
Alis sentì un
freddo gelo penetrargli nelle ossa quando la lama lo
colpì. La testa prese a girargli e gli occhi a bruciare come se avesse pianto
per ore. Riuscì solo ad abbassare lo sguardo per accorgersi che non c’era
nessuna ferita lì dove la spada lo aveva colpito, poi il dolore lo fece
svenire.
Il loro odore
era dappertutto.
Shadya lo
odiava. Sapeva di marcio al suo olfatto.
Era come entrare in una tana abitata da luridi animali carnivori,
che avessero lasciato i resti delle proprie prede ad imputridire nell’umidità e
nello sporco.
Erano Ishim.
Lui sapeva
bene che ogni classe di angeli aveva un proprio odore e
avrebbe riconosciuto quello tra milioni di altri. Era l’odore della morte dalle
ali bianche.
Gli piaceva
uccidere gli Ishim.
Non era facile
come con gli altri.
Se erano più
di due diventava molto pericoloso. Loro erano forti, e
furbi. Bisognava essere più furbi. Ucciderli un po’ per volta, non farsi vedere.
Se ti attaccavano tutti insieme, eri finito.
Sul pavimento
i topi correvano lontano quando lui passava, quelli più
grossi sembravano impazzire ed aggredivano i più giovani facendoli a
brandelli.
Shadya non ci
faceva caso.
Lui li stava
cercando…
Ne sentiva la
presenza, ma non come di solito. Non sapeva dov’erano. Quanti erano…Se c’era
anche un capo…
L’odore del
sangue lo distrasse un istante. Una macchia scura sul pavimento dove gli angeli
avevano combattuto contro quel demone al bar.
…E lui era ancora vivo.
Come era riuscito a scappare?
Uno straccio
di bianco.
Un’ala.
Un corpo
accasciato dietro una colonna.
Era strano. Si
avvicinò piegandosi sul corpo: quello era morto già da un po’. Avevano lasciato
lì il cadavere, ma di solito non lo facevano. Aveva uno squarcio nero su di un
fianco, regalo del suo avversario.
…Che però era fuggito.
Gli Ishim non lasciavano impunita la morte di un fratello. Come era riuscito a fuggire?
-Non lo ha
fatto.
Shadya si
voltò con un ruggito disumano. Gli artigli scattarono immediatamente ed
affondarono inesorabili nella carne dell’angelo. Lui e il demone si fissarono in
silenzio.
-Tu sei il Cacciatore.- sussurrò l’angelo. Tre paia di ali candide si spalancarono sulla sua schiena mentre uno
sguardo di fiamma sosteneva quello di tenebra oscura di Shadya- Finalmente ti
abbiamo trovato.
Con un movimento così veloce da essere quasi invisibile si tirò
indietro di parecchi metri, rimanendo sospeso a mezz’aria davanti
all’altro. Sul petto la ferita provocata dagli artigli di Shadya colorava
di scarlatto la casacca nera, ma l’angelo non sembrava accorgersene.
Dall’oscurità intorno a loro uscirono in silenzio i suoi compagni.
Shadya li vide
e seppe che era la fine.
Acquattandosi
come un gatto, balzò in avanti per attaccare l’angelo che aveva ferito. Gli
altri si slanciarono in avanti a loro volta.
I due angeli
lo stavano portando da qualche parte. Ma dove?
Alis non
vedeva chiaramente mentre veniva trascinato dai suoi
carcerieri lungo pavimenti sudici e neri. Gli occhi gli bruciavano ancora e la
testa gli pulsava dolorosamente. Era rinvenuto quando
il secondo dei due angeli gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio. Una frase
che non aveva capito ma che suonava come un ordine cui la sua mente intorpidita
aveva risposto riprendendo una vaga coscienza del mondo intorno.
Qualcuno aveva
aperto una porta, una luce artificiale e bassa lo ferì
come se fosse stata la luce del sole di mezzogiorno. C’era una voce che chiedeva
qualcosa. Una voce calda, rassicurante, che aveva qualcosa di
autoritario ma smorzato da una tranquilla e rassicurante pacatezza. Uno
dei due angeli rispose, poi Alis sentì di nuovo il secondo angelo sussurrare
quella frase e all’improvviso fu capace di aprire gli occhi e tirarsi
faticosamente in piedi.
