Hotaru koi (Lucciola vieni)
Hotaru koi
(Lucciola
vieni)
"Hotaru koi, yamamichi koi,
hiruma wa kusaba no
tsuyu no kage,
yoru wa bonbon taka
chōchin"
(Lucciola vieni, lungo
il sentiero di montagna vieni,
di giorno nell'ombra di
rugiada delle foglie,
di notte la tua lanterna
splende luminosa)
Canzone tradizionale
giapponese
- Hotaru, posso farti una domanda? - chiese Chibiusa dopo aver
rimuginato un po', mentre camminavano lungo il marciapiede.
- Certo, dimmi.
- Hai mai visto le lucciole?
Hotaru si fermò, guardando l'amica in viso con tanta
sorpresa che Chibiusa si ritrovò ad arrossire.
- Ecco, io... scusa, è solo che... visto che non eri mai
andata nemmeno in un centro commerciale, pensavo che...
Ma Hotaru sembrava assorta, intenta a frugare tra i ricordi.
- Io... sì, credo di sì. Ma è qualcosa
di lontano, quando c'era ancora mia madre.
- Oh. E... non le hai più viste, dopo?
- No, non mi sembra – rispose serenamente la ragazza,
riprendendo a camminare.
Chibiusa sorrise all'idea che le era appena venuta.
- Hotaru, non puoi
non vedere le lucciole proprio tu! (¹)
L'amica aspettò il seguito, chiedendosi se Chibiusa stesse
per venirsene fuori con un'altra delle sue idee.
E in effetti fu così.
- Domani sera puoi uscire? Sono sicura che Usagi ci
accompagnerà, tuo padre non deve preoccuparsi!
Sì, Usagi le accompagnò assieme a tutte le altre,
ma
mentre loro gironzolavano tra le bancarelle di quel matsuri
(²)
alla periferia di Tōkyō, Chibiusa e Hotaru si allontanarono dalla
confusione.
- Ma... dove stiamo andando? - chiese Hotaru, facendo del suo meglio
per stare dietro all'amica, che avanzava rapidamente malgrado
indossasse il kimono.
- A vedere le tue simili! - esclamò raggiante Chibiusa,
sicura
che l'altra sarebbe stata entusiasta della sua meravigliosa idea.
Quando giunsero sulle rive di uno dei tanti canali della
città, Hotaru si guardò intorno.
- Che cosa dovrei vedere? - domandò, osservando l'argine
illuminato dai lampioni della strada.
- Aspettami qui un momento!
Chibiusa si eclissò un istante dietro a un cespuglio,
bisbigliando qualcosa a Luna-P e facendo spegnere all'istante tutti i
lampioni nei dintorni.
- Ma cosa...? Chibiu... - Hotaru non fece in tempo a chiamare l'amica,
che si sentì prendere una mano.
- Adesso guarda. Ma dobbiamo stare in silenzio, altrimenti si
spaventano.
Hotaru tacque, e attesero senza più dire una parola. Ferme
nel
buio, con l'acqua che scorreva come unico rumore, e nelle narici la
fragranza dell'aria di giugno.
In lontananza si udivano i festeggiamenti del matsuri e le grida di
alcuni bambini che si stavano di certo rincorrendo; suoni lontani, resi
ovattati dall'oscurità.
Hotaru fu quasi tentata di chiudere gli occhi per ascoltare meglio,
quando una scintilla le fece alzare d'improvviso la testa. Per un
istante pensò di essersela immaginata, ma la scintilla
riapparve.
E poi un'altra, poco distante. E un'altra, fra l'erba. Un'altra ancora,
appena sopra l'acqua. E...
- Sono centinaia! - bisbigliò a Chibiusa, che fu certa di
aver udito nella sua voce una nota di felicità.
Ben presto furono circordate da una miriade di fuochi galleggianti, che
baluginavano a intermittenza nel buio quasi a voler dimostrare che
c'erano ancora. Che facevano parte dell'oscurità, ma se ne
discostavano perché loro erano luce.
- Sai – disse piano Chibiusa, per non spezzare quell'incanto
– Quando sono entrata la prima volta nella tua stanza mi
è
piaciuta moltissimo. C'era un'atmosfera meravigliosa, ma solo dopo ho
capito che cosa
mi aveva colpito così tanto. Sembrava piena di lucciole.
Lo stupore di Hotaru fu palpabile, anche se nel buio non riusciva a
distinguere bene i tratti del suo viso.
- Scommetto che non l'avevi fatto apposta –
continuò Chibiusa.
