Prologo.
Se non avessi avuto
delle prove ben valide credo che
rimarrei convinto che sia stato tutto un sogno, pensavo che fosse stato
il
troppo lavoro che mi aveva provocato quelle allucinazioni e invece no!
Era
tutto reale e quello che ho passato, è stato un mese
d’inferno. All’inizio non
bevevo e neppure dormivo, la realizzazione del disco era davvero
impegnativa e
avevamo la casa discografica sul collo che non ci faceva respirare.
Saremmo
stati disposti a portarglielo la notte stessa, appena lo avremmo
finito. Ci
saremmo presentati a casa del produttore in piena notte e glielo
avremmo
passato direttamente dalla finestra. Avevamo una scadenza e dovevamo
rispettarla sia per noi sia per i nostri fan. Non potevamo deluderli
per la
seconda volta! Sono la cosa più cara che dei musicisti
possano avere, il calore
e l’affetto che ti danno i fan, coloro che, pur essendo state
eliminate le
varie date del tour e stato posticipato l’uscita del record,
ancora, ci
tenevano e ci sostenevano.
Il punto non
è questo, però! Il fatto è che per
colpa di questo maledetto album
non riuscivo a dormire alla notte, soprattutto dopo quelle tre visite,
anzi
quattro se contiamo quella della mia precedente vicina di casa, che
poi: che
diamine mi è apparsa a fare? Non ci parlavo con lei, era lei
che mi rompeva
tutti i giorno urlandomi di smettere con le prove del gruppo o che
dovevo fare
meno casino quando tornavo ubriaco e che si lamentava delle numerose
ragazze
che portavo a casa. Diceva che non era carino e che alla fine me ne
sarei
pentito ma non avrei mai pensato che questa cosa influisse col mio
futuro,
anche se in fondo aveva ragione, avevo superato i trenta anni e ancora
non ero
riuscito ad avere una relazione stabile. Qualcosa non andava!
Capitolo1.
“Ragazzi,
non ce la faccio a continuare ho bisogno di sedermi”, dissi
stendendomi sul divano e mettendomi una mano sulla fronte. Tutto quel
lavoro mi
stava stremando. Non lavoravamo così duramente dai tempi di
Buddha.
“Ci
conviene, anche a noi, fare una pausa”, disse Mark buttandosi
sull’altro
divano.
Travis era scomparso,
probabilmente sarà andato a mangiare. Quel ragazzo si
muoveva come un fantasma, pur aver passato parecchi anni con lui,
ancora mi
stupivo del suo passo felpato.
Chiusi per un micro
secondo gli occhi e iniziai a pensare a ciò che era
successo questa settimana. Avevamo scritto due canzoni e ne avevamo
registrate
altre tre, Travis era dovuto partire perché doveva sistemare
delle cose con il
negozio della ‘Famous Stars And Straps’ e
quindi non ci sarebbe stato per due e tre giorni.
Ricordo che ricevetti
una telefonata da mia madre. Mi
aveva chiesto le solite cose: se mangiavo, se dormivo e di non prendere
freddo,
che era ora che perdessi qualche chilo e se c’era qualche
possibile ragazza da
chiamare nuora. Io li chiesi come stava e come andava il suo lavoro e
poi mi
comunicò la notizia che la nostra vicina di casa, la signora
Haggins, era
deceduta.
Mi ricordai che,
quando avevo sedici anni, si lamentava sempre dei guai che
facevo, ma alla fine mi copriva sempre, almeno, dove poteva,
così da evitare le
numerose punizioni che mi sarei dovuto meritare.
Continuai a pensare
alla signora Haggins ma all’improvviso sentii una strana
sensazione. Come di stordimento. Riaprii gli occhi e tutto
diventò nero. Lo studio
di registrazione era scomparso così come il divano su cui
ero sdraiato. Mi alzai
in piedi cercando di capire dove fossi finito.
‘Mi sono
addormentato, ora mi sveglio!’. Continuai a ripetermi ma
tutto rimaneva
scuro. Provai a richiudere gli occhi e feci tre respiri, li riaprii.
Ora mi trovavo in una
casa. Una strana luce entrava prepotente dalle finestre coperte
dalle persiane. Mi guardai attorno e non capivo dove fossi capitato.
Girai per la casa, la
stanza da letto, la cucina, nulla
mi era familiare. Tornai nella sala e guardo delle foto impolverate su
una
mensola e capii subito che mi trovo a Poway, ma stavo sognando. Ignaro,
mi voltai
verso la poltrona e c’era qualcuno accomodato sopra. La
signora Haggins. Era
seduta su quella strana poltrona verde e stava facendo un lavoro a
maglia.
Sì, stavo
assolutamente sognando. Non era possibile una cosa del genere. La
signora Haggins era morta. Non poteva essere qui davanti a me.
Restai a fissarla per
parecchio tempo e lei sembrava non accorgersi della mia
presenza.
