“Avanti!”
“Buon
pomeriggio, Wright.”
La
sagoma di Miles Edgeworth emerse dall'anticamera. Richiudendo
elegantemente la porta, il procuratore rivolse un lungo sguardo
indagatore rivolto alla stanza.
Sul posto di lavoro di Phoenix Wright –
o almeno, così pareva essere ad ogni sua visita –
qualsiasi piano o scaffale era in preda a
un bellicoso
disordine che nel suo ufficio l'avrebbe fatto
tremare: dossier, raccoglitori gonfi, mozziconi di matite
riempivano il pavimento ai piedi delle librerie.
Davanti a lui, al di là della scrivania, una testa stanca
era impegnata ad annotare interminabili nastri di appunti. Al suo
arrivo, tuttavia, Phoenix si alzò subito, accogliendolo con
il
più
puro sollievo dipinto in volto.
“Non
sai quanto ti sia grato per avermi portato qui tutto. Ti devo un
grosso favore, Edgeworth.”
“Lascia
perdere,” tossicchiò il procuratore, affondando
nel
caos dello
stretto appendiabiti. “Era mio dovere collaborare a un caso
così
importante. La polizia di questo Paese... di quanti scandali si
dovrà
macchiare ancora?”
“Ahimè,
non lo so,” sospirò Phoenix, in un tono a
metà fra la rabbia e lo sconforto. L'imputato era
una delle
maggiori autorità nell'istituzione; e se un semplice
avvocato come
lui aveva a disposizione alcune informazioni, almeno quante ne
bastavano per fare luce sulla
realtà dei fatti, questo accadeva soltanto perché
anche
il potente procuratore Edgeworth credeva
nell'innocenza del suo cliente.
“Sembrano
averci fatto l'abitudine, e gli avvocati devono correre ai
ripari,”
osservò secco, scribacchiando ancora
sull'angolo
del foglio. “Be'... avremo parecchio lavoro da svolgere.
Grazie mille
ancora per essere venuto.”
Edgeworth
si limitò a riflettere, senza dire una parola. Anche lui era
deciso a
portare
alla luce il vero – almeno per questo, in Wright aveva assoluta fiducia.
Sistemò
un'altra sedia
e posò la cartella contro le gambe del tavolo.
“E tu... sei sicuro di aver capito?
La verità, dico...”
Phoenix
annuì stancamente, strofinandosi un occhio. I segni dello
sfinimento erano evidenti sul suo volto.
“Ho
già la soluzione in mano. Mi servono le prove, e
poi...”
Un grande sbadiglio lo interruppe.
“Poi me la
caverò. Comunque vada... domani
il processo sarà chiuso. Grazie al
cielo.”
L'amico gli si sedette di fronte,
preparato a un meticoloso lavoro di ricerca
anche dopo la lunga giornata in ufficio. Phoenix lo osservò – non capiva ancora
dove trovasse la sua energia inesauribile, così come la
brillantezza e la rapidità nell'associare i suo pensieri.
Forse
non avrebbe mai capito. Smise di
farsi domande, limitandosi a prendere le carte che Edgeworth
gli stava
tendendo.
“Cercando
qui dentro, in due, ce la faremo entro sera,” disse il
procuratore,
analizzando con pratica rapidità la massa di fogli fra le
sue dita.
“Nella cartella ho tutta la documentazione
sulle persone
coinvolte
nel caso. Inizia da questo, Wright.”
Pronto
a cominciare, Edgeworth si guardò intorno. Qualcosa non era
ancora
a
posto. Lo
scenario era insolito, ma molto favorevole alla
concentrazione; inoltre, nonostante le apparenze, il collega
era
sveglio e
capace di procedere al suo ritmo.
Impiegò qualche secondo a
capire. Mancava solo la fonte di energia.
“Ti
chiedo perdono per il disturbo, Wright, ma una buona tazza di
tè mi
è sempre necessaria al lavoro. Posso...?”
“Certamente, finisco questo
paragrafo e-”
“Ci
penso io, non preoccuparti. Una tazza?”
Phoenix eseguì una
rapida stima sulla quantità di
caffè che aveva
consumato dall'ora di pranzo in poi. Non ricordava il numero esatto di
tazze
– certo non era arrivato a diciassette, ma era quasi certo di
aver
superato le cinque. Forse sarebbe stato meglio cambiare bevanda.
“Uhm...
sì, grazie,” sbadigliò. “Sono
stanco morto.”
Preparare
un buon tè con il malridotto fornello in dotazione
all'agenzia
Wright &
Co. non fu la più comoda delle
esperienze, ma il
risultato si poté dire quasi soddisfacente. Dopo aver
gettato via,
con lieve disprezzo, la bustina bagnata, Edgeworth sollevò
le due tazze con cautela, pronto a recarsi di nuovo nell'altra
stanza.
