Loser
Of The Years
“Ti
ricordi come ci siamo incontrati?”
“Mh…”
Mi chinai per spostare
una ciocca di capelli dai suoi
occhi e lessi l’espressione sforzata sul suo viso. Non sono
mai stata una
ragazza che se la prendeva se il suo ragazzo non si ricordava quale
fosse la
loro canzone o quando si erano incontrati per la prima volta ma lo
conoscevo
abbastanza bene e sapevo che si ricordava come ci eravamo incontrati,
era solo
una buffa scena per farmi arrabbiare. Era
stato in qualche bar di Los Angeles, dove io lavoravo. Probabilmente
era
ubriaco, cosa piuttosto insolita per lui. Era in compagnia di un membro
della
sua band, credo che fosse Chuck o Seb. No, era David! O forse no?
Questo non ha
importanza. Lui era crollato su uno sgabello del bancone del bar e
aveva
ordinato un altro Mojito. Quando gli servì il drink, lo
iniziai a guardare con
una certa prospettiva, aveva qualcosa di particolare. Lo avevo
già visto da
qualche parte, ma non mi ricordavo né dove né
come. Poi un flash mi colpì.
‘Tu sei quello
che
ha suonato ieri sera!’, gli dissi. Lui annuì
semplicemente buttando giù il
liquido contenuto in quel bicchiere. ‘Siete stati bravi, sai,
mi ero promessa
di non fare la ragazzina urlante, ma è stato più
forte di me’, lui rise e
scrollò la testa. Uno strano brontolio aveva interrotto
quell’atmosfera. ‘Hai
bevuto senza mangiare? È da incoscienti’, tirai
fuori un panino dal bancone.
‘Tieni, offre la casa’
‘Non
c’è bisogno,
grazie’
‘Insisto, non
voglio averti sulla coscienza’.
‘Ah beh, allora
accetto!’,
lui mi sorrise prendendo quel panino ben farcito.
Mi morsi il labbro
inferiore e iniziai a fissarlo di
nuovo. Aveva piegato la testa di lato e una strana espressione era
comparsa sul
suo volto.
“Lo so che
te lo ricordi, quel sorriso sul tuo viso me lo
ha fatto capire”, gli dissi avvicinandomi a lui.
“Mi conosci
troppo bene”, disse mettendo un braccio
intorno alla vita e l’altro dietro alla sua nuca.
“Tu sai che ti amo, vero?”
“Lo so,
ma... ”
La sua mascella si
contrasse. Quel ‘ma’ non prometteva
niente di buono, lui lo sapeva benissimo.
“Ma?”,
la sua voce era roca, tesa.
“Ma mi
dispiace, Pierre. Davvero”, spontaneamente misi la
mia mano sopra quella di lui cercando di placare ogni suo movimento,
anche se sapevo
che non si sarebbe mosso nemmeno di un millimetro eccetto per le
smorfie che
avrebbe fatto durante quello che gli stavo per dire.
“È solo che ho bisogno di
andare avanti con la mia vita. Mi sono resa conto che ho praticamente
messo
tutti i miei progetti in attesa, quando ti ho incontrato”, mi
bloccai quando il
suo volto si girò dalla mia parte così da
costringermi a guardarlo negli occhi.
Lui sembrava impassibile, non dava segno di risposta. Non riuscii a
sorreggere
il suo sguardo e mi alzai dal letto andando ad appoggiarmi su un
mobile.
“Voglio dire, certo, è sorprendente stare con te,
è bellissimo, ma ho lasciato
il mio lavoro, la mia famiglia e i miei amici e soprattutto la
città dove sono
cresciuta”, sapevo benissimo che lui non era felice di quello
che gli stavo dicendo,
ma speravo che non sarebbe stato così difficile. Lui non si
mosse né disse
qualcosa dandomi spazio per andare avanti. “Io, non posso
ignorare quello che
voglio fare nella mia vita, anche se…”, ora si era
tirato su mettendosi seduto
e appoggiando la sua schiena sulla testata del letto e
abbassò il suo volto che
si era oscurato considerevolmente. Lo guardai e attesi un battito del
mio cuore
prima di ricominciare. “Sette anni sono un tempo troppo
lungo, almeno per me.
