Knocking to my heaven’s door
Stelle. Talmente tante di quelle stelle da potercisi perdere
con lo sguardo. Un cielo nero, infinito, lucido come una macchia d’inchiostro,
e quella manciata di astri che cadevano, scivolavano, disegnavano scie iridate,
schizzi di paradiso in una notte da passare in compagnia della persona che si
amava.
Almeno in teoria.
Mikey era da solo.
Riverso sul prato con gli occhi persi verso l’alto, intorno a lui il canto dei
grilli gli riempiva la testa in un sottofondo armonioso che gli ricordava
un’infanzia che forse non era mai stata nemmeno sua, ma che lo faceva sentire
tranquillo, a posto, in pace con se stesso. C’era silenzio, c’era soltanto lui,
teneva le braccia spalancate, il profumo dell’erba fresca gli entrava nelle
narici facendo scendere su di lui una sorta di sopore senza causa.
Stava bene.
Stava bene così, solo, nel silenzio assoluto, ascoltando pensieri che gli
piaceva credere che non fossero reali ma soltanto sogni ad occhi aperti.
Il cielo d’agosto della California era meraviglioso, sembrava più grande di
quello del New Jersey, più pulito, più profondo, più radioso, una gemma nera
scintillante.
Una parte di lui avrebbe voluto che lì accanto ci fosse anche Alicia, lei col
suo abbraccio gentile, lei col suo profumo delicato, lei che col suo respiro
scandiva i secondi, le giornate, il mondo intero.
Il resto di lui... Beh, il resto di lui non aveva la minima idea di cosa
volere.
Il resto di lui era un groviglio confuso di pensieri, ricordi, piccole
sofferenze, cicatrici, dolori, dubbi, domande senza risposta, il resto di lui
era un mistero che lo stesso Mikey non riusciva a comprendere, ci aveva provato
talmente tante di quelle volte da sapere che era finito in un labirinto di
psiche di cui non trovava l’uscita, si limitava a chiudere la porta che dava su
quella facciata di sé e ignorava, ignorava, ignorava.
Ignorava quei silenzi che a volte si creavano senza preavviso, che gli
acceleravano il battito cardiaco. Ignorava quegli sguardi intensi che alcune
volte si incatenavano e incollati rimanevano, attratti come calamite. Ignorava
parole buttate per caso, che a ripensarci soltanto qualche minuto dopo
sembravano rivelarsi in una complessità che lo stordiva ad effetto ritardato.
Faceva finta di niente, come avrebbe detto Gee.
Gee. Se solo lui l’avesse saputo.
Aveva paura a pensare a cosa sarebbe successo.
Chiuse gli occhi, una stella cadente ferì il firmamento per un istante prima di
svanire. Sospirò riempiendosi i polmoni sperando che l’ossigeno potesse
aiutarlo a liberarsi una volta per tutte di quella matassa che gli opprimeva il
petto.
L’unica cosa che ne ricavò, invece, fu un dolce, caldo profumo di cioccolato.
Iniziò a fiutare l’aria come un segugio, quando nelle orecchie gli risuonò il
passo calmo, quasi baldanzoso di una persona che conosceva bene, e con lui
quell’aroma che gli stava già facendo venire l’acquolina in bocca.
Mikey Way, avrebbe donato il suo regno per un po’ di cioccolato.
<< Ancora sveglio? >> disse Frank sedendosi accanto a lui.
Frank. Frank parlava sempre con quella connotazione sorridente, gioviale,
fraterna, che faceva sempre sentire a casa, dovunque.
Mikey indugiò un po’ con un sorrisetto sulle labbra, prima di aprire gli occhi
e mettersi seduto.
<< Torta. >> fu l’unica cosa che disse, e Frank si mise a ridere.
<< Ringraziami, sono riuscito a salvarla per miracolo, sembrava che Ray
non mangiasse da almeno un secolo! >>
<< Grazie! >> Mikey gongolò sulla sua spalla a mo’ di gatto mentre
spostava lo sguardo dalle poetiche stelle ad una più terrena, quanto
straordinaria, fetta di crostata al cioccolato.
