L’esecuzione
di Shanks
Il
combattimento contro
l’altro imperatore era stato estenuante, ma niente che non
potesse sbrigare. In
quei due anni la sua rabbia non era diminuita. Non era giusto il modo
in cui
era finita e, se quel traditore non si fosse messo in mezzo, forse
arrivando in
tempo sarebbe andata in altro mondo. Non riusciva ancora a capacitarsi
che
fosse venuto meno Barbabianca. Era un tassello della sua vita, una
parte
importante della sua infanzia e riusciva sempre meno a ricomporre il
puzzle
della sua esistenza.
Troppa
gente stava
cadendo e non riusciva a togliersi la spiacevole sensazione che alla
fine
sarebbe toccato a lui. La morte gli faceva la corte da quando si era
fatto
divorare il braccio mostrando un lato di sé più
vulnerabile. Peccato che la
nera signora si fosse fatta avanti prima per portarsi un ragazzo. Ace
aveva
ancora tutta la vita davanti, non era giusto fosse finita
così.
Doveva
raggiungere la
sua ciurma che stava ancora combattendo con gli uomini del suo nemico.
Perciò
non si sarebbe mai aspettato quell’incontro.
La
ciurma di Barbanera
si era fermata su quell’isola lontana dalle solite rotte per
fare rifornimento.
Giacché tutti gli uomini di Kaido erano occupati altrove,
non avevano trovato
ostacoli o uomini di guardia e avevano pensato che l’isola
fosse disabitata.
Ecco perché tranquillamente si erano divisi, cercando acqua
e frutta con cui
fare provviste.
Teach
ne aveva
approfittato per trovare un posto appartato dove mangiarsi in santa
pace le sue
mostruose crostate.
Marshall
e Akagami
rimasero immobili. Non era preventivato da nessuno dei due di trovarsi
a faccia
a faccia così all’improvviso.
“Il
Destino non smette
mai di essere dalla mia parte”. Rise Barbanera finendo
tranquillamente di
mangiare, in una scena che aveva del nauseante.
“Cosa
ci fai tu qui?” domandò
Shanks accigliandosi.
“E’
tempo che me la veda
con ‘gente’ come te”. Marshall D. Teach
si mise in piedi e piegò il braccio in
un modo particolare.
Il
rosso riconobbe
immediatamente la mossa di Barbabianca, riuscì a trovare un
paravento stabile
proprio a un pelo, prima di essere scaraventato via.
“Come
ben sai lo
conoscevo sin da ragazzo, pensavi davvero di sorprendermi con le sue
tecniche?”. Gli gridò contro Shanks dal riparo
sicuro.
“Per
quanto tu abbia i
suoi poteri, varrai sempre meno della metà di quel grande
uomo, Barbanera!”.
Shanks strinse più forte la sciabola.
Era
la prima volta che
si trovava in un combattimento così pericoloso e impegnativo
da sentire le
fitte per la mancanza dell’arto.
“Ho
sentito dire che tu
gli tenevi testa ormai, ma a me sembri solo un codardo”.
L’imperatore pirata
uscì dal suo nascondiglio e lanciò dei fendenti
in grado di tagliare la terra e
tutto quello che si metteva sul cammino della lama di vento. Stavolta
toccò a
Teach trovare un nascondiglio. L’oscurità cercava
di mangiarsi i colpi, ma
erano così veloci che faticava l’altro pirata a
gestire in tempo la potenza del
suo rogia.
I
colpi si susseguirono,
ma per quanto non sembrasse a un occhio inesperto, quasi tutto lo
scontro giocò
a favore di Shanks. Erano entrambi pirati con una certa esperienza, ma
l’imperatore possedeva uno stile impeccabile in combattimento
per quanto
mutevole e difficile da prefigurarsi in anticipo. Eppure
l’oscurità continuava
a protrarsi, lentamente, ma senza freno e calò di sopra al
rosso
all’improvviso. L’imperatore si ritrovò
bloccato in un battito di ciglia e
senza capire cosa stesse accadendo, le sue energie iniziarono a
precipitare
tutte in una volta.
“Impagabile.