Ho solo ventinove anni ma…”, mi bloccai, la mia
voce tremò un po’ e chiusi gli
occhi senza riuscire a finire la frase.
“Ma hai
troppe speranze e sogni”, sospirò lui.
Mi faceva piacere che
anche lui mi conoscesse così bene.
Questa cosa, però, non mi facilitò. Sollevai la
sua testa e li sorridi
contorcendo le mie labbra. Mi sedetti, di nuovo, di fianco a lui.
“Esatto e li
ho messi in attesa troppo a lungo!”
La fronte di Pierre si
contrasse nel pensiero e le sue
labbra crearono una linea dritta e dura. Mi prese la mano e la
iniziò ad
accarezzare disegnando piccoli cerchi salendo fino al braccio.
Mi guardai intorno,
nella stanza, dove eravamo sdraiati
sul letto. Era parecchio illuminata, un grande letto matrimoniale al
centro
della stanza era rivestito con un piumone bianco. Un grande lampadario
scendeva
dal soffitto e degli armadi color panna si abbinano ai comodini di
fianco al
letto. Un grande specchio sopra la cassettiera era appoggiato al muro
davanti a
noi.
Pierre si
schiarì la gola facendomi distogliere l’attenzione
dalla stanza e costringendomi a guardarlo.
“Quindi”,
esitò. La sua voce era dura. “Siamo oltre.
È
questo quello che mi stai dicendo?”
“Lo fai
sembrare una cosa brutta”
“Pensaci
Lash, siamo stati insieme sette anni e non hai
mai accennato al fatto che ti sentivi in questo modo”, disse
Pierre sbuffando.
Il suo tono di voce era confuso, come se non aveva ben capito il mio
ragionamento. Scossi la testa.
Ero sicura che glielo
avevo accennato, qualche volta, che
sentivo la mancanza di L.A. e del sole che mi accarezzava la pelle,
della mia
famiglia e dei miei amici.
“Sono sicura
di averlo detto ma credo di non essermi
soffermata su questa cosa”
Pierre si
accigliò trasformando i suoi occhi in due
fessure. Non era soddisfatto della mia dichiarazione. “Sono
un ragazzo, è
necessario essere più espliciti”
Mi misi a ridere e
roteai gli occhi. “Non offenderti da
solo, tu sei intelligente, Pierre”
Lui prese possesso del
mio mento costringendomi, così, a
guardarlo negli occhi. “Questo è vero,
però!”
“No, non lo
è!”, dissi tirando indietro il mio volto.
“Odio gli stereotipi, per davvero”, gli tirai uno
schiaffo sul braccio e scossi
la testa. Pierre rise e di risposta gli tirai una serie di pugni sul
petto.
“Questo ha
fatto male, piccola…”
“Non essere
così smidollato”, mise il broncio tenendo il
labbro inferiore sporgente.
“No”,
dissi coprendomi gli occhi. “Per favore, non farlo.
Non rendere la cosa più difficile”, sospirai
profondamente sedendomi sul letto.
Sapeva che non potevo ignorare il suo broncio.
“Cazzo Lash,
tu mi stai lasciando! Ho pensato che avresti
almeno cercato di ridurre il colpo”
Il tono della sua voce
mi fece sentire la persona
peggiore del mondo. Spostai lo sguardo sullo specchio davanti a noi,
sentendo
il peso del suo dolore, così come il mio, che piombava su di
noi. Sapevo che
questo non sarebbe stato facile ma, ovviamente, non avevo capito quanto
facesse
male.