<< La prossima volta non credo riuscirò ad essere così eroico. >>
<< La prossima volta credo che me ne farò fare una solo per me! >>
Si misero a sghignazzare come due ragazzini all’idea. Quella torta era la
specialità di una pasticceria di Los Angeles, soltanto Grace, l’anziana arzilla
proprietaria, sapeva prepararla in quel
modo, in un modo assolutamente incredibile e irripetibile, non era soltanto
buona, era deliziosa, era un capolavoro per la lingua, per le papille
gustative, era un capolavoro di zucchero, pasta frolla e cacao. Roba che
mandava Mikey fuori di testa al solo sentirne parlare.
Ogni volta che bazzicavano per quei dintorni per un motivo o per un altro
andava a finire che se ne facevano preparare almeno una o due, era impossibile
resistere, era una maledizione.
Una maledizione che a Mikey piaceva un sacco.
<< Allora, visto qualche cometa? >> domandò Frank passandogli la
sua generosa - benedetto Frank Iero! - porzione,
mentre scrutava il cielo.
<< Sì, stanotte ce ne sono tantissime. >> E lui ne aveva già viste
abbastanza, ora era tempo di calorie!
Mangiarono in silenzio per una quindicina di minuti, con calma, la mezzanotte
doveva essere passata da un bel pezzo, non aveva nemmeno chiesto a Frank se gli
altri fossero già andati a dormire. Non che gliene importasse, a dire il vero.
Anche Frank, come Alicia, aveva un profumo delicato. Solo che Frank odorava di
natura, di vita allo stato puro, di qualcosa che si sarebbe potuto trovare
nella resina di un albero, in un torrente, aspirando il vento che filtrava
dalle fronde. Energia pura, allo stato brado, incontenibile, avvolgente.
Era bello stare con lui, la sua presenza era rassicurante e al tempo stesso
faceva sentire grandi.
Mikey doveva ancora scoprire il suo segreto. Come faceva uno come Frank,
quell’essere così maledettamente carino, adorabile, affettuoso, ad apparire al
tempo stesso così virile, confortante, protettivo? Era un paradosso, Frank era
il cucciolo del gruppo, ma insieme era il collante effervescente, era quello
che più volentieri si sarebbe tenuto abbracciato durante la notte come un
orsacchiotto e lo stesso a cui si sarebbe andati a chiedere un consiglio per un
problema.
Era due facce di una stessa bizzarra medaglia che sfolgorava di una luce
irresistibile, impossibile odiarlo, impossibile non perdersi nel suo sguardo
che sembrava fatto di ambra e viscoso miele dolce.
Improvvisamente Mikey se ne accorse.
C’era cascato.
Di nuovo.
In bocca aveva ancora il sapore del cioccolato che aveva appena ingoiato, buono
e caldo, e c’era silenzio, non quello di prima.
Quel silenzio.
Sentiva il proprio respiro, e quello di Frank vicino a sé. Vicino. Così vicino
da credere di poterlo toccare.
Guardava di fronte a sé, verso l’orizzonte che si mischiava al cielo nel nero
assoluto, ma sapeva che la sua mente ormai era partita, aveva preso direzioni
che non avrebbe dovuto, era entrato ancora in quel labirinto senza uscita
infilandosi in tutti i vicoli ciechi che trovava.
Ed era bello. Era così terribilmente bello quel senso di colpa.
Per sincronia, per telepatia, o forse semplicemente per caso, sia Mikey che
Frank sospirarono all’unisono, il bassista si puntellò all’indietro con le
mani, e per sbaglio sfiorò le dita di Frank, vi scivolò leggermente sopra col
lato del polpastrello.