Capisco i
due fratelli, ma persino tu sai avere una faccia così
stupendamente spaventata
e confusa. Anche se la più bella resterà sempre
quella del nostro primo
incontro”. La voce di Barbanera sembrava essere dappertutto,
ma persino nella
coltre nera lasciata dal frutto Yami-Yami, gli occhi allenati di Shanks
riuscivano a scorgere la figura del nemico.
“Vedi,
io sono capace di
portare via gli Haki…”. Il vento aveva iniziato a
soffiare intorno a lui e si
sentiva sempre più debole. L’oscurità
sembrava cingerlo da ogni parte. Divorava
ogni cosa, lasciando un gran deserto in un terribile buco nero.
Il
mozzo di Roger cadde
in ginocchio. Presto sarebbe rimasto inerme, privo di ogni energia, ma
soprattutto del suo Haki. Sarebbe diventato una preda così
immensamente facile
da uccidere e fragile sotto ogni punto di vista.
Barbanera
rideva. La
fortuna era stata dalla sua, aveva vinto.
“E
dopo che mi sarò
occupato di te come a suo tempo feci con Ace, cercherò Rufy
e divorerò anche il
suo di Haki”. Teach urlò quelle parole gonfiando
il petto, ormai totalmente
certo della sua superiorità.
Gli
occhi neri di Shanks
si sgranarono. Aveva detto Rufy? Il suo piccolo bambino, la speranza di
un
futuro e di una nuova era in un mondo distrutto, la sua palla di
cannone, il
bimbo cui era tanto legato che si era fatto uomo fra troppe sofferenze.
Come
piccoli segreti malamente celati, i ricordi del ragazzetto viaggiarono
nella
sua mente come foto che giocano a rincorrersi in uno strano film a
spezzoni.
“Non
ti permetterò di
toccarlo!!!”. Non aveva già più
energie. Per quanto il suo Haki esplodesse come
non mai, non riusciva a evitare di farsi divorare. Con le sue ultime
forze
brandì saldamente la spada nemmeno si fosse trattato di un
pugnale e alzò il
braccio. Provò il tutto per tutto. Con tutta la sua energia,
mise l’Haki che
gli era rimasto nell’arma e la lanciò.
Fu
come se fosse partita
una freccia. La spada andò diretta, contro tutte le regole
della gravità e
colpì in pieno Barbanera, tranciandogli di netto la testa
che ricadde in uno
schizzo di sangue, immobile in quel sorriso malevolo e sciocco.
La
spada proseguì
perdendosi nella boscaglia, ma l’oscurità
scomparve.
Debole,
stanco, sudato e
confuso, Shanks cadde in terra in ginocchio.
Non
riuscì a rialzarsi
per parecchio tempo, ma appena ne fu lontanamente capace, si
trascinò in un
camminare sbilenco fino al corpo.
“E
questo è per i tre
segni che secondo te mi donavano tanto”. Sputò con
rancore accanto alla
carcassa decapitata, riferendosi alle cicatrici sul suo occhio.
Doveva
trovare la sua
spada. Era parte di lui ormai quell’arma e, poi,
gliel’aveva donata il signor
Ray, il suo amato maestro, più di un genitore per lui.
Kaido,
come sempre, si
era dimostrato un cane della marina. Benn si era trovato di fronte a
una
difficile scelta. O salire sulla nave e da lì difendersi
dagli assalti delle
navi nemiche che si moltiplicavano sempre di più
all’orizzonte, giacché la
ciurma era già stanca dai precedenti scontri che andavano
avanti da ore, e ciò significava
abbandonare da solo il capitano; o rimanere lì a farsi
uccidere e catturare.
Come sempre prese la sua scelta senza tentennamenti, almeno
esteriormente,
perché mentalmente minacciò il rosso:
“Se non ti fai trovare vivo, idiota,
vengo e ti ammazzo”. Poco importava che non avesse senso.
Sengoku
sospirò. Lui era,
almeno ufficiosamente, in pensione, ed invece era toccato a lui andare.
Aveva
trovato la spada del rosso conficcata in un albero e l’aveva
segnalato. Nemmeno
a mezz’ora di cammino aveva trovato suddetto imperatore
pirata esangue e privo
di sensi in terra. Non avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe
riuscito a
catturare quell’uomo entrato nella leggenda, lo stesso
moccioso tanto
promettente che la sua epoca aveva pensato potesse dare molto di
più.
