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ACCIDENT
Accompagnato da Yamamoto, che aveva insistito perché non andasse da solo, non
nelle condizioni in cui si trovava, Tsuna sedeva al fianco del suo Guardiano
della Pioggia, che guidava: non riusciva a parlare, sentiva solo il cuore
rimbombare forte nel petto, assieme alle parole che, poco meno di cinque minuti
prima, avevano spezzato quella quiete e quella spensierata tranquillità nella
Base della Famiglia, in Italia.
Hayato aveva avuto un incidente nel centro di Palermo ma nessuno era stato in
grado di dirgli nulla.
Quando era arrivata la telefonata, lui era con Takeshi nello studio, intento a
mostrare al suo fidatissimo amico le cose più urgenti di cui occuparsi mentre
lui e Gokudera sarebbero partiti per una brevissima vacanza.
Nulla di speciale, solo un qualcosa per celebrare i loro ormai cinque anni
assieme.
E
poi, quella chiamata da parte di Fuuta, che si era ritrovato per caso ad
assistere all’accaduto, mentre rientrava.
Il
ragazzo sembrava particolarmente sconvolto, ma era stato in grado di istruire il
fratello maggiore sulla direzione da prendere prima di salire a bordo
dell’ambulanza per non lasciare solo il Guardiano della Tempesta.
Tsuna aveva seriamente rischiato di svenire, Yamamoto l’aveva visto sbiancare
dinanzi ai suoi occhi, ma il loro piccolo Boss era più forte di quello che
sembrava e, pur con voce tremante, aveva impartito l’ordine, o forse meglio dire
la supplica, di accompagnarlo all’ospedale per raggiungere l’argenteo.
Takeshi aveva annuito e, cinte le spalle dell’amico col braccio, aveva spiegato
sommariamente la situazione a Ryohei e agli altri, chiedendo loro di avvertire
Bianchi, in quel momento in aeroporto per riportare Reborn, di ritorno da una
missione, a casa.
Lo
stomaco del Decimo, mentre si avvicinavano alla struttura ospedaliera, era
contratto e si sentiva sul punto di vomitare, anche gli occhi si stavano
riempiendo di lacrime e non serviva a nulla massaggiarsi le tempie nel tentativo
di calmarsi e riacquistare il sangue freddo: non poteva stare tranquillo in
quella situazione, non senza avere chiare prove che Hayato stava bene.
Quando arrivarono a destinazione, il ventenne non si curò neppure di aspettare
che la macchina si fosse fermata: infatti, non appena Yamamoto ebbe rallentato
dinanzi al pronto-soccorso, Tsuna si lanciò fuori dal mezzo come un razzo e si
precipitò all’interno dell’edificio, col fiato mozzo e gli occhi spalancati; era
conscio di aver attirato parecchi sguardi stupefatti e curiosi ma non era quello
l’importante!
Trafelato, si poggiò al bancone dell’accettazione, dove un’ infermiera, intenta
a mettere a posto delle cartelle cliniche, lo guardava con preoccupazione:
“Gokudera Hayato… Ha avuto un incidente poco fa. Dov’è?” chiese con voce
arrochita; lei frugò per qualche istante tra i fogli di cui era ingombra la
scrivania, poi ne tirò fuori un bigliettino, vergato in una calligrafia a stento
decifrabile.
“Lei è…?” chiese subito, puntando i suoi grandi occhi azzurri sul bruno: “Sawada
Tsunayoshi, sono…” si morse un attimo le labbra prima di continuare, “Sono il
capoufficio di Hayato Gokudera.”.
Nonché suo partner.
Ma
forse era meglio non specificare questa particolarità nel rapporto che
intercorreva tra loro: già la definizione di capoufficio gli stava stretta però
era quello che più si avvicinava alla realtà.
Certo non poteva dire di essere il Decimo Boss della Famiglia Vongola e che quel
giovane dai capelli color dell’argento era il suo braccio destro, oltre che
amante.
“Tsuna-nii!”
