<<
Non andare. >> sussurrai tentennante e basso
mentre sentivo il suo corpo nudo scivolare via dalle
lenzuola… il materasso alleggerirsi del suo peso.
A
quel suono si
voltò, quasi fosse dubbiosa di essersele immaginate quelle
parole, probabilmente desiderando
di essersele immaginate.
<<
come?
>> mi chiese aggrottando la fronte.
<<
non… non voglio che tu vada stasera. >> dissi
nuovamente sentendo la mia determinazione scemare. Ma ormai mi ero
messo ne guai da solo, sapevo che si sarebbe arrabbiata, sapevo che
avrebbe reagito male, ma ormai mi ero sbilanciato ed era il momento
giusto per dire ciò che ormai da un mese non mi faceva
più dormire la notte.
Le dovevo dire una volta per tutte la
verità, perché a me non bastava solo stanotte.
<< non voglio che tu vada più.
>>
I
suoi occhi si
dilatarono alle mie parole sussurrate… il viso divenne
cinereo e mi resi conto che non era la rabbia ad aver preso il
sopravvento su di lei, ma qualcosa di più infimo e
più doloroso: la
paura.
La
paura di
perdermi.
<<
Edward io… io non posso… lo sai, è il
mio lavoro! >> ribatté, e vidi il suo corpo
tremare ancora seduta al bordo del letto, con le morbide curve
coperte solo dal sottile lenzuolo e le membra in un interno duello tra
l’alzarsi e l’andare o il tornare indietro e
restare.
Non
era giusto
metterla con le spalle al muro; obbligarla a fare una scelta che sapevo
non voleva prendere, che mi aveva detto non avrebbe mai preso. Perché
quella era lei, così come l’avevo conosciuta e non
era giusto chiederle questa cosa… farle pesare
ciò che era.
Solo che iniziavo a sentire il mio petto cedere sotto la forza
di questo dolore sordo che lei mi procurava ogni sera, andandosene via
come stava per fare ora… dopo essere stata con me.
<<
sì lo so... lo so. >> ripetei più a
me stesso quasi a cercare di convincermi che ero un egoista, che dovevo
lasciarla andare.
Avevo
conosciuto Bella in quel locale.
Quando
l’avevo vista su quella pedana, coperta solo da un vestitino
succinto e troppo piccolo per coprire il suo corpo, quando
l’avevo vista ballare di fronte a me, con i suoi movimenti da
gatta ammalianti, non mi era importato che fosse una spogliarellista.
L’avevo avvicinata e non avevo pensato che le cose che
mostrava a me le mostrava anche ad un immenso numero di altri uomini.
Forse
era stato
solo sesso quello che avevo cercato quando le avevo parlato la prima
volta, quando le avevo proposto di vederci fuori e le avevo chiesto di
venire con me. Ero stato solo guidato dal desiderio di averla, e alla
fine l’avevo avuta… e lei non si era tirata
indietro.
Non
si era tirata
indietro dopo che tutte le settimane mi presentavo al Club e mi
avvicinavo a lei.
Non
si era tirata
indietro quando le avevo chiesto di uscire, senza nulla che
contemplasse il sesso.
E
alla fine non
si era tirata indietro nemmeno quando le avevo confessato di provare
qualcosa, qualcosa di serio, qualcosa che implicava sentimenti.
Lei,
come la
prima volta che l’avevo vista si era dimostrata
disponibile, ammirata… felice. E aveva reso felice
me ricambiando i miei sentimenti, stando con me, rendendomi la persona
più amata di questa terra.
Ma
se prima il
piacere del suo amore mi aveva reso cieco di fronte a quello che faceva
–perché
io l’amavo ed ero disposto ad accettare anche quello-
ora l’amore era diventato più forte, se mai fosse
stato possibile, e l’innamoramento si era fatto con il
tempo in adorazione, e l’adorazione si era trasformata
più velocemente in gelosia.