“Non potrei
mai dimenticarti ma ho bisogno di fare questa
cosa”
“Che dire di
me? Che cosa mi serve?”, mi chiese Pierre
burbero. C’era frustrazione nella sua voce. “E se
ho bisogni di te qui? Proprio
come adesso”
Scossi la testa.
Pierre non aveva mai avuto bisogno di me.
Non mi ero mai
immaginata che potessi innamorarmi di
qualcuno che rispondeva i miei stessi sentimenti.
“Hai i tuoi
amici, la band, presto dovrai partire per il
tour, Dio solo sa per quanto tempo…”
La band era in tour
sì e no, il quinto album era stato
rilasciato un paio di mesi fa. Tuttavia, i vari concerti erano
già iniziati e
fra poco sarebbe partito per l’Europa.
Era meglio che la
nostra storia troncasse prima che loro si
imbarcassero nel loro tour mondiale e quindi avrei passato gli ennesimi
mesi da
sola.
Pierre avvolse un
braccio attorno alla mia vita. “Ciò non
significa che dobbiamo lasciarci. Non è la prima volta che
vieni in tour con
noi, i ragazzi poi ti adorano e so che visitare nuovi posti ti
piace”
Scossi la testa ancora
una volta, mi sentii come se fosse
l’unica cosa che avessi fatto per tutta l’ora
passata.“Pierre, questa è la tua
vita, non la mia! Sono stanca di sentirmi dalle ragazzine che devo
morire o che
sono una troia solo perché sto con te”
Chiuse gli occhi e
potei immaginare il pizzicare della
punta del suo naso. Il suo respiro era irregolare come era evidente che
voleva chiudere
al più presto questa discussione. Intanto io ero rimasta
tranquilla a osservare
le tante emozioni che apparivano sul suo volto. Dolore, confusione,
tristezza,
frustrazione, rabbia. Ogni stato d’animo influiva sul suo
viso e sulle sue
labbra.
Dopo quello che mi
sembrava essere passata un’eternità,
lui aprì gli occhi. Guardandomi torvo mi chiede:
“Perché devi rendere la cosa
più difficile del dovuto?”
Nonostante il suo tono
lui sorrise ma non riusciva a
raggiungere i miei occhi. Sospirai e poggiai la mia guancia sul suo
petto così da
riuscire a sentire il battito del suo cuore, volevo stargli il
più vicino
possibile.
Stavo cercando di
essere forte e convincermi che troncare
questa storia era la cosa migliore da fare. Cercai di non dare segno di
cedimento, lui l’avrebbe usata come scusa per convincermi a
rimanere. E sapeva
benissimo che non sarei stata in gradi di resistergli.
Pierre mi
accarezzò i capelli, giocando con le estremità,
e poggiò il suo mento sulla mia testa, avvolgendomi in un
abbraccio e tenendomi
stretta. Rimanemmo così per un po’, fino a quando
lui non ruppe il silenzio, di
nuovo, mormorando una domanda esitante.
“Quando te
ne vai?”
Deglutii
difficilmente. Questo sarebbe stato difficile,
stavo soffocando e sapevo di essere pericolosamente vicino alle
lacrime. Ma non
potevo non rispondergli. Mi strofinai gli occhi con il palmo della mano
e mi presi
qualche secondo per calmarmi. Pierre stava aspettando più
pazientemente di
quanto li avessi mai dato credito.
Infine, presi coraggio
e gli risposi. “Io… Ho chiesto a
Pat di venirmi a prendere fra un paio d’ore. Il mio volo
è prenotato per
stasera”
Scostai il mio viso
così da riuscire a sbirciare il volto
di Pierre, e il mio cuore si fermò all’improvviso.
Il mio piccolo organo che mi
manteneva in vita aveva letteralmente iniziato a sanguinare quando i
miei occhi
s’incontrarono con quelli di lui. Quei piccoli specchi
castani in cui mi perdevo
sempre erano diventati completamente neri. Sembravano un pozzo senza
fondo. Girai
il mio volto dall’altra parte incapace di sopportare tale
dolore nei suoi
occhi.