Freddo,
fu la prima
sensazione che Shanks percepì. Non era però
diffusa a tutto il corpo, ma solo
alla fronte. Pian piano riuscì a comprendere che aveva il
capo appoggiato
contro il vetro gelido. Si svegliò dal sonno pian piano,
come se uscisse da un
lungo sonno o riemergesse da un gelido mare in tempesta. Parecchie
volte era
fuggito dal dolore nel sonno o nei fumi dell'alcool, ma non era la
solita
sensazione di quei casi. Aprì gli occhi con calma e si
voltò appena.
Si
guardò intorno. La
testa gli scoppiava e si sentiva così debole. I dettagli
raccapriccianti gli si
presentarono davanti agli occhi in un crescendo d’orrore. Un
cappello con un
gabbiano impagliato abbandonato su una scrivania; migliaia di occhi di
altri
gabbiani impagliati imploravano aiuto da dovunque, da sopra
l’armadio immenso a
quattro ante, da sopra il davanzale della finestra gemella, da sopra
una sedia
e persino dalle spalliere del gigantesco letto a baldacchino. Non ci
riusciva a
credere, le gambe presero a cedere ancor di più. Era nella
stanza da letto di
Sengoku. In fondo aveva senso, il posto più sicuro, ma anche
il meno probabile
dove lo avrebbero cercato.
Riguardò
fuori, marine
nel cortiletto che si allenavano e tutto l’occorrente portato
lì da Impel Down
per una tortura in grande stile. Sady-chan rideva, facendo muovere i
boccoli e
portandosi una mano guantata alla bocca per sghignazzare crudele. Benn
lo
avrebbe ammazzato, poco ma sicuro. Si sentiva stordito, sicuramente era
stato
drogato. Se Garp lo avesse beccato, lo avrebbe preso a pugni per aver
fatto il
cretino, ma mica era colpa sua se era crollato in terra! E poi se la
droga gliel’avevano
messa in gola con il sakè, era cosa buona e giusta
trangugiarla in ogni caso.
La
folla era gremita nel
luogo del patibolo, ma a ben guardare si sarebbe notato che erano solo
marine.
Coby era lì e del povero Hermeppo si sentivano le lamentele,
nessuno dei due
poteva accettare che morisse proprio il pirata che aveva salvato il
giovane dai
capelli rosa dalle ire di Akainu.
Shanks
non pareva
totalmente cosciente, poiché venne trascinato a forza. Lo
condussero fuori
dalla camera da letto, in mezzo alla folla che aveva visto dalla
finestra.
Ugualmente,
il Rosso
aveva il sorriso tranquillo di un bambino che non ha paura
dell’uomo nero, ma
in fondo era stato il mozzo della nave di Roger e si stava dimostrando
degno
del suo Capitano.
Fu
fatto salire a forza
dagli ammiragli festanti, ma l’impertinente imperatore pirata
trovò la forza persino
di deridere la ‘rinnovata bruttezza’ di Tsuru.
“Non
avete trovato un
cappio più largo? Temo non sia della mia misura”.
Furono le sue ultime parole
mentre gli metteva suddetto e rise forte anche prima che la botola si
aprisse.
Bang!
Un colpo di fucile
solo bastò. Il proiettile colpì in pieno la corda
e questa si spezzò. Shanks
sorrise, lo sapeva che Benn non lo avrebbe deluso. Troppo debole, non
riusciva
a fare niente, si lasciò cadere. Peccato per il lavoro che
sicuramente aveva
fatto il suo vice. Sarebbe morto sbattendo la testa contro il legno.
No, anzi,
sarebbe finito prima. Sentì lo scattare dei fucili, Sengoku
aveva proprio
pensato a tutto. Non solo lo voleva impiccare, ma far anche riempire la
sua
carcassa di piombo. Nemmeno si fosse trattato di uno stregone con
chissà quali
poteri capace di resuscitare.
Chiuse
gli occhi, pronto
alla morte, ma la botola si aprì all’improvviso.