Il
suo corpo nudo
ad ondeggiare lento attorno un palo d’acciaio…
altre donne intorno a lei, ad accarezzarla e renderla appetibile agli
uomini…
e gli uomini, a guardarla, ammirarla,
desiderarla...
Ad eccitarsi
di
fronte a lei.
Ad
allungare le mani per toccarla…
Volerla avere.
<<
mi fa morire il pensiero di te in quel posto >> ripresi
sentendomi la voce morire in gola a quei pensieri che non mi volevano
abbandonare.
<<
mi avevi detto che non era un problema… che andava bene, che
non eri geloso… >> sussurrò.
<<
MA SONO GELOSO DANNAZIONE!! >> scattai come una
tigre stringendo le lenzuola fra le mani e fissandola negli
occhi completamente fuori di me. << l’idea che
ti tocchino mi fa diventare matto! Non riesco a
sopportare di rimanere qui in questo letto a dormire mentre tu ti
spogli su un palco! Non riesco a respirare, ma fai morire!! E solo
l’idea che qualcuno ti si avvicini, ti parli, ti chieda di
andare con lui.. >>
<<
sai che non lo farei mai! >> mi interruppe lei fissandomi
allarmata.
<<
con me l’hai fatto. >> ribattei io
più freddo e cattivo di quanto avessi voluto.
Ma
mi pentii
subito di quelle parole perché la vidi voltare la testa di
scatto nel tentativo di non farmi vedere gli occhi illuminati dal
pianto che io stesso –nella mia stupidità- le
avevo causato.
<<
Bella scus.. >> provai, ma lei i interruppe.
<<
è così quindi quello che pensi? >>
la voce era più tremolante di quanto mi aspettassi,
e sapevo che per lei era difficile mostrarsi debole di fronte
ad altri… me compreso. << mi ritieni una
puttana o qualcosa del genere?! Anzi non una puttana,
perché lei si fa pagare mentre io la do via gratis,
giusto?!... quindi sono una troia! >> la vidi
alzare le mani come a voler aggiungere qualcosa ma non avere le parole
per farlo, e poi senza dire più nulla si alzò dal
letto e iniziò a raccattare i suoi vestiti dal pavimento.
<<
Bella no… non era quello che volevo dire, ti prego..
>> dissi veloce mentre mi dirigevo da lei e le prendevo i
panni dalle mani.
Non
volevo se ne
andasse senza prima aver risolto, e dovetti ammettere con me stesso che
volevo anche parlare con lei per trattenerla a casa e non farla andare
a lavoro.
Ma
quando la
liberai dagli abiti e mi avvicinai maggiormente a lei per scusarmi, lei
mi precedette perché scoppiò in un pianto
disperato, allungando le braccia per tenermi lontano.
<<
perché mi hai rinfacciato questa cosa, perché
l’hai fatto?… sei cattivo! >>
<<
Bella scusami, scusami… >> mormorai come una
lamentela mentre, ignorando i suoi tentativi di tenermi a distanza, la
abbracciavo e le baciavo i capelli.
<<
avevi detto che andava bene, avevi detto che non ti
interessava… lo sapevi che mi spogliavo…
>>
<<
Bella mi dispiace… non piangere ti prego! >>
sussurrai ancora tra i suoi capelli, stringendola forte a me e
sentendomi un verme per averle fatto male.
<<
allora perché mi hai chiesto di restare? Perché
hai detto quella cosa su di me? Sai bene come mi comporto quando sono
là… >>
<<
sì, lo so… è che…. sono
geloso >>
<<
ma sai che io non andrei mai con un altro… devi fidarti di
me! >>
E
sapevo che
aveva ragione, ma io continuavo a sentire in me
quell’angoscia per non essere al corrente di cosa faceva la
notte.
<<
è un lavoro… è solo un lavoro!
>>
<<
ma perché non puoi farne un altro? Puoi fare
un sacco di altri lavori! >> mi ritrovai a dire e
mi sentii un bambino petulante.
