Mi vergogno tanto a
pubblicarla.. E' la prima storia che scrivo, e che faccio leggere a
qualcuno, non vogliatemi troppo male, è già tanto
se ho trovato la forza di pubblicarla! però, saranno ben
accette le critiche
costruttive, anche se non spero di far un grande
successo! :P grazie a chi la leggerà, mi
basterà solo questo ^^
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Quella
notte la
spiaggia era più che mai colorata dal chiarore della luna,
rendendo irrealmente la spiaggia di un colorito quasi argentato.
Era la prima
notte solitaria per Ace, che era partito di casa poche ore prima,
lasciando dietro di lui tanti ricordi positivi e non.
Rufy, fu il primo
pensiero che gli invase il cervello. Nonostante lui si fidasse del suo
fratellino e della sua forza, era certo che da oggi fino al giorno in
cui si sarebbero rivisti, ne avrebbe combinate di tutti i colori.
Nonostante non fossero fratelli di sangue, si assomigliavano davvero
tanto, e forse anche troppo, se non fosse per
l’impulsività del fratello minore.
Entrambi,
nonostante le parole del nonno, erano intenzionati a diventare pirati,
e benché volessero bene al vecchio, non avrebbero mai
abbandonato la loro ambizione.
La loro fame era
la stessa, e non si poteva ricordare il giorno in cui non abbiano
tentato a vicenda, di rubarsi il cibo al piatto.
Nel mezzo di
questi pensieri, tra un miscuglio di momenti buoni e non, di avventure
pericolose e pugni amorevoli, un attacco di sonno lo prese alla
sprovvista, facendolo addormentare sulla sua piccola imbarcazione, che
se non fosse stato per il mare tranquillo, l’avrebbe di certo
portato all’altro mondo.
Dopo un tempo che
per lui era indefinito, trovo la sua piccola barca ferma tra la sabbia
ed il mare, ma comunque tra la terra ferma.
La piccola prua
era quasi affondata sulla sabbia, il che non lasciava di certo in
equilibrio l’imbarcazione, che per via di un brusco movimento
di Ace intento a controllare cosa rendesse la barca quasi verticale, si
capovolse con essa finendoci dentro, come se avesse un tetto sopra di
lui, o peggio ancora una bara.
Urlò
di dolore, tanto da invadere quella che poco prima era una spiaggia
tranquilla, mentre una ragazza seduta tra la sabbia, si prese un grande
spavento.
Si
alzò di scatto, e iniziò a correre verso la riva,
portando con se una piccola candela per farle luce.
Non era la tipa
che si avvicinava facilmente agli altri, un po’
perché non poteva definirsi molto amichevole, e un
po’ perché non si fidava neanche del suo pesce
rosso, ma vedendo che un ragazzo aveva avuto un incidente proprio
davanti a lei, non poteva far altri che soccorrerlo.
“mi
senti? Ti sei fatto male?” domando la ragazza inchinandosi
verso l’imbarcazione capottata, volgendogli uno
sguardo piuttosto spaventato.
Non ricevette
alcuna risposta, né un minimo movimento delle gambe del
ragazzo che spuntavano a stento fuori dalla barca, così
decise di sollevare l’imbarcazione con le sue forze.
Nonostante la sua
corporatura non pareva per nulla quella di una ragazza forte e capace
di sollevare qualcosa, afferrò con forza la barca dalle
estremità, stringendola forte con le sue mani esili e
candide, facendo pressione tanto da sentirle infuocate.
Con tutta la
forza di cui disponeva, alzò la barca facendola poggiare
sulla poppa e poi la girò per farla di nuovo galleggiare nel
mare, per fortuna calmo.
Fece un respiro
di sollievo, portandosi dietro alle orecchie i capelli castani che le
stavano coprendo la visuale.
Rivolse
nuovamente il suo sguardo verso quel ragazzo che, ancora non dava segni
di vita.
Poteva sentire
che respirava in maniera persino eccessiva, tanto da fare dei rumori
poco umani ed accompagnare il tutto con una enorme bolla che sbucava
dal naso, e cresceva ogni volta che espirava.
Probabilmente
svenuto, la ragazza decise di portare tutto quello che aveva in fondo
alla spiaggia vicino a lui, in modo di potergli far mangiare qualcosa
al suo risveglio.
Le ore passavano,
il cielo notturno ormai lasciava sempre di più il passo a
quello del giorno, colorando tutto di un arancio tenue.
Per tutta la
notte si occupò di curargli bene o male quei graffi che
decoravano il suo corpo, anche se lui più volte muovendosi
rischiò di non far bastare tutto quel disinfettante, per le
ferite che le avrebbe causato.
Non si udiva
nessun rumore, se non quello del russare del ragazzo, mischiato al
brontolio del suo stomaco, così decise di svegliarlo.
Iniziò
a chiamarlo, scuoterlo ed urlare, e più lui dormiva, e
più lei urlava quasi a perdere la voce.
I suoi capelli
ora mai erano sparati in aria, pieni di rabbia contro quel sonno
così forte che le aveva causato persino male alla testa, e
incubi per quelle poche volte che era riuscita a prender sonno.
Prima
sognò un rinoceronte che la rincorreva, poi un leone che la
squartava, ed infine tutti e due che facevano comunella per prenderla.
Chi
glielo aveva fatto? Perché non l'aveva lasciato al suo
destino?
Con queste
domande che perfidamente le gironzolavano in testa, iniziò
ad addentare un panino che si era portata proprio per farsi una
mangiata notturna, e che invece aveva lasciato successivamente per il
ragazzo.
“ben ti
sta!” urlò guardandolo male, facendo volar via
lontano tutti gli uccelli appena svegli, che volavano intorno alla
spiaggia.