Erano
all’interno di un edificio semidistrutto, la prima cosa che Alis vide fu il
corpo dell’angelo accasciato al suolo, uno squarcio nero lungo un fianco. Poi i
suoi occhi furono catturati dalle fiamme che ardevano nello sguardo di quello
che gli stava davanti.
Sei ali.
Un
serafino.
Ebbe paura e
non fu in grado di muovere un passo o girare oltre lo sguardo, così fu solo una
consapevolezza istintiva a dirgli della presenza degli altri intorno a loro.
-E’ un
cucciolo.- mormorò di nuovo quella voce rassicurante e
Alis si rese conto che apparteneva al serafino.
L’angelo che
lo aveva svegliato intervenne quietamente: Tu avevi chiesto il traditore,
Rasiel, e noi te lo abbiamo portato.
-Io non credo
che sia davvero un traditore.- interloquì un’altra voce
da un punto alle loro spalle.
Rasiel non
rispose. Guardò Alis come se volesse leggerne le profondità con quel solo
sguardo.
-Tu sei
l’angelo che si accompagnava al Cacciatore?- domandò
infine.
-Si.- rispose
timidamente Alis.
-Lo hai un
nome?
-Alis.
-Alis?- ripeté
Rasiel senza capire.
Il ragazzino
fece un respiro profondo, poi mormorò a mezza voce:
Alisiel. Ma lui mi chiama Alis e a me piace di più.
-Il Cacciatore
ti chiama “Alis”?- domandò il serafino- Come ti sei trovato
con lui?- indagò quindi.
-E’ stato lui a trovare me. Quando era ancora nell’uovo.
-Ha rubato un
uovo di angelo?!- esclamò quello che lo aveva
risvegliato.
-Oramai non è
più un problema, ora dobbiamo risolvere una questione più importante.- ribatté con pacatezza Rasiel- Dobbiamo decidere delle sorte
di questo piccolo fratello, giudicare se ha tradito o no.
Ma Alis non li
ascoltava più: Che vuol dire che non è più un
problema?- sussurrò con un filo di voce.
Ma nessuno si degnò di rispondere.
Terrorizzato,
angosciato per qualcosa che aveva solo la sensazione dovesse essere accaduto, si voltò febbrilmente guardandosi
intorno.
E trovò ciò che cercava.
Gli angeli
accanto a lui riuscirono ad afferrarlo prima che potesse gettarsi verso il corpo
riverso a terra, in un bagno di sangue e in mezzo ai cadaveri degli Ishim che aveva abbattuto prima di venire ucciso a sua
volta.
-Che significa
questo tuo comportamento?- ruggì Rasiel e il suo tono aveva smesso di essere rassicurante.
Ma ad Alis non
importava mentre tentava di divincolarsi dalla stretta
dei suoi carcerieri.
- Lo avete
ucciso!- gridava disperato- Avete ucciso Shadya!
Rasiel lo
afferrò per un braccio strattonandolo violentemente e strappandolo così alla
presa dei compagni: Ti ha dunque sedotto fino a questo punto?- domandò con voce
terribile. La sua mano corse a spalancare la porta di ferro che aveva accanto ed
Alis vide una stanza priva di finestre prima di essere gettato contro il
pavimento umido- Pensavo che essendo così giovane fosse
ancora possibile salvarti!- continuò Rasiel mentre insieme ad un gruppo dei suoi
entravano nella stanza e chiudevano la porta dietro di loro- Hai idea di quale
sia la punizione per chi tradisce Dio?
-Io non L’ho
tradito!- giurò con enfasi Alis.- E’ stato Lui a darmi a Shadya, io ho fatto
solo quello che Lui voleva!
Rasiel parve
rimanere fulminato a quella affermazione, i suoi occhi
sgranati fissarono Alis come se volessero incenerirlo: Usi il nome che
quell’infame ti ha dato, rinnegando il nome impostoti per volontà di Dio, dici
che Lui ti ha dato ad un ammazzangeli…! Sei pazzo o sei corrotto fino al punto
di credere alle assurdità raccontateti da quel demone?
-Lui non mi
ha mai detto niente del genere…- ribatté Alis.
-E allora come sono arrivate simili idee alla tua bocca?
-Perché…io
sto bene con Shadya.- rispose in tono flebile il
ragazzo- Lui è sempre stato gentile con me ed io gli voglio bene!