Non tolse la mano. Rimase immobile in quella posizione avvertendo il lieve
calore della sua pelle, un contatto minimo, così strano, quasi casto a vederlo,
totalmente casuale. Che però gli fece formicolare prima il braccio poi il
collo, fino a fargli fremere ogni singolo capillare che avesse in corpo come se
al loro interno qualcuno avesse iniettato una bottiglia di acqua frizzante.
Forse erano ancora in tempo. Per scrollarsi di dosso quel torpore, per alzarsi,
per tornare in albergo e andare ognuno nelle rispettive stanze e mettersi a
dormire piombando nel sonno senza neanche essersi cambiati. No?
No.
Le dita di Frank presero a scorrere lentissimamente sulle sue togliendogli il
fiato, Mikey avvertì una scossa fortissima trapassargli la schiena, persino i
suoi capelli tremarono, e improvvisamente le stelle si moltiplicarono di fronte
ai suoi occhi.
Sentì i piccoli calli che il chitarrista aveva sul palmo della mano, avvertì i
solchi dei minuscoli tagli, la ruvidezza dei punti che usava di più per
suonare, e la morbidezza di quelli che invece non toccavano lo strumento, sentì
tutto. Fino a quando decise che non gliene importava.
Anche Mikey iniziò a muoversi debolmente, accarezzarlo con calma, assecondando
i suoi movimenti, finché le loro mani non si ritrovarono intrecciate, strette
in un abbraccio che sembrava essere familiare, vitale, assoluto.
Mikey avrebbe dovuto sentirsi in colpa, avrebbe dovuto voltare lo sguardo da
un’altra parte e maledirsi, avrebbe dovuto pensare ad Alicia e alla bambina che
desiderava così tanto, avrebbe dovuto pensare a Gee e
alla sua complicata interazione che
aveva con Frank, avrebbe dovuto pensare alla sua vita, alla band, alle cose
giuste, a un quieto vivere, a quello che avrebbe dovuto fare.
Invece l’unica cosa che riuscì a fare fu quella di lanciare un’occhiata a
Frank, neutra, impersonale, totalmente inespressiva.
Frank ricambiò. E di nuovo i vicoli ciechi nella mente di Mikey divennero
accoglienti, invitanti, letteralmente esplosero assieme alle sue palpitazioni,
il suo cuore batteva forsennatamente in gola, nel petto, nello stomaco, in
testa, si sentì leggero tutto d’un tratto, si sentì come se quella notte non
dovesse finire mai, si sentì come se il mondo fosse terminato, e loro due non
fossero altro che anime alla deriva.
Frank gli sorrise.
Mikey si sciolse come il cioccolato che adorava, una calore interiore lo
pervase come sotto una doccia tiepida, le parole gli nacquero spontanee, gli
scesero fin sulla lingua lottando per volare nell’aria, soltanto la bellezza di
quel silenzio gli impedì di frantumarlo.
Tanto era evidente.
Frank. Dio, Frank, con quel sorriso era in grado di distruggere ogni sua
resistenza, era capace di abbattere ogni barriera e scoprire ogni parte di
Mikey, renderlo nudo di fronte a sé, spogliargli l’anima fino ad arrivare a
instillarsi nella sua essenza. E a Mikey piaceva.
Piaceva, anche se tentava di negarlo con tutte le sue forze.
La mano di Frank risalì delicatamente il suo braccio facendogli venire la pelle
d’oca, arrivò fino al suo viso lambendolo con una tenerezza che fece fremere
Mikey, il suo sorriso era vicino, sempre più vicino.
<< Frankie... >> sussurrò in un soffio, specchiandosi nei suoi
occhi che riflettevano le stelle, il cielo, l’universo intero << Frankie,
cazzo... >>
<< Sì, Mikey, anch’io... >>
Era quello che faceva impazzire Mikey, in tutti i sensi possibili, Frank
leggeva nel pensiero.
Non c’era nulla che potesse tenergli nascosto, non c’erano parole che non
avrebbe mai potuto dirgli, non c’erano sentimenti che avrebbe potuto tacergli,
era Frank Iero, il suo chitarrista, uno dei suoi
migliori amici, una delle persone più importanti della sua vita.