Quasi in lacrime
di commozione per il suo stomaco, che aveva aspettato così a
lungo del cibo avendocelo sotto il naso da tutta la notte, la ragazza
strizzò gli occhi addentando il panino.
Non sentiva nulla
nella sua bocca, ed i denti avevano sbattuto tra di loro e non sul
pane, un secondo dopo si rese conto che tra le mani aveva ancora il
panino, ma era come incollato, non tra le sue mani, ma in quella strana
posizione, e benché con tutte le forza cercasse di
tirarlo verso la sua bocca, sembrava andare verso giù.
Spaventata, con
gli occhi sbarrati e la gola secca, guardò attentamente il
panino, rendendosi conto che sotto di esso, qualcosa lo teneva fermo
con la bocca.
Una bocca
così enorme da averne preso già la
metà, continuando a tirarlo a se con solo la forza della
mascella.
“non
solo sei sonnambulo, ma sei pure scroccone!” disse tirandogli
un calcio tra le costole, anche se lui, inginocchiato col panino in
bocca, non accennava a staccarsi da esso.
Le mani erano
sempre meno salde sul panino, fino a che non cedettero alla forza di
Ace che con un sol boccone lo finì.
Lui la
guardò confuso, non sapeva chi fosse, e non capiva
perché stava con lui, ne tanto meno capiva dove stava,
l’unica cosa che ricordava era l’incidente con la
barca, che ora tranquilla galleggiava in mare.
“chi
sei?” domandò non curante del fatto che lei non
era proprio quel che sembrava una persona amichevole e alzandosi e
sistemandosi i vestiti pieni di sabbia.
Si sentiva la
testa pesante, ed i granelli di sabbia ovunque, persino appiccicati
sulla pelle, tanto da avergli creato anche dei piccoli graffietti sulle
ginocchia ed i gomiti misteriosamente pieni di cerotti.
Lo stomaco
brontolava più che mai, tanto che sentiva che prima o poi
avrebbe preso lui il comando del suo corpo.
In risposta alla
sua domanda e la sua maleducazione, ricevette un altro colpo, questa
volta alla testa, ma molto più forte, tanto da creare sulla
fronte di lui, un enorme bernoccolo.
“io
sono quella che ti ha salvato la vita, ti ha accudito tutta la notte e
che tu in cambio hai rubato il panino senza chiedere il permesso!
Comunque piacere, Isabel!” rispose lei urlando come non mai,
e se prima si sentiva quasi senza voce, ora poteva dichiararsi muta per
almeno una giornata.
Prese il suo
zainetto e lo riempì di tutto quello che aveva lasciato per
quella che pensava sarebbe stata una persona educata: Fasce e
disinfettante in caso di ferite, acqua, cibo e tanto altro.
Si
sistemò la lunga gonna bianca piena di sabbia, e si mise lo
zaino su una spalla andandosene via tra la rabbia, ed una piccola vena
che pulsava spaventosamente sul collo, per fortuna coperta dai capelli
lunghi fino alle spalle.
Ace lo
guardò stralunato, e mentre si grattava la testa, la
guardava andar via con le mani strette a pugni e le gambe quasi
tremolanti di rabbia.
La testa gli
faceva più male di prima, e la fame l’avrebbe
fatto fuori da un momento all’altro.
Ieri era
così felice di iniziare una grande avventura, in cui si era
immaginato tante sorprese, cose nuove, compagni fantastici e cibo da
mettere sotto i denti almeno cinque volte al giorno, come il nonno gli
aveva insegnato per combattere al meglio.
Invece si
ritrovò con un bernoccolo, una fame insopportabile, da solo
in un posto che non conosceva, e in più con
l’unico abitante che aveva conosciuto, misteriosamente
infuriata con lui.
Non poteva cedere
per così poco, perciò si alzò in
piedi, con l'intenzione di scusarsi con quella ragazza e farsi aiutare
a trovare qualcosa da mangiare, e qualcuno per iniziare a formare la
sua ciurma.
“ehi,
mi potresti presentare qualcuno un po’ più grande
di te? Sto cercando aiuto per la mia ciurma!” urlò
Ace correndole in contro, fino a che non fu lei a fermarsi e girarsi a
guardarlo.
Isabel non era di
certo una ragazza che dimostrava i suoi sedici anni. Era piuttosto
bassa, dalla carnagione chiara e con un odio smisurato per tutto
ciò che poteva essere femminile, come i trucchi, i capelli
lunghi, i nastrini colorati, il colore rosa e le scarpe col tacco.
Nonostante
ciò, sapeva benissimo che se la andava a cercare quando la
chiamavano maschiaccio, ma di certo non avrebbe mai sopportato che
qualcuno la etichettasse come piccola. Odiava la sua statura, e
chiunque glielo facesse notare, aveva le ore contate.
Lei sorrise, ma
non di gioia.
Gli angoli della
sua bocca a stento creavano una smorfia tremante di rabbia, ma che Ace
aveva confuso con un atto di gentilezza, che ricambiò.
Intento a
sorridere di rimando e convinto di aver finalmente risolto i problemi
con la ragazza, si ritrovò al posto del sorriso
qualcos’altro, ed un urto tanto forte da farlo
cadere per suolo.
Si
toccò con la mano il volto, partendo dal bernoccolo nella
fronte, fino ad arrivare alla bocca, dove tirò via qualcosa
che non trovò mangiabile.
Lo
portò verso gli occhi, identificandolo.
Era una infradito
nera e piccola, probabilmente della ragazza che poco prima pensava
sorridesse.
Si mise seduto
con quella scarpa e la guardò, mentre di lei non
c’era più una traccia, probabilmente era scappata
via, anche se lui non aveva ancora capito cosa avesse fatto o detto di
tanto sbagliato.
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