Per un attimo
Alis fu convinto che Rasiel lo avrebbe ucciso tanta e tale era la sua rabbia alle parole del ragazzo. Poi però lo vide
riprendere il controllo delle proprie emozioni, ma questo fu meno
tranquillizzante di quello che sperava. Adesso negli occhi del serafino brillava
una determinazione cieca e fredda, come se avesse preso una decisione che, per
quanto dolorosa, era l’unica possibile. Alis lo vide fare un cenno a due degli
angeli che aveva accanto e quelli si mossero con rapidità e sicurezza. Il
ragazzino fu tirato in piedi e uno dei due angeli gli legò strettamente i polsi,
mentre l’altro faceva passare l’estremità più lunga della stessa corda intorno
ad un tubo metallico appeso di traverso al soffitto.
-Non volevo
certo arrivare a questo,- stava intanto affermando
Rasiel con voce incolore- ma tu non mi lasci scelta. Hai
tradito Dio, ora ti do l’ultima possibilità di pentirti e chiedere il Suo
perdono.
-Ma io non ho fatto niente.- sussurrò Alis pallido per la
paura.
-Alisiel, mi
hai costretto ad ucciderti!- ruggì Rasiel muovendo un
passo verso di lui.
I due angeli
tirarono la corda ed issarono il corpo fragile del ragazzino a pochi centimetri
dal suolo.
Ora il volto
di Rasiel era così vicino che Alis sentiva il suo respiro caldo sulle guance:
Sei già dannato, lo sai questo? Hai determinato la tua caduta con le tue stesse mani: sei diventato il compagno di una creatura
infernale, di un assassino della tua stessa gente! E
dici di non aver fatto nulla!
-Shadya non ha mai fatto niente contro di
me.- rispose Alis con le lacrime agli occhi.
Le dita di
Rasiel si tesero davanti al corpo sospeso, un cono di luce brillante investì
Alis e gli strappò un grido di dolore, mentre le ali bianche comparivano sulla
sua schiena e si abbandonavano senza forza lungo i fianchi. Rasiel non gli permise di svenire, afferrandolo per i capelli lo costrinse a
sollevare il volto e a fissarlo negli occhi.
-Hai
disonorato queste ali! Hai disonorato la tua stessa essenza! Sei un demonio
anche tu ora, e peggiore di quello a cui hai venduto la tua fede!
Quando Rasiel
afferrò le sue ali per strapparle, Alis pensò che
quello era molto peggio che la morte.
Un dolore così
forte da impedirgli anche di gridare gli trapassò l’anima stessa e lo gettò in
un istante infinito di angoscia ed orrore. Sentiva il
cuore scoppiargli nel petto e le lacrime che i suoi occhi versavano affondare
con crudeltà nella carne e trafiggerlo.
Lui non Lo
aveva tradito! Non Lo avrebbe mai tradito!
Perché ora Dio lo puniva per qualcosa che non aveva
fatto?
“Dio mio,
mio Signore, io Ti appartengo oggi come sempre. Non
farmi questo, per pietà!”
Fu il suo
ultimo pensiero cosciente.
Shadya sentiva
la voce come se provenisse da un luogo lontanissimo.
E forse era davvero così.
L’ultima cosa
che ricordava era che aveva ucciso quegli Ishim. Ma loro erano troppi.
Avrebbe voluto
avere il tempo di sentire il sapore del sangue, leccarlo via dagli artigli.
Ma erano proprio troppi.
E la loro stupida trappola aveva funzionato.
Sciocco.
Troppa fretta.
Troppa.
Alis era
rimasto fuori. Ma cosa avrebbe fatto senza di lui.
Aveva voglia
dell’odore di Alis.
Cos’era quella voce?
Un canto. Un canto
bellissimo.
Lo aveva sentito altre volte. Un’altra
volta. Da un uovo. Da un cucciolo d’angelo.
Il grido di
dolore di quell’anima non era un sogno!
Shadya
spalancò gli occhi.
Intorno a lui i corpi senza vita degli angeli, davanti a lui altri
Ishim. Di quelli che erano sopravvissuti.
E quel grido nelle orecchie.
Alis!
Shadya ringhiò
il proprio odio. Un ringhio basso, sommesso, gli angeli se ne
accorsero ma non lo credevano davvero possibile e così, quando si
voltarono, non erano pronti.