Il primo ragazzo in assoluto con cui avesse mai fatto l’amore.
Mikey si avvicinò con lentezza fino a far combaciare le loro labbra, il bacio
di Frank lo accolse caloroso, sapeva di cioccolato, era morbido, vagamente
umido, accogliente come un ritorno a casa, di una dolcezza indescrivibile.
In quei momenti Mikey semplicemente staccava la spina, dimenticava di avere una
famiglia, dimenticava di avere dei doveri, dei riguardi, delle responsabilità,
si dimenticava di ogni aspetto della sua vita che non fosse la sua esistenza
fisica e tutto ciò che potesse essere in relazione con Frank.
Sospirò nella sua bocca quando sentì la lingua di Frank scendere a solleticare
la sua, intraprendente ma mai invadente, eccitante ma suadente, una coccola,
una carezza irresistibile che faceva nascere delle voglie inenarrabili che
Mikey non aveva mai provato prima di conoscerlo.
Si avvicinarono sempre di più fino ad entrare in contatto, fu come ritrovarsi
dopo una vita intera, come rincontrarsi dopo essersi toccati soltanto in sogno,
fu irreale, fantastico, magico, fu un incantesimo che li spinse sempre più
l’uno contro l’altro legandoli assieme in un abbraccio intenso e in un bacio
che si fece sempre più focoso, più intimo.
Mikey ricordava alla perfezione la prima volta che si erano ritrovati chissà
come a scopare.
Era estate, una caldissima estate di tanti anni prima in cui c’era un’afa
pazzesca e tutti gli altri erano crollati su divani e pavimenti dal sonno e
dall’effetto dell’alcol, solo lui e Frank si erano ritrovati svegli sulla
veranda a chiacchierare del più e del meno per non pensare alla calura.
Era stato facile, nessuno dei due ci aveva dovuto pensare per più di un minuto.
Era stato come sempre.
Stupendo, istintivo, liberatorio, paradisiaco.
Mikey temeva che fosse colpa del fatto che da un lato fossero praticamente
identici, mentre dall’altro fossero completamente opposti, si completavano, si
incastravano a vicenda rendendosi compatibili in qualunque situazione, erano
complici e contrasti, amici e rivali, erano tante cose quando erano insieme,
troppe perché potesse essere qualcosa di semplice.
Mikey avrebbe voluto picchiarsi pur di non pensarci.
Non poteva.
Non doveva.
Non doveva rovinare il sottile equilibrio che si era instaurato tra loro, tra
la band, tra le famiglie, tra tutto il mondo che li circondava, quello che loro
facevano era un errore, un madornale errore dettato da circostanze, dalle
personalità, da tremila fattori diversi.
Eppure.
Adesso, mentre la lingua di Frank scorreva languidamente sotto e sopra la sua
in un sensuale gioco erotico, mentre gli stava facendo letteralmente sentire il paradiso, Mikey non ci
credeva.
La verità era che l’errore madornale non erano loro due, non erano i loro baci
rubati nei momenti più intimi, non era quello che ardeva nel cuore di ambedue.
L’errore madornale era che non avevano il coraggio di ammetterlo a voce alta.
Si divisero ansimando, entrambi rossi in viso, Frank sorrideva, sorrideva
sempre come se gli avessero fatto il più bel regalo del mondo, aveva la fronte
lucida di sudore per il caldo d’estate e per il fuoco di quel bacio, era bello,
Frank Iero era fottutamente bello come un dio.
<< Ti amo. >>
Confessione inaspettata, ora esattamente come ogni volta, Mikey non aveva mai
cercato quelle parole in sé, era sempre stato spontaneo, naturale, dannatamente
reale, Mikey ci credeva, Mikey se ne
rendeva conto, lo amava, lo amava perdutamente e non riusciva ancora a capire
come avesse fatto a cascarci, quando fosse successo, come. Sapeva soltanto che
lo amava incondizionatamente, oltre ogni limite.
