La pietà della morte
Qui c’è puzza di morti, e
dappertutto non v’è speranza.
Il cielo è nero. Sta consumando la sua morte in silenzio,
senza tuoni né lampi. Dall’orizzonte spuntano corvi che volano a cerchio sopra
un campo che è un deserto di vita, e aspettano il momento, molto vicino, in cui
saranno assoluti padroni del mondo.
Sotto di loro, un paio di piedi
ossuti, nudi, sporchi, insanguinati, solcano il terreno e sembrano quasi non
riuscire a sollevare il flebile peso della polvere. Sono i piedi di uno
scheletro con la pelle, che vaga solitario per un inferno silente. Si trascina
lento, tra il gelo dell’aria, coperto solo da una camicia e un paio di
pantaloni larghi.
I suoi occhi sono spenti,
guardano nel vuoto. Eppure, dentro, in profondità, nascondono pensieri e remoti
ricordi. Forse, nascondano un’anima. Però sono tristi e vuoti. Riflettono la
disperazione e l’apocalisse circostanti. Sono contornati da una striscia di
lacrime, le cui gocce, aride, esitano a cadere, e quando lo fanno sottolineano
i lineamenti scarnificati del volto, gli zigomi ossuti, il mento appuntito, le
labbra inesistenti. Poi cadono sul terreno, e giacciono lì, non assorbite.
I suoi padroni vogliono che sia
una cosa. Forse lo è diventato, forse non è più un uomo. Gli uomini hanno un
nome, lui ha solo un numero.
Vaga, lo scheletro con la pelle.
Vaga.
Giunge in una viuzza del campo.
Un ragazzo sta portando un cesto. Un soldato dalla finestra del suo palazzo lo
trasforma in bersaglio, e gli spara. I primi tre colpi fanno cilecca. Il
ragazzo rimane immobile, impietrito, cosciente del fatto che tra poco morirà.
Infatti il quarto proiettile lo prende in fronte, e muore. Ma lo scheletro
passa oltre, ignorato da tutti.
Giunge su uno spiazzo. Venti
uomini sono sdraiati a terra supini. Un ufficiale sogghigna ed estrae la
pistola dal fodero. Cammina imperioso sopra di loro, e a uno a uno li sputa.
Strano battesimo questo, fatto non all’inizio bensì alla fine della vita.
Spara. Un uomo sì, un uomo no; sicché la terra si colora di rosso. Ma lo
scheletro passa oltre, ignorato da tutti.
Giunge ad una baracca. Appoggiata
al muro v’è una donna. Donna? E’ una larva bianca, scarnificata, immobile. Lo
guarda con occhi spenti, senza una minima parvenza di vita. Lo scheletro
potrebbe chiederle il motivo di tanta silenziosa sofferenza, ma non lo fa.
Tutto, dai lineamenti del viso alla posizione del corpo, al suo sguardo, rivela
la verità: ella ha perso tutte le persone care, e aspetta la morte. Ma lo
scheletro passa oltre, ignorato da tutti.
Giunge di fronte a un gruppo di
soldati. Emettono urla e risate sadiche. Sono disposti a cerchio, e sembrano
concentrati su qualcosa che sta nel mezzo. Lo scheletro si avvicina e vede:
stanno picchiando un bambino. Lo stanno pestando a sangue. Lo stanno prendendo
a pugni e calci. Gli stanno spezzando le ossa a bastonate. Lo stanno vuotando
del sangue a forza di escoriazioni. Lo stanno facendo impazzire dal dolore.
Un soldato gli sgretola la
mandibola premendogli la suola dello stivale contro il volto. Un altro gli
rompe le costole a pietrate. Un altro ancora lo apre, nelle labbra e sugli
occhi, con dei ganci. E il bimbo piange, piange, piange…
Ma non muore. Allora le grida dei
soldati cambiano tonalità e si trasformano in urla isteriche. Aumentano
l’intensità del pestaggio, ma il bambino, sebbene ridotto ad un ammasso di
carne, respira ancora. Quindi uno estrae una pistola e lo finisce con più
colpi, rovinandolo ancora di più. Poi se ve vanno, lasciando la piccola vittima
a marcire nel suo stesso sangue. Lo scheletro si avvicina. Si inginocchia. Piange.
Batte i pugni a terra disperato. Mai ci fu e mai ci sarà uomo più triste, più
miserevole, più disperato di lui. Punta lo sguardo al cielo e grida: “Perché?
Perché? Perché?”. Ma non riceve nessuna risposta, né una nuvola si sposta. Lo
scheletro con la pelle, svuotato ormai dalle lacrime e da ogni sentimento,
sviene.
Si desta con l’immagine di una signora bellissima, alta snella, dai
lunghi capelli corvini e dai lineamenti delicati. Porta in braccio la donna che
lo scheletro ha visto prima, quella muta e immobile. Lo scheletro riconosce la
signora bellissima e si getta ai suoi piedi. Rinnova la stessa domanda:
“Perché?”. La signora lo guarda, si impietosisce e con un’espressione
sconsolata allarga le spalle: perfino lei non sa dare spiegazioni. Una striscia
di lacrime scorre sul suo viso, e getta qualche goccia a terra, che sbatte
contro il suolo e incenerisce la polvere. Poi si inginocchia di fronte al bimbo
e prende anche lui in braccio. Se ne va. Via dall’inferno, via da Bierkenau.
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