Si ritrovò a finire su quella
che sembrava una grossa sfera rosa di gomma. Ci annegò
dentro quasi, confuso,
non riuscendo a capire lo strano fenomeno inaspettato. Udì
gli spari, ma quella
specie di materiale lo protesse. Tutti i proiettili finirono
imprigionati e
furono sbalzati indietro uccidendo quelli stessi che li avevano sparati
e anche
qualche marine sfortunato che stava solo lì a guardare.
Sgranò
gli occhi e gli
venne quasi un colpo quando vide chi era di preciso che lo aveva
afferrato e
poi salvato.
Rufy
riprese le sue
sembianze naturali, con il suo solito sorrisone enorme da bambino.
Il
Monkey pronunciò il
suo nome in un modo che sembrava più un
‘Shankusu’.
“Benn,
ma sei
impazzito?! Cosa ti è saltato in testa di far venire qui il
bambino!”. Gli urli
del Rosso furono udibili sin dall’altro lato del mondo,
niente da stupirsi
perciò che arrivassero anche all’orecchio del vice
dell’imperatore.
Benn
si rimise il fucile
in spalla, iniziando a correre per raggiungerli roteando gli occhi. Non
era
certo colpa sua.
Nel
momento in cui erano
riusciti a tornare finalmente sull’isola, dopo essersi
sbarazzati dei Marine,
avevano capito subito che qualcosa non andava. Non c’era
traccia del loro
capitano, ma non solo. C’erano tracce di sangue e
colluttazioni terribili.
Ovvio che la prima mossa era stata andare a Impel Down e
all’uscita, una volta
in fuga con tutti i carcerati; non troppi giacché
c’era stata l’ultima fuga di
massa solo due anni prima; avevano trovato la ciurma di quei
‘marmocchi’.
Rufy
non leggeva
giornali, ma aveva saputo la faccenda in ben altro modo.
Due
uomini mezzi
ubriachi, sicuramente due marine in licenza, si erano dimenticati il
riserbo
totale sulla faccenda. L’idea, infatti, quella volta era di
non avvertire la
popolazione, ma di registrare il tutto e mandarlo su tutti gli schermi
del
mondo solo dopo averlo già ucciso. Al contrario a uno dei
tizi era sfuggita
mezza parola di troppo e si era ritrovato un ringhiante ragazzo di
gomma a
tenerlo sospeso a un metro da terra stringerlo per il collo. Con
qualche poco
velata minaccia, il giovane Cappello di paglia si era fatto dire tutto,
e
giacché una volta lui già c’era andato
a Impel Down, per quanto poco ci
credesse alla faccenda, un altro giro non gli costava fatica.
Ovvio,
perciò, che
incontrato Benn, cocciuto, non avesse desistito finché non
li aveva costretti a
farlo andare con loro, portandosi dietro anche la propria di ciurma.
"Non
sono un
bambino!!!". L'urlo di Rufy era stato così freddo da gelare
il sangue.
Dopo la morte di suo fratello e gli anni di allenamento, non era
più disposto a
essere trattato come un moccioso incapace.
Tutt'intorno
erano
cominciati gli scontri. Il Budda d'oro era sceso in campo e tra frutti
del
mare, spari,
colpi e armi da taglio; pareva fosse scoppiata una nuova guerra. Gente
cadeva
in terra, altri correvano e Coby era di nuovo a gridare.
Shanks
guardava i suoi
uomini. Lo sguardo fiero e compiaciuto che ha un capitano che vede una
degna
ciurma, ma anche quello preoccupato nemmeno fosse un genitore che
rischia di
perdere qualche figlio. Era cresciuto con Roger, ma di riflesso anche
con
Barbabianca, ovvio che avesse simili atteggiamenti inconsci.
“Felice
che stia bene
capo”. Biascicò Lucky mordendo nuovamente il suo
immenso cosciotto per
ingurgitarlo velocemente. Il rosso era molto alto, ma pareva che alcuni
membri
della sua ciurma stessero puntando ai quattro metri e solo Beckman era
già di
suo di tre.
In
mezzo agli scontri
c’era anche quella che capì essere la ciurma di
Rufy. Il ragazzetto di gomma li
aveva davvero saputi scegliere, a suo parere. Certo, lui che aveva
persino una
scimmia in ciurma, non notava la stranezza derivante
dall’essere una renna
umana o uno scheletro ancora vivente.
