Paint
it black
La notte era l'unico momento in cui il
caldo soffocante di quell'estate sembrava concedere qualche ora di
tregua, perché durante il giorno, per quanto si lasciassero
aperte le finestre e i balconi, non un alito di vento arrivava a
rendere l'afa più sopportabile.
Ad ogni modo, il quartiere di Spinner's
End non era posto dove ci si potesse concedere il lusso di lasciare le
finestre aperte. A dirla tutta, nemmeno altri tipi di lusso erano mai
stati particolarmente in
voga in quella zona della città.
Severus Piton, sprofondato in una vecchia
poltrona, stava cercando di concentrarsi sulla lettura di un volume che
parlava delle antiche pozioni dei druidi celtici, prestando particolare
attenzione al capitolo dedicato agli antidoti contro il veleno dei
serpenti, argomento che, viste le circostanze, valeva decisamente la
pena di approfondire.
L'uomo si stropicciò il volto
con le mani e voltò pagina. In quello stesso momento, sulla
stanza calò il buio: la lampadina sotto al paralume di tela
consunta aveva esalato il suo ultimo respiro e si era spenta con un
rapido e sottile pzzz.
Bene...
Piton cercò a tentoni la
bacchetta posata sul tavolino tarlato che aveva davanti.
“Lumos”
scandì pigramente. Riprese a leggere.
La pozione illustrata a pagina 77 sembrava
tanto interessante quanto complicata. Stava cercando di figurarsi il
procedimento di preparazione quando fu distratto da una serie di
schiamazzi provenienti dalla strada, seguiti dal rumore di vetri
infranti. Voci di ubriachi risuonarono acute nel silenzio della
nottata. Severus Piton aspettò che il baccano cessasse e
rilesse di nuovo la pagina 77, era arrivato all'ultima riga quando si
udirono altre voci e altri rumori.
Se quell'unico squallido pub del quartiere
fosse stato un po' più lontano da casa sua lui ora avrebbe
capito qual'era l'ultimo passaggio della preparazione di
quell'antidoto. Se quell'unico squallido pub fosse stato un po'
più distante, forse, chissà, avrebbe avuto un
paio di serate un po' più tranquille da bambino. E se avesse
avuto qualche serata un po' più tranquilla...
Al
diavolo!
Il professore di Hogwarts chiuse
nervosamente il libro e lo gettò sul tavolino che aveva
davanti. Snocciolare i se non lo avrebbe portato molto lontano.
Poteva uscire, scagliare una maledizione
su quegli idioti ubriachi che stavano disturbando la sua lettura e
spiegare a Silente che lo aveva fatto per risultare più
convincente nel suo ritrovato ruolo di Mangiamorte doppiogiochista.
L'idea sembrava parecchio allettante, ma infine i rumori e le voci
cessarono e l'unica parte rilevante dei pensieri appena formulati
sembrò quella relativa al suo ritrovato ruolo di
Mangiamorte doppiogiochista.
“Severus, sai cosa devo
chiederti di fare. Se sei pronto... se sei in grado...” aveva
detto Silente. Il bianco delle pareti dell'infermeria si era fatto
accecante davanti ai suoi occhi. Era pronto da sempre. In
quanto all'essere in grado... oh, avrebbe certamente trovato il modo.
Sarebbe stata di nuovo una guerra, lo
sapeva e non c'era tempo di fare domande. Il futuro diventava giorno
dopo giorno un'immagine sfocata dai contorni neri.
Fare i calcoli sulle speranze, misurare le
possibilità con il contagocce era una lavoro adatto a quelli
come Albus Silente. In quanto agli sventolii di bacchette e alle mosse
da eroe tragico... beh, c'era Potter preposto a tale compito.
Lui doveva solo agire, a lui toccava stare
in mezzo al nero di quei contorni e cercare di farlo avanzare il
più lentamente possibile.
Erano settimane che faceva la spola tra le
adunate dei Mangiamorte e le riunioni dell'Ordine della Fenice. Era
guardato con malevola circospezione dai primi e con perplesso stupore
dai secondi, le battute di spirito di Sirius Black riguardo a quanto
fosse inaspettato il suo zelo nel partecipare alla causa erano solo un gradevole
intermezzo.
In dodici anni i Dissennatori avrebbero
dovuto prendersi maggiore cura di Black!
Eppure ogni volta che si faceva il nome di
Harry Potter, Severus sentiva qualcosa bruciare in qualche angolo
remoto dentro di lui e si rendeva conto di quanto fosse la rabbia a
muoverlo, al di sopra di ogni altra cosa, a volte anche al di sopra del
ricordo di Lily e di quell'amore che lo aveva corroso da dentro,
lasciandolo solo un guscio vuoto in attesa che il fato gli mettesse
sulla strada un'occasione di riscatto. Perché mentre era
seduto al tavolo di Grimmauld Place, con gli occhi dei membri
dell'Ordine puntati addosso, avidi di sapere cose nuove sui Mangiamorte
o su Voldemort, aveva l'odiosa consapevolezza che loro stavano
riuscendo dove lui aveva fallito quattordici anni prima, loro ce l'avrebbero
fatta a salvare quelli che amavano. E si sentiva ancora più
distante, ancora più diverso da quelle persone.
Ogni volta che Severus Piton lasciava il
quartier generale dell'Ordine sentiva di avere un'idea sempre
più confusa su chi era: non era un eroico mago buono
dell'associazione segreta fondata da Silente, ma non era nemmeno il
subdolo Mangiamorte che i seguaci del Signore Oscuro credevano che
fosse. Anche se, a dirla tutta, provava quasi una punta di orgoglio al
pensiero di essere riuscito a ingannare Voldemort.