- No, io... in effetti no – la voce dell'amica esprimeva una
consapevolezza appena acquisita – Ma ora che mi ci fai
pensare...
Hotaru si abbassò, accovacciandosi fra l'erba mentre le
lucciole le circondavano.
- Forse... forse inconsciamente pensavo a quando ero andata a vedere le
lucciole con i miei genitori, da piccola. Forse cercavo di ricreare la
stessa atmosfera.
Un luogo dalla luce soffusa, delicata e deliziosamente intima. Un luogo
intriso di ricordi dai contorni sfocati, come la scia lasciata da
quegli insetti luminosi.
- Sai, Ami mi ha spiegato un sacco di cose sulle lucciole: non vivono mai a
lungo, perché gli adulti non si nutrono e vivono
dell'energia
accumulata quando erano larve.
Chibiusa sorrise, fiera di aver imparato così tanto. Si
guardò intorno, le lucciole negli occhi, pensando che nel
futuro
non ne aveva mai viste di così belle.
- Ma sai, Hotaru – mormorò, stringendo la mano
dell'amica
i cui capelli neri si confondevano nell'oscurità –
Anche
se sei una lucciola come loro, tu sei molto più forte.
Poté percepire il sorriso malinconico sulle labbra
dell'altra;
Chibiusa si era chiesta tante volte se Hotaru avesse mai avuto paura di
non vivere a lungo, visti i suoi problemi di salute. Per lei era
diverso: sapeva che persino fra dieci secoli ci sarebbe stata,
perché in quel tempo non era ancora nemmeno nata.
Lei viveva lì e nel futuro; Hotaru... Hotaru sembrava
l'ombra di una bambina che forse era stata felice nel passato.
La vide stendere una mano, ferma e tranquilla, tanto che una lucciola
la scambiò forse per una foglia e vi si posò
sopra.
Chibiusa, al colmo dello stupore, si chiese per un istante se sua madre
non l'avesse rimandata nel passato proprio per lei. Per Hotaru,
perché avesse qualcuno al proprio fianco.
Quando la lucciola riprese il volo, Chibiusa scosse leggermente la
testa. Che sciocchezza. Sua madre doveva aver avuto in mente ben altro,
quando le aveva detto di tornare nel passato per imparare a farsi degli
amici. Hotaru era stata semplicemente una grande fortuna.
- Ehi, cos'è questo buio?
- Accidenti, io non vedo niente!
Quelle voci sconosciute convinsero Chibiusa che forse era ora di
riaccendere i lampioni della strada, prima di provocare qualche
incidente.
- Scusami un attimo, torno subito!
Si nascose di nuovo dietro un cespuglio, e l'istante successivo la luce
potente dei lampioni fece sembrare pallida come un sogno quella delle
lucciole.
- Che strano... forse c'era stato un guasto – disse Hotaru
quando Chibiusa tornò.
- Sì, forse – convenne la piccola – Che
ne dici se raggiungiamo Usagi e le altre, adesso?
Hotaru annuì, e a Chibiusa venne in mente un'altra cosa.
- Hai mai provato il gioco dei pesci?
- Il gioco dei pesci?
- Sì, quello in cui bisogna far saltare dei pesci in una
ciotola
usando una racchetta di carta, da una grande vasca in cui stanno tutti
insieme.
- Ecco, io...
Chibiusa le prese la mano, avviandosi di gran lena.
- Andiamo, allora!
Quella mano su cui prima si era posata una lucciola, quella mano che
aveva il potere di guarire le persone, ora sembrava molto
più
calda.
(¹) "Hotaru" in giapponese significa "lucciola"
(²) Matsuri: festival giapponese solitamente legato ad un
santuario shintoista o a un tempio buddhista. Per l'occasione le strade
si riempiono di bancarelle che vendono cibarie, dolci o permettono di
provare giochi tradizionali come quello della pesca (si chiama yōyō tsuri,
l'avrete sicuramente visto in parecchi anime)
One-shot molto breve,
dedicata ad una
coppia di amiche che mi piacciono moltissimo. È volutamente
così breve e scarna, perché volevo concentrarmi
sulla
semplicità del momento, più che su lunghe ed
elaborate
descrizioni.
Ovviamente ambientata
durante la
terza serie, prima che si sapesse la verità su Hotaru,
c'è un breve riferimento alla stanza della ragazza: non so
se la
ricordate, buia e piena di lampade accese dalla luce soffusa.
Dato che è
l'unica idea che mi è venuta, questa storia partecipa
all'iniziativa "One-shot dell'estate".
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