Impegnato
nel delicato trasporto, il procuratore non notò subito la
scena tracciata davanti ai suoi occhi; ben presto, tuttavia, si rese
conto che
la porzione di scrivania opposta alla sua non era più
occupata dal
plico di appunti, ma da una massa di capelli neri. Edgeworth si
avvicinò in silenzio, chinandosi a guardare
meglio. Non c'era dubbio; Wright era crollato sulle carte, e stava
dando prova del suo sonno migliore.
Pur appena
imbarazzato da una situazione mai affrontata
prima, Edgeworth ragionò in fretta. Doveva svegliarlo
subito, si disse allarmato, o non
avrebbero fatto nemmeno un passo verso la conclusione positiva del
processo.
Tuttavia, non sembrava capace di trovare un modo adeguato per portare
a compimento l'obiettivo; e mentre, in frammenti scollegati di
pensiero, si interrogava su varie alternative, il suo sguardo
riposava da diversi secondi sul volto addormentato di Wright.
I suoi lineamenti, nonostante le
tensioni e le fatiche con le quali si era misurato per giorni,
erano distesi e pacifici come potevano
essere quelli di un bambino colto nel pieno del suo riposo. Non c'era
da
stupirsi; quell'uomo era sempre stato una contraddizione vivente, fin
dai tempi dell'inizio della loro amicizia. Ed era rimasto un bambino,
in tutto – la determinazione, la premura e l'ansia
nei suoi
gesti
erano i segni inconfondibili di un'ingenuità che, se era
poco
consueta per una persona qualunque, di certo non lo era affatto per
un avvocato.
In quel
momento,
più di molti altri, gli fu facile comprendere il motivo per
cui in tribunale –
nonostante la sua energia e la sua ferrea ostinazione –
sembrasse talvolta molto
impacciato, in un atteggiamento quasi capace di incutergli tenerezza.
Agli occhi di un
uomo come lui, rimasto per un lungo periodo immune al
più
remoto segno d'integrità e d'innocenza, Phoenix Wright era
uno spettacolo quotidiano, in grado di muovere gli animi molto
più di quanto se
ne
rendesse conto.
Edgeworth
si accorse che la sua mano, alzata nell'intento di svegliarlo in
qualche modo, era ancora sospesa sul suo capo. Quando la ritrasse,
scuotendo la testa, nemmeno lui si rese conto del proprio sorriso.
Veloce ed efficace come sempre, il
procuratore rimise tutti i documenti
dentro la cartella e lasciò la tazza di tè a
pochi centimetri dalle
dita di Phoenix, per poi attraversare la porta dell'ufficio e
abbandonare la sala più grande.
Ancor
prima di capire di essersi addormentato, Phoenix era
caduto in preda al panico. Le carte sulle quali stava prendendo appunti
fino
a pochi secondi prima – almeno così gli era parso
– erano ricamate di pieghe, mentre dal muro,
già poco illuminato, un
orologio
impietoso gli strillava il suo rimprovero. Erano le sei e mezza di
sera.
A
seppellirsi di nuovo nella manica blu fu il più sconfortato
degli
avvocati difensori. Troppo intontito dal sonno per reagire,
lasciò scivolare il braccio sinistro sul piano della
scrivania; un
attimo prima di arrendersi alle circostanze e riaddormentarsi,
però, incontrò con sorpresa la rigida consistenza
di
qualcosa che prima non c'era.
Gli
occhi di Phoenix si sforzarono di metterla a fuoco, per poi
spalancarsi allo stupore e al sollievo.
La
tazza di tè era rimasta dov'era, il contenuto intatto e
gelido.
Proprio lì accanto era appoggiato un fascicolo di documenti;
fascette cartacee di diversi colori li separavano in ordine alfabetico,
caso
per caso, nome per nome, contrassegnate da una fluente calligrafia. Su quella scrivania così
simile a un
campo di
battaglia, l'ordine quasi maniacale di tutto l'insieme sembrava
assumere una sfumatura canzonatoria.
Sentendosi scorrere la stanchezza giù dalle membra, Phoenix
si
stiracchiò e
mandò un luminoso sorriso a perdersi nell'ufficio deserto.
Non
gli restava davanti che un'ora di lavoro.
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Una
one-shot da carie, e molto
poco
IC, suppongo.
Questo
è il regalo di compleanno per AyuChan Uchiha,
arrivato estremamente
in ritardo. Mia
cara, dopo tutte le nostre elucubrazioni su 'sti due avevo promesso
che ti avrei regalato una NaruMitsu, ma siccome non ce la faccio
proprio – e proprio non ce la farò mai –
ho
voluto scrivere sulla mia
adorata fanart Afternoon, di
mou-S. Mi auguro che la fanfiction sia di tuo gradimento e non troppo
smielata.
Un
ringraziamento a chiunque leggerà/recensirà. E
spero, compiti
permettendo, a presto: perché ho altri regali di compleanno
da
produrre.
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