L’imperatore
pirata si
voltò verso il giovane che un tempo era stato il bambinetto
cui aveva dato il
cappello. Non lo voleva in mezzo a tutta quella faccenda, inoltre tutte
le sue
fatiche per non incontrarlo fino a Raftel erano saltate.
“Sei
diventato un bravo
pirata”commentò con un mezzo sorriso malinconico,
sistemandogli il cappello.
Gli occhi del capitano pirata più giovane brillarono di
contentezza e l’ombra
dei suoi immensi sorrisi a tanti denti parve fare capolino in modo
impacciato.
La
scena idilliaca stava
per essere interrotta dall’assalto dei marine, ma il gruppo
si ritrovò a terra
privo di vita con un profondo taglio che li passava da parte a parte.
Il colpo
era talmente potente che tagliò di netto la montagna dietro
di loro. Non si
vide chi fu, ma si poteva intuire.
“Occhiacci”pensò
Benn
alzando gli occhi al cielo e mordendo più forte il sigaro.
“Occupati
di Akagami
piuttosto, Beckman”. Fu la risposta mentale di Drakul Mihawk
intento a
scomparire nuovamente nell’ombra che lo aveva condotto fino a
lì celato a occhi
indiscreti.
“Adesso
vammi a
recuperare la spada”comunicò il rosso al
ragazzino. Era un modo come un altro
per farlo ugualmente allontanare dal luogo dello scontro vero e
proprio, ma
ancora esaltato, il ragazzo corse via. Saltellò oltre due
marine e li sbatté a
terra di faccia con le mani, per poi ritirare le braccia appena
allungate
riatterrando e continuando la corsa.
La
casa di Sengoku era
andata per metà distrutta. Rufy non ci andava per il sottile
e se doveva, era
pronto pure ad abbattere i muri. La sua ciurma lo stava aspettando e
poi il
rosso gli aveva detto che era un pirata e l’evento lo aveva
reso ancor più su
di giri del solito. La spada si trovava ben protetta, ma tutti i
guardiani
avevano ricevuto un colpo che le aveva lanciate in aria tanto da
sfondare il
tetto.
In
quel momento il moro
la teneva stretta, correndo a tutta velocità facendo delle
lunghe scivolate sui
pavimenti di marmo. Finché non fu costretto a fermarsi
all’improvviso,
trovandosi una figura scura d’adulto davanti.
Il
giovane dal cappello
di paglia s’immobilizzò. Il suo cuore batteva
all’impazzata e pareva averlo in
gola. Pareva volesse colpire frenetico la gabbia toracica fino a
sprizzare
fuori. Smoker ghignò stringendo meglio l’arma che
teneva in pugno, aspirando
dai suoi pestilenziali sigari.
Il
Monkey fece un passo
indietro, stringendo più forte l’arma del rosso.
Aveva fretta e con quel tipo
non gli andava di battersi, anche se non era tipo da temere nessun tipo
di
scontro.
Il
viso dell’uomo parve
ghiacciarsi e assumere dei tratti ancora più spaventosi.
Cadde però in terra
senza un lamento, con la rigidezza di un morto. A passarlo da parte a
parte era
stata una spada.
“Muoviti,
re dei
pirati”. Ghignò pericoloso Zoro, per poi essere
preso in contropiede dal suo
capitano che allungando le braccia gli si attaccò al collo
in un abbraccio
soffocante rischiando di farlo cadere in terra.
Shanks
si era fatto
caricare in spalla da Benn. In fondo lo sapeva anche lui, alle volte
l'unica
via d'uscita era scappare, non era il gigante bianco lui, l'uomo che
non aveva
mai mostrato la schiena al nemico. L’intero gruppo si era
riunito e tra calci
del biondino della banda del Mugiwara e colpi di pistola di Lucky,
stavano
scappando via. Correvano, ma dai loro sorrisi pareva che fino a quel
momento
non avessero fatto altro che una passeggiata al parco.
Shanks
guardò il
patibolo allontanarsi e il suo sorriso divenne triste. In fondo, forse
non era
destino che morisse come il re dei pirati, era una morte degna a pochi
e lui
era il passaggio tra due ere, non uno di loro.
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