La
voce di Fuuta bloccò sul nascere qualunque affermazione la donna potesse fare,
mentre il ragazzino dalla lunga sciarpa a righe correva incontro ai due,
abbracciando il “fratello maggiore”: “Hayato-nii sta bene, l’ho visto poco fa.
Aveva perso i sensi per la caduta ma si è risvegliato e ti cercava…” bisbigliò
il giovanissimo, trattenendo le lacrime di commozione.
Le
ginocchia di Tsuna sembravano seriamente sul punto di cedere per il sollievo.
“Venite, sarà contento di vedervi.” dichiarò il biondo, facendo per afferrare il
polso di Takeshi, ma l’infermiera li bloccò: “Solo uno per volta.” esclamò
piccata.
Yamamoto sospirò e, sistematosi la cravatta, spinse Sawada in avanti: “Se
entrassi io al tuo posto, minimo mi farebbe saltare in aria.” ridacchiò lo
spadaccino, “Sbrigati, io resto qui ad aspettarvi.” gli disse con tono
rassicurante.
Il
Decimo gli rivolse un sorriso riconoscente, prima di andare dietro al
“fratellino”.
§§§
Quando il Cielo spinse cautamente la porta della stanza dove era stato messo il
suo Guardiano, la prima cosa che vide, non appena all’interno, fu il viso
corrucciato di Gokudera, disteso sul lettino con una spessa benda a fasciargli
la fronte ferita e gli abiti di sartoria stracciati.
Uri
era nuovamente uscito dalla sua Box ma si era limitato a starsene sulle
ginocchia del suo padrone, in attesa come lui.
Il
bruno restò qualche istante sulla soglia, incapace di dire nulla e solo in grado
di lasciarsi andare alle lacrime, e a qualche singhiozzo.
Singhiozzi che Hayato aveva sentito chiaramente, poiché si era voltato verso di
lui, col viso illuminato da un tenue e affettuoso sorriso.
Ci
fu un attimo solo di impasse, prima che il Decimo si fosse gettato tra le
braccia spalancate della Tempesta, affossando il viso sul suo petto: era
terrorizzato.
“Juudaime, io sto bene.” lo rassicurò Gokudera con un filo di voce, mentre gli
accarezzava i capelli: “Non è successo nulla.” gli disse, baciandolo con affetto
sul collo e sulle mani; se possibile, Sawada lo strinse ancora più forte.
Non
aveva detto nulla, semplicemente aveva bisogno di sentirlo.
“Sei venuto sin qui da solo?” indagò subito l’argenteo, facendosi serio: non
aveva visto nessuno in giro, tranne Fuuta che lo aveva, secondo il medico,
accompagnato in ambulanza ed era seriamente convinto che Tsuna si fosse fatto la
strada a tutta velocità di corsa.
“Takeshi è qui fuori, mi ha accompagnato lui…” bofonchiò con voce arrochita:
“Probabilmente, se mi fossi messo a guidare, mi sarei schiantato alla prima
curva.” ridacchiò, ma senza allegria, “Mi tremavano le mani…” ammise in un
soffio di fiato.
Gokudera sospirò, sfiorando il volto dell’amante con le dita graffiate: “Mi
dispiace di averti spaventato.” si scusò, baciandolo piano sulle labbra: “E
anche il giorno del’anniversario…” aggiunse, rabbuiandosi, “L’importante è che
tu stia bene.” lo prevenne Sawada, cingendogli la vita con le braccia e
poggiando la testa sul suo petto.
Poi, si alzò sulle punte per ricambiare il bacio.
Quando si staccarono, malgrado gli occhi ancora lucidi e arrossati, entrambi
sembravano stare meglio rispetto a prima, soprattutto Tsuna; con le mani
intrecciate, Hayato aiutò il compagno a issarsi sul materasso, di modo da farlo
accomodare tra le proprie gambe.
Forse erano stati anche i minuti peggiori della sua vita, ma il poter vedere
ancora la vita pulsare negli occhi del suo Guardiano era tutto ciò che Sawada
desiderava da quel giorno.
Per il 5927 Day!
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