Amore mio.

di rebshuxley
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Amore mio,
la prima volta che ti ho vista l’ho capito subito: eravamo fatti per passare la vita insieme.
Primi fra tutti quelli che si sono mai posati su di me, i tuoi occhi mi hanno visto davvero, mi hanno guardato con affetto. Mi hai salvato.

Non capivo come mai fossi sola. Credo di non averti mai sentita parlare con nessun altro, a parte me; non riuscivo a comprendere perché mai nessuno desiderasse la tua compagnia, per me preziosa. Ai miei occhi sei sempre stata bellissima. Ti muovevi con cautela, delicatamente, nella nostra piccola casa. I tuoi capelli erano come te, delicati, lievi, sembravi una fata, il tuo viso a guardarlo raccontava mille favole. Profumavi di lavanda e di vestiti puliti. Eri ordinata e ti piaceva tenere le tue cose in posti precisi, abitudine che non ho mai capito; cercavi di arrabbiarti quando scoprivi che avevo rovinato questa tua attenta disposizione degli oggetti, ma non ci riuscivi mai veramente. La tua voce rimaneva comunque fioca e dolce, incapace di incrinarsi.

Mi mancano le lunghe passeggiate che facevamo all’alba; eri una mattiniera come me, in questo ci assomigliavamo molto. Andavamo fino alla spiaggia a guardare le onde e mi raccontavi la tua vita, un pezzetto alla volta, sorridendo per i tuoi buchi di memoria sempre più frequenti. Quando eri bambina facevi collezione di conchiglie, ne avevi tantissime, ora ne è rimasta una, piccola, che conservi come un tesoro. Da ragazza eri la più intelligente di tutte, ma eri appunto una ragazza, e per te c’era una sola strada da seguire; ti sei adattata a fare la donna di casa. Alcune volte non ricordi il nome di certi tuoi fratelli e sorelle, ma quello di tuo marito non l’hai mai dimenticato, anche se se ne è andato tanto tempo fa. Lo ripeti sempre, guardando le fotografie sbiadite di quel signore con la barba, dallo sguardo un po’ severo ma tutto sommato buono. Devo confessarti che sono sempre stato un po’ geloso, chissà chi ricorderà il mio nome? Forse nessuno, tu eri l’unica persona a questo mondo per cui significavo qualcosa; ma quel qualcosa bastava a compensare tutto il resto, per me.

Mi raccontavi di come, a poco a poco, se ne erano andati tutti; i tuoi genitori, i fratelli, tuo marito, tua figlia. Avevi amici e parenti che venivano a trovarti ma piano piano, con il passare degli anni, hanno semplicemente smesso di esserci. Sei rimasta tu, sola e dimenticata in questa casa piccola ma ancora troppo grande per te, piena di vecchie fotografie e tazze da tè impolverate. Ti immagino affacciata alla finestra, quella da cui si vede il mare, senza nessuno al tuo fianco, e mi sento triste, perché sono stato solo per molto tempo anche io. Ma poi penso a quando ci siamo incontrati, e a come in qualche modo ci siamo salvati a vicenda.

Sapevo che te ne stavi andando, me l’hai detto tu, a bassa voce, certa che avrei capito in ogni caso. I tuoi occhi chiari erano ogni giorno più offuscati, e ti muovevi sempre meno, ogni respiro ti costava grandi sforzi, ma quando mi guardavi nessuno di noi due aveva paura.

Un giorno, semplicemente, non ti sei svegliata e sei volata via, come fanno tutte le fate, in fin dei conti.

Non mi piace la foto che hanno messo qui, non ti rende giustizia, ma non riesco a smettere di guardarla.



“Che ti dicevo? Era qui anche ieri.”

“Credi che sia del custode?”

“Non penso. Lo vedi? Continua a girare attorno alla tomba, è strano. Non ho mai visto un gatto comportarsi così.”



Addio, amore, vorrei sapere piangere, vorrei saper parlare e dire che nessuno dovrebbe morire da solo, che tutti meritano di essere addomesticati da qualcuno. 





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