“Dannazione,
due ore cazzo!”, sbottò buttandomi sul letto
e iniziando a camminare davanti a me.
Sembrava impazzito.
Continua a fissare il pavimento con
la schiena rivolta verso di me. I muscoli delle sue spalle erano tesi.
Normalmente, sarei andata lì e li avrei poggiato le mani
sulle sue spalle e li
avrei proposto un massaggio, ma in quel momento non sarebbe servito a
nulla.
Quando era
così, pensieroso, arrabbiato, mi spaventava un
po’. Non che avesse mai fatto niente di cui vergognarsi,
quando si arrabbiava,
se non saltare alla conclusione sbagliata un paio di volte, ma si era
risolto
sempre tutto. Questa volta, però, era diverso. Io lo stavo
mollando e lui sarebbe
stato male. Avevo bisogno di trovare un modo per alleviare il suo
dolore.
“Pierre…”
“Si?”,
la sua
espressione era nascosta, non rivela nulla.
Mi strofinai nervosa
le mani sui miei jeans prima di
dire: “Mi dispiace. Ho dovuto prenotare il volo il
più presto possibile perché
ho avuto la sensazione che non l’avresti presa bene”
“Che vuoi
dire?”, lui, quasi, ringhiò. “Come vuoi
che la
prenda?”
“Appunto!”
I suoi occhi assunsero
una strana luce, raddrizzò le
spalle e la mascella si contrasse. “Non ti
preoccupare”, mi fissò, il suo
sguardo vacillava ad un centimetro dal mio. Sapevo che stava mentendo e
lo va
uccidendo, lo potevo vedere nel profondo del suo sguardo.
Si schiarì
la gola. “Immagino che la tua valigia sia già
pronta”
“Sì,
solo un paio di borse. Le cose più grandi le ho
già
spedite prima del tempo”, avevo già organizzato
tutto qualche giorno prima ed
era tutto pronto per Los Angeles eccetto per il fatto che non sono
stata in
grado di dirlo a Pierre, fino ad adesso.
Lui annuì
distogliendo lo sguardo dal pavimento. Di
sicuro, non aveva notato che mancavano degli oggetti o che
nell’armadio erano
diminuiti i vestiti.
Seduta sul letto, lo
osservai con calma studiando per l’ultima
volta la sua figura. Avevo paura che lo avrei dimenticato troppo
velocemente. Sapevo
per certo che quando sarei uscita da quella porta lo avrei rivisto
soltanto sui
giornali o sui cartelloni pubblicitari ma non sarebbe stato lo stesso.
Averlo
nella stessa stanza era qualcosa di più personale e ne
valeva la pena
ricordarlo così.
Nel corso degli anni,
a Pierre era cresciuti i capelli,
lo rendevano più maturo e serio anche se si comportava
ancora come un ragazzino,
ma questo era un lato di lui che adoravo. Indossava una maglietta
bianca sotto
a una camicia a quadri verde, ultimamente ave preso la fissazione.
Teneva le
maniche arrotolate fino ai gomiti così da lasciar vedere il
tatuaggio sul suo
braccio sinistro.
Mi trovai a fissarlo
per un lungo istante. L’immagine che
si rifletteva nei miei occhi stava diventando sempre più
sfuocata, questo
perché mi resi conto, solo dopo, del formicolio provocato
dalle lacrime agli
angoli dei miei occhi. Abbassai la testa sperando di cancellarle e
spazzarle
via.
All’improvviso
sentii i suoi piedi trascinarsi sul
pavimento e avvicinarsi a me, poi percepii le sue grandi mani calde che
si appoggiavano
sulle sue ginocchia.
“Lash?”