<<
nessun lavoro mi farebbe guadagnare 3000 dollari in una
serata… io ho bisogno di soldi… e
poi non so fare nient’altro Edward, è
questo quello che faccio… lo sapevi, lo hai sempre saputo.
>>
<<
si, lo sapevo.. >> mormorai vile sentendomi al limite di
un burrone.
E
il silenzio
crollò su di noi, pesante e pieno di aspettativa mentre
ancora nudi ci abbracciavamo a vicenda nella mia stanza illuminata solo
dalla lampada sul comodino.
I
singhiozzi d Bella divennero sempre più lievi, fino a
scomparire e far
tornare il suo respiro regolare… la sua mente più
calma.
<<
se non smetterò di lavorare mi lascerai? >>
domandò tutto d’un fiato, talmente basso
da sembrare un sussurro all’orecchio.
E
la voglia di
rispondere << Sì >>
c’era.
La
voglia di
metterle paure, di darle un ultimatum, di forzare la sua risposta nella
direzione che volevo io.
Perché
sapevo che Bella avrebbe lasciato il suo lavoro per me.
Se
gli avessi
detto << Sì >> lei avrebbe
lasciato quel lavoro per me, perché mi amava e non avrebbe
permesso a questa cosa di separarci.
Ma
se avessi
risposto << Sì >> io sarei stato
ciò che ci avrebbe separato.
Perché
io avevo detto di amarla, di amarla per quel che era indipendentemente
da tutto… ma ora dimostravo il contrario.
Io
le avevo detto
che mi fidavo ciecamente di lei, ma saperla in quel club mi faceva
mettere il suo amore in discussione.
Io
l’amavo, e le stavo facendo fare qualcosa che non
voleva… qualcosa che forse in un futuro mi avrebbe
rinfacciato e che avrebbe forse rovinato ciò che lei provava
per me.
Se
non avrebbe
smesso di lavorare, l’avrei lasciata?
<<
No Bella… io non ti lascerò mai. >>
E
dopo quelle
parole vidi i suoi occhi tornare lucidi… questa volta non
per dolore, ma per commozione.
<<
non è giusto chiederti di non andare. Quando lo vorrai sarai
tua restare qui e a fare una scelta… non voglio essere io ad
importela. >>
<<
e non ce l’avrai con me? >> domandò
dolce mentre le cancellavo le lacrime con i polpastrelli.
<<
Non potrei mai avercela con te. Tu sei così… e io
ti amo. >>
<<
Edward.. >> mormorò ancora poco
convinta timorosa.
<<
stai tranquilla… e vai a cambiarti o farai
tardi. >> e gli rivolsi un sorriso con il tentativo di
farla calmare… di fidarsi anche lei di me.
Quella
notte, nel
letto con le lenzuola fino alla vita, mi ritrovai a fissare il tetto e
a immaginare maniacalmente la mia Bella, che coperta con un solo
perizoma di lustrini camminava e ancheggiava in mezzo agli uomini del
club. Invitante, seducente e tentatrice.
Bella
e luminosa
come solo lei sapeva essere.
La
immaginai
andare al bar a prendere un drink; un uomo che le sia accostava dietro,
le sussurrava qualcosa all’orecchio, le carezzava curioso il
fianco.
Com’era
accaduto quella sera di sei mesi fa..
Lei
che si
voltava, un sorriso malizioso sul viso, l’impudicizia di
avvicinarsi e la totale assenza di vergogna per la sua
nudità.
Così
diversa da quando era sola a casa con me…
L’uomo
le faceva una domanda; un invito inequivocabile. Il desiderio di
realizzarlo.
Lei
lo fissava
curiosa, si guardava attorno ma non si avvicinava ulteriormente.
Un
gesto di
negazione con il capo, delle parole pronunciate dalle labbra che
richiamano a me.
Lei
che
abbandonava il drink. Che abbandonava l’uomo. Che si
allontanava mantenendo una promessa, onorando la fiducia.
Lei…
La Bella che amavo.
La
Bella di cui
mi fidavo.
La
Bella che
faceva la spogliarellista.
E
mi addormentai.
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