<< Anch’io. >> mormorò Frank al suo orecchio, facendogli correre
un brivido per tutto il corpo.
Si amavano.
Quella era la cosa più sbagliata, e insieme più meravigliosa che Mikey avesse
mai vissuto sulla propria pelle.
Era tutto così strano.
Lui era il bassista, il fratello del grande Gerard Way, mentre l’altro era
Frank, quello che il resto del mondo considerava il fidanzato legittimo di suo fratello. Era vero, Gee
e Frank erano uniti da qualcosa di complesso, di imprescindibile, il loro era
un legame che nessun’altro poteva comprendere, e forse non riuscivano nemmeno a
farlo pienamente come ci si sarebbe aspettati.
Tra Mikey e Frank non c’era mai stato bisogno di sotterfugi, di farsi del male,
di litigare, di ferirsi, di allontanarsi, semplicemente si volevano bene. Un
affetto che sfociava in un amore forse impensabile, improbabile, ma quando
erano insieme il mondo sembrava svanire, spegnersi e lasciare che il tempo si
fermasse.
Come in quel momento.
Frank disegnò una lunga scia di bacetti lungo il mento di Mikey, il bassista
aveva le mani sui suoi fianchi, si godeva le sue attenzioni e il suo candore,
sentiva il suo corpo contro il proprio, il suo profumo, la sua presenza, il suo
abbraccio. E si chiedeva perché tutto quello dovesse succedere solamente in
estate, solamente quando c’era quell’insignificante periodo di pausa tra un
concerto e l’altro, solamente come uno sfogo, un gioco, un ritorno di fiamma.
<< Gli altri stanno tutti dormendo. >> respirò Frank sulla sua
pelle facendolo rabbrividire di piacere al pensiero di quello che sarebbe
potuto accadere. Di quello che sarebbe
accaduto.
Vite rubate. Attimo dopo attimo, ricordo dopo ricordo, sia lui che Frank
stavano rubando alle proprie esistenze quei frammenti di unione che non
avrebbero mai dovuto toccare la realtà, nascondendoli agli occhi di tutti come
anatemi. Ma lo sapeva.
Un giorno quei frammenti si sarebbero uniti, inseriti gli uni negli altri come
pezzi di un puzzle fino a formare un’altra vita a sé stante che non avrebbe più
accettato di essere relegata nell’ombra.
Lo voleva.
Lo amava.
Mikey gli chiuse la bocca con un bacio candido, lento e profondo, di quelli che
scioglievano le ginocchia e facevano desiderare che l’alba non arrivasse mai.
Si staccarono di pochi millimetri, fino guardarsi negli occhi, fino a
chiedersi dove fosse il confine tra Frank Iero e
Michael Way.
<< Perché lo stiamo facendo? >> domandò quasi con ingenuità
<< Credevo fossimo amici. >>
Frank rise.
Una risatina amara, aspra, che feriva. Il cuore di Mikey ebbe un sussulto.
Si rese conto che ormai era troppo tardi.
Il confine tra loro non esisteva più.
<< Mikey, abbiamo sempre saputo di non essere mai stati solo amici.
>>
***
Lo so, fa schifo!’_’
Ok, non mi linciate, so benissimo
che questa cosa non vale una cicca, non so nemmeno bene perché mi è venuto in
mente di scriverla! Ero sotto l’influenza del cambio di luna, molto
probabilmente!
Devo ammettere che l’ideuzza mi vagava nella mente da un po’, è OVVIO che per me
le Frerard sono verità assoluta, ma ho sempre creduto
che il piccolo e tenero Mikey non fosse in realtà così mite come ci sembra,
insomma... Lo so, è brutta!D:
Ma intanto è venuta fuori così,
quindi abbiate pietà!ç_ç
Commentino per dirmi che fa schifo
mi sembra legittimo, è un vostro diritto! >_<
Ok, alla prossima, col nuovo
capitolo di Io? Un genio!, almeno quella
spero non vi deluderà!XD
Un bacio!