Alzai la testa e
incontrai il suo sguardo. Tirai su col
naso e sempre guardandolo, li gettai le braccia al collo nascondendo il
viso
nel suo petto. Le lacrime che avevo cercato di trattenere si stavano
versando
dai miei occhi lungo le mie guancie. Lui mi stringeva a se e mi
accoccolai nel
suo corpo, il più vicino che potevo. Pierre continuava a
disegnarmi piccoli
cerchi col palmo della mano sulla schiena mormorandomi parole dolci
all’orecchio.
“Mi
dispiace”, continuai a dire più e più
volte. Avrei
voluto essere più forte ma ancora lo amavo così
tanto che quello che stavo
facendo mi provocava un dolore così profondo che sentivo nel
mio cuore. Ma avevo
dovuto farlo…
Lui mi
dondolò un po’ cercando di calmarmi e
continuò a
sussurrare, ma la sua voce era piena di dolore. Quando, finalmente,
riuscii a
far placare i miei singhiozzi lo guardai negli occhi sospirando
leggermente.
“Così”
“Beh”,
dicemmo nello stesso momento.
Pierre
scoppiò in una risata acida. “Parla prima
te”
Poggiai la mia mano
destra sulla sua guancia dove si appoggiò
sopra. “Sono io che perdo te…”
Lui sbatté
le palpebre velocemente, incredulo di quello
che aveva sentito. “Potresti chiamarmi qualche
volta”
“No”,
gli proibii. “Non credo che sia una buona idea… Ho
bisogno di questo taglio netto”, questo poteva non aver
senso. Dopo tutto, avrei
potuto immaginare le obiezioni che avrebbe potuto fare, ma avevo
bisogno di rompere
con lui, giusto? Avremmo potuto continuare la nostra storia a distanza,
ma mi sono
convinta che sarebbe stato più facile fare in questo modo e
io non riuscivo più
a continuare.
La mascella di lui si
era serrata. Annuì anche se si poteva
vedere un bagliore di irritazione nei suoi occhi.
“Bene”, si alzò in piedi.
“Fra quanto arriva Pat?”
Gettai gli occhi
sull’orologio sopra al letto.
“Un’ora”
Lui si
infilò le mani nelle tasche e trascinò avanti e
indietro il piede, come se fosse imbarazzato.
“Giusto”
Un silenzio
imbarazzante aveva riempito la stanza. Non c’era
più niente da dire, o non avevamo idea di cosa dire.
Continuava a spostare gli
occhi per tutta la stanza evitando, ovviamente, di farli incontrare con
i miei.
Chiusi gli occhi e lo sentì respirare a fatica.
“Beh, io
vado, ho delle cose da fare”, disse sempre senza
guardarmi ma con la coda nell’occhio riuscii a notare che
aveva fatto una
smorfia. “Non voglio essere di ritorno prima che tu non te ne
sei andata
quindi… fai un buon viaggio”, fece una pausa come
se stesse cercando di pensare
a delle parole da dire, ma poi si riprende ed uscì dalla
stanza.
Mi risiedetti
rimanendo congelata dalla sua reazione.
Sentii i suoi passi dirigersi verso la porta d’ingresso.
Istintivamente mi alzai
in piedi e mi precipitai fuori dopo di lui.
“Pierre,
aspetta!”
Lui si
fermò prima di tirare fuori le chiavi nella
macchina e si voltò a guardarmi.
“Si?”
Mi morsi il labbro
inferiore e mi strofinai le braccia in
un gesto nervoso. “Non vuoi rimanere e aspettare con
me?”
“No,
Lachelle”, Pierre emanò un sospiro aspro.
“Vorrei,
ma non posso farti vivere un’altra esperienza come questa, e
succederà di
nuovo, perché in questo momento potrei fare un milione di
cose per farti
restare e so che funzionerebbero ma non è quello che vuoi
tu”
Mi rivolse un breve
sguardo, poi, dopo aver tirato fuori
le chiavi dalla tasca, uscì dalla porta. Fuori dalla mia
vita. Per sempre.
“Addio
Pierre”, sussurrai.
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