Shadya leccò
il sangue dagli artigli, il sangue di Ishim aveva un sapore migliore. Soprattutto quando sopravvivevi ai loro agguati. Le ferite
sul suo corpo non lo preoccupavano, gli ci sarebbe voluto molto tempo per guarire ma lo avrebbe fatto.
...Alis!
Lui lo
chiamava.
Non aveva mai
sentito tanta paura nella sua voce. Tanto dolore.
Spalancò la
porta di ferro con rabbia. Rasiel si voltò, lasciando
andare il corpo esanime di Alis, che ricadde sospeso
alla corda. Quella vista ebbe su Shadya un effetto peggiore di qualunque droga.
Il demone
fissò come inebetito il volto pallido ed immoto del ragazzino, prima che la sua
rabbia trovasse sfogo tutta in una volta. Dimentico della battaglia già
combattuta e delle ferite già subite, piombò in mezzo agli angeli come una furia
assassina, il suo tormento feroce fu gridato al cielo
mentre gli artigli affondavano inesorabili. Li uccise tutti senza pietà e
senza gioia, solo il dolore del corpo di Alis sospeso
nell’aria, lontano dalle sue mani. Rasiel fu l’ultimo
a morire, ma questo non bastò a dargli il tempo di fuggire.
Sfinito,
Shadya sollevò gli artigli estraendoli dal cadavere sfigurato che era stato il
capo degli Ishim. Il demone era coperto dalla testa ai
piedi di sangue e gran parte di esso gli apparteneva,
il primo scontro lo aveva davvero stremato al limite delle sue capacità di
resistenza, ma la voce di Alis, la paura ed il tormento di Alis, lo avevano
richiamato lì.
Ed ora il suo cucciolo aveva ancora bisogno di lui.
Tirandosi in
piedi arrancò lentamente verso la figura fragile sospesa al soffitto e tagliò la corda, accogliendo il corpo tra le braccia tese
come tanti anni prima aveva fatto con un fagotto di piume e boccioli di rosa. Le
ali bianche pendevano inerti dalla schiena, dove si apriva una brutta
ferita.
Delicatamente
Shadya sollevò il volto pallido accarezzandolo con i micidiali artigli.
…Aveva ucciso
così tanti angeli da sapere.
Da sapere fin
troppo bene…
Il respiro
di Alis era solo un soffio sottile e presto si sarebbe
spento.
Shadya
raccolse da terra un vecchio cappotto appartenuto ad uno degli Ishim e vi avvolse Alis, adagiandolo poi al suolo.
Forse un modo
c’era. Ma come poteva chiederglielo?
-Alis.-
sussurrò come faceva sempre.
Un tremito
debole scosse le membra delicate e gli occhi di mare si aprirono lentamente,
febbricitanti.
-Sei vivo.- soffiò piano Alis.
-Mi hai
disubbidito di nuovo.
-No,- sorrise l’angelo- stavolta no.
Il volto di
Shadya si fece più vicino mentre lui si piegava a
parlargli: Stai morendo, Alis.- gli disse solo.
Lui annuì: Non
potrò tornare. Quando sono piccoli come me non li fanno
tornare.- ricordò- Io sono solo un Custode.
-E non hai nemmeno un’anima da custodire.
-Questo non
è vero.- rise sommessamente Alis- Io ti ho fatto
tornare indietro, ti ho salvato. Un’anima l’ho custodita: la tua.
-Alis, non
voglio che tu vada via. Io non ti lascerò andar via.-
mormorò Shadya con fermezza- Tu appartieni a me.
-Si, Shadya.
Io appartengo a te.
-Dimmi che vuoi restare.- ordinò il demone.
-Non
posso.
-Dillo.
-No, non posso.- ripeté con calma l’angelo.
-C’è un modo.-
suggerì Shadya.
-Lo so.
-Fai la tua
scelta, Alis.
L’angelo non
rispose. Il suo sguardo si spostò sul soffitto immobile sopra di loro.
-Hanno detto che io ho tradito Dio, ma non è così.- cominciò in tono
appena udibile.- Che avevo causato la mia caduta, che ero un demonio per aver
accettato la compagnia di chi uccideva la mia stessa razza. Ma tu sei sempre stato gentile con me, mi hai sempre
protetto…
S’interruppe.