“Thomas
siediti”, m’invitò indicando il divano.
Feci come mi disse.
La luce della finestra
puntò verso di lei. Sembrava fatta di una sostanza
polverosa. Era polverosa, era grigia, era morta! Dannazione,
presumibilmente ero
svenuto dalla stanchezza e ora stavo facendo questo maledetto sogno.
Lei era
morta, non poteva essere davanti a me! Non aveva senso.
Avevo i suoi occhi
puntati dentro i miei e all’improvviso
sentii freddo e dei brividi mi percorsero lungo tutto il corpo.
“Signora
Haggins, posso aiutarla?”, provai a chiedergli con un filo di
voce.
“Thomas, ti
ho visto crescere e ora voglio che tu sappia delle cose”, mi
risponse
dopo un po’. “Ho cercato di dirtelo in tutti i modi
ma non mi ascoltavi, in
fondo eri un ragazzino, chi ascolta una vecchia signora”.
“Mi
dispiace”, dissi pentendomi di quello che avevo fatto in
passato. Di sicuro
non mi sarei trovavo qui se non avessi combinato una delle mie solite
cazzate.
“Thomas, sai
la mia storia?”, feci un cenno di no con la testa.
“Quando avevo
la tua età, ero un po’ come te”,
iniziò a raccontare. “Passavo da un ragazzo
all’altro, non ero assolutamente una brava ragazza ma mi
divertivo e non
m’importava nulla”, terminò il racconto
con un lungo sospiro spensierato. “Il
fatto sta che mi ero trovata all’età di
quarant’anni e non avevo né una
famiglia né un marito. Ero rimasta sola perché
ormai mi ero abituata a quella
vita così frenetica e sbagliata. Era difficile riabituarsi
alla normalità. Ho
iniziato a odiare la mia vita.”, qualcosa mi fece
rabbrividire nel suo modo di
pronunciare la parola ‘odiare’.
“Ma
perché?”, provai a chiedere.
“Perché
ero rimasta sola!”
“Non riesco
a seguirla, cosa c’entra tutto questo con me?”
“Stupido
ragazzino”, sibilò. “Non riesci a capire
perché sei finito qui?”, mi
schiacciai sempre di più dentro i cuscini del divano,
spaventato dal suo cambiamento
di voce. “Sono qui per avvertiti, tu sei esattamente come ero
io!”
Senza pensarci
scoppiai in una risata nervosa. “Non è possibile,
guardi me e si
guardi lei quando era viva, siamo due persone differenti, ho degli
amici, posso
ancora divertirmi”, vidi spuntare un sorriso beffardo sul suo
viso.
“Non ancora
per molto”, un altro brivido mi percosse. Come era possibile
che mi
diceva una cosa del genere. Stavo per morire? Tremai a quei pensieri.
“Non stai
affatto per morire, ti sto offrendo una seconda chance per cambiare
la tua vita, per non fare il mio stesso errore”,
l’idea che non stavo per
morire mi tranquillizzò per pochi secondi ma poi
ritornò quello sguardo
glaciale e rabbrividii. “Questo mese riceverai una visita da
tre spiriti”
Mi ricordai come,
quando ero piccolo, mi raccontavano la
storia dei tre fantasmi che andavano a far visita a Scroug durante le
feste
natalizie, ma noi non eravamo neanche vicini a Natale perché
mi diceva una cosa
del genere?
“Questi
fantasmi ti aiuteranno a cambiare”.
“Ma io non
voglio cambiare, mi piace la mia vita”.
“Thomas”
mi rimproverò. “Tu devi cambiare!”
Mi alzai in piedi e
andai verso la porta cercando di ignorare quello che mi
ripeteva. Tentai di aprirla ma non ci riesci. Era chiusa a chiave.
Rimasi in piedi per un
istante che sembrò durare
un’eternità. Chiusi gli occhi e pochi minuti dopo,
molto lentamente, li riaprii.
Non c’era più nessuno. Non ero più in
quella casa. Mi ritrovai sdraiato sul
divano dove mi ero steso, lo studio era ritornato e Mark era seduto sul
tavolino davanti a me e mi fissava confuso e preoccupato.
“Tom”
mi chiamò. “Hei, amico, tutto apposto?”
“Ehm”,
dissi alzandomi molto lentamente. “Credo di sì, mi
sono addormentato”
“Credo che
per oggi dovremmo smettere, siamo stanchi, andiamo a casa”.
“Va
bene”
Salutai tutti e sali
in macchina poggiando la mia chitarra sul sedile del
passeggero.
Poggiai le mani sul
voltante e lo strinsi forte. Non ero
pronto a guidare. Stavo sudando freddo e avevo ancora quegli occhi
grigi
impressi nella mente. Mi sentii ripete le sue ultime parole:
‘Tu devi
cambiare!’. Si ripetettero più volte nella mia
testa. Avevo assolutamente bisogno
di riposo. Non potevo avere queste allucinazioni.
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