Alcune sere prima, durante una delle
riunioni dell'Ordine della Fenice, finalmente aveva detto le tre
paroline magiche che gli altri aspettavano di sentire: “Ho
incontrato Voldemort”.
Si era concesso una pausa ad effetto per
il gusto di vedere il fremito di nervosismo propagarsi da un volto
all'altro come una scarica elettrica, poi aveva raccontato
dell'incontro.
Non si era dilungato su inutili commenti e
osservazioni personali mentre riferiva l'accaduto, ma se fosse stato in
vena di confidenze (cosa del tutto inimmaginabile) avrebbe ammesso che
non era stato del tutto spiacevole,
no... era stato quasi come una liberazione poter finalmente guardare in
faccia la sua più grande paura e il suo più
profondo odio, ora sapeva che avrebbe potuto affrontarlo, provare a
sconfiggerlo: quell'essere mostruoso, in carne ed ossa davanti a lui,
era la redenzione che aveva atteso tutta la vita. Era quasi liberatorio.
Voldemort era lì, il volto da
serpente pallidissimo nella penombra di un bosco. Alle sue spalle c'era
una piccola schiera di Mangiamorte e ai suoi piedi stavano alcuni
cadaveri con gli occhi sbarrati, la morte che aveva cristallizzato
sulle loro facce un'espressione urlante di dolore e paura. La
maledizione Cruciatus seguita dall'anatema che uccide... come da
tradizione.
In fondo agli occhi del Signore Oscuro la
furia si andava lentamente spegnendo, spostò un paio di
volte lo sguardo tra i corpi esangui e il viso di Piton mentre il
serpente, Nagini, strisciava placido sull'erba e cominciava ad
avvolgere le sue spire attorno ai morti.
“Questa è la giusta
ricompensa per i traditori” disse poi Voldemort spiando con
la coda dell'occhio i Mangiamorte alle sue spalle come ad assicurarsi
che il monito fosse stato ben compreso.
“Oh, Severus”,
aggiunse come se solo in quel momento si fosse ricordato della presenza
del professore di Hogwarts. “Per uno sciocco istante ho
pensato che non saresti venuto, pensavo che saresti rimasto tra i muri
della scuola a nasconderti da me nell'ombra di quel vecchio stolto. Ma
sono lieto di essermi sbagliato”. La sua voce era come
resina, dolciastra e pungente e sembrava lasciare una scia
appiccicaticcia nella testa.
Piton rispose con un rapido sorriso tirato
e chinò la testa in un mite cenno di assenso. Nagini
strisciò ai suoi piedi, sfiorando con il corpo squamoso la
punta delle sue scarpe.
Voldemort gli si avvicinò e gli
puntò in faccia i suoi occhi rossi. Quelle pupille oblique
sembravano tagli pronti a far sanguinare veleno.
Dopo lunghi secondi, una strana curva, una
pallida imitazione di quello che avrebbe dovuto essere un sorriso, si
disegnò sulla bocca senza labbra del Signore Oscuro.
“Sei vuoto, Severus”
sentenziò con una nota di nera allegria nella voce
sibilante. “E mi piace il vuoto, lo posso riempire a mio
piacimento. Questo ti rende anche meglio di tutti loro”,
così dicendo Voldemort alzò una mano pallida a
indicare i Mangiamorte schierati qualche metro più in
là. “Li vedi? Sono tutti legati alla loro
posizione, al loro denaro, alla loro vita e questo li rende meno
affidabili di quanto vorrei. Tu invece non hai niente”.
Niente. La parola, scandita con tanto
crudele compiacimento, soffiò nell'aria come una folata di
vento gelido.
Severus strinse le palpebre avvertendo
l'orribile sensazione di un soffio freddo sul suo viso, ma quando
riaprì gli occhi era sempre lì, in casa sua,
immerso nel caldo torrido di quell'estate innaturale e nel silenzio
polveroso del salotto.
Sul tavolino il libro di pozioni era
rimasto aperto a pagina 77. Una sfera di luce pallida era
ancora sospesa sulla punta della sua bacchetta e proiettava
un globo di bianco luminoso in mezzo alla stanza, ma oltre quel globo
c'era solo buio pesto, come se qualcuno avesse dipinto tutto di nero.
Sono
stato io... la sua stessa voce mormorò velata
dal fondo della sua testa. Dipingere
il niente con il nero per dargli consistenza...
No, forse non era stato lui, forse era
stato solo l'effetto del tempo e quel nero non era altro che polvere.
Forse non era vero che non c'era niente in fondo a tutto quel buio.
Piton si stiracchiò sulla
poltrona e afferrò il libro.
“Dunque...”
borbottò scorrendo la pagina con l'indice.
Forse c'era un modo per raschiare via la
vernice, il nero, e ritrovare i colori. In fin dei conti i ricordi, la
rabbia, il dolore lo avevano sempre portato a negarsi altre
possibilità, ma non doveva essere per forza sempre
così.
“... dov'ero rimasto?”.
Forse domani,
dopo quella guerra, ci avrebbe pensato su.
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Ho sempre avuto tanto affetto per il personaggio di Piton, fin da
quando avevo quindici anni e presi in mano il primo volume della saga
di Harry Potter. Ultimamente sto rileggendo i romanzi della Rowling uno
dietro l'altro e mi sto accorgendo di quanto davvero io ami quella
storia e ogni suo singolo elemento... con un occhio di riguardo al
professore di pozioni.
Questa breve cosa,
mia prima incursione nel fandom, prendetela come un “test di
prova” per una long-fic alla quale ho deciso di mettere mano
quando avrò letto abbastanza da avere a disposizione i
particolari di cui necessito per scrivere dell'universo di Harry Potter
senza troppi svarioni.
Il titolo è trafugato da un vecchio brano dei Rolling
Stones, a mio avviso tremendamente azzeccato per il caro Severus.
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