Forse alla fine una decisione l’aveva pur presa.
-Ho paura, Shadya.- mormorò terrorizzato- Ho paura dell’oscurità che
mi attende in ogni caso da qui in poi.- Si voltò a guardare il demone e
chiese soltanto- Tu sarai con me sempre, vero?
Era un bambino
e lo sarebbe rimasto in eterno, qualunque scelta
facesse la sua anima non sarebbe mai potuta essere davvero contaminata dalle
tenebre. Shadya sollevò una mano per accarezzargli la guancia, ma quando si rese
conto che era ancora un artiglio la ritrasse senza sfiorarlo.
Come se
all’improvviso si vergognasse di quello che era.
-Oh, non
importa, Shadya.- affermò quietamente Alis- Lo so già
quello che pensi. - Con un respiro profondo riprese
fiato- E tra poco importerà ancora meno.- sorrise debolmente- Lo sai, gli angeli
non mi piacciono più così tanto come prima, non sono stati gentili con me. Forse
è davvero colpa mia, però.- s’interruppe di nuovo, un’espressione di una
dolcezza che solo lui riusciva ad avere nello sguardo blu- Lui mi ha dato a te,
io non lo so il motivo ma va bene lo stesso. Se io me
ne vado, chi sarà il tuo Angelo Custode?
Shadya si
levò in piedi raggiungendo i corpi abbandonati al centro della
stanza, uno di loro era ancora vivo. Lo afferrò per il bavero della
casacca e se lo trascinò dietro mentre tornava verso
Alis.
Negli occhi
del cucciolo d’angelo leggeva un terrore senza eguali,
ma Alis non disse nulla e lasciò che Shadya gli s’inginocchiasse al
fianco.
-Alis, bevi ed
io sarò con te per sempre.- promise.
Gli artigli si
mossero con una velocità sorprendente e tagliarono con un unico colpo secco la
gola dell’angelo che aveva trascinato fin lì. Un fiotto di sangue rosso brillò
macchiando Alis. Il ragazzino esitò. Poi, lentamente, si sollevò sui gomiti,
chinando il volto sulla gola scoperta dell’angelo e bevve il sangue caldo.
…Alis sentì il dolore per la ferita sciogliersi in una nuova
sensazione. Un gelo freddo penetrò nelle sue membra e lo lasciò intorpidito e
solo. Era come se all’improvviso fosse stato strappato a quanto aveva di più
caro al mondo.
La voglia di
piangere lo prese nella sua morsa.
Disperatamente
le sue mani brancolarono cercando un sostegno, mentre respingeva da sé il corpo
dell’angelo che aveva ucciso. Sentì che qualcuno lo abbracciava, sentì il tocco di dita artigliate che sfioravano i suoi
capelli.
Era Shadya.
Ma adesso le sue labbra sulla pelle non erano più così
fredde ed il suo corpo emanava un calore tranquillizzante. Alis rimase stretto a
lui piangendo. Aveva paura di dover aprire gli occhi per scoprire la verità
della propria scelta. Paura di vedere quell’angelo morto.
Paura di
vedere con gli occhi di un demone.
-Alis, io
sarò con te per sempre.- tornò a ripetere Shadya,
rassicurante.
Ora dalla sua
voce era sparita quella nota di freddo metallo che aveva sempre udito e che lo
spaventava così tanto.
“Dio, l’ho
fatto davvero?! L’ho fatto davvero?!” domandò disperato.
Ma sapeva che non avrebbe più trovato conforto in Lui: ciò di
cui Rasiel lo aveva accusato era infine compiuto.
Alis aprì gli
occhi. Le tenebre non erano fitte come ricordava. Non c’era pace nel suo cuore,
anche se aveva scelto si sentiva svuotato e fragile. Senza nessuno in cui confidare. Senza più
la sicurezza di un Amore che lo custodisse e guidasse.
E che infine lo attendesse alla fine della strada.
-E’ tutto
diverso ora.- mormorò guardando il mondo per la prima volta- Cosa sarà di me, adesso?
Sentì la voce
di Shadya sussurrargli all’orecchio come faceva sempre, un sussurro tenero,
caldo: Io ti proteggerò e ti sarò accanto per l’eternità. Tu sei il mio angelo
custode, ricordi Alis?
Le Ali dell’Angelo
MEM.
2002